La liberazione del fondatore di WikiLeaks è una vittoria per la libertà di informazione, ormai quasi insperata. Il caso legale che lo ha visto protagonista, però, non sarebbe mai dovuto esistere.
Lunedì 24 giugno 2024, Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks ha visto per la prima volta la libertà dopo oltre un decennio, trascorso prima in detenzione arbitraria – definizione delle Nazioni Unite – nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dal 2012 e, poi, da detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (vicino Londra) dal 2019.
Julian Assange trova finalmente la libertà grazie a un patteggiamento che lo vedrà dichiararsi colpevole di un capo di accusa sui 18 che gli erano stati imputati ai sensi dell’Espionage Act. Assange non andrà in carcere per via dei cinque anni che ha trascorso in carcere nel Regno Unito che saranno considerati come periodo di pena. Dall'isola di Saipan (territorio Usa nell’Oceano Pacifico) il 26 giugno si dichiarerà colpevole, e poi volerà poi nella sua nativa Australia, dove dovrebbe rimanere insieme alla famiglia.
Chiunque abbia a cuore la libertà di stampa non può che festeggiare, soprattutto perché oggi viene sancita la fine di un’odissea legale e politica che ha visto un giornalista passare cinque anni in un carcere di una capitale europea per aver compiuto degli atti di giornalismo e pubblicato notizie. Mentre gli autori dei crimini narrati, sembrerebbe che non sono stati nemmeno messi sotto accusa.
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