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venerdì 3 febbraio 2023

Meenakshi Devi Bhavanani

Yogamani Kalaimamani Yogacharini Meenakshi Devi Bhavanani è direttore e Acharya  (guida religiosa) residente del famoso Centro Internazionale per l'Educazione e la Ricerca sullo Yoga (ICYER / Ananda Ashram) di Pondicherry.  È guru ed ex artista di Bharata Natyam una forma di danza classica del Tamil Nadu. È inoltre, la discepola più anziana del maestro di Yoga di fama internazionale, Yogamaharishi Dr. Swami Gitananda Giri Guru Maharaj e ha dedicato la sua vita ai suoi insegnamenti e alle istituzioni da lui fondate.

Ammaji, come è popolarmente conosciuta, è considerata uno dei maggiori leader internazionali del moderno movimento Yoga e fa parte di vari comitati nazionali del governo indiano per la diffusione dello Yoga.  I suoi libri più importanti, "La storia dello Yoga dai tempi antichi a quelli moderni" (Vol. I e Vol. II), sono un'opera di rottura e sono stati acclamati come le "pubblicazioni che definiscono la storia dello Yoga fino ad oggi".
Dopo aver formato migliaia di studenti in tutto il mondo negli ultimi cinquant'anni, è considerata una pioniera nel portare le Belle Arti Carnatiche classiche e lo Yoga alla gente comune di Pondicherry. 
 
https://www.academia.edu/39101111/Yogacharini_Meenakshi_Devi_Bhavanani_Il_suono_dello_yoga_demistificando_le_basi_dello_yoga
 
Al link sopra riportato puoi trovare dei testi importanti sullo yoga.

Kamlesh Patel

 Kamlesh Patel (nato nel 1956) è conosciuto da molti come Daaji. I suoi insegnamenti pratici nascono dalla sua esperienza personale sul sentiero della Heartfulness, ma riflettono anche il suo profondo spirito di ricerca e il suo rispetto per le grandi tradizioni spirituali e i progressi scientifici del mondo. Avendo iniziato la pratica spirituale molto giovane, Daaji è anche un uomo di famiglia e ha costruito un'attività di farmacia a New York per oltre tre decenni prima di essere nominato nel 2014 quarto di un lignaggio secolare di maestri spirituali.

Questa tradizione è il sistema Sahaj Marg di Raja Yoga, offerto dalla Shri Ram Chandra Mission, un'organizzazione no-profit. Essendo un sistema di meditazione universale basato sul cuore, Sahaj Marg è anche conosciuto come la Via della Cuoriosità, e oggi Daaji estende il suo sostegno a milioni di ricercatori spirituali in oltre 130 Paesi. Studente autoproclamato della spiritualità, dedica molto tempo ed energia alla ricerca nel campo della coscienza e della spiritualità, affrontando l'argomento con una metodologia scientifica - un approccio pratico che deriva dalla sua esperienza e dalla sua maestria sul campo.

sabato 26 novembre 2022

Gurudev Sri Sri Ravi Shankar

Gurudev Sri Sri Ravi Shankar è un leader umanitario, un maestro spirituale e un ambasciatore di pace. La sua visione di una società senza stress e senza violenza ha unito milioni di persone in tutto il mondo attraverso i progetti di servizio e i programmi offerti da The Art of Living.


Nato nel 1956 nel sud dell'India, Gurudev Sri Sri Ravi Shankar era un bambino dotato. All'età di quattro anni era in grado di recitare parti della Bhagavad Gita, un'antica scrittura sanscrita, e si trovava spesso in profonda meditazione. Il primo insegnante di Gurudev, Sudhakar Chaturvedi, ebbe una lunga collaborazione con il Mahatma Gandhi. All'età di diciassette anni, nel 1973, Gurudev si era laureato in letteratura vedica e in fisica.
Noto leader umanitario, i programmi di Gurudev hanno fornito assistenza a persone provenienti da un'ampia gamma di contesti: vittime di disastri naturali, sopravvissuti ad attacchi terroristici e guerre, bambini di popolazioni emarginate e comunità in conflitto. La forza del suo messaggio ha ispirato migliaia di volontari, che stanno portando avanti progetti in aree critiche in tutto il mondo.
Come insegnante spirituale, Gurudev ha ravvivato le tradizioni dello yoga e della meditazione, proponendole in una forma adattata per il XXI secolo. Oltre a far rivivere l'antica saggezza, Gurudev ha creato nuove tecniche per la trasformazione personale e sociale. Tra queste, il Sudarshan Kriya, che ha aiutato milioni di persone a trovare sollievo dallo stress e a scoprire riserve interiori di energia e silenzio da utilizzare nella vita quotidiana.
In qualità di ambasciatore di pace, Gurudev ha svolto un ruolo fondamentale nella ricerca di una risoluzione dei conflitti in tutto il mondo, condividendo la sua visione della non violenza in occasione di forum e incontri pubblici in tutto il mondo.  Gli è stato riconosciuto il merito di aver portato le parti in conflitto al tavolo dei negoziati in Colombia, Iraq, Costa d'Avorio, Kashmir e Bihar. Attraverso le sue iniziative e i suoi discorsi, Gurudev ha sempre sottolineato la necessità di rafforzare i valori umani e di riconoscere che apparteniamo a un'unica famiglia mondiale. Promuovere l'armonia interreligiosa e chiedere un'educazione multiculturale come rimedio al fanatismo sono parti significative dei suoi sforzi per raggiungere una pace sostenibile.
Andando oltre l'etnia, la nazionalità e la religione, Gurudev ha rilanciato il messaggio di un'unica famiglia mondiale, libera dallo stress e dalla violenza.

  • https://www.facebook.com/TheArtOfLivingGlobal/videos/764872667416714/
  • https://www.youtube.com/results?search_query=the+art+of+living+The+power+of+breath!
  • https://www.youtube.com/watch?v=MXeiHMc-DAU

venerdì 18 novembre 2022

Il Guru indiano Baba Ramdev incontra SadhGuru alla Isha Fondation

Baba Ramdev è leader spirituale indiano e un rinomato insegnante di yoga e sostenitore dell'ayurveda. È famoso per aver reso popolare lo yoga tra gli indiani attraverso la televisione e i suoi raduni di yoga di massa frequentati da migliaia di persone. Jaggi Vasudev, comunemente conosciuto come Sadhguru, (1957 - ) è un mistico e yogi indiano e autore di vari best seller sulla spiritualità. Ha fondato la Isha Foundation, un'organizzazione  a-politica, non religiosa, no-profit che offre programmi yoga in varie parti del mondo..

 Baba Ramdev è nato nello stato di Haryana, in India, con il nome di Ramkrishna Yadav, si interessò presto allo yoga. Da giovane ha capito di non essere destinato alla vita mondana ed è entrato nel Sanyas (vita monastica), assumendo il nome di Baba Ramdev.
Si è poi trasferito ad Haridwar, nell'Uttarakhand, dove ha studiato le antiche scritture indiane presso il Gurukul Kangri Vishwavidyalaya. Ha anche praticato un'intensa autodisciplina e meditazione.

Nel 1995 Baba Ramdev ha fondato il Divya Yoga Mandir Trust per promuovere lo yoga. In questo impegno è stato accompagnato da Acharya Karamveer e Acharya Balkrishna. Acharya Karmaveer è un esperto di yoga e Veda, mentre Acharya Balkrishna è un medico laureato in ayurveda. La sede del trust è presso l'Ashram Kripalu Bagh di Haridwar. Baba Ramdev insegna yoga principalmente in questo ashram.
Baba Ramdev insegna principalmente la forma di yoga Pranayama. Il programma consiste in sei esercizi di respirazione in una sequenza specifica. La maggior parte degli altri insegnanti di yoga pone l'accento sulla pratica delle asana (posizioni yoga), mentre Baba Ramdev si concentra maggiormente sugli esercizi di respirazione.
Ha fondato il Patanjali Yogpeeth ad Haridwar, per la promozione e la pratica dello yoga e dell'ayurveda. Il Patanjali Yogpeeth ha due campus in India e diversi altri nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Nepal, in Canada e alle Mauritius.

La critica a Baba Ramdev.  Viene criticato per essere diventato un uomo d'affari e ambasciatore del marchio di Patanjali Ayurved. La società è stata fondata nel 2007 e in poco più di dieci anni i suoi ricavi sono saliti di oltre venti volte: da 69 milioni a 1,6 miliardi di dollari.  Il marchio Patanjali come la sua immagine è onnipresente in India.  Ramdev oggi dice che il suo obiettivo è vendere agli indiani tutti i suoi prodotti ayurvedici, basati sulla medicina tradizionale e alla cultura indiana, per ogni necessità legata alla cura della casa, alla pulizia e al benessere della persona. Un imprenditore santone, quasi venerato che è diventato un riferimento del partito nazionalista indiano.

  • La Visita nel 2010:  https://www.youtube.com/watch?v=tadjYpS6uF8
  • https://youtu.be/j4IaxNUubYo     
  • https://www.youtube.com/watch?v=COypcqi1XAg     -     
  • https://www.youtube.com/watch?v=yMyNqVf9VqY

India's spiritual trinity on Yoga day   https://www.youtube.com/watch?v=3k3XxA_b6HU

 

giovedì 9 giugno 2022

Mahatma Gandhi: Il potere della nonviolenza

Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948) è stato un politico, filosofo ed avvocato indiano e leader del movimento per la libertà e l'indipendenza dell'India, nonché il fondatore della nonviolenza, un metodo di lotta politica che rifiuta ogni atto di violenza.  Gandhi è conosciuto come il Mahatma, la "grande anima", come lo definì il poeta indiano Rabindranath Tagore (premio Nobel per la letteratura nel 1913). In realtà, il suo impegno fu soprattutto religioso, di liberazione personale, nella convinzione che avesse un forte impatto politico. Lo afferma più volte e lo ribadisce nella sua Autobiografia: "La mia devozione alla Verità mi ha portato nel campo della politica". Gandhi non desiderava il potere politico per se stesso e non ha mai ricoperto una posizione ufficiale all'interno del Congresso Nazionale Indiano, eppure ha costantemente esercitato il ruolo di arbitro in questioni politiche.

Nel 1893, Mohandas Karamchand Gandhi, 24 anni, giovane avvocato laureato a Londra, accettò un incarico legale da svolgere a Pretoria, in Sudafrica. Durante il viaggio scoprì che in Sudafrica vigeva l'apartheid. Sperimentarlo di persona fu traumatico per Gandhi e l'umiliazione subita lo rese consapevole,  in modo drammatico, del razzismo.
In Sudafrica imparò ad affrontare i problemi politici dei suoi connazionali. L'essere perseguitato e imprigionato per motivi di coscienza insegnò a Gandhi ad affrontare la punizione con dignità, orgoglio e tenacia e riteneva che andare in prigione per un abuso di potere aumenta il prestigio della causa.  Gandhi rimase in Sudafrica per 21 anni e l'esperienza drammatica che vi fece costituì la sua scuola spirituale. Imparò che la lotta nonviolenta contro l'apartheid era una vera politica e alla fine ottenne notevoli risultati come il riconoscimento di uguali diritti, l'eliminazione di leggi discriminatorie, la validità dei matrimoni religiosi (prima solo quelli cristiani erano riconosciuti validi).

Quando tornò in India nel 1915, trovò un generale malcontento nei confronti del governo britannico. Nel 1919 Gandhi organizzò una vigorosa campagna di disobbedienza civile, con la chiusura di fabbriche, serrate e scioperi contro il Rowlatt Act: una serie di proposte legislative antiterrorismo, norme speciali per prevenire proteste. La partecipazione di massa fu enorme.  A seguito dei disordini che scoppiarono a Amritsar dove furono uccise 4000 persone che manifestavano pacificamente, Gandhi interruppe la campagna di disobbedienza civile.

Gandhi lanciò la sua prima campagna per l'indipendenza nel novembre 1921. La chiamò con un termine innovativo, satyagraha, la forza della verità, sinonimo di resistenza non violenta. Il satyagraha è una forma di mobilitazione sociale ideata da Gandhi basata sulla «resistenza passiva» a cui si aggiungevano elementi derivati dalle tradizioni filosofico-religiose indiane. Il satyagraha consiste infatti nell’«aderire fermamente alla verità», violando pacificamente leggi ritenute a essa contrarie. Ogni partecipante è chiamato a ricercare nell’intimo della propria coscienza la sorgente di tale verità, attingendovi le energie morali necessarie ad accogliere la repressione in modo non violento: la sua azione attualizza così la verità, nella speranza che essa possa «convertire» l’avversario. 

La campagna fu lanciata sulla base di tre obiettivi sociali: l'unità tra indù e musulmani, l'abolizione della casta degli "intoccabili", e l'utilizzo di materie prime locali, con la promozione del khadi, cioè l'invito ad ampio raggio a indossare abiti fatti di stoffa di cotone tessuta personalmente a mano da ogni individuo, per boicottare gli abiti prodotti in Gran Bretagna. Nello stesso tempo Gandhi  ampliò la portata delle sue azioni, sfidando i postulati sacri dell'induismo. Ai suoi occhi, non c'era differenza tra un bramino e gli intoccabili, tra caste superiori e inferiori e si identificava con i maltrattati e i poveri, e si dedicò al loro servizio.
Gandhi invitò il viceré a ripristinare "le libertà di parola, di associazione e di stampa [...] e a rilasciare le persone innocenti che erano state imprigionate", altrimenti sarebbe iniziata la disobbedienza civile. Il rifiuto del Viceré diede il via alle proteste. Alcune furono particolarmente cruente con diverse decine di morti. Appena informato degli incidenti, Gandhi convocò una riunione del Partito del Congresso, e annullò la campagna di disobbedienza civile; si impose cinque giorni di digiuno per espiare la violenza del massacro. In questa occasione fu aspramente criticato in tutta l'India per aver annullato la campagna.

Nel marzo 1922, il Mahatma Gandhi fu arrestato. Era accusato di sedizione a causa di articoli pubblicati nel settimanale, Young India. Nel primo aveva scritto: "L'Impero britannico, costruito sullo sfruttamento sistematico delle razze fisicamente più deboli della terra e su un dispiegamento di forza bruta, non può durare, se esiste un Dio giusto che governa l'universo". Nell'altro articolo proclama apertamente: "Vogliamo rovesciare il governo. Vogliamo costringerlo a sottomettersi alla volontà del popolo".   Durante il processo si dichiarò  "tessitore e contadino", colpevole di aver istigato alla "non collaborazione" con il governo britannico. Asserì che "la non cooperazione violenta non fa che moltiplicare il male,  il ritiro del sostegno al male richiede l'astensione totale dalla violenza".
La condanna a sei anni di carcere avrebbe potuto segnare la fine della lotta che Gandhi aveva sostenuto fino a quel momento per la liberazione dell'India. Invece, ebbe un'altra conseguenza: rafforzò la sua determinazione e la sua reputazione agli occhi degli indiani. 

L'arresto significò il suo riconoscimento da parte del governo britannico come principale leader del movimento per l'indipendenza nazionale.  La semplicità dell'abbigliamento di Gandhi testimoniava un chiaro impegno per l'uguaglianza sociale. Gandhi stesso dedicava mezz'ora al giorno a tessere il tessuto per il proprio abbigliamento. Nel 1928, la Commissione Simon, composta da parlamentari britannici, ebbe il compito di riferire a Londra su una possibile Costituzione per l'India. 

L'obiettivo di Gandhi era quello di sensibilizzare la popolazione contadina e per questo iniziò a visitare sistematicamente alcuni dei 700.000 villaggi.
Propose al Congresso diversi punti come programma da realizzare: la proibizione totale degli alcolici, la riduzione del tasso di cambio rupia-sterlina, l'abbassamento delle tasse sulla terra, l'abolizione della tassa sul sale, la riduzione degli stipendi degli alti funzionari, il ridimensionamento delle spese militari e il rilascio dei prigionieri politici. 

Gandhi organizzò la  "marcia del sale" dal suo luogo di ritiro, Ahmedabad, fino a Dandi: una distanza di circa 380 km, fino alla costa dell'Oceano Indiano, dove tutti avrebbero raccolto il sale per il proprio consumo.  All'inizio di marzo del 1930, Gandhi avvertì il viceré della sua intenzione di iniziare una campagna di disobbedienza civile contro la tassa sul sale. La marcia, iniziata con 80 uomini fidati, fu un trionfo; la folla crebbe di villaggio in villaggio. Nella marcia non mancarono il riposo e la preghiera: fu un vero e proprio pellegrinaggio. Venivano anche citati i testi sacri indù. Arrivati a Dandi, tutti raccoglievano il sale per uso personale.
La reazione del governo fu immediata: Gandhi e altre 50.000 persone furono arrestate e i giornali di tutto il mondo riportarono la notizia.
La popolarità della marcia del sale aveva rivelato che l'India era pronta per l'indipendenza e che la nonviolenza aveva sfidato e vinto il potere dell'Impero britannico. Per il governo di Londra fu un duro colpo, accentuato dalla diplomazia internazionale, ampiamente favorevole all'autodeterminazione dei popoli. Gandhi uscìto di prigione nel gennaio 1931 incontrò il  viceré, Lord Irwin, al termine del colloquio i due firmarono il Patto di Delhi: la disobbedienza civile fu fermata e i poteri speciali in vigore per combatterla cessarono di operare. Inoltre, il governo si impegnò a liberare i prigionieri politici e legittimò la raccolta del sale per uso personale.

Gandhi rappresentò il Congresso Nazionale Indiano all'incontro di Londra per discutere i termini dell'indipendenza dell'India, anche se i risultati non furono positivi. Al ritorno, il nuovo viceré, il marchese di Willingdon. iniziò una campagna di repressione, a cui seguirono una catena di proteste in tutto il Paese. Gandhi fu di nuovo arrestato e mentre era ancora in prigione, nel 1932, iniziò lo sciopero della fame per permettere agli intoccabili, le classi più povere potessero essere riconosciute come cittadini.
 I rappresentanti del Congresso e della Lega Musulmana di tutta l'India fecero pressione su Gandhi perchè abbandonasse la nonviolenza. Nel 1934, all'età di 65 anni,  lasciò il Congresso e si ritirò dalla politica, per dedicarsi esclusivamente alla riforma spirituale dell'India e allo sviluppo della vita nei villaggi. "Servire i nostri villaggi significa costruire l'autonomia. Tutto il resto è un sogno vano. Se il villaggio muore, muore anche l'India". Nel programma di Gandhi era inclusa anche l'istruzione, che non doveva comprendere solo l'alfabetizzazione, ma anche le abilità manuali per la vita e il lavoro. 

Nel settembre 1939, la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania. Il Congresso si dichiarò favorevole alla guerra solo se i britannici avessero concesso all'India la libertà che stava difendendo dal nazismo. Compilato da Nehru, il testo contraddiceva la posizione di Gandhi, che rifiutava qualsiasi coinvolgimento nelle ostilità.  La Gran Bretagna rispose che l'indipendenza dell'India sarebbe stata discussa dopo la guerra. Nel frattempo, il capo della Lega Musulmana, Muhammad Ali Jinnah, pensava alla formazione di uno Stato musulmano.
Nel settembre 1940 Gandhi lanciò una forma di satyagraha individuale contro la guerra:  "Non posso salvare l'integrità degli indiani e la loro libertà se non a condizione di provare benevolenza verso l'intera famiglia umana".

Nel 1942, il governo britannico, preoccupato per l'avanzata del Giappone verso i possedimenti britannici in Asia, chiese la collaborazione degli indiani, che non accettarono e misero in atto una campagna di disobbedienza civile chiamata Quit India.  Gandhi la accompagnò con il mantra: "Libereremo l'India o periremo nella lotta; non vivremo per vedere la perpetuazione della nostra schiavitù".  La risposta del governo di Churchill fu immediata: ci furono violenze e repressioni senza precedenti.  Gandhi e i membri del Congresso furono immediatamente imprigionati.

Dopo quasi due anni di prigionia, Gandhi fu rilasciato nel maggio 1944. Per prima cosa cercò di parlare con il capo della Lega Musulmana, per raggiungere un'intesa in vista dell'indipendenza. Ma gli incontri furono inutili. Jinnah era determinato a creare uno Stato indipendente per i musulmani. Questo aprì la strada alla spartizione dell'India e nacque la "Terra dei puri" (il nome del futuro "Pakistan").

Nel 1945, con la vittoria del Partito Laburista alle elezioni generali in Gran Bretagna, il governo Attlee annunciò un possibile ritiro dall'India e propose un unico Stato federale. A Gandhi il piano non dispiacque e Jinnah, pur essendo molto critico, in un primo momento vi aderì, ma poi ci ripensò. Il viceré affidò quindi a Nehru il compito di formare un governo provvisorio. Quest'ultimo si recò da Jinnah per offrirgli vari ruoli nel governo, ma egli li rifiutò.
Poiché nel 1946-47 l'India settentrionale era sconvolta da violenze e scontri tra indù e mussulmani, che si estendevano dal Punjab al Bihar, il governo britannico propose la divisione dell'India in tre province autonome, collegate a un governo centrale. Sebbene Gandhi fosse contrario, il Congresso e la Lega la accettarono. Lord Mountbatten fu incaricato di attuare il trasferimento dei pieni poteri all'India e fissò la data dell'indipendenza nel 1947. Il Mahatma si mise a viaggiare a piedi per i villaggi, tentando valorosamente un ultimo sforzo per pacificare indù e musulmani. Il 15 agosto 1947 l'India ottenne l'indipendenza, ma senza le due grandi province che formavano il Pakistan orientale e occidentale. Il giorno seguente cominciarono i massacri nati dalle rappresaglie trà indù e mussulmani. Fu la tragica fine del programma che il Mahatma aveva perseguito per tutta la vita. Tuttavia, continuò la sua opera di pacificazione viaggiando attraverso tutta l'India da Calcutta al Punjab. Durante il viaggio si fermò a Delhi e il 30 gennaio 1948, durante la preghiera pubblica fu assassinato con colpi di pistola da un indù estremista.
Il giorno dopo, secondo la tradizione religiosa, il corpo del Mahatma fu cremato: tutta l'India, e forse il mondo intero, si riunì intorno ad esso. Se Gandhi era deluso dal fallimento della nonviolenza, la sua morte rivelò invece che la causa della Verità e della nonviolenza non era stata vana. 
Testi di riferimento:

  • Y. Chadha, Gandhi. Il rivoluzionario disarmato, 2011.
  • J. M. Brown, Gandhi. Prigioniero della speranza, 1995.
  • The great Trial of Mahatma Gandhi & Mr. Shankarlal Banker.
  • M. K. Gandhi, Autobiografia, Milan, Treves, 1931.
  • Teoria e pratica della non-violenza, Turin, Einaudi, 1973.
  • Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, D. Dalton, 1998.

sabato 11 dicembre 2021

L'India vista da Tiziano Terrzani

 Tiziano Terzani (1938 -2004) in questo testo Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo, racconta gli ultimi anni della sua vita, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore allo stomaco.   Vedi link http://www.tizianoterzani.com     .

 
In questo articolo riporto la parte del libro dedicata all'India.  In India, l’ora più bella è quella dell’alba, quando la distinzione tra tenebra e luce non è ancora netta. Come il falso e il vero che sono due aspetti della stessa cosa e difficilmente separabili.
In quell’ora i rishi, "coloro che vedono", meditano solitari nelle loro remote caverne di ghiaccio dell’Himalaya, caricando l’aria di energie positive e permettendo anche ai principianti di guardare dentro di sé, alla ricerca della spiegazione del Tutto.
In Asia il riferimento al divino è continuo, in India si saluta unendo le mani davanti al petto,  pronunciando Namaste, che significa:  Saluto il divino che c’è in te.
Chi ama l’India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. Una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani, così è l’amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato.
L’India fa sentire ognuno parte del creato. Alcuni millenni fa i rishi,  ebbero l’intuizione che la vita è una. Ogni vita, la mia e quella di un albero fanno parte di un Tutto dalle mille forme che è la vita. Il tempo è circolare e il progresso non è il fine delle azioni umane, visto che tutto si ripete e che l’avanzare è considerato pura illusione. La realtà percepita dai sensi non è presa per vera, Non è la realtà ultima. 
Da qui, uno stato d’animo di distacco che rende il Paese così particolare e la sua realtà a volte proprio orribile, ma in fondo accettabile. La vita è tutto e il contrario di tutto, la vita è morte, non c’è piacere senza dolore, non c’è felicità senza sofferenza. La contrapposizione degli opposti e l'inevitabile dualità dell’esistenza. Si entra in una logica per cui niente è davvero drammatico.
L’India è un’esperienza che ti accorcia la vita, ma è anche un’esperienza che dà senso alla vita.
A Lodhi Garden uno dei più bei parchi di Delhi, si vedono praticanti yoga sui tappetini, vecchi che portano ogni giorno da mangiare alle formiche,  le stesse  formiche che cancellano tra le decorazioni fatte sul suolo con farina di riso (rangoli), mangiandosi il riso.  In India, le persone segnano una linea con un gessetto, fatto da una combinazione di erbe, sulla soglia di casa per non fare entrare le formiche. Lo stesso fece  Lakshmana, uno degli eroi del Ramayana, con la cognata Sita, tracciò una riga e gli chiese di non oltrepassarla per metterla in sicurezza dai demoni che la cercavano.
In Occidente, investiamo tutte le nostre energie nel consumare, e al consumismo,  come se la vita fosse un eterno banchetto romano in cui si mangia, e si vomita per poter mangiare. Non ci sentiamo parte del tutto, al contrario, ognuno si sente un’entità separata ed proprio questo proviamo un grande senso di solitudine e di tristezza.
La storia della rana nel pozzo. I rishi, dicono che abbiamo perso il nostro collegamento cosmico, siamo diventati come kup manduk, la rana che aveva passato tutta la sua vita nel pozzo. Un giorno questa rana incontra una rana che veniva dall’oceano, e chiede "Che cosa è l’oceano?" "Un posto molto grande."  "Ma grande come?"  "Grande, molto grande" e la rana traccia un cerchio, molto più grande, a questo punto traccia un cerchio grande quanto il pozzo, e dice "Molto più grande di questo", e la rana si arrabbia.
In India, nessuno è stato mai messo al rogo per le sue idee, sin dall’antichità il vero potere era quello dei sapienti. Anche i re andavano nella foresta a rendere umilmente omaggio ai saggi. I rishi si interessavano non al mondo, ma all’essere, erano in grado di percepire i diversi stati della mente a seconda che l’io sia sveglio, sia addormentato o sogni.
Ramakrishna, il grande mistico indiano, racconta la storia del taglialegna che sta sognando di essere un Re e che quando viene svegliato da un amico si arrabbia dicendo “Stavo seduto su un trono e mi occupavo degli affari di stato e tu vieni a disturbarmi,” l’amico risponde “ma era solo un sogno”, “tu non capisci, essere un Re in un sogno è vero quanto essere un boscaiolo da sveglio”.
Per gli indiani che, negli ultimi duemila anni non hanno invaso nessun altro Paese vicino, l’obiettivo è sempre stato la conoscenza, non del mondo, ma la conoscenza del Sé. Conoscere il Sé, vuol dire conoscere tutto, perché il fondo di quel Sé, è ciò che resta immutabile nell’eterno mutare del tutto.
Il mondo che ci circonda è come sabbia sollevata dal vento, mutevole e irrilevante. Per questo gli indiani non si sono mai preoccupati di cambiarlo o di migliorarlo ( vedi il problema della povertà e della miseria che si vede in India).  La filosofia in India è parte della vita, è la conoscenza di Sé. In Occidente la conoscenza è quella utile ed applicabile.
Paul Brunton negli anni 30, fece un viaggio in India sulle tracce della sua sapienza, incontrò uno yogi che gli disse: "Solo quando i sapienti occidentali rinunceranno ad inventare macchine che corrono più veloci di di quelle che già avete, e cominceranno a guardare dentro di sé, la vostra razza scoprirà un po' di vera felicità".
Nelle città occidentali, la vita scorre veloce, senza un solo momento di pausa o riflessione, senza un solo momento di quiete che bilanci la continua corsa al fare, siamo bravissimi ad inventarci scuse per non fermarci. Da ragazzo ho conosciuto gente che aveva tempo, erano i pastori dell’Orsigna. Stavano ore ed ore con un filo d’erba in bocca distesi in cima ad un monte.
In India, tutti hanno tempo e molti dei grandi saggi, rishi, o santi sono stati personaggi di origini semplicissime o autodidatti. Nisargadatta Maharaj era un venditore di sigarette (bidi-bidi), Ramakrishna era nato contadino (di lui scrisse Max Muller e Romain Rolland), così come Ramana Maharishi che considerava il silenzio uno dei più efficaci mezzi per comunicare. Anche Kabir, uno dei poeti più amati dell’India, un rishi vissuto nel XVI secolo era un tessitore, e diceva: "Tessere è il mio modo di pregare".
Ad una certa età dobbiamo coltivare ciò che non muore.
Qui Terzani ci racconta la storia di Guru Nanak che arriva in un villaggio, vede una bellissima casa e chiede di chi è, gli dicono che è la casa del più ricco del paese, uno che presta soldi, ed ogni volta che mette da parte una cassa di monete, fa una festa, Guru Nanak bussa, il padrone lo riconosce ed è felice di ospitarlo, Guru Nanak gli chiede se può fargli un favore, il mercante contento di fare un’opera buona e guadagnare karma, risponde "Farò quello che volete", Guru Nanak tira fuori dalla tasca uno spillo di ferro e gli chiede "Tienimelo in deposito, me lo restituirai quando ci incontreremo nella prossima vita".
La morte ci toglie tutto, se riuscissimo ad alleggerirci prima ci sentiremo più leggeri. Dobbiamo buttare a mare la zavorra di cose ed emozioni che ci portiamo dietro.
Poi Terzani racconta un'altra storia dell’Asia Centrale sulla morte, che viene riportata anche da Robert Musil. Un giorno il Califfo manda il suo Vizir al mercato a sentire cosa dicesse la gente, e nella folla il Vizir nota una donna alta, magra avvolta da un mantello nero, che lo guarda fisso,
Terrorizzato scappa, e dice al Califfo, "Aiutami ho visto la morte al bazar, è venuta per me. Dammi il tuo cavallo più veloce, stasera sarò in salvo a Samarcanda", e parte a spron battuto verso Samarcanda. Il Califfo va lui stesso al mercato, nella folla vede la donna (la morte) e l’avvicina, "Perchè hai fatto paura al mio Vizir",  e la morte risponde "Non gli ho nemmeno parlato, ero solo sorpresa di vederlo qui, perché il nostro appuntamento è questa sera a Samarcanda".
Adesso l’India comincia a soffrire degli stessi malanni degli occidentali. E’ l’India che non è più vegetariana, beve alcol, si veste con i jeans, manda i figli a studiare all’estero, è produttore della bomba atomica; L’India che ha rifiutato Gandhi. Nel 1994 c’è stato un ritorno della coca cola e la progressiva occidentalizzazione. Tutta la saggezza dell’India è adesso riciclata in chiave new age ed appare in riviste olistiche.
Qualcuno mi disse, "l’India corre dietro a tutto, ma molto lentamente, vedrai che arriverà tardi anche al funerale della cultura occidentale", e che avrebbe digerito anche l’attuale processo di occidentalizzazione come aveva fatto in passato con le invasioni mussulmani e inglesi.
In India niente viene mai distrutto e sostituito con il nuovo.
L’India è il solo Paese al mondo in cui si pratica ancora l’unami, antica medicina greca fondata da Ippocrate e portata in India da Alessandro Magno nel IV secolo a.c.
In India coesistono i più svariati sistemi di medicina: la medicina occidentale, l’ayurveda, l’omeopatia, la naturopatia, la medicina cinese e tibetana.
Nella città di Hyderabad migliaia di persone fanno la fila per ingoiare sardine ed erbe, sembrerebbe che sia una cura miracolosa contro l’asma, cura tramandata dalla famiglia Goud fin dal 1845.
 
Nell'India è nato anche il Buddhismo.  Bihar, uno Stato dell'India nord-orientale, è la culla del buddhismo, a Rajgir ci sono le grotte dove il Buddha e Ananda meditavano, le rovine di Nalanda, la famosa università buddhista, che tra il IV e XIII secolo è stata distrutta dagli arabi. A Bodhgaya troviamo l’albero sotto il quale il Buddha raggiunse l’illuminazione. A Sarnath, vicino Benares, il Buddha iniziò ad insegnare la via di mezzo. Tathagata era il nome con cui voleva essere chiamato che significa "Colui che è passato di qui". Il Buddha morì ad 80 anni avvelenato dal cibo offerto da un intoccabile.  Il buddhismo con la sua negazione dei riti e il concetto di compassione, estraneo all’induismo, rappresentò una vera e una grande rivoluzione.
Gli induisti con Shankaracharia, un santo commentatore dei Veda, cominciarono una controffensiva ideologia intorno al VIII secolo, i mussulmani alla fine del XIII secolo fecero il resto per eliminare la dottrina dell’illuminato in India.
La città di Benares è sacra ma solo dalla parte ad ovest, e solo chi muore sulla sponda occidentale del Gange si salva dal rinascere, i neonati e i sadhu non vengono cremati ma lasciati nelle acque. La spiegazione è che i sadhu venivano cremati simbolicamente quando prendevano i voti.
Benares è la più antica città vivente e milioni di indiani sono venuti qui a morire, per noi occidentali è difficile identificare il sacro con lo squallore, lo sporco, il putridume. Ma quella indiana è la civiltà che ha come ideale di vita i mendicanti.
Che ci sia davvero una grande saggezza nel pensiero orientale, secondo cui ciò che è fuori da noi è immutabile e che la sola speranza è cambiare dentro di noi. La morte era un fatto contro cui nessuno sembrava ribellarsi, E noi occidentali invece abbiamo tanto difficoltà ad accettarla! Per noi è sempre una sconfitta. In India il corpo è uno strumento da buttar via senza rimpianti. Nei funerali non c’è musica che lo accompagni, c’è solo il grido di alcuni "Ram nama satya hey" che significa  "solo il nome di Rama è verità". Durante la cerimonia il primogenito del defunto appicca il fuoco alla pira e va a fare le abluzioni di purificazione e torna nella ruota del mondo.

Alla stazione della vecchia Delhi, un viaggiatore occidentale che non abbia fatto l’abitudine all’India può essere preso dal panico, una fiumana di folla povera e colorata che dorme sotto pensiline, ecc… 
Da Delhi si arriva in treno a Pathankot che è la stazione più vicina a Dharamsala e McLeod Ganj, la cittadina dove sua santità il Dalai Lama risiede e la sede del Governo dei tibetani in esilio da quando nel 1959 i cinesi invasero il Tibet.  Nel 1989 il Dalai Lama ricevette il premio Nobel per la pace.
Gli occidentali vanno a Dharamsala, perché sono infelici, e sperano di trovare un paradiso dove gli esseri umani sono in pace con se stessi. L’uomo ha un innato bisogno di pensare che da qualche parte esiste un El Dorado.  A Dharamsala c'è il Men-Tse-Khang, l’istituto medico astrologico, là il direttore, il dott. Tenzin Choedrak disse:  Noi tibetani, nelle vite passate, dobbiamo aver fatto del gran male ai cinesi. Per sopravvivere ai lavori forzati ho attivato il fuoco nel mio stomaco, che mi permetteva di digerire il cibo immangiabile. La depressione è una malattia soprattutto occidentale, e la ragione è che voi occidentali siete troppo attaccati alle cose.
Quella di produrre una grande quantità di energia è una vecchia pratica yoga insegnata ai monaci, per aiutarli a sopravvivere al gran freddo, si insegna loro a riscaldarsi concentrando la mente su un fuoco immaginato nel fondo del ventre. L’allievo doveva sedersi nudo per terra e coprirsi con un telo di cotone, inzuppato d’acqua. Col calore che l’adepto sviluppava, nel giro di poco tempo quel telo doveva completamente asciugarsi. Il grande poeta ed eremita tibetano Milarepa veniva chiamato l’uomo vestito di cotone, perché aveva asciugato, una dietro l’altra, tre coperte intrise d’acqua. Il Dalai Lama chiese a dei giovani monaci di fare questo esercizio, il tummo, davanti ad un gruppo di medici di Harward.
 Nel ritornare col treno a Delhi, si attraversa la grande baraccopoli della periferia, caratterizzata da cumuli di plastica, spazzatura, fetore, sporcizia, miseria. Il finestrino del treno era come lo schermo di un televisore su cui passava un film dell’orrore.
Così doveva sembrare agli indiani benestanti che viaggiavano col treno. La loro apparente indifferenza mi colpì, ricordandomi quello che mi era sembrato il buco nero dell’induismo: la mancanza di compassione. Capivo perché tanti indiani delle caste basse si fossero in passato convertiti al buddhismo, e perché in seguito, molti, molti di più fossero diventati mussulmani.

Per rimanere sani bisogna arrabbiarsi di meno, ridere di più e tenere in ordine l’intestino. La pulizia dell’intestino era una vecchia pratica fra gli yogi. Inutile fare corsi di meditazione per controllare la mente, se non si impara a controllare il corpo.  Per confermare il valore terapeutico del digiuno, basti sapere che all’università di Nalanda in India, quando uno studente si ammalava, prima di dargli delle medicine, veniva messo a digiuno per una settimana. Comunque, anche grandi figure spirituali indiane sono morti di cancro: Ramakrishna, Ramana Maharishi e Nisargadatta Maharaj.   Un vecchio detto indiano recita: L’uomo dice che il tempo passa, Il tempo dice che l’uomo passa.
 
Yoga e musicoterapia. In vari miti della creazione il suono viene indicato come fonte di tutto, in principio era il Verbo, per gli indiani il mantra AUM era il primo di tutti i suoni, all’origine della creazione. Anche per gli scienziati l’universo è iniziato con il Big Bang, il grande botto. 

Terzani nel libro descrive la sua partecipazione ad un seminario di yoga in un ashram a Coimbatore, nel Tamil Nadu.  All’ashram dove Terzani ha trascorso diversi mesi,  i partecipanti cercavano di identificare quali raga, le strutture musicali classiche, hanno il giusto ritmo per curare le malattie. Fin dalle origini, lo yoga ha attribuito enorme importanza al suono, e una delle discipline per trascendere il corpo e far si che l’individuo diventi Uno con l’Assoluto è il Nada yoga, lo yoga del suono.  Al corso di yoga mi guardavo attorno e non vedevo una faccia serena, non una persona con un bel sorriso, qualcuno che emanasse un sentimento di pace, e ognuno per conto suo era impegnatissimo a fare le contorsioni.
Lo yoga significa unione, ed è una disciplina impegnata a liberare l’uomo dall'essere un’esistenza individuale separata dall’universo, per unirlo con il tutto. Ma come questo fine può essere perseguito in seno ad una società come la nostra, completamente dominata dal principio dell’individualità e della separazione? Forse il solo provarci crea conflitti, schizofrenie e quella tristezza che mi sentivo tutto attorno.
La musica Raga accompagnava gli esercizi e il pranayama, quella musica che quasi non si interrompe per più di due ore e che sembrava non avere né inizio, né fine, semplicemente scorreva come l’acqua, come la vita.   Lo swami che guidava il ritiro, aveva una visione integrata della natura e dell’universo, La ricerca spirituale è la ricerca della conoscenza, e la sola conoscenza che vale la pena perseguire è la conoscenza di sé.
Noi crediamo di sapere, ma sappiamo solo quello che vediamo, quello che sentiamo, tutto quello che proviamo con i nostri sensi. In verità tutto quello che ci appare come realtà non è reale. Lo yoga fa bene al corpo, ma il fine dello yoga non è il corpo. Yoga vuol dire controllo della mente, unione tra mente e corpo. Il corpo è un mezzo di trasporto, va tenuto bene perché si possa arrivare a destinazione: Non bisogna fare l’errore di confondere il fine con il mezzo.
Yoga significa essere coscienti di se stessi in ogni momento, essere coscienti di ogni gesto, di ogni pensiero. Nella pratica c’è molto di più delle asana e pranayama, che sono due degli otto aspetti dello yoga, gli altri sei sono: rinuncia alla violenza, distacco dalle cose materiali, rinuncia alla falsità, ritiro dei sensi, concentrazione e meditazione. Lo yoga è il mezzo, è la via con cui l’uomo unisce il suo Sé limitato all’Essere infinito. I partecipanti non sembravano interessati a questo, per loro il seminario era per loro un investimento e un futuro mestiere.
Lo swami insegnava il Vedanta, la fonte di tutta la saggezza. La spiritualità indiana non era legata ad un popolo o a un paese, e non s’era fatta strangolare dalla teologia. L’astrologia spirituale era un modo per capire la predisposizione spirituale delle persone. I maestri sceglievano in modo meticoloso gli allievi, Lo stesso Vivekananda, aveva dovuto superare varie prove prima di essere accettato come discepolo da Ramakrishna.
Lo swami all'ashram, mi diceva: Non ho più bisogno di tempo, ho fatto tutto quel che volevo fare, il tempo che mi resta è tempo pubblico, Quando avrai scoperto che sei la totalità, niente ti potrà più essere tolto; la pace va cercata dentro di noi, non fuori di noi.

Lo swami mi considerava uno shisha (uno che merita di studiare) e prendevo lezioni di sanscrito, studiavo i testi sacri indiani, e stonato come sono, cercavo di cantare gli inni vedici e i mantra. Per trentanni avevo fatto il figlio, il marito, il padre, l’amico, il giornalista, il viaggiatore e altro: Quelli erano stati i ruoli, le maschere con le quali mi ero anche divertito: Ma io? E poi, quale io?    Quel che un tempo m’era parso importante non mi pareva più tale.
Il vero motivo che mi aveva portato in quell’ashram era l’aspirazione a fare un nuovo tipo di viaggio, un viaggio dentro e non fuori. Un viaggio la cui metà non era un luogo fisico ma un posto della mente, uno stato d’animo, una condizione di pace con me stesso e col mondo a cui agognavo ormai più che a qualsiasi altra cosa. Non volevo più parlare di me al passato ma solo al presente. Sarei stato una settimana senza parlare, che mi chiamassero Anam, il senzanome.
Chi sono io? Cosa restava di me senza il mio nome, la mia storia, senza quello a cui per una vita avevo così assiduamente lavorato? Lo swami disse che la risposta c’era e l’avremmo trovata nel Vedanta, la parte finale dei Veda, dedicata al Sè che non nasce e non muore, Il Sè che resta immutabile quando tutto cambia, il Sè la cui esistenza non dipende dall’esistenza di nient’altro.
Lo swami entrava nell’ashram dalla porta nord (delle energie positive), noi shisha usavamo la porta ovest (delle energie neutre).  Guru non è un titolo, ma indica un rapporto, per cui una persona è guru per i suoi discepoli, non è guru per tutti. In India non si studia sui libri ma andando a vivere con un guru. Gu significa tenebra e ru vuol dire cacciare e disperdere, il guru è colui che scaccia le tenebre, colui che porta la luce nel buio dell’ignoranza. Il mio guru si chiamava Dayananda Saraswati ed io ero membro dell’Arsha Vidya Gurukulam, Tutti nomi dei sanyasin terminano con ananda, per indicare che non hanno ormai altra meta che ananda, la completezza.
Alle 5 del mattino, si celebrava la grande puja, il lavaggio rituale delle statue al canto dei mantra. Alle 6 c’era arati, la cerimonia del fuoco, venivano offerti agli dei i cinque elementi di cui è fatto l’universo: il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria e l’etere. Alle 8 si svolgeva il satsang, letteralmente stare con la verità, che consiste di affrontare un tema con altri saggi.
La vita di un uomo è divisa in quattro stagioni, ognuno coi suoi frutti, i suoi diritti, e si suoi doveri.
  • La stagione dell’infanzia e adolescenza, dello studio, uno impara ciò che gli servirà per la vita.
  • La maturità, l’uomo diventa padre, marito, assume il proprio ruolo nella famiglia.
  • La stagione del distacco, i figli diventano mariti e padri, è il momento del distacco, dell’andare nella foresta.
  • La stagione ultima, se la si sceglie, in cui, ormai slegato da tutto, la persona diventa un semplice mendicante, diventa sanyasin, vestito col colore del fuoco nel quale ha simbolicamente bruciato tutto quello che era l’io temporale, compresi i desideri, cerca ormai solo moksha, la liberazione definitiva dal samsara, il mondo dei mutamenti, l’oceano della vita e della morte. 
Moksha è la destinazione finale del sanyasin, del rinunciante. Per segnare questo momento, viene fatto un funerale simbolico, lui stesso si accende la pira per saltarci sopra e uscirne nuovo, ora non è più legato a niente, neppure alla religione e ai suoi riti. Dopo il funerale andrà in giro con una tunica arancione fatta con un unico pezzo di stoffa. Il suo corpo sarà buttato nel fiume perché lui è già passato attraverso le fiamme.
Se facciamo un parallelismo, anche l’Occidente con la pensione ha ritualizzato questo passaggio. Più ci avviciniamo a quel che veramente siamo, più siamo felici, ad ogni età.  Tutto sta nel sapere chi siamo. Meravigliosa la vecchiaia, possiamo finalmente pensare alla vita, diventare esploratori del mondo interiore. La nostra vita quotidiana è piena di piccole luci che ci impediscono di vederne una più grande.   Tagore scrive: la bellezza era tutta intorno a me, ma il lume di una candela ci separava,  quella piccola luce impediva alla bella grande luce della luna di raggiungermi.
Lo swami per presentare il Vedanta disse che l’uomo si è sempre interrogato sulla natura del suo essere, e da sempre è angosciato dall’incertezza della risposta. Il mondo gli appare come distinto da sé, sono due entità distinte, colui che vede e ciò che viene visto, colui che conosce e il conosciuto.
Questo mondo poi è messo assieme in maniera così intelligente, che l’uomo non può esserne stato l’artefice, per spiegare questo nascono le religioni.
L’induismo è una filosofia di vita e il Vedanta è uno strumento di conoscenza, la conoscenza della realtà. Tutto ciò che l’io percepisce, è fuori dall’io, sembra qualcosa diverso dal sé, così come l’onda considera l’oceano una cosa diversa da sé. Eppure appena l’onda si rende conto che è fatta d’acqua, che le altre onde sono fatte d’acqua e che l’oceano intero è solo acqua, il senso di separazione svanisce.
Non appena l’uomo scopre che lui stesso è la totalità,  la dualità scompare.
L’onda non ha bisogno di diventare l’oceano, deve solo rendersi conto di essere l’oceano. Non c’è da cambiare, c’è solo da capire chi si è. Come può l’uomo fare questo salto di coscienza? Da qui nasce la necessità di un guru.
Storia per spiegare questo: Dieci pellegrini devono attraversare un fiume, arrivati all’altra sponda, il capo li conta e la somma è sempre nove, Disperati si mettono a chiamare e scrutare l’acqua. Dov’è il decimo? Di lui non c’è nessuna traccia, Piangono e non sanno più cosa fare. Si avvicina un vecchio che da lontano ha seguito la scena, e dice:  Non c’è ragione di essere tristi, il decimo c’è.
Ma come? Dice il capo e ricomincia a contare uno, due … nove, Il vecchio punta il dito al petto del capo e dice "Il decimo sei tu", Il vecchio non ha fatto altro che indicare l’ovvio: Colui che cerca è il cercato. Lui è il problema, lui è la soluzione.
Il Sè non può conoscersi senza un adeguato mezzo di conoscenza. Lo strumento di conoscenza, lo specchio con cui il Sè ha modo di vedersi sono i Veda, o meglio il Vedanta la parte finale costituito dalle Upanishad e dalla Bagvad Gita.
Questa totalità non è altro che la coscienza, coscienza senza limiti, fuori dal tempo e dallo spazio, che pervade tutto e che sostiene tutto e che si manifesta in ogni forma.  Una è la verità, anche se i saggi la chiamano con molti nomi atman, brahman, è dio, è totalità, satchitananda, è ishwara, bhagawan.
La risposta alla domanda Chi sono io?  è quella magica frase che pervade tutte le Upanishad “tat tvam asi” Tu sei tutto questo. Da qui l’idea indiana che Dio è in ogni forma, in ogni essere vivente, in ogni cosa, Riconoscere quel sé e la sua natura divina è il vero fine della vita umana.
Storia sull’importanza di conoscere il sé.
Su una barca che attraversa il fiume c’è un pandit , un bramino dotto in scritture sacre, il pandit chiede al vecchio barcaiolo sai il sanscrito? no.
un quarto della tua vita è perso, conosci la letteratura classica? no
un altro quarto della tua vita è perso, ci sono libri bellissimi, sai leggere e scrivere? No
un altro quarto della tua vita è andato perso.
Il pandit si accorge che entra acqua nella barca, le sue gambe sono già a mollo, la barca sta andando a fondo, Sai nuotare? Chiede il barcaiolo al pandit, No rispose quello impaurito
Tutta la tua vita è persa, conclude il barcaiolo.
Morale: è inutile saper leggere e scrivere, conoscere il sanscrito e l’intera letteratura se non si conosce se stessi.
Contenuto della Ishavasya Upanishad:
OM! Quello è infinito (Totalità), questo è infinito,  Da quell’infinito proviene questo infinito,  Sottraendo questo infinito a quell’infinito,  Ciò che resta è infinito. OM! Pace, pace, pace!
Solo quell’unico mantra basterebbe a tener viva la tradizione e a far ragionare chi vuol capire.
La tradizione dell’insegnamento del Vedanta era stata stabilita da Shankaracharia nel VIII secolo ma si era presto indebolita, ciò era dovuto prima ai secoli di dominazione mussulmana, poi alla colonizzazione, e i Veda venivano insegnati nella clandestinità. Venivano insegnati da maestro a discepolo in qualche eremo nella foresta. Lo swami, si era dato come compito, di insegnare il Vedanta a chiunque fosse interessato, bramino o meno, indiano o meno. Il Vedanta ha un solo obiettivo spirituale: riconoscere la propria completezza: In questa vita. Ora.
Sotto la spinta di Vivekananda alla fine dell’ottocento , molti, anche in Occidente pensarono che il Vedanta potesse diventare il Vangelo universale come lo definì Romain Rolland.
Lo swami disse il mio karma è insegnarvi, il vostro karma è d’essere i miei shisha.
Non c’è vita senza problemi, senza problemi non ci sarebbe la gioia, i problemi sono la molla della ricerca spirituale.
Lo swami ci spiegava: Come un bruco arrivato in cima ad un filo d’erba si raccoglie su se stesso per passare al prossimo, così il Sè arrivato alla fine di una vita, si raccoglie e passa dal corpo vecchio al nuovo.
Era bravo a spiegare concetti come jiva,  che è l’individuo in ogni essere vivente, quello che passa da vita in vita a volte umana o volte no, jagat che è il mondo, la manifestazione di Brahman, ma non separato da Brahman, come la tela non è separata dal ragno che la produce, il samsara il mondo del divenire, dei desideri, del dharma o dovere, quello che mi aspetto dagli altri è quello che io debbo agli altri, questa è la giusta via. L’aiutare disinteressatamente qualcuno produce punya un credito, i demeriti creano papa, un debito.  Abbiamo la consapevolezza della presenza della ciotola o della non presenza della ciotola, ma la consapevolezza c’è sempre. L’io è presente in tanti ruoli, il comune denominatore di tutti questi io è l’io consapevolezza.
Storia raccontata da Ramakrishna per spiegare la nostra natura divina:
Una leonessa partorendo muore e il leoncino viene adottato da un branco di pecore, cresce con loro, mangia l’erba, impara a belare e ad essere socievole come una pecora, finché un giorno un vecchio leone che aveva osservato da lontano, con un gran ruggito attacca il branco, tutte le pecore scappano insieme al leoncino, ma il vecchio leone lo raggiunge, lo prende per la collottola, lo porta ad uno stagno e lo costringe a guardarsi nello specchio d’acqua, "Allora chi sei? Una pecora?"  Per la prima volta al leoncino viene da ruggire. Quel piccolo leone siamo noi che non sappiamo chi siamo, il vecchio leone è il guru, lo specchio d’acqua è il vedanta. Senza guru non c’è conoscenza.
Dio risiede dentro di te, tu sei Dio, Allora non cercare Dio, cerca invece un guru che ti guidi alla scoperta di te stesso. E da qui rapporto di assoluta dipendenza del discepolo dal suo guru.
L’ashram era un isola fuori dal mondo e un’occasione per ripensare il tutto. Venivano giornalmente recitate delle cerimonie.  Come la cerimonia dedicata alla dea Dakshinamurti, l'incarnazione di Shiva, protettrice dei Veda. Venivano fatte dei Pujia, ossia delle abluzioni alla statua, che veniva lavata con acqua, olio di cocco, latte e yogurt, il capo pujiari che dirigeva la cerimonia pronunciava i 108 nomi della dea, con 108 manciate di petali.
In Occidente sulla spinta laica e iconoclasta abbiamo ridicolizzato ogni credo, eliminato ogni rituale, togliendo con questo il mistero, cioè la poesia dalla nostra esistenza. Senza la cerimonia-iniziazione manca la presa di coscienza del passaggio. Anche io, seguendo questa tendenza non ho fatto battezzare i figli, e mi sono sposato in presenza dei soli testimoni.
In India i riti sono una parte importantissima della vita, tutta la vita è un rito, i riti sono il grande soggetto dei Veda. I Veda alla fine rivelano che il loro vero fine è il superamento dei Veda stessi.
I Veda sono la religione, il Vedanta è la liberazione da tutto, anche dalla religione. Il Vedanta è tutto sul sé, sulla coscienza illimitata fuori dal tempo e dallo spazio.
Lo swami insegnava non pagato da nessuno, perché era il suo karma, a noi era tutto regalato, il vitto e l’alloggio erano il frutto di offerte.  Quando tutti i desideri che dimorano nel cuore sono abbandonati il mortale diventa immortale e raggiunge Brahman, qui e ora. Anche se il mangiare era necessario, non bisognava farne un piacere di cui poi essere schiavi. Il sanscrito degli inni vedici e dei mantra agisce sulla mente ed alza il livello di coscienza, recitando sempre lo stesso mantra, legando l’ultima sillaba alla prima (japa) il respiro acquista un ritmo particolare e determina il cambiamento della mente. Spesso cantare i mantra mi dava un senso di leggerezza che rasentava la gioia.
Il guru che ha completa fiducia nel suo discepolo gli dà, come fosse un prezioso regalo, un mantra che legherà i due per sempre. Il potere non sta nella cosa in sé, ma nel potere della mente che crede nel potere della cosa, in questo caso la mala.
I tibetani spiegano il potere della mente con questa storia.
Un monaco, dopo anni di assenza, va a trovare la madre, che immagina stia per morire di fame, ma al villaggio lo aspetta una sorpresa, la madre sta benissimo, un vecchio sadhu le ha dato un mantra grazie al quale lei mette dei sassi in una pentola e quelli, al suono del mantra diventano patate. Mentre la madre prepara la cena cantando il mantra, il monaco espertissimo di cose sacre, si accorge che la pronuncia delle parole in sanscrito non è corretta, e la corregge. La madre orgogliosissima del sapere del figlio, intona il mantra nella nuova versione. Ma il risultato è deludente, i sassi restano sassi e i due non hanno niente da mangiare. Il monaco capisce, prega la madre di tornare alla sua vecchia versione del mantra, e miracolosamente, nella pentola appaiono le fumanti patate.
Lo swami mi dette l’indirizzo di un medico ayurvedico di cui si fidava.
Andai quindi a Kottakal, una piccola cittadina in Kerala, a cercare l'Arya Vaidya Sala, l’Istituto di medicina ariana, il più vecchio e rinomato centro ayurvedico dell’India, fondato nel 1902 da Vaidyaratman P.S. Varrier (1869-1844).
Ero diffidente verso la democrazia indiana, Nerhu, la figlia Indira Gandhi era diventata primo ministro, il figlio Rajiv Gandhi era a sua volta diventato ministro e assassinato, adesso la vedova Sonia Gandhi un’italiana forse diventerà il possibile primo ministro.
La de-gandhizzazione dell’India iniziò con Nehru, il successore di Gandhi, Nehru era il contrario di Gandhi, era raffinato, elegante, era contro il piccolo per il grande, grandi dighe, grandi industrie, grandi fabbriche, ebbe persino un amore con la moglie del viceré dell’India Lord Mountbatten.  Povero Gandhi era stato tradito, lui che era per il piccolo, per la tradizione, per l’uomo, per i villaggi.
Gli stati del Kerala e  del Tamil Nadu sono diretti da comunisti e cristiani, che ne hanno fatto gli stati con il più alto livello di scolarità dell’India.
Per darsi pace bisogna limitare i desideri come suggeriscono le Upanishad e la Gita.
L’India è un paese povero, ma anche un Paese in cui la gente ha meno desideri, meno bisogni, per questo in fondo è più contento di altri Paesi.   Contento è meno di felice, ma sta per soddisfatto, per chi non agogna a niente di più.
Oltre i medici ayurvedici fra lo stato del Kerala e del Tamil Nadu operano anche i Tangali che sono dei guaritori mussulmani.
I testi sacri dell’ayurveda definiscono il cancro adbhuta rota, una malattia eccezionale, e non rientra tra le malattie curabili e non curabili. E quando l’ayurveda non basta c’è sempre la medicina allopatica. Si registra la mancanza della chirurgia nei trattati ayurvedici, perché non esistono anestetici nella farmacopea ayurvedica.
Per l’ayurveda il cibo è una cosa importantissima, il cibo più costa e più fa male.  Tutti gli animali che vivono nell’acqua come il pesce, aumentano le infiammazioni.
La rinascita dell’ayurveda è stato il frutto di una operazione politica di segno anti coloniale.
L’ayurveda come tutte le cose in India ha origine da un mito, Brahma stabilì le regole con cui sarebbe conservata la vita. L'ayurveda venne portata sulla terra,  dove venne raccolta dai rishi. Attorno al VII secolo a.c. un personaggio di nome Atreya si mise a praticarla e insegnarla in tutta l’India, un diretto allievo di Atreya cominciò a mettere per iscritto i principi fondamentali. Questi commenti arrivano fino al IV secolo d.c. Poi con l’arrivo dei musulmani e degli inglesi molti indiani cominciarono ad abbandonare la loro tradizione medica, la catena di trasmissione fu interrotta, e fu ripresa sola alla fine del 1800, e nel quadro della rivolta indiana contro il potere coloniale, divenne simbolo dello swadeshi, il grande movimento anti britannico per l’autosufficienza. Nel 1835 gli inglesi per combattere il vaiolo, contro le vaccinazioni tradizionali chiusero tutte le scuole di ayurveda.
Oggi solo il 5% del bilancio della sanità va all’ayurveda, e non esiste nessun controllo governativo sulla qualità della medicina ayurvedica. La maggioranza degli indiani si cura con la medicina occidentale e molti occidentali insoddisfatti della medicina di casa loro, si rivolgono all’ayurveda e si avventurano nelle budella dell’India in cerca di una cura antica.
Nata dall’osservazione della natura da parte dei rishi, la Farmacopea ayurvedica era fatta quasi esclusivamente di piante e erbe, soprattutto selvatiche, e la foresta era il grande serbatoio dei rimedi.
Un grande maestro disse ai suoi allievi, andate nella foresta e portatemi tutto quello che credete possa essere inutile, ognuno di loro riportò qualcosa, ma uno che aveva capito che tutto era utile, ritornò a mani vuote e fu elogiato dal maestro.
Le malattie curate con più successo dall'ayurveda sono l’artrite, l'osteoporosi, delle giunture, della pelle, paralisi da trombosi, i postumi da infarto. Le medicine sono classificate in nove categorie. Nel Kerala esiste un’antica scuola di arti marziali, da questa erano nati il karatè e il katana. Il medico ayurvedico che incontrai era come me, moderno, ma con la nostalgia del passato. Sottolineava l'importanza della mente, Il credere a qualcosa.  Anche il grande fisico Niels Bohr teneva attaccato alla porta di casa un ferro da cavallo, e i colleghi che andavano a fargli visita gli chiedevano: Non crederai mica a questa roba? Certamente no, ma dicono che porti fortuna anche a chi non crede. Nessuno lo sa spiegare in termini scientifici, ma a me pareva possibile che una volta acquietata e serena la mente mandasse dei segnali al sistema immunitario perché facesse il suo dovere. In India è molto conosciuto il tulsi, la pianta che tutta l’india considera sacra, è un parente del basilico, nei testi ayurvedici è descritto come la pianta che apre il cuore e la mente e sveglia l’energia all’amore e alla devozione. Anche in Occidente il basilico era in tempi passati una pianta venerata. L’ayurveda è una filosofia di vita, perché ha una dimensione etica e il suo fine non è tanto quello di mantenere l’uomo in salute, ma aiutarlo a raggiungere la sua meta spirituale, la sola garanzia di una vita sana, sta nella forza interiore del paziente. Quale è il fine della conoscenza se non quello di capire la natura per poterne seguire le regole e vivere meglio? Oggi si fa ricerca per scoprire le ricchezze nascoste della natura ed impossessarsene e trasformarle in merci, questa è la causa del degrado spirituale dell’occidente.
Il Kathali è vecchia forma teatrale del Kerala e uno dei classici veicoli di trasmissione della cultura popolare, gli attori sono muti e le storie messe in scena vengono tutte prese dal Mahabharata, dal Ramayana, dalla Gita e dai purana. Durante il festival viene celebrata  Wiswambhara, la divinità protettrice dell’ayurveda.
In un'altra cerimonia veniva celebrato Shiva che tagliava in 51 pezzi il corpo di Sita e ognuno di questi pezzi cade sulla terra e lì venne costruito un grande tempio. Quello dedicato alla yoni, l’organo riproduttivo femminile si trova a Guwahati, la capitale dell’Assam su una roccia, in riva al fiume maschio dell’India il Brahmaputra, Gli altri fiumi, il Gange e  lo Yamuna sono considerati femminili.

Charan Das il sadhu americano, mi ha aveva portato nella piana di Kurukshetra, dove ho assistito al Khumba mela di Allahabad all’incrocio tra Gange e Yamuna e il terzo fiume immaginario o scomparso il Saraswati. C’erano centinaia di migliaia di persone, io ero là e camminavo facendo attenzione agli escrementi, gli altri invasati e disattenti a quello che avevano intorno, erano altrove, aleggiavano in un’anticamera del paradiso. Mentre io ero incapace di entrare in un’altra dimensione. Qui, migliaia di sadhu nudi e coperti di cenere, erano venuti a celebrare il khumba mela, ed ognuno con il suo tridente segnava il proprio territorio, migliaia di pazzi scatenati che mi sono sembrati una sorta di garanzia che l’India non diventerà mai un Paese come gli altri. Una società che si inchina ai loro piedi non diventerà mai completamente materialista
Lasciai l’ashram di Kottakal con le medicine ayurvediche che sapevo che non avrei preso, e mi posi la seguente domanda: "Come avrei fatto a lasciare quella bolla di pace e vivere di nuovo nel mondo?"
Lo swami dopo averci spiegato il Vedanta attraverso le Upanishad, ci parlò della Bhagvad Gita, il vangelo degli indiani.
Il Dio Khrisna per spiegare ad Arjuna la morte dice:
Come un uomo butta via un vecchio abito per indossarne uno tutto nuovo,
così colui che sta in un corpo consumato lo lascia per uno che non è stato mai usato,
per non confondere il jiva che abita nel corpo aggiunge:
E quello, non c’è arma che lo tagli,
non c’è fuoco che lo bruci, non c’è acqua che lo bagni, non vento che lo asciughi,
Impensabile, immutabile, non manifesto
è il Sè e tu sapendoti tale, non hai ragione di soffrire
.

Il dio della Gita non ha un popolo eletto, non condanna nessuno per l’eternità, è un dio che è tutto e ovunque, e non ha bisogno di intermediari, che non manda qualcuno sulla terra. Nella visione della Gita mi piaceva l’idea che il mondo dei sensi non fosse visto come Maya, illusione o ostacolo alla vera Conoscenza. Il Vedanta non nega il mondo, è partendo dalla propria percezione del mondo che ognuno può scoprire ciò da cui il mondo dipende.
Soprattutto mi piaceva che non ci fosse il concetto di peccato originale, e i desideri non sono riprovevoli, ma sono parte della vita. I desideri ci legano al samsara, al mondo del divenire, solo tagliando quei fili si può davvero essere liberi.
Gli indiani usano la Storia degli elefanti per spiegare maya, l’illusione. Un uomo muore lasciando ai tre figli 17 elefanti; nel testamento è scritto che la metà deve andare al maggiore, un terzo al secondo, un nono al terzo. I figli non riescono a fare la divisione, pensano di tagliare in due un elefante, e finiscono per litigare. Nel frattempo passa di lì un ministro del re sul dorso di un elefante, assiste alla disputa e dice: prendete il mio elefante, aggiungetelo agli altri e fate la divisione. 18/9 = 9 elefanti vanno al primo figlio; 18/3= 6 elefanti vanno al secondo figlio; 18/9=2 elefanti vanno al terzo figlio.
9 + 6 + 2 la somma degli elefanti è 17, i fratelli ringraziano il ministro, lui riprende il 18 elefante il suo, e ritorna verso la capitale.     Così è il mondo, non un’illusione, ma qualcosa che ci aiuta a fare i conti e a riconoscere che l’intero universo è sostenuto dalla coscienza, da quella realtà o totalità, dal sé, di cui tutto è parte.
Dopo settimane trascorse all’ashram cominciavo ad entrare in crisi, l’isolamento mi pareva forzato,
io ero e restavo europeo, sentivo nascere la contraddizione di fondo tra il nostro modo di essere al mondo e quello degli indiani. Per noi il valore supremo è la vita, per loro la non-vita. Moksha, la liberazione dal rinascere è la grande aspirazione di questa civiltà. La vita così come è continuava a piacermi, ci vedevo ancora tanta gioia, anche se capivo che alla gioia segue la sofferenza, mi piaceva il distacco ma non l’indifferenza. 
Il mondo dell’ashram cominciò ad apparirmi non molto diverso dal mondo fuori, ci vidi le stesse dinamiche, le donne si contendevano, pur gentilmente, di servire gli swami che venivano in visita, si creavano obblighi e tensioni. Se qualcuno pensa che entrando in un ashram sfugge alle trappole della vita si sbaglia.
Quando visitai il bazar, che mi si presentò col solito disperante squallore, mi accorsi che era lontanissimo dall’ashram col suo ordine braminico, la sua gente pulita, vestita di bianco ed intenta a pensare al Sè. Allora inevitabilmente mi chiedevo a che cosa servissero tutte quelle belle idee, quando la società prodotta da quelle idee era così squallida. Il miglior modo di valutare una causa era guardare i suoi effetti, ero sempre più confuso.
Siddha è l'antico sistema di medicina del Tamil Nadu, simile all’ayurveda ma influenzato da pratiche alchemiche cinesi.
Terzani, in questo libro, fa la distinzione tra Le religioni forti e deboli, le prime aggressive e missionarie, come il cristianesimo e l’islam e le religioni che non cercano di fare proseliti come ebraismo, zoroastrismo, e lo stesso induismo, e anche il buddhismo sebbene non sia una vera religione.
Questa posizione era diversa da altri mistici come Ramakrishna che asseriva che tutte le religioni sono uguali, che erano come l’acqua di uno stesso stagno messa in secchi diversi e chiamata in modi diversi, Ugualmente tollerante era stato Vivekananda il suo discepolo.
Secondo lo swami i tempi erano cambiati ed ora l’induismo stava subendo una vera e propria aggressione. Le conversioni all'islamismo e al cristianesimo erano per lui una nuova forma di colonialismo. Secondo lo swami occorreva opporre resistenza e ristabilire le vecchie tradizioni indiane. Avevo voglia di rimettermi in cammino, alla ricerca, liberarsi dei desideri è più difficile di quanto credessi.
Come disse lo swami potevo scegliere tra il me che desidera o il me che rideva del me che desiderava. E mi raccontò la Storia zen del monaco moralista.
Due monaci stavano camminando per una strada allagata da un acquazzone, si trovano davanti una bella ragazza che ben vestita non riesce ad attraversare la pozzanghera, uno dei due la prende in braccio e la deposita all’asciutto. l’altro non dice niente, ma la sera quando sono al tempio dice con aria di rimprovero: "noi monaci dobbiamo stare lontani dalle donne, specie se giovani e belle, toccarle poi è estremamente pericoloso, perché lo hai fatto?"
l’altro monaco risponde, "io quella ragazza l’ho lasciata dall’altra parte della pozzanghera, tu invece te la sei portata dietro fin qui."

Nell'ashram si è svolta la cerimonia di ringraziamento a Dakshinamurti, la divinità dell’ashram, l'incarnazione di Shiva e protettrice dei veda. Durante la cerimonia venivano ripetuti i mantra (japa) e le formule di ringraziamento, il suono aveva il suo potere, ripetere l’OM namashivaya in modo circolare e per ore, svuotava e calmava la mente. E il vedanta? Alla fine non mi sentivo separato dal mondo, anche se non mi prendevo per una piccola onda separata dall’oceano, comunque non avevo più paura della morte. E la vita passa fuori e dentro l’ashram, passa in una sequela di attese, di riti il cui unico significato sta nel fatto che paiono dare un qualche senso all’inutile passare della vita e dell’esistenza.
Se invece di recitare quel mantra centomila volte avessimo investito quel tempo a scavare un pozzo, forse l’India non avrebbe due terzi della sua gente senza acqua potabile.
L’ultimo consiglio dello swami prima della fine del corso fù il seguente: Vivete una vita in cui potete riconoscervi.
Dopo tre mesi ripartimmo, ognuno per la sua strada, ponendoci forse un po’ più coscientemente quella domanda fondamentale a cui, non tutti, credo, avevano trovato una risposta “Chi sono io?”.

venerdì 6 agosto 2021

La Musica Indiana: Cenni di teoria musicale.

 La Musica Indiana: Cenni di teoria musicale.    Articolo scritto dal mio amico Roberto Dati 

La Musica Indiana ha una tradizione millenaria e caratteristiche peculiari e sofisticate che la rendono estremamente affascinante sia ad un ascolto di tipo puramente spirituale, a cui è naturalmente indirizzata, sia a un’analisi musicale tecnico-teorica, obiettivo più complesso perché non è facile da codificare secondo gli schemi occidentali. ..

La distinzione della Musica Indiana in indostana, del nord dell’India, e carnatica, del sud dell’India è determinata dalla differente storia delle due aree, con conseguenti sviluppi nello stile e nella nomenclatura, pur avendo le caratteristiche di base comuni.

L’esecuzione della Musica Classica Indiana non si basa su partiture scritte, né su melodie strutturalmente definite tramandate per via orale, ma cornici, tramandate da insegnate ad allievo, entro cui il musicista improvvisa, chiamate raga.

Un raga è un brano musicale nella musica indiana, e la sua esecuzione produce ogni volta risultati diversi che sono il frutto dell’improvvisazione ispirata del musicista che è al contempo compositore estemporaneo e esecutore. Con le dovute distinzioni i raga nella musica indiana possono essere accostati agli ‘standard’ definiti da temi e sequenze armoniche su cui si improvvisa nella musica jazz.

Il materiale grezzo su cui si sviluppa il raga è di tipo melodico e ritmico.

Non è contemplata l’armonia com’è intesa nel sistema occidentale tonale con accordi di più note, le cadenze armoniche, tensione e risoluzione: al massimo è previsto un bordone o drone o basso continuo fondamentale, e questo rende la melodia del raga ancora più libera di svilupparsi a lungo in via monodica in modo aperto.

Il materiale melodico è costruito scegliendo le note da sequenze diatoniche che potremmo definire scale o modi, gli svara, che sono di 7 note, similmente alla scala maggiore e minore e ai modi utilizzati nel sistema musicale occidentale.

Nel sistema indostano sono presenti 10 scale di sette note, in quello carnatico 72, chiamate melakartas, un materiale ricchissimo a cui attingere.

I nomi delle sette note (analogamente alle italiane DO RE MI FA SOL LA SI, oppure in inglese C D E F G A B) nelle due principali tradizioni classiche indiane sono:

  • - la indostana (Hindustani - India settentrionale): Sa Re Ga Ma Pa Dha Ni
  • - la carnatica (Karnàtak - India meridionale):  Sa Ri Ga Ma Pa Dha Ni

L'insieme delle 12 note della scala cromatica, a distanza di un semitono l'una dall'altra, talvolta viene così indicato (a partire da una nota qualunque scelta come nota di partenza):   S-r-R-g-G-m-M-P-d-D-n-N-S'

Ma la musica indiana utilizza intervalli ancora più piccoli del semitono della scala cromatica, gli sruti. Sono previsti 22 sruti all’interno di un’ottava, la cui esatta ampiezza non è ben definita, ma viene realizzata attraverso i glissando e quindi dipende dall’esperienza e dall’istinto dell’artista.

Differentemente dalle consuetudini occidentali, che, sfruttando il principio dell'intonazione assoluta, attribuiscono un nome specifico ad una nota con altezza (frequenza) ben definita, nella cultura musicale indiana le note hanno invece nomi fissi che si adattano all'altezza della nota scelta come riferimento (in occidente questo approccio è simile alla solmisazione relativa o do mobile è un metodo di lettura, nato già intorno all’anno 1000 con Guido D’Arezzo e utilizzato da Kodály come mezzo didattico).

E’ singolare notare che tutte le 10 scale del sistema indostano e le 72 scale del sistema carnatico contengono il quinto grado, il Pa, non alterato, ma sempre all’intervallo di quinta giusta.

Ebbene i raga contengono il numero e la sequenza delle note delle scale (svara) da suonare in partenza, e un insieme di indicazioni che riguardano quale nota debba essere la "fondamentale", quali siano le note di "riposo" o quelle "dissonanti" e le variazioni micro-tonali (sruti) a partire dai gradi della scala. Spesso i raga utilizzano diverse scale, distinte per il moto melodico ascendente e per quello discendente.

Il raga è strutturalmente diviso in due metà: la prima, l’alapa (sorta di preludio o verse) è un’introduzione senza una precisa scansione ritmica, in cui gli schemi melodici prendono forma e il ritmo parte lentamente ed è accelerato. la seconda, il gat (il chorus) in cui si innesca il ciclo ritmico tala basato su metriche spesso complesse e asimmetriche, dove il dialogo tra i musicisti aumenta di intensità e ritmo.

Come nella musica occidentale vengono utilizzati i termini groove, swing, per indicare la personale oscillazione o spinta ritmica, così nella musica indiana una parte importante è la “sensazione” del ritmo che viene chiamata laya.

L’organizzazione del ritmo tala segue formule “additive”, nel senso che sono presenti dei patterns ricorrenti, il cui modulo temporale che si ripete non costituisce una durata da dividere necessariamente in parti uguali (come la battuta nella musica occidentale), ma un gruppo di elementi più lunghi e più corti, come dei segmenti temporali o modi ritmici che si ripresentano ciclicamente. I tala non solo possono essere molto lunghi e si caratterizzano anche per una peculiare suddivisione interna, che vede la somma di raggruppamenti non tutti uguali. La ritmica indiana si fonda sull’uso di un sistema di sillabazione, le cui sequenze verbali (es. Ta ka din – ta ka di na tam) hanno non solo un carattere onomatopeico, ma sono strettamente legate ai frammenti ritmici che rappresentano e hanno il compito di rafforzarne la fluidità e di conferirgli un senso e una struttura.

In conclusione la Musica Classica Indiana e i raga sono una fonte ricchissima di materiale di ispirazione.

Bibliografia:

  • Derek Bailey: L’Improvvisazione, sua natura e pratica in musica, Trad. Francesco Martinelli, Ed. Arcana Editrice
  • Paolo Annessi: Melakartas, 72 modi dell’India del Sud per chitarra, Ed. fingerpicking.net
  • Vincenzo Caporaletti: Introduzione alla teoria delle musiche audiotattili. Un paradigma per il mondo contemporaneo, Aracne Editrice.

mercoledì 2 giugno 2021

L'India e il Covid

I record di infezioni e morti legati al Covid-19 in India non si indeboliscono.  In un solo giorno, (fine maggio 2021), l'India ha ufficialmente registrato 4197 nuovi decessi. La macabra cifra porta il totale dei morti nel Paese di 1,3 miliardi di abitanti a più d 300.000 morti ufficiali dall'inizio della pandemia. In un giorno, il paese ha registrato 401.078 nuovi casi di Covid-19, portando il numero totale di casi a quasi 22 milioni. Nonostante gli aiuti internazionali, i pazienti continuano a morire alle porte degli ospedali intasati. E, secondo gli esperti, il peggio deve ancora venire, con il picco dell'epidemia previsto entro poche settimane. Ma queste cifre sono senza dubbio ben al di sotto della realtà. Rispetto agli ospedali, si registra la mancanza di letti, ossigeno e di personale. La gente ha paura e non va più a lavorare.

Il leader dell'opposizione Rahul Gandhi ha invitato il primo ministro a imporre un blocco nazionale per prevenire la diffusione della pandemia, che sarebbe "devastante" per l'India e altri paesi. Il governo, sotto tiro per la sua gestione della crisi, ha in gran parte lasciato ai singoli Stati indiani la decisione sulle misure per combattere la pandemia. Mentre la situazione si sta stabilizzando nelle grandi città come Nuova Delhi e Mumbai, che hanno ricevuto ulteriori forniture di ossigeno - molte delle quali dall'estero - è ora nel sud rurale del paese dove il virus si sta diffondendo più rapidamente.

È in questo contesto che Baba Ramdev, uno dei più famosi guru del Paese, interviene in un raduno di fedeli per promuovere i rimedi tradizionali. "Centinaia di migliaia di indiani sono morti di Covid-19 nonostante i trattamenti allopatici".  Swami Ramdev è uno dei più noti divulgatori di Yoga e Ayurveda in India,  organizza e conduce grandi campi di yoga dal 2002, trasmettendo le sue lezioni di yoga su vari canali TV,  e dirige una grande società che produce prodotti ayurvedici. Questo swami sostiene di aver trovato una cura ayurvedica per combattere il Covid,  e raccomanda di fare yoga e  pranayama come prevenzione.  

Il video del suo discorso, ritrasmesso sui social network, ha suscitato un enorme clamore: l'associazione medica indiana ha minacciato di portare Baba Ramdev in tribunale. Dopo queste dichiarazioni si è aperto un aspro confronto tra la medicina tradizionale indiana e la medicina allopatica. Vedi link    vedi link (2)  vedi link (3)

martedì 18 maggio 2021

La tigre bianca - Film

 La tigre bianca (The White Tiger) è un film del 2021 scritto e diretto da Ramin Bahrani.   Si tratta dell'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Aravind Adiga del 2008. 

Il film presenta l'India moderna, e ne fa un ritratto abbastanza crudele. La trama è la seguente: Ashok, ricco fondatore di una startup di Bangalore, racconta in una lettera indirizzata al primo ministro cinese la sua storia. Nato in un povero villaggio del nord dell'India con il nome di Balram, inizia a lavorare come autista per una ricca famiglia indiana corrotta. 

Spinto dalla voglia di riscattarsi socialmente e di vendicarsi dei soprusi ricevuti in qualità di servo appartenente ad una casta bassa, l'astuto Balram riesce ad ingraziarsi il suo padrone Ashok, arrivando  a prendere il suo nome e il denaro usato per corrompere la classe politica indiana, per poi recarsi a Bangalore e diventare un imprenditore di successo.

martedì 4 maggio 2021

Il Kumba mela

Nell'India, questo grande e misterioso Paese, ci sono ancora oggi molti luoghi sacri, in cui vengono celebrate varie festività, a cui partecipano folle impressionanti di fedeli, a cui ho avuto la fortuna di assistere. Tra queste festività possiamo citare ll Purna Kumbh Mela ("Completa" Kumbh Mela ) che si svolge ogni tre anni a rotazione in quattro luoghi diversi: Allahabad (Prayag), Haridwar, Nashik ed Ujjain. 

L'evento che ha origine dalla leggenda che narra della lotta tra i deva (gli dei)  e gli asura (i demoni), per ottenere l'urna (kumbh) contenete il nettare della vita (amrita). Durante questa lotta il dio Vishnu prese l'urna contesa e alcune gocce del prezioso nettare caddero nelle quattro località sacre sopra citate che si trovano tutte sulle rive del Gange.

Il Kumbh Mela detto anche “raduno della brocca”, è uno degli eventi religiosi più importante, propizio e grandioso degli induisti. In occasione di questo evento folle di fedeli e pellegrini si riuniscono per immergersi nel sacro Gange. Con il sacro bagno snan, si purificano dai tutti i peccati per raggiungere la salvezza.

Oltre alla Purna Kumbh Mela, ogni sei anni a rotazione in due luoghi diversi (Haridwar e Prayag) si svolge  l'Ardh Kumbh Mela.  L'ultimo si è tenuto a Allahabad/Prayang nel 2019 a cui parteciparono più di 15 milioni di fedeli.

Poi c'è la Maha Kumbh Mela ("Grande" Kumbh Mela) che si celebra ad Allahabad dopo 4 Purna Kumbh Mela (e di conseguenza dopo 12 anni).  Al Maha Kumbh Mela di Allahabad del 2013 hanno partecipato, secondo alcune fonti, circa 100 milioni di persone, mentre secondo altre, circa 80 milioni.

Quest’anno per la prima volta da un secolo a questa parte il Kumbh Mela, per calcoli astrologici, è stato anticipato di un anno e si è svolto a marzo nel 2021 ad Haridwar.

Nonostante i problemi pratici derivanti dalla pandemia Covid-19 le autorità indiane hanno deciso di confermare il Maha Kumbh Mela di Haridwar riducendo il periodo dagli originari 3 mesi e mezzo a 48 giorni dall’11 marzo al 27 aprile 2021.  

giovedì 29 aprile 2021

Ravi Shankar e la musica indiana

 Ravi Shankar (1920 - 2012) è stato un compositore  e suonatore di sitar indiano (il tradizionale strumento a corde simile a un grosso liuto). Suonò in modo divino il sitar e una delle sue figlie Anoushka Shankar ha continuato l'attività del padre.

Il nucleo della musica di Ravi Shankar è sempre stato la spiritualità. È considerato uno dei maggiori virtuosi del sitar del Novecento ed ha lavorato instancabilmente per portare la grande musica del suo Paese, l'India,  in ogni angolo della terra.  "Ravi Shankar, è considerato "il musicista per il mondo" ed è stato onorato con più di 14 dottorati onorari da tutto il mondo. Ha instancabilmente suonato, insegnato, composto e fatto tournée per più di 75 anni.

Quello  che mi ha colpito di più della sua musica, è che c'è un grandissimo rispetto per ogni singola nota suonata, e il suonare il sitar diventa una vera e propria meditazione. A volte medito sulla sua musica. 

Le sue straordinarie improvvisazioni al sitar  hanno richiamato l'attenzione, oltreché del pubblico e degli studiosi, dei musicisti jazz (fra cui J. Coltrane) e dei gruppi pop (Beatles e altri), i quali hanno talvolta introdotto il sitar nel loro organico. Ravi Shankar è il fondatore dell'Orchestra nazionale indiana. La Fondazione Ravi Shankar è stata creata nel 1997.   https://www.ravishankar.org/

Link: https://www.youtube.com/watch?v=-f1DNyngKVY    https://www.youtube.com/watch?v=gMk2eTqPLWk

Ravi & Anoushka Shankar  https://www.youtube.com/watch?v=lIQrUZLyATo

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...