lunedì 29 gennaio 2024

Corso di formazione di yoga

Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto - servitore di pace

Lanza del Vasto (1901-1981), poeta, pellegrino, patriarca, profeta, sembra aver vissuto molte vite in una sola.  La sua vita, così come il suo pensiero, comprende e unisce fra di loro universi molto differenti: poesia, metafisica, scultura, musica medievale, vita comunitaria, lavoro manuale, azione non-violenta.     Nato in una famiglia aristocratica dell’Italia meridionale, Lanza studia a Parigi, poi a Firenze e a Pisa dove, nel 1928, consegue la Laurea in Filosofia. Dotato di notevoli capacità intellettuali, ma anche di intenso gusto per la vita, esita fra dedicarsi alla carriera universitaria o dedicarsi all’arte. Frequenta scrittori ed artisti del suo tempo, instaura una forte amicizia con Luc Dietrich (un giovane scrittore francese che ebbe una vita breve e tormentata).         

Gli  anni centrali della sua vita sono difficili da riassumere per la ricchezza di incontri e di viaggi che racchiude. Da solo e a piedi egli percorre l’Italia e la Grecia, va in pellegrinaggio fino a Gerusalemme, soggiorna a Firenze, Berlino, Roma, Parigi, Marsiglia.
Sempre perseguendo il suo progetto di sistema filosofico, egli continua a elaborarlo e ne parla con alcuni noti intellettuali : Gabriel Marcel, Maurice de Gaudillac, Simone Weil…

Ben presto il desiderio di “guardare il mondo negli occhi” lo induce però a lanciarsi verso altri e più distanti orizzonti. In India, che percorre da Ceylon all’Himalaya, il poeta filosofo diventa vagabondo e Pellegrino. Lanza va in India per imparare a “divenire migliore cristiano”, non per esotismo orientale, e la non-violenza gli appare come la traduzione sociale e politica delle Beatitudini.

Il punto centrale del viaggio è rappresentato dal suo incontro decisivo con Gandhi nel 1937, il quale gli dona un nuovo nome: Shantidas, servitore di pace. Da quel momento in poi tutta la sua vita sarà segnata dalla non-violenza, non quale semplice ideale morale, ma come leva per una trasformazione spirituale e sociale. Sulle pendici dell’Himalaya egli sente una  chiamata a far conoscere questo messaggio in Occidente.

Di ritorno in Francia, nel 1938, egli si trova avvolto dalla barbarie della Guerra e scrive “Le Pèlerinage aux Sources" (Pellegrinaggio alle Sorgenti), diario del suo viaggio, che viene pubblicato nel 1943, rendendolo famoso. Nel 1944 alcune persone cominciano a riunirsi in rue Saint-Paul, a Parigi, per ascoltarlo commentare i Vangeli. 

Il suo grande progetto è quello di fondare un “Ordine gandhiano d’Occidente” di ispirazione cristiana, aperto ad ogni uomo di buona volontà. Ma gli anni della guerra lo costringono ad avere pazienza. Nel 1948 fonda la “Comunità dell’Arca”, alla quale dedicherà I suoi successivi trentatre anni di vita, portando nel mondo intero un messaggio di saggezza e di pace. Muore in Spagna il 5 gennaio 1981, nel suo ottantesimo anno...

https://www.lanzadelvasto.com/it/  Libri:   Che cosa è la nonviolenza;  Pellegrinaggio alle sorgenti; L'arca aveva una vigna per vela.

Lynn Gottlieb - l'ebraismo nonviolento

L'ebraismo non violento della Rabbina Lynn Gottlieb: cessare il fuoco e avviare "azioni riparatrici"
Scritto da  Roberto Fantini  e pubblicato su FlipNews Free Lance International Press   

Di fronte al nostro mondo insanguinato che, giorno dopo giorno, ci appare sempre più infernale, ci ritroviamo ad  interrogarci sovente (pur nella consapevolezza che tutto quello che potremmo fare noi, umili donne di lettere e di intelletto, inciderà sempre  ben poco sul  divenire doloroso degli eventi)  in merito a  come contrastare le quotidiane celebrazioni della violenza nelle sue varie declinazioni, prime fra tutte quelle di carattere bellico.   

Una cosa indubbiamente preziosa (forse soltanto consolatoria, certo, ma  forse anche pedagogicamente terapeutica) potrebbe risultare il cercare di rivolgere lo sguardo mentale verso chi si adopera, ignorato dalle luci dei palcoscenici mediatici, nel continuare a seminare parole di saggezza e di fiducia nelle possibilità umane di ribellarsi alla tirannia delle armi e della prepotenza politica.

Perché, per le nostre anime ferite, può costituire una fonte salutare e vivificante il sapere che, in ciascuna nazione flagellata dai conflitti, all’interno di ogni schieramento, esistono e lavorano (spesso osteggiate, minacciate, emarginate, censurate e represse) persone pronte a rischiare la propria vita per non smettere di chiedere, di cercare e di costruire Giustizia e Pace.

 Perché ci comunica una forza immensa, carica di operosa speranza, il sapere che esistano (tanti!) giornalisti, intellettuali, religiosi, obiettori di coscienza, ecc. che, nonostante tutto, non intendono rassegnarsi, tacere, obbedire, ma che continuano a difendere e soccorrere le vittime, a denunciare i crimini, a rifiutare  la faziosità che occulta il vero e nobilita i boia, che continuano, soprattutto, ad impedire alla propria ragione di abdicare e di arrendersi, proseguendo nel proprio lavoro di riflessione, di onesta informazione,  di discussione critica, e, soprattutto, di ben ragionati irenici insegnamenti ed esortazioni.

E più di tutte, credo,  meritano attenzione e immenso rispetto le voci nonviolente che non cessano di ammonirci e di provare a guidarci verso una più corretta visione dei fatti e verso possibili (più o meno utopiche) soluzioni alternative.

Una di queste voci è rappresentata, ad esempio, da Rabbi Lynn Gottlieb, la prima donna ordinata rabbino nel movimento del Rinnovamento ebraico  (1981). In un suo articolo recentemente apparso su Azione Nonviolenta*, viene da lei sottolineato come a giocare un ruolo fondamentale nelle vicende politiche dello stato israeliano sia stato  sfortunatamente il sionismo ebraico, “irrevocabilmente legato alla visione del mondo dei coloni bianchi, suprematisti, profondamente antisemiti, islamofobici e coloniali”, e basato sulla convinzione che, per gli ebrei, fosse indispensabile possedere “il potere di uno stato nazionale completamente militarizzato”.

 

 A suo avviso, nell’attuale catastrofico momento, si sta realizzando, all’interno di “una campagna di uccisioni di massa senza alcun riguardo per la vita civile”, una spaventosa espulsione  di centinaia di migliaia di palestinesi che si riallaccia con forza alla Nakba del 1948.
    La Gottlieb, poi, denuncia con grande amarezza il brutale tradimento subìto in tanti anni, ad opera della comunità internazionale e  degli Stati americani ed europei, dalle migliaia di palestinesi che hanno lottato in modo nonviolento per porre fine all’occupazione militare.
    E denuncia anche il fatto che, all’interno delle comunità ebraiche statunitensi, chiunque cerchi di proporre soluzioni politiche eque, miranti allo smantellamento dell’occupazione e dell’apartheid, istituendo anche il diritto al ritorno, venga ignorato e zittito con il marchio infamante dell’ “antisemitismo”.
    Accusa, inoltre, la società israeliana di aver coltivato per 75 anni la cosiddetta  “arroganza del privilegio”, ovverosia  uno stato d’animo basato sulla negazione dell’umanità dell’altro e producendo, così, una visione della realtà tanto distorta quanto pericolosa, e, ancora peggio, provocando un progressivo indurimento di cuore di fronte alle condizioni di sofferenza palestinese.

La gente dell’Olocausto - arriva a dire Lynn Gottlieb - sta usando il linguaggio dell’olocausto per giustificare atti di carneficina genocida.”

    Ed ai leader della comunità ebraica viene rimproverato di essersi rifiutati di prendere posizione contro l’oppressione palestinese per paura di “ essere licenziati, di dividere le loro comunità o di perdere i finanziamenti”, contribuendo, in tal modo, ad alimentare l’impunità israeliana e la repressione del popolo palestinese, sottoposto ad una “punizione collettiva, alla negazione dei bisogni fondamentali come alloggio, cibo, acqua e libertà di movimento e alla continua umiliazione e aggressione”.
    Ma - sottolinea con vigore questa tenace donna rabbino - la tesi del diritto di Israele a difendersi anche commettendo atrocità contro un’intera popolazione, fondata sulla convinzione che la “sicurezza ebraica” debba essere conseguita con l’applicazione sistematica della “politica del  ‘con ogni mezzo necessario’  non è accettata da tutti i sopravvissuti all’Olocausto, tanto meno da tutti gli ebrei.”
    A questo proposito, riferisce le splendide parole pronunciate da Anna Columba (sopravvissuta all’Olocausto) durante una manifestazione di protesta con le Donne in Nero, in Piazza Zion a Gerusalemme: “Ho perso tutta la mia famiglia nell’Olocausto. I nazisti erano assassini. Non voglio che siamo come loro. Meglio essere tra i perseguitati che tra i persecutori,  perché almeno abbiamo ancora la nostra anima umana.”

    L’ebraismo da lei abbracciato e praticato (Shomeret Shalom), plasmato sulla base delle tradizioni e delle eredità ebraiche nonviolente in correlazione con gli attivisti praticanti nonviolenti contemporanei, la spinge a sostenere iniziative di concreta “riparazione dei peccati del sionismo”, miranti al conseguimento dell’immediato “cessate il fuoco” e al via libera agli aiuti umanitari, nonché a costruire un movimento di solidarietà con il popolo palestinese, in modo da sostenere  forze operanti all’interno della società israeliana, come le organizzazioni  Zochrot** e B’Tselem***, che lavorano per  “l’equità, la dignità e il diritto palestinese a ritornare a un’unica comunità di ebrei e palestinesi, come cittadini con uguali diritti davanti alla legge.”
    La Gottlieb, dopo aver dichiarato “fallito” il sionismo, definendolo anche “muktseh”, ovvero inaccettabile all’interno dello stesso ebraismo, afferma che l’unica strategia adottabile per il raggiungimento di un mondo sicuro per palestinesi ed ebrei sarà quella della “solidarietà verso una giustizia amorevole” .
    “Scelgo - dice - di riporre la mia fede nell’idea che la nostra liberazione come esseri umani è interdipendente. Tutti o nessuno di noi. Per il bene dei nostri figli.
    Concludendo che, in quanto rabbina impegnata nella pratica della nonviolenza ebraica, sorretta dalla volontà di alleviare e curare la sofferenza prodotta, la sola strada percorribile dovrà essere rappresentata da quella delle “azioni riparatrici”.

Una strada, questa, certamente lunga e indubbiamente difficilissima, addirittura impensabile agli occhi di molti (dentro e fuori Israele), ma che meriterebbe di essere attentamente ponderata e che, attuando una epocale rivoluzione ideologica e strategica, andrebbe abbracciata ed intrapresa con ragionata consapevolezza e con fermissima determinazione, nonché fortemente incoraggiata e convintamente e concretamente sostenuta  dall’intera comunità internazionale, soprattutto dalle tante nazioni che tanto volentieri gareggiano nel dichiararsi “amiche di Israele”, desiderose di una pace reale e duratura.

 Vedi  link all'articolo:  https://www.flipnews.org/index.php/life-styles-3/health-3/item/3755-l-ebraismo-nonviolento-della-rabbina-lynn-gottlieb-cessare-il-fuoco-e-avviare-azioni-riparatrici.html
NOTE. 

  • *Rivista fondata da Aldo Capitini nel 1964, bimestrale del Movimento Nonviolento (www.azionenonviolenta.it).
  • ** Organizzazione no-profit israeliana avente lo scopo di promuovere la consapevolezza della Nakba palestinese (il catastrofico esodo forzato della popolazione araba palestinese, durante la guerra arabo-israeliana del 1948).
  • ***ONG israeliana avente l’obiettivo di raccogliere informazioni in merito alla situazione dei diritti umani nei territori occupati.

Il Diario di Etty Hillesum

"Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo".    

"E' sicuro che il minimo atomo di odio che noi aggiungiamo a questo mondo ce lo renderà più inospitabile di quello che è già"

Il Diario di Etty Hillesum è un percorso di di speranza e un dono all’umanità intera. E’ un atto di amore e tolleranza, meriterebbe di essere insegnato nelle scuole e università. E' un libro sempre attuale e un’opera senza tempo che può aiutare tutti noi a vedere la vita con occhi diversi. 

Etty Hillesum è nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg (Paesi Bassi). Suo padre è professore, poi direttore del liceo, sua madre, di origine russa; dei suoi due fratelli uno diverrà medico, l’altro Mischa, sarà un pianista geniale. Etty, studentessa molto dotata, intraprende gli studi di diritto e psicologia ad Amsterdam nel 1932. Nel 1940 l’occupazione dei Paesi Bassi da parte dei nazisti determina il destino dei centoquarantamila ebrei del paese. Etty non si rassegna alle umiliazioni quotidiane che l’occupante infligge a un’intera popolazione: divieto d’usare i mezzi pubblici, di frequentare i parchi, i negozi di verdura fresca “a salvaguardia della salute degli ariani”, e via dicendo.  La giovane donna ebrea olandese perse la vita all’età di 29 anni nel campo di sterminio di Auschwitz, dove era stata deportata insieme ai genitori e al fratello Misha. Era il il 30 novembre 1943. Quel giorno la barbarie nazista segnò la fine di una grande donna e di una grande scrittrice.

Basta leggere queste citazioni tratte dal Diario, scritto tra il 1941 e 1943, per capire quanta forza spirituale e quanta energia esistenziale ci sia stata in Etty Hillesum.  

 "E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio.

Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei... Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati, oppressi, col nostro odio e la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così".

"Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore".   "La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e lavorare su sé stessi non è proprio una forma di individualismo malaticcio".

Altre frasi prese dal suo Diario:

  • Voglio essere un cuore pensante. Quando pensi che l’altro non ti consideri abbastanza, significa che gli sei legato e, per via di questo legame, non sei indipendente. Quanto meno ti aspetti, tanto più ricevi.
  • La vita si svolge interiormente e lo scenario esteriore ha sempre meno importanza.
  • Bisogna combatterle come le pulci, le tante piccole preoccupazioni per il futuro che divorano le nostre migliori forze creative.
  • Molti di coloro che oggi s’indignano per certe ingiustizie, a ben guardare s’indignano solo perché quelle ingiustizie toccano proprio a loro: quindi non è un’indignazione veramente radicata e profonda.
  • Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi.
  • Quello che otteniamo spontaneamente da noi stessi ha basi più solide e durature di quello che realizziamo per forza.
  • L’odio indiscriminato è una malattia dell’anima, odiare non è nel mio carattere.
  • Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui.
  • Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati – non potrebbe essere questa l’idea?
  • Lasciar completamente libera una persona che si ama, lasciarla del tutto libera di fare la sua vita, è la cosa più difficile che ci sia.
  • Se si prega per qualcuno, gli si manda un po’ della propria forza.
  • Quando abbiamo dell’avversione per gli altri le ragioni dobbiamo cercarle nel disgusto che sentiamo per noi stessi: ama il prossimo tuo come te stesso.
  • Se tu affermi di credere in Dio devi anche essere coerente, devi abbandonarti completamente e devi avere fiducia. E non devi neppure preoccuparti per l’indomani.
  • Non devo volere le cose, devo lasciare che le cose si compiano in me.

Yahne Le Toumelin

Yahne Le Toumelin, nata il 27 luglio 1923 a Parigi e deceduta l'8 maggio 2023 a Tursac in Dordogna, è stata una monaca buddhista e pittrice francese, associata al surrealismo e all'arte astratta dalla fine degli anni '50. E madre di uno dei monaci buddhisti più conosciuti in Occidente: Matthieu Ricard.  

Cresce a Croisic, in Loira Atlantica, insieme al fratello Jacques-Yves Le Toumelin che è uno dei primi navigatori in solitaria su barca a vela. A 10 anni inizia a disegnare e realizza i suoi primi dipinti ad olio.

Ammessa alle Belle Arti di Parigi nel 1940, preferisce unirsi all'Accademia della Grande Chaumière. Dopo tre anni trascorsi all'accademia, entra nello studio di André Lhote, dove incontra Henri Cartier-Bresson.  Nel 1942, incontra il sufi Georges Gurdjieff e si avvicina alla spiritualità. Fa la conoscenza con vari scrittori come René Daumal (poeta, scrittore e filosofo francese), Luc Dietrich (uno scrittore francese che ebbe una vita breve e tormentata) e Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto conosciuto come apostolo della nonviolenza in Occidente. Lanza del Vasto è stato anche poeta ed artista, filosofo e scrittore, credente rispettoso delle altre religioni, fondatore di comunità, precursore dei più attuali cambiamenti della società.

Incaricata da Pierre Schaeffer e Jacques Copeau di realizzare presentazioni radiofoniche di opere artistiche allo Studio d'essai della RTF, Yahne  incontra Jean-François Ricard (che poi prenderà il cognome di Revel), uno dei filosofi francesi più conosciuti che le chiede di sposarlo nell'estate del 1945. Nel 1946 nasce Matthieu Ricard.

Insieme a Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Boris Vian, Orson Welles, Jean Cocteau e Juliette Gréco, appare nel 1947 in "Le Désordre à vingt ans" di Jacques Baratier, che ritrae la fauna eterogenea di Saint-Germain-des-Prés dopo la guerra.

Dal 1947 al 1948, la coppia si trasferisce a Tlemcen in Algeria, dove Jean-François Revel è nominato professore. Nel 1948 nasce Ève Ricard. Dal 1950 al 1952, Yahne segue il marito a Città del Messico, dove è nominato professore all'Istituto francese dell'America Latina (IFAL).

A Città del Messico, diventa amica di Leonora Carrington, che diventa la sua "complice di sempre" e intraprende anch'essa un percorso completamente fuori dagli schemi. Nel 1951, realizza un murale geometrico di 60 m2 per l'Istituto francese dell'America Latina e dipinge manifesti cinematografici per il primo cineclub del Messico, frequentato da Benjamin Péret, Luis Buñuel, Frida Kahlo, Diego Rivera e Mario Vargas Llosa.

Nel 1952, con la nomina di Jean-François Revel all'Institut français de Florence, Yahne incontra Jacob Bean e André Fermigier.

Nel 1952, Yahne Le Toumelin e Jean-François Revel si separano.

Nel 1955, André Breton, uno dei principali surrealisti francesi,  presenta Yahne Le Toumelin nella sua galleria "À l'Étoile scellée". Tornata a Parigi nel 1956, incontra l'artista Georges Mathieu e diventa amica di Pierre Soulages e Zao Wou-Ki. Nel 1957 espone oltre 100 quadri alla galleria Orsay e partecipa all'edizione del catalogo prefato da André Breton.  André Breton rende omaggio alla sua opera in "Le Surréalisme et la Peinture", pubblicato da Gallimard nel 1965.

Dal 1957 al 1959, Yahne espone al Salon Comparaison al Musée d’art moderne de la Ville de Paris e, nel 1958, al Salon Grand et Jeunes d’aujourd’hui al Grand Palais. Installatasi al Château de Fromonville, Yahne fa la conoscenza di diverse personalità, tra cui Jean Cocteau, Savitri Nair, Philippe Lavastine, George Adie e Arnaud Desjardin che è stato uno dei primi praticanti di alto profilo della spiritualità orientale in Francia.

Nel 1959, Yahne Le Toumelin entra nella galleria René Drouin e nel 1961 espone in una selezione intitolata "Essai pour la peinture de demain" presentata da Drouin e Ileana Sonnabend alla galleria Marcelle Dupuis. 

 Dal 1961 al 1967, partecipa al Salon des Surindépendants al Musée d’art moderne de la Ville de Paris. Pierre Soulages incoraggia l'artista a "dipingere in grande" e la invita a esporre alla Galerie de France. In questo periodo, nel 1965, André Breton pubblica "Le Surréalisme et la Peinture", Gallimard.

Nel 1966, espone alle Rencontres d’Octobre del Musée des Beaux-Arts di Nantes e partecipa al Salon des Artistes Français del 1967 e al Salon d’Art Sacré del 1966 e del 1969.

Nel 1967, Yahne Le Toumelin apre il "Centre d’Expression", una galleria a Parigi presentata da André Fermigier in una recensione intitolata "Trois raisons pour". 

Poco dopo, parte per l'India, si converte al buddhismo tibetano e prende i voti di monaca al monastero di Rumtek, nello Sikkim, con Rangjung Rigpe Dorje, il 16° karmapa.

Nel maggio 1968 organizza una dimostrazione intitolata "La Révolution du cœur". Nel 1969, Maurice Béjart chiede a Yahne Le Toumelin di comporre un murale di 300 m2 e i costumi per "Les Vainqueurs".

Installatasi a Darjeeling in India, smette di dipingere dal 1969 al 1975. 

Nel 1985, l'artista si trasferisce in Dordogna e intraprende un ritiro buddhista tradizionale di tre anni, tre mesi e tre giorni al Centro di Chanteloube a Saint-Léon-sur-Vézère.

Nel 1989, Yahne Le Toumelin realizza il "Voile du Radeau de la Méduse" per i decori di "Hommage à la Révolution" di Maurice Béjart al Grand Palais di Parigi.

1999 – Esposizione al Linden Museum, Stoccarda.

A partire dal 2000, dipinge nel suo studio in Dordogna.

Nel 2016 e 2023  una sua retrospettiva


Vedi sito:  http://yahneletoumelin.fr/biographie/

Seminario: Il silenzio interiore con Antonio Nuzzo

Antonio Nuzzo è il più autorevole maestro di yoga italiano. Ha cominciato a praticare nel 1963 all’età di 16 anni. Nel 1971 è diventato allievo di André Van Lysebeth, con il quale ha approfondito le tecniche di hatha e tantra yoga.  Insegna al Centro Studi Yoga Roma.     Sito: https://www.centrostudiyogaroma.com/   Al seminario hanno partecipato circa 60 persone.

"Quando la mente si rilassa si focalizza". Se non capiamo questo processo, la meditazione diventa un atteggiamento, un atteggiamento diverso a seconda delle occasioni. Noi occidentali siamo degli attori meravigliosi, prima litighiamo e poi ci mettiamo a fare meditazione.      

Riusciamo una volta ad essere veri e coerenti nella nostra vita? Non sappiamo chi siamo, e spesso perdiamo di vista la nostra vera natura. Lo yoga dovrebbe permetterci di raggiungere la verità.

Lo yoga va imparato nel profondo, spesso nei corsi di yoga si creano delle attività collaterali perchè non si sa cosa dire, non si conosce l'essenza dello yoga. Il meglio lo osserviamo dall'esterno, la forma diventa l'unità di misura dello yoga. Chi pratica yoga in questo modo ha un vissuto interiore malato. La responsabilità di un ricercatore spirituale è enorme. 

Cosa un insegnante di yoga, Non può non sapere?  Il messagggio dello yoga è un fine, non può essere un'azione fisica.

Spesso studio, preghiera, azione fisica si fanno in ambienti separati, ma in questo modo la mia interiorità viene divisa. Su un tappetino di gomma si può fare un percorso interiore? Appena mi metto sul tappetino voglio sciogliere il corpo, poi vado a fare meditazione altrove.  Il processo meditativo deve essere uno strumento per sviluppare la nostra interiorità. E non uno strumento per soddisfare gli allievi: "Se gli allievi sono contenti, io sono soddisfatto". Queste continue contraddizioni  ci portano a essere completamente disorientati.

Lo yoga non può diventare un mestiere.   Lo yoga deve essere preso sul serio, lo yoga propone un percorso di sviluppo lineare, solo poche indicazioni per seguire un percorso con estremo rigore. L'esercizio fisico serve a portare a galla la nostra situazione psico-emotiva. Il ragionamento sul percorso di ricerca è fondamentale. 

La disciplina serve per dare direzione al mio pensiero e vivere nel presente, invece la voglia di andare sempre avanti, vivere con prospettive ci impedisce di essere felici.  Lo yoga è vivere l'istante presente nella gioia più profonda. Lo yoga è focalizzazione, si devono spegnere le vritti (le onde di pensieri che la mente genera in modo incessante ed inconsapevole, e che ne impediscono il vero utilizzo) e ridurre i klesha ( stato di afflizione, di dolore, di angoscia, di tormento, di preoccupazione terrena). Lo yoga è il mezzo per eliminare la sofferenza. Ridurre i klesha, che sono tutte le forme di attaccamento e condizionamento, è la vera ragione per cui si fa yoga. 

Le pratiche di yoga ci aiutano ad avere più consapevolezza di noi, lo studio del sé, svadhyaya ci fa comprendere le cause della nostra sofferenza che si manifestano con emozioni negative come la tristezza, la depressione, l’ansia e le fobie. Prendere consapevolezza di quali sono i nostri ostacoli e affrontarli è fondamentale per il nostro percorso di crescita personale e spirituale. Vediamo nel dettaglio i 5  Klesha (veleni in sanscrito) che sono gli ostacoli nello yoga, i “nodi della mente”:

  • Avidya, la mancanza di conoscenza, ossia l'ignoranza, che provoca una comprensione errata delle cose. E’ “prendere il non-eterno, l’impuro, il male e il non-atman per eterno, puro, buono, e atman”. E’ la perdita della consapevolezza sulla natura del proprio sé e della realtà che noi fondamentalmente siamo. E questo stato allontana l’uomo dalla verità.
  • Asmita, l’illusione dell’Ego;  individua un senso di individualità (che nasce da avidya). E’ la ricerca delle esperienze piacevoli ed il rifiuto delle sgradevoli; l’identificazione con il corpo, con il pensiero, con l’emotività umana.
  •  Raga, andiamo verso le cose che ci piacciono, procurano amore e evitiamo quelle che ci danno fastidio o ci procurano sofferenza. E' l’attaccamento nei confronti di oggetti ed idee che consegue all’esperienza del piacere.
  • Dvesa, l’avversione, il rifiuto, l'insofferenza in particolare verso quei pensieri e ricordi legati al passato più doloroso.
  • Abhinivesha, identifica invece la volontà di vivere ed un eccessivo attaccamento alla vita che domina anche il sapiente, con la conseguente paura della morte.

La vera finalità di yama e niyama è applicarli per ridurre i klesha, ci danno consigli per lo stile di vita e per il comportamento: i cinque yama sono le cose da non fare; i cinque niyama sono le cose da fare.
Gli yama sono cinque regole etiche e morali universali, cinque freni o “astinenze” che limitano i comportamenti dannosi e distruttivi per lo yogi e per le sue relazioni con gli altri. Eccoli:

  •     Nonviolenza (ahimsa),
  •     Sincerità (satya), Non mentire
  •     Onestà (asteya), Non rubare
  •     Continenza sessuale (brahmacharya),  può anche essere una azione non assoggettata all'ego.
  •     Non avidità nel possedere (aparigraha).

I cinque niyama sono virtù e comportamenti positivi legati allo stile di vita del singolo individuo, da coltivare per migliorare sé stessi:

  •     Purificazione (saucha),
  •     Accontentarsi (santosha),
  •     Austerità (tapas),
  •     Studio e conoscenza di sé (svadhyaya),
  •     Abbandono alla volontà divina (ishvarapranidhana).

Gli yama rappresentano un po’ la qualità della relazione che intratteniamo con gli altri; i niyama la qualità della relazione che intratteniamo con noi stessi. André Van Lysebeth (allievo di Shivananda, autore di Imparo lo yoga, Perfeziono lo yoga e, con la moglie, I miei esercizi di yoga) ci dà questo consiglio per iniziare a riflettere su questi due importantissimi elementi dello yoga tradizionale:    “Per praticare yama e niyama, la cosa più semplice è seguire la propria morale, in funzione della filosofia e delle credenze che ci fanno da guida. Non abbiamo dovuto attendere Patanjali per dotarci di una morale e la morale ordinaria è sufficiente per metterci in linea con Yama e Niyama. È il grado minimo per poterci introdurre nello yoga e trarne buoni frutti: una moralità trascendente è però necessaria per raggiungere livelli superiori”.

L'Hatha yoga è un viaggio, per equilibrare due correnti di energia ha - tha, per capire a livello esperenziale che cosa è l'energia, il prana. Il prana è legato alla mente, nella mente depressa non c'è prana. chi è in continua attività e consuma, ha prana.  Adesso il business è basato su come distrarre le persone. Per ottenere la felicità dobbiamo ridurre i klesha. Oggi gli insegnanti yoga sono non entusiasti, annoiati, non hanno gioia. 

L' Hatha yoga e Patanjali, parlano delle stesse cose, l'hatha yoga parla un po' più di energia. Lo yogi deve superare i nodi psicocolgici che bloccano le energie. Il nodo del cuore è difficile da superare, è costituito da attaccamenti, dalla paura della morte. La paura della morte cerchiamo di superarla con le distrazioni.

Importante è praticare yoga in un certo modo; lo yoga deve servire per annullare l'ego. Yama e niyama sono l'opposto ai klesha. L'Hatha yoga senza Raja yoga non serve a niente. Anche nel fare karma yoga, (ad esempio quando vado in Africa ad aiutare le persone) la verità è dentro di noi, quello che è importante non è l'azione, ma l'intenzione, il risultato della mente. 

La rivoluzione interiore mette in atto un processo in cui pensiero e azione contribuiscono a sciogliere i nodi interiori, i nostri blocchi emotivi e resistenze.  Queste sono le basi da conoscere e su cui impostare la lezione di yoga.  Occorre scoprire il mondo interiore altrimenti il silenzio non arriverà mai. Per risvegliare il pensiero delle persone è importante il confronto. Il pensiero è legato al tapas, all'ardore; per insegnare occorre essere innamorati del progetto dello yoga. 

Brahmacharia è un seguace esperto di Brahma. Il termine è associato  alla castità perchè il devoto essendo innamorato di Brahma non può essere innamorato di altri. L'Hatha yoga è un'espressione del tantrismo, lo yogi offre le azioni a Brahma, una azione non assoggettata all'ego ed è quindi un'azione sacra. Occorre vivere l'azione, ma non per il nostro ego. Importante è la motivazione che accompagna l'azione, Nell'amplesso tantrico (rituale di grande valore spirituale) c'è connessione, ma non movimento; si crea un corpo unico, i due partner seguono gli stessi ritmi del respiro.  La castità non può essere un impedimento, ma occorre liberarsi dal condizionamento di nutrire l'ego. Brahmacharia è accettare la volontà di Brahma.  Quando la vita sul tappetino si è liberata dell'ego e dal voler raggiungere un obiettivo la vita cambierà. Solo quando la nostra direzione è stabilita possiamo fare passi avanti ulteriori. 

Alla fine del seminario è stata proposta una pratica di Yoga nidra. La pratica di Yoga nidra deve portare come risultato la purezza, la gioia, l'aver capito lo scopo della nostra esistenza. L'amore è il risultato di questo processo.

venerdì 12 gennaio 2024

La mindfulness entra a scuola a Macerata

Le classi della secondaria Convitto Nazionale Leopardi di Macerata sono coinvolte in un progetto-pilota pioneristico nel suo genere, il “Mindful Teaching”, frutto della partnership con l’Università di Macerata. Si tratta di un iter formativo innovativo che coinvolge da una parte la psicologa e docente universitaria Anna Maria Mariani e dall’altra alunni, alunne, educatori e docenti.

Il percorso formativo, innovativo nel suo genere, si ispira alla Mindfulness, pratica meditativa incentrata sul respiro e sulla consapevolezza del momento presente, sviluppata da Thich Nhat Hanh e ripresa poi da Jon Kabat-Zinn negli USA e da Christophe André in Francia. Alunni, educatori e docenti hanno vissuto con entusiasmo e curiosità l’esperienza, ricavandone preziosissimi spunti di riflessione sui valori civici del prendersi cura di sé e degli altri, anche nell’ottica più ampia dell’Agenda 2030 e dei suoi  Global Goals. Il percorso sperimentale è iniziato nell’ottobre scorso per docenti ed educatori ed introdotto con successo in aula  nel mese di dicembre.

Documenti: 
  • Reportage dell'esperienza vissuta a scuola:  https://view.genial.ly/6596f84630a744001408ab98/dossier-dossier-rivista
  •  Estratto del testo Erickson di S. Dal Zovo dedicato alla Mindfulness a scuola, 2020    https://drive.google.com/file/d/1sH7qVx3sLjn7Kr-ucrsnI64WUuh0I5At/view
  • Articolo: https://junior.cronachemaceratesi.it/2024/01/11/meditazione-e-termometro-delle-emozioni-la-mindfulness-entra-a-scuola-al-convitto-ci-si-allena-al-qui-e-ora/80014/#

Insegnanti felici cambiano il mondo. - Thich Nhat Hanh

Se noi insegnanti non siamo felici, se non lo sono i nostri colleghi, come possiamo aspettarci che lo siano i nostri studenti?”. 

Come praticare la consapevolezza a scuola?  In un bellissimo libro del 2017,  Insegnanti felici cambiano il mondo. Una guida per coltivare la consapevolezza nell’educazione, insieme a Katherine Weare,  Thich Nhat Hanh ha raccolto un’ampia rosa di possibili insegnamenti su come praticare la consapevolezza a scuola, a tutti i livelli di istruzione, e nel processo educativo in generale.


Per poter insegnare e aiutare i propri studenti ad affrontare la vita, un insegnante dovrebbe essere felice, essere in sintonia con se stesso e con gli altri. Tesi centrale dell’opera, pertanto, è che essere felici è qualcosa che si può apprendere. Le pratiche di consapevolezza, infatti, possono aiutare gli educatori e i loro studenti ad acquisire capacità di ridurre le proprie tensioni e a sviluppare fiducia, compassione, concentrazione e gioia, sul piano sia personale che collettivo, comprendendo che la gioia della vita si può trovare solo nel momento presente.
Per Thay, il primo passo di questo percorso di consapevolezza è quello di entrare in se stessi in profondità, entrare in contatto con le nostre percezioni e sofferenze, riconciliarsi con noi stessi, e produrre quell’energia capace di farci entrare in contatto con la vita, il mondo, il vivere qui e adesso.  
Se una persona non riesce a cambiare se stessa, è difficile che riesca ad aiutare gli altri. Solo comprendendo le nostre sofferenze possiamo comprendere quelle degli altri e aiutarli a soffrire meno. E’ questo che gli educatori dovrebbero insegnare alla nuove generazioni con l’obiettivo di trasformare, quindi, l’ambiente scolastico in una vera “comunità” attraverso delle sessioni di condivisione.
Se il giovane sente qualcuno che comprende la sua sofferenza, soffrirà meno”.
Anche in questo approccio pedagogico, il monaco zen   mette sempre al centro la comunità e l’”interessere”, nella convinzione che solo l’interagire con tutti gli elementi che costituiscono un determinato ambiente potrà portare alla felicità e a una trasformazione profonda: “Nulla può esistere indipendentemente dal resto. Ogni cosa deve fare affidamento su ogni cosa per esistere. La visione profonda dell’interessere ci aiuta a sbarazzarci dall’idea di un sé separato, e questo ci aiuta a eliminare i complessi che stanno alla base della sofferenza”.  
Ogni docente dovrebbe essere un costruttore di comunità, contribuendo a creare un ambiente idoneo a coltivare la presenza mentale nei rapporti con  colleghi e studenti, a crescere e ad esprimersi pienamente. La vita in comunità è il primo tassello per ottenere un’istituzione e un’intera società più etiche e più giuste.
Nel 2008, Thay ha avviato un vasto programma di formazione internazionale per insegnanti in Europa, Nord America e Asia al fine di diffondere la pratica della presenza mentale nell’ambito della formazione scolastica e universitaria. Insieme alla sua comunità di Plum Village, ha messo a punto una serie di pratiche creative di consapevolezza destinate a educatori e giovani studenti, con l’obiettivo di offrire una solida base morale per l’insegnamento.
Nel 2008, la comunità buddhista ha offerto al Presidente francese Sarkozy, sulla base delle esperienze fatte a Plum village, un modello di ‘etica applicata’ da introdurre nelle scuole per contrastare le rivolte urbane che scuotevano la Francia in quel periodo.
Nel 2011, queste pratiche, prive di connotazioni religiose  o confessionali, sono state ulteriormente migliorate e denominate Wake Up Schools e diffuse in tutto il mondo dagli allievi di Thich Nhat Hanh.
Il libro Insegnanti Felici contiene una raccolta di pratiche da proporre ad allievi e insegnanti, ed  esperienze reali, sul campo, vissute da insegnanti frequentanti il Plum village che avevano sperimentato la presenza mentale a scuola.
La strategia pedagogica proposta è quella del portare avanti pratiche di consapevolezza che possano permettere di coltivare appieno il nostro potenziale umano positivo (i semi buoni)  e di arrivare così a condurre una vita immensamente più appagante.  La felicità va coltivata e le pratiche di consapevolezza vanno messe al centro dell’insegnamento.  Tali “pratiche di consapevolezza” sono state poi riprese dalla Mindfulness,  diventando un fenomeno popolare.
Ricerche scientifiche hanno attestato l’efficacia  della meditazione di consapevolezza se praticata con costanza e gradualità, nel ridurre negli insegnanti stress, depressione e rabbia.
Altre ricerche hanno confermato la neuroplasticità del cervello, ossia la capacità di cambiare configurazione durante la vita a seguito di pratiche meditative. 

Qui trovi una sintesi del libro: https://books.google.it/books/about/Insegnanti_felici_cambiano_il_mondo.html?hl=it&id=YP_YDwAAQBAJ&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

Il gatto zen e le quattro zampe del successo spirituale

Il gatto zen e le quattro zampe del successo spirituale, il romanzo scritto da David Michie è divertente e leggero, ma ricco di insegnamenti spirituali che ispireranno riflessioni profonde.

Una gattina macilenta e affamata viene salvata dal Dalai Lama in persona, che la prende a vivere con se´ nel Monastero di Namgyal (a McLeod Ganj) sopra Dharamsala. La vita del leader spirituale si svela a poco a poco in ogni suo aspetto davanti agli occhioni blu della gattina, e una saggezza senza tempo pervade i pochi momenti di affettuosa solitudine fra l’uomo e l’animale. Attraverso gli occhi e le orecchie della gatta del Dalai Lama  si ascoltano le lezioni di maestri buddhisti e si impara come si comporta un bodhisattva nella quotidianità del secolo XXI. E soprattutto si scoprono  la fragilità e la bellezza di tutti gli esseri umani.
Seguendo Rinpoche, l’elegante e anche un po’ viziata gatta (chiamata col soprannome GSS gatta di Sua Santità o bodhicattva), negli incontri con gli ospiti del palazzo, alla casa di riposo per anziani, alle lezioni di yoga e alle visite all’Himalaya Book Café, vengono illustrati gli elementi chiave del buddismo tibetano, si spiega come riconoscere una sofferenza auto-inflitta e lasciarla andare, come sperimentare il benessere abbandonando il pensiero di noi stessi; come mettere da parte le illusioni riguardanti il modo in cui le cose esistono e infine come trovare il guru giusto. Se state cercando di migliorare la vostra vita e volete operare una trasformazione interiore, seguite le orme di questa maestra insolita e un po’ pelosa ma molto, molto saggia!

La narrativa è un mezzo ideale per coinvolgere il cuore, l'immaginazione e l'intelletto dei lettori. Inoltre, la narrazione fa parte di una lunga tradizione di insegnamento spirituale, dove i processi interiori e sottili diventano più facili da capire esternati in metafore e parabole.  Qui di seguito riporto alcune frasi del libro.

Il Dalai Lama è così puro di cuore e libero dall'ego che, come uno specchio, riflette la natura ultima di chi è con lui, la loro versione più nobile. Uno specchio in grado di mostrare l'immagine molto più profonda di chi e che cosa siamo davvero. In tutti gli esseri la natura originaria non è altro che amore puro e compassione pura e infinita. 

Spesso le nostre più grandi sofferenze sono autoinflitte, a causa dell'attaccamento non solo alle cose materiali ma anche ai risultati; al fatto che le cose non vadano come vogliamo che vadano.  Spesso è difficile sentirsi dire che tutto è nella nostra mente e se cambiamo modo di pensare, si risolverà tutto. La rabbia e l'attaccamento sono considerate illusioni nel buddhismo tibetano; per illusione si intende qualsiasi fattore mentale capace di alterare la serenità d'animo, ma applicare questi concetti nella quotidianità, spesso  non è facile. 

La compassione è il desiderio di alleviare la sofferenza degli esseri viventi, e ciò è possibile quando la mente è calma. Spesso associamo cose che non hanno alcun rapporto, inventiamo una relazione e ci creiamo problemi. Ci creiamo delle difficoltà quando asseriamo che la felicità o la pace sono in funzione di qualche episodio o risultato. L'attaccamento nasce quando crediamo che una persona, una cosa o un risultato siano necessari per la nostra felicità; e si rischia di diventarne schiavi. E' meglio pensare: possiedo già la felicità e la pace interiore, arrivare a determinati risultati è splendido ma non indispensabile per il mio benessere sostanziale. Talvolta le cose a cui ci aggrappiamo con più accanimento sono quelle che ci creano più sofferenza. Ma continuiamo a farlo perchè pensiamo che non esista un altro modo per essere felici. Questa è la più grande tristezza del samsara. 

I quattro aspetti del sentiero illustrati nel libro sono: la rinuncia, la bodhicitta, la sunyata e il guru yoga.  Quando abbiamo sofferto abbastanza e vogliamo ricominciare, questa è la rinuncia, la prima legge del successo spirituale. Il nostro percorso di evoluzione interiore incomincia quando accettiamo la responsabilità delle cause dei nostri sentimenti, che non sono all'esterno, nel mondo, ma nel nostro cuore e nella nostra mente, E che la rinuncia significa voltare le spalle a queste vere cause di infelicità.

Guardando intensamente il cielo vuoto, le visioni cessano;   allo stesso modo, quando la mente guarda dentro se stessa, il filo dei pensieri discorsivi e concettuali si arresta e la suprema illuminazione viene raggiunta.

Quando incontri un vero maestro, in sua presenza, hai come la sensazione di esistere in una dimensione diversa, sospesa, di infinito benessere.    Spesso c'è la necessità di un maestro o un amico spirituale per trovare la motivazione giusta per immettersi sul percorso interiore, trovare la motivazione per integrare la pratica del Dharma nella nostra vita. Quando lo sperimentiamo, comprendiamo davvero quanto sia straordinaria questa vita, quanto siamo straordinari noi, che formidabile occasione è per plasmare il nostro futuro. La cosa importante di tutte è che ognuno di noi può sviluppare la mente, coltivare le  capacità per aiutare gli altri oltre se stessi. 

La rinuncia non è solo dare le spalle alla sofferenza, ma anche voltarsi nella direzione che ci consente di diventare quello che siamo davvero; Trascendere l'ordinario, comprendere la nostra natura di Buddha, e apprezzare questa preziosa oppurtunità che la vita ci offre per raggiungere l'illuminazione per l'amore di tutti gli esseri, inclusi noi stessi. Dobbiamo ripeterci che abbiamo la natura di Buddha e una mente capace di arrivare a una totale illuminazione. Per fare questo dobbiamo prendere rifugio nei tre gioielli: nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. Questo è il primo passo del nostro cammino spirituale.  Per documentarci su questo cammino dobbiamo leggere il Lamrim, o sentiero dell'illuminazione, il testo basilare nella tradizione del lignaggio di Sua Santità il Dalai Lama. Nel buddhismo la compassione è definita come il desiderio di liberare gli altri dalla sofferenza, senza compassione rimaniamo indifferenti, con la compassione sviluppiamo empatia. Il desiderio o il processo per raggiungere lo stato di perfetta illuminazione per aiutare tutti gli esseri viventi a fare lo stesso è chiamato bodhicitta. 

La psicologia buddhista consiste nel rammentarci, nello svolgere qualsiasi attività quotidiana,  della motivazione della bodhicitta. Con il passare del tempo modelliamo e conformiamo il nostro atteggiamento a questo pensiero, basandoci magari anche dell'esempio di qualcuno che ha già raggiunto il nostro scopo. Più si persevera e più la maschera diventa persona;  con il tempo, ascoltando, riflettendo, meditando, la nostra convinzione della bodhicitta si approfondisce fino a diventare spontanea e sentita, e allora le nostre azioni divengono una vera fonte di gioia, sia per noi stessi sia per gli altri. Tutti possono arrivare a questo stato, tutti i consueti motivi di apprensione, i soliti pensieri svaniscono e si prova un senso di pace profonda, infinita. Può essere comunque molto difficile praticare la bodhicitta (il secondo passo)  con autentica equanimità (forse desideriamo che tutti gli esseri siano felici tranne uno o due)...

Spesso si confonde la compassione e la gentilezza amorevole con la debolezza, invece ci sono tre qualità che sono sempre insieme e sono:  compassione, forza e saggezza. 

Dovremmo usare le sofferenze causateci da altri per stimolare la nostra crescita interiore e usare l'intelligenza. L'esperienza di un evento dipende dalla mente di chi la vive ancor più dell'evento stesso.  Questo assunto dovrebbe guidarci per cambiare la nostra esperienza della realtà trasformando la mente. Le persone, soprattutto gli anziani, devono lottare contro gli impulsi distruttivi nei confronti di loro stessi e degli altri. Una persona che sprofonda sempre più nella sua negatività, vive isolata in un mondo che con il tempo diventa sempre più piccolo. 

Per combattere la negatività dei nostri pensieri basterebbe applicare la tecnica dell'esclusione, noi non siamo il nostro corpo, non siamo i nostri pensieri, non siamo le nostre emozioni, ecc... però nessuna parte è separata dalle altre. 

Il problema è che molti occidentali hanno la forte convinzione di essere inadeguati, di non essere degni di diventare illuminati e solo l'incontro con un vero guru, ossia qualcuno che ha visto la verità di persona e può trasmetterla, può aiutarli a rimuovere queste barriere. Spesso quando siamo infelici senza rendercene conto rimaniamo bloccati in una modalità di pensiero che ci rende difficile immaginarne altre. Gli esseri saggi vedono invece diverse possibilità.  Una tecnica utilizzata nel buddhismo è quella di smontare il sè che può essere causa di tanti dolori e patemi, il sè che soffre per la perdità dell'amore e della speranza, che è impaurito o in ansia... Dove si trova questo sè problematico? nel corpo, nel cervello, forse è un aspetto della coscienza? la coscienza mentale? La coscienza è una continuità di momenti mentali, un flusso di pensieri, sensazioni ed esperienze che si susseguono l'uno dopo l'altro durante il giorno, ma quale specifico pensiero è il tuo sè negativo?   Se il sè non è un fenomeno fisico e mentale forse è solo un concetto, un'idea. Quindi non esiste niente di permanente, il sè è soltanto un pensiero.  Non dobbiamo crearci una fantasia così negativa e pensare il sè come un'entità permanente, colpevole, peccaminoso e ammantato di tenebra.  

Esistono due"Io", un Io vero, l'"Io" convenzionalmente accettato, costituito dal corpo, dalla tua storia, dalle cose che ti piacciano, ecc.  e poi c'è l'"Io" falso, ed è l'idea falsa che esista un sè indipendente separato dal corpo e dalla mente, una specie di entità innata dotata di qualità come essere colpevole o di successo, depresso o popolare. Essitono tante versioni di una persona quante sono le menti che la percepiscono, quindi questo sè è soltanto un concetto, un'idea.    La coscienza invece esiste, solo se siamo coscienti possiamo fare ricerche su noi stessi e altro, la coscienza sottile continua attraverso tutte le nostre esperienze, come il filo che passa attraverso le perle di una collana. La coscienza non ha bisogno di un sè e questo sè è unicamente un'idea.   Shantideva afferma:  "Se tutte le ferite, paura e il dolore di questo mondo nascono dall'aggrapparsi al sè, allora a che cosa serve questo grande fantasma?"

Questo tipo di analisi viene chiamata "talità", il modo in cui le cose sono veramente o origine indipendente, in termini sanscriti è chiamata sunyata e costituisce il terzo aspetto del sentiero. Le parole, come tante foglie mosse dalla brezza estiva, sono prive di sostanza o di qualsiasi effettiva importanza: sono idee, e non sono neppure necessarie.

Smettere di cercare la felicità all'esterno di noi è il vero inizio del nostro viaggio spirituale, altrimenti noto come rinuncia.  Per cercare di liberarsi di tutti i pensieri negativi e fare spazio a quelli positivi, uno dei metodi più efficaci è la meditazione. La meditazione è al centro della pratica buddhista, un addestramento della mente che ti permette di affrontare meglio quello che la vita ti presenta. Tutti gli alti e bassi. Riesci più facilmente a individuare  i pensieri negativi e lasciarli andare, come del resto a trovare lo spazio per richiamare la bodhicitta.     La mente che osserva la mente, a questo scopo, prima plachi la mente concentrandoti ad esempio sul respiro, poi rivolgi la tua attenzione ad essa. I pensieri scaturiranno come onde dell'oceano. E questo va bene. Solo non ti devi lasciare coinvolgere. Impari a: riconoscere, accettare, lasciare andare. Riconosci ogni pensiero in quanto tale, non fingi che non stia accadendo. Accetti di aver avuto quel pensiero, al di là della sua natura, buona o cattiva. e quindi lo lasci andare, e scompare...  Si impara a diventare osservatori, diventare quindi padroni dei nostri pensieri anzichè loro vittime, Occorre decidere quali pensieri considerare invece di farsi coinvolgere da tutti, anche da quelli che ci rendono infelici.  Bisogna addestrarsi per rendere questo processo abituale, in modo da decidere cosa entra nella nostra mente, non solo quando si medita ma anche tra una seduta e l'altra. Dobbiamo essere noi a gestire i pensieri, e dunque anche i sentimenti che ne derivano. Quando si pratica questo allenamento mentale si fa una meravigliosa scoperta, via via che si impara a lasciar andare consciamente i pensieri negativi, si scopre che questi non possono esistere senza la nostra attenzione. Hanno bisogno della nostra energia per esistere, per tornare, se non si considerano non possono permanere. Dopo un po' cessano di tornare, perchè la loro esistenza non trova fondamento. Tra i pensieri che abbiamo, il più persistente è quello sull'esistenza di un sè indipendente, ed è il più radicato ed è l'impulso più istintivo che abbiamo. Dovremmo trattare i nostri pensieri come se osservassimo una nuvola di passaggio, quando pratichiamo "la mente che osserva la mente" nell'intervallo tra i pensieri, anche se è molto breve, la scorgiamo direttamente, e scopriamo che possiede determinate qualità: è chiara e perfettamente lucida. Quando si vive questa esperienza si ha la sensazione che questa coscienza primordiale è veramente ciò che siamo, un qualcosa di sottile, senza ego, infinito:

"In genere tutti i fenomeni sono la mente stessa, Non c'è nient'altro che la mente. Qualsiasi cosa appaia, è tutto natura della mente, persino questa è da sempre indeterminata".

E' difficile sviluppare una sincera compassione, sperimentare la vera benevolenza, se non abbiamo conoscenza della sunyata, se non mettiamo in discussione la natura del sè saremo ingannati dalle apparenze, e resteremo vittime della mente. 

Saggezza e conoscenza sono diverse, la saggezza implica la trasmissione di percezioni in modo approfondito, che può portare a un cambiamento, in quel caso la conoscenza diventa saggezza. 

Il guru è l'incarnazione della saggezza, ogni azione del suo corpo, le sue parole e la sua mente sono espressione di saggezza (il guru yoga è il quarto aspetto del sentiero). Un guru non si limita a spiegare e incarnare alcuni valori, ma motiva e ispira anche. Nella crescita spirituale è molto importante la trasmissione diretta tra insegnante e studente. Il guru ci insegna a porre fine all'insoddisfazione e a raggiungere un benessere duraturo. Il guru giusto per noi non è necessariamente il più famoso  ma quello che riesce a entrare in contatto con noi e ci mostra che i nostri problemi non sono fuori nel mondo, ma nella nostra mente, dove possiamo intervenire e affrontarli. Il guru incarna la bodhicitta e la sunyata, e quando meditiamo in sua presenza le nostre menti si incontrano e si sperimenta il non dualismo direttamente, di persona. La cosa più importante che deve trasmettere è la fede, la fede non in una forza esterna o in un sistema di credenze, ma in noi stessi. La fede di avere tutto ciò che ci serve per la felicità nel nostro cuore e svilupparlo.  Nel guru yoga, accostiamo la nostra mente a quella del guru, che consideriamo identica a quella del Buddha; è un modo per aiutarci a evolvere da una mente comune, afflitta dal karma e dall'illusione, alla coscienz adi un Buddha, che è beata e trascendente, al di là della nascita e della morte. 

Nel libro viene anche spiegato in modo molto simpatico il potere della mente: Immaginando fortemente qualcosa si arriva alla manifestazione dell'evento; se pensi costantemente a una persona, a dei modi per entrarci in contatto e avvicinarla, e lo fai in modo costante e determinato un'occasione si manifesterà.  Tutto inizia dall'intenzione, dalla decisione di  volere qualcosa e poi di congiungere, di unire le azioni del corpo, le parole e la mente fino a ottenerla. Questo corrisponde in Occidente alla legge dell'attrazione. Si sceglie un obiettivo, si visualizza in dettaglio, si ripetono affermazioni a tal proposito e si pone l'obiettivo al centro di tutte le azioni finchè non si realizza (purtroppo in Occidente questi obiettivi sono: soldi, amore, carriera lavorativa, ecc). 

Dovremmo immaginare un guru come un essere simile a un Buddha, quello che pensi di lui ha a che fare con la mente e l'atteggiamento, più riesci a pensarlo simile a un Buddha, meglio è per la tua evoluzione interiore. Anche su questo punto gli occidentali hanno grosse riserve sul culto del maestro, per questo i lama dicono agli allievi di leggere i testi sull'argomento e sperano che ci arrivino da soli.  Se ascolti un insegnamento e consideri il lama un essere comune, ricevi benedizioni comuni. Se lo pensi simile a un Buddha, ricevi la benedizione di un Buddha. Da qui la scoperta che la forza delle parole non deriva tanto dalle parole, quanto dalla persona che le pronuncia, Quando riceviamo una benedizione, riceviamo l'ispirazione, l'energia, la volontà di trasformare la nostra esperienza della realtà in un certo modo, da ordinaria a trascendentale. Solo quando abbiamo acquisito una certa familiarità con i sutra che sono gli insegnamenti fondamentali del buddhismo potremo ricevere l'iniziazione da parte di un guru per praticare il tantra yoga. 

Essere nati umani è eccezionale, è un'opportunità straordinaria per arrivare all'illuminazione. In questo gioca un ruolo fondamentale il karma che matura in punto di morte. Ci sono due tipi di karma; il karma completante è il genere di vita che avremo e il karma proiettante che ci catapulta in una forma di vita. Gli animali domestici che si trovano in case buone hanno un karma molto positivo.

Il grande fantasma del sè  è la causa di tanto dolore; si doverebbe riuscire a capire che non c'è un sè da prendere seriamente in considerazione o in un altro modo. 

Ci sono molte persone animate dalla buona intenzione di aiutare i bisognosi ma nel nostro mondo indaffarato è difficile far sì che a questa seguano azioni significative. 

Il loto è il simbolo della rinascita, i fiori di loto sorgono dal fango delle paludi fino a esplodere nella loro sublime bellezza, rappresentano la rinuncia. Senza sofferenza non c'è la spinta a cercare la trascendenza, Niente fango, niente loto, Quando ci inchiniamo di fronte ad un'altra persona, lo facciamo non solo per riverenza nei suoi confronti; ci inchiniamo anche alla nostra natura di Buddha, alla nostra capacità di raggiungere l'illuminazione.

Siti utili:

  • www.davidmichie.com
  • https://gadenforthewest.org/events/      
  • https://davidmichie.substack.com/p/10-points-on-finding-our-guru

mercoledì 3 gennaio 2024

Temi per la meditazione

Meditare è realizzare interiormente l'imperturbabilità dell'Essenza della mente.

La luce è dentro di voi, Lasciate che la luce risplenda.

Rinunciando all'Io, l'Universo diviene l'Io.            

 
Amare universalmente è la vera umiltà.

L'atto perfetto non ha risultato.

Per l'illuminato, qualunque luogo è lo stesso.

Non vi è nulla di buono o di cattivo, ma è il pensiero che lo rende tale. 

Divenite ciò che siete. 

Se un uomo è infelice, sappia che lo è solo a causa di se stesso.

Mirate all'estremo disinteresse, e mantenete in ogni momento la massima calma possibile. 

Il saggio si distingue dai suoi simili, per la sua indipendenza dalle cose esterne. 

Il maestro può solo additare la Via. 

Il saggio non giudica, cerca di comprendere.

Desiderate solo ciò che è dentro di voi.

Noi non siamo ciò che pensiamo di essere, ma siamo ciò che pensiamo.

La vita è un ponte, passateci sopra, ma non costruiteci sopra una casa.

Là non vi è nulla che non si possa trovare qui. 

Sono felici coloro che allineano i loro desideri con i loro doveri.

Lo zen non ha nulla da dire. 

Meglio insudiciarsi mentre cercate di aiutare coloro che sono nel fango, piuttosto che rimanere puliti restando in disparte. 

La terra che non è in nessun luogo è la vera patria.

lunedì 1 gennaio 2024

André Compte-Sponville - un maestro di libertà

 André Compte-Sponville (1952- ) è un ex professore alla Sorbona ed è stato componente del Comitato consultivo nazionale di etica. Autore del Mito di Icaro (1984) propone, attraverso un'opera orientata sia verso il materialismo, che verso la vita spirituale, una filosofia etica difendendo l'idea che bisogna vivere qui e adesso, in quanto solo il reale immediato conta.

All'età di 16 anni André era un cattolico praticante e militante nella JEC (gioventù studentesca cristiana). In questo periodo incontra padre Bernard Feillet al liceo che frequentava (Francois Villon). Padre Bernard gli consiglia di leggere due libri: Les Pensées di Blaise Pascal e Crainte et Tremblement di Kierkegaard. Quello che lo colpisce della lettura del primo libro è la visione dell'uomo, con la sua miseria e le sue contraddizioni, la difficoltà di essere felice e soprattutto la fede che permette di uscire da questa condizione, almeno fornisce la speranza di uscirne. Nel secondo libro trova un certo rapporto con l'assoluto e la trascendenza. Qualche anno più tardi concorderà con i due autori per dire che un ateo lucido e coerente non può sfuggire a una certa disperazione, ma non per questo deve rinunciare ai piaceri della vita, che è preziosa essendo unica.  Leggerà successivamente Albert Camus (vedi Le Mythe de Sisyphe. Essai sur l'absurde) e porterà avanti l'idea di una "gioiosa disperazione" da utilizzare nella quotidianità.  Marcel Conche, Etty Hillesum e Swami Prajnanpad sono promotori di questa "gioiosa disperazione" e l'aiutano a trovare il suo cammino: quello dell'amore della vita, in ogni circostanza.

Poi con l'avvento del maggio-68 sarà preso dalla passione politica aderendo alla sinistra e al Partito Comunista. Perderà la fede, cesserà di interessarsi a Dio e di crederci.  Poi scopre la filosofia con Pierre Hervé, eroe della resistenza, escluso dal partito comunista nel 1956 per aver criticato lo stalinismo. Hervè fa conoscere a André Compte-Sponville  Sartre e Merleau-Ponty. Conosce Althusser, che poi sarà il suo professore, e scopre che il piacere e la gioia sono altrettanto vere che l'angoscia e la disperazione. Scopre che Camus segue lo stesso cammino di Epicuro e Spinoza. 

L'idea di considerare la filosofia  una via sicura come la scienza (come asseriva Kant) era illusoria, e in fondo più Andrè filosofava e meno credeva alla filosofia, e questo lo avvicinava a Pascal: "prendersi gioco della filosofia è veramente il filosofare". I suoi maestri sono stati Louis Althusser e Marcel Conche, ma sono stati soprattutto maestri di libertà, in quanto gli hanno insegnato a pensare, ma non a pensare come loro. Un maestro di libertà è quello che aiuta le persone a trovare il loro cammino, che forma degli spiriti liberi e non dei discepoli. Marcel Conche lo ha guidato nella sua carriera universitaria e poi lo ha aiutato a diventare maestro di conferenze alla Sorbona.

Tra gli scrittori che hanno influenzato Andrè Compte-Sponville possiamo citare anche Claude Lèvi-Strauss e Clemet Rosset. E anche due maestri orientali Jiddu Krishnamurti e Swami Prajnandap, al quale ha consacrato un libro pubblicato nel 1997. A questi bisogna aggiungere due donne Simone Weil e Etty Hillesum che lo hanno aiutato a pensare all'ateismo e alla religione per poi concludere che l'amore della vita è più prezioso delle dottrine. 

Si riferisce spesso a Pascal dicendo che lo ha aiutato a intraprendere la strada della non credenza, perchè Pascal non crede nell'uomo, nella natura, nella storia e nella verità che sono le quattro idolatrie dominanti, ma crede solo a Dio.  Montaigne è il suo maestro di saggezza proprio perchè paradossalmente non crede nella saggezza. Ma offre una saggezza di secondo rango, una saggezza per chi non è saggio, non vuole diventare saggio e lo accetta. Per André questa saggezza esprime l'amore per la vita che è la sola cosa che conta.  

Per scoprire la filosofia consiglia di leggere e rileggere quello che considera il più bel libro di tutti i tempi: Le meditazioni metafisiche di Descartes.  E consiglia di cominciare a esplorare a caso la storia della filosofia il prima possibile. La filosofia non ha mai salvato nessuno, Ma ci libera dalla speranza di una salvezza. E' la buona strada: quella della lucidità e della responsabilità: Filosofare è apprendere a vivere, non a morire o a sperare un'altra vita!         

Riferimenti: I tre libri preferiti da André Compte-Sponville (in filosofia) sono: gli Essais di Montaigne, le Pensées di Pascal e l'Ethique di Spinoza.  Si definisce un filosofo materialista, nello stesso senso di Epicuro, razionalista, nello stesso senso di Spinoza, e umanista, nello stesso senso di Montaigne, e anche "ateo fedele". Propone una saggezza per il nostro tempo e una spiritualità senza Dio.

  • Libro di André Compte-Sponville per esplorare la filosofia: Le plaisir de penser, une introduction à la philosophie.
  • Ultimo libro di André Compte-Sponville La Clé des champs et autres impromptus. 2023
  • André Compte-Sponville, Swami Prajnanpad. Lettres à ses disciples: Tome 2, Les yeux ouverts
  • André Compte-Sponville, De l'autre cote du desespoir. Introduction à la pensée de Svâmi Prajnânpad 

Note:  Louis Althusser (1918-1990) è stato un filosofo francese, principale teorico del marxismo strutturale, oltreché una delle personalità di spicco della corrente filosofico-antropologica strutturalista e post-strutturalista.
Marcel Conche (1992-2022) è stato un filosofo francese e professore emerito all'Università della Sorbona.
Bernard Feillet (1932-2019) a longtemps été prêtre à la chapelle Saint-Bernard, au pied de l'horloge de la gare Montparnasse, à Paris.
Esther Hillesum (1914-1943) è stata una scrittrice olandese ebrea vittima dell'olocausto.
Clément Rosset (1939-2018) è stato un filosofo e scrittore francese
Swami Prajnanpad (1891-1974) è stato il maestro di Arnaud Desjardins (1925-2011), che poi ha trasmesso questa educazione spirituale in Francia all'inizio degli anni '70. 

Su Arnaud Desjardins vedi http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/vedanta/osatevivere.htm

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...