Il testo Light on the Yoga Sutras of Patanjali, che tradotto significa Luce sullo Yoga Sutra di Patanjali da parte di B.K.S. Iyengar ci permette di esaminare questa opera che è uno dei testi di riferimento più importanti della tradizione dello yoga. Patanjali è una figura leggendaria, forse mai esistita. Alcuni autori suggeriscono che sia vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, mentre altri insistono che sia vissuto d.c. Questo testo, che dovrebbe essere nella libreria di tutti i praticanti yoga, è stato scritto tra il 400 a.C e il 200 d.C È infatti attorno a tale epoca che lo stile degli aforismi, non solo ebbe la sua massima diffusione, ma raggiunse probabilmente il suo più alto livello stilistico. L’opera di Patañjali è largamente riconosciuta come l’esempio più raffinato nella tecnica dei sutra.
Patañjali ha ripreso quanto trasmesso dalla tradizione che era stato per lungo tempo astratto e incomprensibile e l’ha incapsulato nel cuore dei suoi sutra, presentando un sistema coerente ed autonomo in grado di sostenere il ricercatore spirituale a livello teorico e pratico.
Spiega la natura e la psicologia umana durante le fasi della vita.
L'opera è composta da 4 capitoli o pada e 196 frasi o sutra. I quattro pada
sono: Samadhi Pada, Sadhana Pada, Vibhuti Pada, Kaivalya Pada.
Nel primo capitolo spiega cosa è lo yoga, che cosa è la coscienza e come arrivare al samadhi. Nel secondo capitolo spiega quale è il vero scopo della nostra vita, le qualità necessarie per arrivare all'obiettivo e quali sono gli ostacoli che possiamo incontrare durante il percorso, quali sono gli otto componenti dello yoga. Nel terzo capitolo parla dei poteri che lo yogi acquisisce controllando corpo, mente e natura. Nel quarto capitolo parla della liberazione. Adesso mi cimenterò nel titanico compito di cercare di riportare l'essenza di questa opera fondamentale in queste poche righe. Di seguito ho riportato le frasi che più mi hanno colpito facendole precedere dal numero del capitolo e della strofa.
1 capitolo - Samadhi Pada. Samadhi significa profonda meditazione e devozione suprema.
1.1 "Con le preghiere per la benedizione divina, ora inizierò
l'esposizione dell'arte sacra dello yoga".
1.2 "Yogah citta vrtti nirodhah". E' la famosa frase in sanscrito con cui viene descritto lo yoga che significa: "Lo yoga è la cessazione dei movimenti nella coscienza". La coscienza
è composta dalla mente (manas), dall'intelligenza (buddhi) e
dall'ego (ahamkara). Il sé rappresenta la persona, la sua identità ed è separata dalla mente, dall'intelligenza e dall'ego. L'io è una forma del sé. L'Ego ha delle qualità diverse a seconda che sia rajasico ossia spinge all'azione,
tamasico al riposo o sattvico all'equilibrio.
L'esecuzione dell'asana (la posizione) offre un campo di battaglia controllato per il processo di
conflitto e creazione. Questa lotta è vissuta in ogni posizione: ci
sfidiamo a migliorare la posizione e nello stesso tempo la paura dell'atto ci blocca. Se siamo timorosi non facciamo
progressi, ma se si osserva l'interazione tra le due forze, possiamo
raggiungere la perfezione.
La coscienza (citta) è come una lente ottica, posta sopra una fonte
di pura luce, l'anima individuale. La superficie superiore della lente è in
contatto con il mondo, e quando entra in contatto con desideri e paure diventata
nuvolosa, opaca, persino sporca. Trascendendo i guna, l'anima è pienamente percepita.
1.8 "La conoscenza illusoria o errata si basa sul non-fatto o
sul non-reale. “Comprensione errata e falsi concetti generano sentimenti sbagliati e
contaminano la coscienza.
1.10 "Il sonno è l'assenza non deliberata di onde del pensiero o
conoscenza".
1.12 "La pratica e il distacco sono i mezzi per calmare i
movimenti nella coscienza". La pratica (abhyasa) e il distacco (rinuncia: vairagya) sono le due
ali dello yoga.
1.13 "La pratica è lo sforzo costante per calmare queste
fluttuazioni" che operano nella coscienza per poi muoversi verso il silenzio:
raggiungere uno stato mentale costante, calmo, tranquillo.
La mente è considerata dai saggi come l'undicesimo senso, un organo
di senso interno. Le fasi del distacco sono: liberare i sensi dall'azione, allontanarsi dal
desiderio, calmare la mente, dominare il desiderio, arrivare al supremo
distacco.
1.17 "La pratica e il distacco sviluppano quattro tipi di samadhi: l'autoanalisi, la sintesi, la beatitudine e l'esperienza del
puro essere."
L'esperienza dell'Essere puro è samprajnata samadhi, dove si verifica un
graduale progresso dal corpo grossolano verso la mente sottile, e
dalla mente stabile verso la fonte, il fondamento e nucleo dell'essere.
1,18 "Le impressioni nascoste giacciono dormienti, ma sorgono
durante i momenti di consapevolezza, creano fluttuazioni e disturbano
la purezza della coscienza."
1.20 "La pratica deve essere perseguita con fiducia, sicurezza,
vigore, memoria acuta e potere di assorbimento per rompere questo
compiacimento spirituale."
1.21 "L'obiettivo è vicino per coloro che sono estremamente
vigorosi e intensi nella pratica."
1.23 "Il citta (i movimenti nella coscienza) può essere trattenuto dalla profonda meditazione su
Dio e dal totale abbandono a Lui."
1.27 Il Brahman o il Tutto "È rappresentato dalla sacra sillaba AUM, chiamata
pranava."
Il mantra deve essere ripetuto costantemente e con sentimento: in questo modo rimuoverà tutti gli ostacoli che sono malattia, inerzia, pigrizia,
indisciplina ecc. Bisogna lavorare anche sul respiro attraverso il pranayama perchè il respiro irregolare distrae la coscienza.
1.34 "Mantenendo lo stato pensoso percepito al momento
dell'espirazione dolce e costante e durante la ritenzione passiva
dopo l'espirazione."
Si dovrebbe inspirare ed espirare lentamente e fare una pausa tra i due movimenti del respiro,
mantenendo la ritenzione per tutto il tempo che è comodo. La pratica
permetterà alla coscienza di diventare un lago calmo.
La coscienza ha quattro livelli: l'inconscio, il subconscio, il conscio, il
super-cosciente conosciuto come Turya. Turya è il samadhi, lo stato
finale in cui l'anima individuale (jivatman) si fonde con l'Anima
Universale (Paramatman).
1.41 "Lo yogi comprende che il conoscitore, lo strumento del
conoscere e del conosciuto sono uno, se stesso, il praticante. Come un
puro gioiello trasparente, riflette una purezza incolmabile. "
Patanjali nei prossimi versi spiega i diversi stati del samadhi.
1,46 "Gli stati del Samadhi descritti nei precedenti sutra
dipendono da un supporto o seme e sono chiamati sabija".
1.49 "Questa verità, la conoscenza e la saggezza sono distinte e al di là della conoscenza dei libri, della
testimonianza o dell'inferenza." Questa è una conoscenza speciale e diretta che nasce dall'anima.
1,51 L'ultima strofa di questo capitolo è il seguente: "Quando anche questa nuova
luce della saggezza viene abbandonata, albeggia il samadhi senza semi".
Questo è il nirbija samadhi: lo stato di identità assoluta con il
praticante.
2 capitolo - Sadhana Padi. Sadhana significa pratica, strategia.
2.1 "Lo zelo ardente nella pratica, lo studio individuale e lo
studio delle Scritture e l'abbandono a Dio sono gli atti dello Yoga".
Lo yoga dell'azione kriya yoga è costituito da volontà e motivazione, autodisciplina (tapas), ripetizione dei mantra e studio
personale dei testi sacri (svadhyaya), arrendersi a Dio (Isvara pranidhana).
2.2 "La pratica dello yoga riduce le afflizioni e conduce al samadhi".
2.3 "Le cinque afflizioni disturbano l'equilibrio
della coscienza". Le afflizioni o klesha sono considerate la causa principale
di tutto il nostro dolore e sofferenza in questa esperienza umana e sono: 1.
Avidya - Ignoranza o mancanza di saggezza, 2. Asmita - Egoismo, essere in preda dell'ego o senso dell'io 3. Raga - Attaccamento al piacere, 4. Dvesa -
Avversioni al dolore, 5. Abhinivesa - Paura della morte e il tenersi aggrappato
alla vita.
2.4 "La mancanza di vera conoscenza è la fonte di tutte le pene
e dolori".
2.11 "La fluttuazione della coscienza creata da afflizioni
grossolane e sottili deve essere messa a tacere attraverso la
meditazione."
2.14 "Secondo le nostre azioni buone, cattive o miste (il nostro
karma), la qualità della nostra vita, la sua durata e la natura
della nascita sono vissute come piacevoli o dolorose".
2.17 "La causa del dolore è l'associazione o identificazione
del praticante (atma) con la natura (prakti), il mondo manifesto e il rimedio si trova nella loro dissociazione".
2.18 "La natura con le sue tre qualità (guna), satva, rajas e tamas esiste eternamente per servire il praticante, per il godimento o
l'emancipazione". Questi tre principali guna sono generalmente associati con la creazione (sattva), la conservazione (rajas) e la distruzione (tamas).
Gli umani sono composti da cinque strati o kosas: anatomico (annamaya); fisiologico (pranamaya); mentale (manomaya); intellettuale (vijnanamaya); beatitudine (anandamaya) che corrispondono ai
cinque elementi.
2.19 "I guna generano le loro divisioni caratteristiche ed
energie nel praticante".
La natura (prakti) ha le tre qualità e manifesta la sua energia nel
carattere dei cinque elementi (terra, acqua, fuoco, aria ed etere).
2.20 "Il praticante diventa pura coscienza."
2.21 "La natura e l'intelligenza esistono unicamente per servire
il vero scopo del praticante, che è l'emancipazione (kaivalya)". 2.23 e per permettergli di scoprire la sua vera natura.
2.24 La mancanza di comprensione spirituale (avidya) è la causa
della falsa identificazione del praticante con il mondo esterno. Con la pratica dello yoga le impurità vengono distrutte (2.28).
Nel verso 2.29 Patanjali descrive gli otto componenti dello yoga che sono: yama, niyama, asana, pranayama, pratyahara, dharana, dhyana.
2.31 "La non violenza, la verità, l'astensione dal furto, la
continenza e l'assenza di avidità di possesso oltre il proprio
bisogno sono i cinque pilastri dello yama." Yama sono gli impegni sociali.
2,32 "La pulizia, la contentezza, lo zelo religioso, lo studio
personale e l'abbandono del sé al Sé supremo o Dio sono i niyama."
Niyama è la pratica individuale necessaria per costruire il
carattere del sadhaka, il praticante.
2.35 "Quando la non violenza nella parola, nel pensiero e
nell'azione viene stabilita, la propria natura aggressiva viene
abbandonata e gli altri abbandonano l'ostilità nella propria
presenza".
2.40 "La pulizia del corpo e della mente sviluppa disinteresse
nel contatto con gli altri per autogratificazione". Il praticante (sadhaka) rispetta il corpo come un tempio.
2.46 "L'asana è perfetta fermezza del corpo, fermezza
dell'intelligenza e benevolenza dello spirito."
2.47 "La perfezione in un'asana si raggiunge quando lo sforzo
per eseguirlo diventa senza sforzo e l'infinito che è dentro di noi viene
raggiunto".
2,49 "Pranayama è la regolazione del flusso di respiro in
entrata e in uscita con ritenzione. Deve essere praticato solo dopo che la perfezione in asana è raggiunta."
Tutto ciò che vibra nell'Universo è prana: calore, luce, gravità,
magnetismo, vigore, potenza, vitalità, elettricità, vita e spirito
sono tutte forme di prana. Prana e coscienza sono in costante
contatto l'uno con l'altro. Lo yogi pratica il pranayama per
stabilizzare energia e coscienza. Esistono dieci tipi di energia vitale: prana, apana, samana, udana,
vyana, naga, kurma, krkara, devadatta e dhanamiaya.
Secondo l'Ayurveda il corpo è composto da sette costituenti (dhatus)
e tre umori permeabili (dosha). Nel corpo umano ci sono dei canali energetici dentro i quali circola l'energia. I tre canali più importanti si trovano nella colonna vertebrale, Ida si trova sulla parte sinistra della colonna vertebrale ed è collegato al sistema nervoso
parasimpatico, a destra si trova pingala che è collegata al sistema nervoso simpatico e al centro della colonna passa susumna che è collegato al sistema nervoso centrale.
Lo yogi che controlla il prana e l'energia potrebbe mantenere
l'intero sistema fisiologico umano in perfetta armonia.
2.50 "Il pranayama ha tre movimenti: inalazione prolungata e
fine, espirazione e ritenzione; tutto regolato con precisione in base
alla durata e al luogo. "
2.54 "Ritirare i sensi, la mente e la coscienza dal contatto con
oggetti esterni, e quindi trascinarli verso l'interno del praticante, è pratyahara."
2,55 che è l'ultimo sutra del capitolo recita così: "Il pratyahara ha come risultato il controllo
assoluto degli organi di senso".
3 capitolo - Vibhuti Pada. Vibhuthi significa facoltà sovrannaturali, sebbene il termine possa essere tradotto con i termini estensione, sviluppo,
manifestazione, realizzazione, ed il termine siddhi, sinonimo di vibhuti, può essere tradotto con perfezione, e manifestazione di vari poteri.
3.1 "Fissare la coscienza su un punto o regione è la
concentrazione (dharana).
3.2 "Un flusso costante e continuo di attenzione diretto verso
lo stesso punto o regione è la meditazione (dyana)".
3.3 "Quando l'oggetto della meditazione ingloba il meditatore,
apparendo come soggetto, la consapevolezza di sé viene persa. Questo
è il samadhi".
3.4 "Questi tre insieme costituiscono l'integrazione o samyama".
Samyama spiega le discipline necessarie sia per vivere nella grazia
naturale dello yoga, sia per acquisire poteri soprannaturali, o
siddhi. Questi poteri creano attaccamento e afflizione, ed è per questo che
Patanjali li ritiene degli ostacoli al dhyana e al samadhi. Questi
siddhi vengono acquisiti da uno yogi che ha padroneggiato il suo corpo,
la sua mente e la sua anima.
Il filo conduttore della filosofia di Patanjali è la relazione tra il Sé (purusa) e la natura (prakrti). Mantenere un flusso costante e
ininterrotto e l'intensità dell'attenzione in piena coscienza è un'altra
fase di trasformazione.
3,38 "Questi conseguimenti (poteri) sono impedimenti al samadhi,
sebbene siano poteri molto efficaci nella vita attiva".
3.53 "Con samyama lo yogi ottiene temporaneamente una conoscenza
esaltata, libera dalle limitazioni di tempo e spazio."
4 capitolo - Kaiwalya pada. Kaiwalya significa liberazione.
4.1 "Le realizzazioni (emancipazione) possono essere raggiunte
attraverso la nascita, l'uso di erbe, incantesimi, autodisciplina o
il samadhi".
Anche se la sadhana (la pratica) non riesce a portare a una completa
trasformazione nella vita di un sadhaka (un praticante), certamente serve a rimuovere
gli ostacoli nel percorso della sua evoluzione. L'abbondante flusso
di energia della natura provoca una trasformazione nella propria rinascita, aiutando il processo di evoluzione.
4.7 "Le azioni di uno yogi non sono né bianche né nere, le
azioni degli altri sono di tre tipi, bianche, grigie, nere". Le azioni di uno yogi sono di un quarto tipo incolori, e non producono frutti.
Come conseguenza di un'azione avremo effetti tamasici, rajasici e sattvici. C'è una tendenza ad
associare la rinuncia all'ottuplice sentiero di Patanjali con il
rinunciante che supera le tentazioni e desideri semplicemente
rigettando il mondo civilizzato e dimorando in luoghi in cui non
esistono tentazioni. Di tutte le discussioni su come appartenere al
mondo, agire in esso e tuttavia rimanere incontaminato, orgoglioso del ruolo svolto è l'oggetto del dibattito tra il Dio Krsna e Arjuna (II,
50) alla vigilia della battaglia. Krsna dice che l'azione non può
essere evitata, perché l'inazione è anche azione, e che bisogna evitare l'attaccamento ai frutti dell'azione che porterebbe al coinvolgimento.
I frutti delle azioni rimangono intatti da una vita
all'altra, come se non ci fosse separazione tra le nascite.
4.12 "L'esistenza del passato e del futuro è reale come quella
del presente. ... " La nostra esistenza è determinata dall'ordinata processione ritmica dei eventi che abbiamo vissuto e che costituiscono la ruota del tempo
(kala chakra).
4.14 "L'unità nella mutazione del tempo causata dalle qualità
permanenti della natura, sattva, rajas e tamas, causa modifiche negli
oggetti, ma la loro unica essenza o realtà, non cambia".
4.15 "A causa della variazione della qualità del contenuto
mentale, ogni persona può vedere lo stesso oggetto in modo diverso,
secondo il proprio modo di pensare".
L'oggetto della natura o prakrti è reale quanto il soggetto
(purusa), ma sebbene la sostanza della natura o dell'oggetto rimanga
la stessa, la sua percezione varia a seconda della differenza nello
sviluppo della coscienza di ogni persona. Una mente
condizionata non può mai percepire correttamente un oggetto.
4.19 "La coscienza non può illuminarsi come un oggetto
conoscibile".
4.31 "Quindi, quando i veli delle impurità vengono rimossi, la
conoscenza più alta, soggettiva, pura, infinita viene raggiunta e il
conoscibile, il finito, appare banale".
4.32 "Quando il dharmameghah samadhi viene raggiunto, le qualità
della natura (guna) tendono al riposo. Avendo adempiuto al loro
scopo, la loro sequenza di mutazioni è alla fine".
4.33 "Man mano che le mutazioni dei guna cessano di funzionare, il
tempo, il movimento ininterrotto dei momenti, si ferma. Questa
decostruzione del flusso del tempo è comprensibile solo in questa
fase finale di emancipazione".
4.34 è l'ultimo sutra e recita così: "Kaivalya, la liberazione, arriva quando lo yogi
ha realizzato i purusartha, i quattro scopi della vita, e ha trasceso
i guna. Obiettivi e guna ritornano alla loro fonte e la coscienza si
stabilisce nella sua propria naturale purezza".
Purusartha sono i quattro scopi dell'uomo nella vita: dharma
(scienza del dovere), artha (scopo e mezzi di vita), kama (godimento
della vita) e moksa (libertà dai piaceri mondani).
I pensieri di
Patanjali sui Purusartha sono implicitamente contenuti nei capitoli
precedenti. Moksa significa liberazione, libertà dalla schiavitù
dei piaceri mondani. Nello stato di beatitudine ci si rende conto che il potere, la conoscenza, la
ricchezza e il piacere sono solo fasi di passaggio. Ogni individuo
deve lavorare sodo per liberarsi dalle qualità della natura e
ottenere uno stato di felicità indivisibile, infinito, pieno, puro.
Epilogo. Patanjali ha studiato la condizione umana in profondità e ha
mostrato perché l'uomo soffre, e come superare le sue sofferenze. Ha mostrato come ognuno di noi, attraverso lo yoga, può condurre una vita più piena e più felice.
Academy of Indian Philosophy, per lo studio dello Yoga Sutra ed eventualmente del Sanscrito.
https://www.youtube.com/channel/UC_vIWhFa_RdLgNs1x1pQWPQ