mercoledì 29 settembre 2021

Condivisione dell’essere, SAT-SANG con Mauro Bergonzi

Condivisione dell’essere, SAT-SANG con Mauro Bergonzi giugno 2020, vedi: https://www.youtube.com/watch?v=Lxs1NPeW2-g

Ho seguito con piacere, per quasi tre anni, questi incontri con Mauro Bergonzi, ed è uno dei pochi relatori in grado di esprimere a parole la "Non dualità". 

Mauro Bergonzi è stato docente di Religioni e Filosofie dell'India presso l'Università degli Studi di Napoli “L'Orientale” ed è socio analista del Centro Italiano di Psicologia Analitica (C.I.P.A.) ed è l'autore del bellissimo libro Il sorriso segreto dell'essere.


Secondo Mauro le nostre azioni quotidiane sono dettate dalla paura o dal desiderio (di emergere, di fare carriera, di migliorare la posizione sociale) e sono collegate al dolore (fisico o mentale) o al piacere. Paura e desiderio sono collegate, appaiono sempre insieme, non sono due cose, sono parte di un qualcosa, sono una l’ombra dell’altra, legate al pensiero e al tempo. La paura si genera dalla memoria del dolore, il desiderio si genera dalla memoria del piacere.  Cerchiamo attraverso la conoscenza di superare questa dicotomia e la conoscenza, in questo caso, diventa fonte di  potere.

La coscienza appare con il suono, con la forma, col pensiero, appare e scompare. Quando c'è un’osservazione c’è una coscienza A che si accorge dell’apparire e scomparire delle varie osservazioni della coscienza B, che è effimera, nasce e muore con l’esperienza.

La coscienza A include sia l’osservatore e l’osservato, percepisce l’apparire e lo scomparire della coscienza B. La coscienza A ha come punto di origine il senso di esserci, la presenza consapevole, il punto di partenza perché le esperienze appaiano o scompaiano.

Nisargadatta Maharaj usa una metafora: "quando il sole sorge, le infinite gocce di rugiada cominciano a splendere e, in ognuna di esse compare un puntino luminoso che è il riflesso del sole su ciascuna goccia di rugiada che sembra contenere questo puntino luminoso".

Se consideriamo le gocce come mente – corpo, quella coscienza di esserci, è il riflesso sul corpo-mente di una luce senziente che alcuni chiamano consapevolezza, la quale non ha una localizzazione. Senza una goccia quel puntino non appare, la goccia è necessaria ma non sufficiente. Quando la goccia evapora, per la luce del sole non fa nessuna differenza, quel puntino riflesso fa da ponte tra infinito e finito, da un lato è l’esserci e dall’altro è il testimone, è la luce che permette a questo senso di esserci, di essere cosciente; da quel puntino si dispiega tutto il mondo del conosciuto, ma la conoscenza non può conoscerlo. Si può conoscere il senso di esserci ma non si può conoscere la luce senziente che lo produce.

Noi sappiamo di esserci, se vi chiedete "Io ci sono"? Come fate a negarlo? Per negarlo dovete esserci, è la cosa più evidente che ci sia, ma quando ci mettiamo ad osservare. possiamo avere solo esperienze limitate.  L’occhio vede all’infinito e le forme più varie, ma non può vedere se stesso, ma è innegabile che l’occhio ci sia.

Io posso conoscere un’infinita di cose, anche il fatto di esserci. Cartesio asseriva: "se mi inganno vuol dire che ci sono". Questo esserci viene dalla luce senziente che noi siamo, che non ha limiti e non ha confini. La domanda che possiamo porci è:  “Che cosa posso conoscere? E scartare tutto ciò che conosco perché non è il Tutto, ma è solo un aspetto del tutto.

La paura di diventare nulla dipende da quale grado di identificazione che c’è tra quella luce senziente e  mente - corpo; può diventare nulla, solo ciò che diviene, la paura di morire è la paura di diventare nulla. David Loy, dice che è una paura o una fobia. In psicanalisi, la fobia viene dal fatto che la paura è stata rimossa, è un compromesso tra la vera paura del passato e la coscienza che non vuole conoscerla.

La paura della morte è la fobia per allontanare una paura più grande, quella che non ci siamo nemmeno adesso. Io sparirò fra vent’anni ed ho paura, ma adesso io ci sono, ma questo io è un miraggio. Nasce dall’identificazione della luce senziente con un determinato corpo - mente. E’ solo l’organismo che inserito nel tempo diviene, nasce e muore, ciò di cui è fatto rimane nell’universo, come l’onda del mare, quell’onda particolare svanisce, così le forme appaiono e scompaiono.

L’io separato non esiste nemmeno adesso, appare come un miraggio, ma non c’è separazione con il resto dell’universo, la coscienza che si riflette sulla mente ed appare come un io e che sa di esserci, che ha il senso di esistere, è l’io sono, è il sé. L’io è la falsa identificazione della coscienza,  soltanto con un corpo – mente (la persona).

Quando invece percepisci in maniera più evidente, il tuo esserci, l’io sono, è una evidenza. Ti accorgi chequesto senso di esserci non ha confini, è lui che da origine alla coscienza dentro cui appare il corpo e il mondo. Questo sé comprende tutto il conoscibile, tu ci sei, questo sé va e viene quando dormi, e sparirà questo senso di esserci quando il corpo non ci sarà più, per apparire ha bisogno di quel corpo, ma come coscienza comprende tutto che resta quando sparisce il corpo-mente. Diventi nulla rispetto a quell’io che credi di essere.

Se non sei identificato soltanto con il corpo mente ma con il senso di esserci, quella luce senziente è oltre l’esserci e il non esserci (ed è totalmente inconoscibile). Il corpo-mente è qualcosa di conosciuto quindi non è quella luce senziente.

Nisargadatta dice "tutte le cose sono visibili alla luce del giorno, ma la luce del giorno non è visibile". Il sé che osserva l’io, è qualcosa legato alla manifestazione, il sé senziente non è il nulla. E' il sé che osserva le cose, è il testimone di questo e di quello.

Il sé che intuisce sé stesso, è l’essenza dell’essere, questo sé è il riflesso della luce senziente sulla mente, quando smette di essere testimone. "Dove va l’udito quando non c’è rumore nella stanza?"

La luce senziente non va da nessuna parte, non sta nello spazio - tempo, forse possiamo definirla nulla, è sempre qui e adesso,  è l’Essere.

Essere e nulla possono essere usati indifferentemente, non c’è bisogno di arrivare al nulla, basta vedere che le nostre conoscenze sono false. Utili per manipolare la realtà e vivere. Scarti tutto quello che è falso, quello che resta è quello che veramente sei. Non c’è bisogno di conoscere l’essere perché "Noi siamo l’essere".

Ramana Maharshi dice: "Una delle cose più strambe è, che noi essendo la realtà, cerchiamo la realtà, e un giorno rideremo di tutto questo, e quello che ci sarà quel giorno, c’è anche adesso".

Leggendo attentamente il testo Io sono quello di Nisargadatta, si scopre che contiene dei dialoghi contraddittori, questo perché Nisargadatta rispondeva in funzione a chi stava di fronte a lui.

Per Toni Parsons, un altro grande teorico del Non dualismo, "Non c’è una via, un maestro ti dirà che non c’è differenza tra te e lui, le cose accadono, e tu non hai nessuna scelta. Non puoi cercare la realizzazione perché sei già un realizzato".

Un discepolo chiese a Nisargadatta "Se l’io è illusorio e le cose accadono, perché allora proponi questi incontri in cui tu parli e cerchi di spiegarci alcuni concetti?" e  Nisargadatta rispose: "Finché noi ci troviamo a questo livello di realtà del corpo-mente bisognerà pure passare il tempo in qualche modo".

Noi cerchiamo la liberazione, ma la libertà non può essere condizionata, non può essere causata. Tutto quello che tu farai per raggiungere la libertà avrà una conseguenza che non sarà libera, ma sarà condizionata da quello che tu hai fatto. Il vero incondizionato non lo puoi raggiungere.

Ramana Maharshi dice: "Ogni esperienza nuova che tu puoi avere, che non c’era prima, finirà". L’idea di fare un percorso verso la liberazione è contro natura, la natura ci dice: tutto quello che puoi raggiungere lo perderai, quello che nasce muore, quello che puoi costruire si distruggerà.

Nisargadatta dice: "Invece di cercare quello che non hai, trova quello che è sempre con te, se è sempre con te qui e adesso, cosa si deve fare per raggiungerlo? Se mi metto in un percorso, e quello è già qui, non mi accorgo che la felicità è già qui. È assurdo praticare o mettersi in un percorso spirituale per qualcosa che è già qui. Ad esempio se qualcuno ha praticato per molti anni e gli è capitato di aprirsi alla Non dualità, allora può facilmente ingannarsi e pensare che questa percezione l’ha avuta grazie ai molti anni di meditazione che ha fatto. Allora quella persona andrà ad insegnare agli altri dicendo: "se mediterete per molti anni,  come me arriverete all’illuminazione". Dandogli una causalità che non ha.

Un altro, che non ha mai meditato, sdraiato sulla spiaggia al sole arriva a percepire questa completezza e allora dirà: "non meditate, è una cosa spontanea". Questa apertura è sempre qui e non c’è niente che può attivarla.Tutte queste azioni danno per scontato che ci sia un Io sono. Le cose accadono, non c’è libero arbitrio, né determinismo. Solo con un Io separato,  può esserci libero arbitrio o determinismo.

Secondo Thich Nhat Hanh, maestro buddhista vietnamita, l’agire morale è l’autostrada per la liberazione. La morale, in generale, ha senso in relazione con gli altri, ed è utile per regolarizzare i rapporti impersonali. La chiarezza della mente diventa comprensione e riduce un’enorme massa di sofferenza, la comprensione, non è associata alla sensibilità, ma può aiutare a diventare sensibile.

Per Thich Nhat Hanh i precetti sono come una stella polare, un precetto può essere un’occasione per indagare sulla nostra libertà. Capendo l’interconnessione, si può arrivare a vedere che le cose sono tutte in rapporto con le altre. Quando non c’è più separazione l’unica risposta che accade è l’amore.

Esempio del barcaiolo nella nebbia, lungo il fiume vede una barca contromano che gli sta venendo addosso, il barcaiolo comincia ad insultare il conducente della barca, poi si accorge che non c’è nessuno su quella barca, e la rabbia sparisce.

La coscienza si manifesta quando siamo svegli con diversi tipi di contenuti: sensi, mondo, corpo, mente. Si manifesta anche quando dormiamo e sogniamo, e quando dormiamo e non sogniamo.

Nisargadatta asserisce: "L'Io identificato con corpo e mente, è infinitamente piccolo e contenuto nel Tutto, che è Dio, Dio contiene l’Io".  Dio lo vediamo come qualcosa di diverso da noi ed è il Tutto che ci contiene.  Allora cerchiamo di conoscere il Tutto, ma il compito è impossibile anche utilizzando i concetti più astratti, essere o non essere, ecc.  Spesso quando pensiamo al Tutto lo associamo a Dio. Noi rappresentiamo la realtà in base a come noi pensiamo noi stessi, così noi vediamo il Tutto.

Se mi vedo come un piccolo io separato, identificato con corpo e mente, quando penso al Tutto, lo penserò come Non me, come qualcosa che mi trascende, cercherò di raggiungere una fusione e una contemplazione con questo Tutto spesso associato a Dio. Ma io e Dio, siamo due maschere di questa realtà non separabile. Quando cade l’idea di Io anche il concetto di Dio cade, quello che resta è inseparabile, è indivisibile.

I cammini del sacro: Esperienze di saggezza.

I cammini del sacro: Esperienze di saggezza.    Vedi link

L'uomo da tempi memorabili è alla ricerca del sacro, di fare esperienze del sacro e le correnti spirituali e filosofiche cercano di rispondere a queste domande mettendo a punto una serie di metodi. Il filosofo, sociologo e scrittore Frédéric Lenoir ha viaggiato ai quattro angoli del mondo per incontrare donne e uomini che hanno sperimentato la saggezza, cercando di trovare una risposta alla seguente domanda: "Come essere felici e che senso dare alla propria esistenza, come essere in armonia con se stesso e il mondo".

In Giappone, Lenoir ha incontrato il monaco Zen Magami, che pratica il tiro con l'arco Kyodo e la cerimonia del tè, e cerca di raggiungere la saggezza coltivando un certo equilibrio tra mente e corpo. A Boston ha incontrato Jon Kabat-Zinn, professore di medicina e dottore in biologia molecolare, l'ideatore della mindfulness, un metodo che ha dimostrato gli effetti positivi della meditazione per aiutarci a vivere meglio. A Parigi ha incontrato il filosofo André Compte-Sponville fautore di una  spirituailtà laica.  In Canada, ha incontrato Nicole Bordeleau che ha trovato nello yoga indiano e nel Qi Gong cinese un modo guarire e per lavorare sull'energia e sul respiro. In India ha incontrato gli asceti a Rishikesh e a Varanasi, e i rifugiati tibetani a Dharamsala. Infine, in Nepal, ha incontrato Matthieu Ricard, un monaco buddhista con un percorso di vita straordinario, che pone la compassione al vertice di tutta la saggezza.

Lo zen è una via per fare esperienza del sacro. Il cuore spirtuale del giappone è Kyoto dove c'è equilibrio tra tradizione e modernità. Qui è ancora vivo il buddhismo zen con le sue espressioni: il Kyodo - la via dell'arco, la cerimonia del tè e la meditazione Za Zen (za = sedersi,   zen = meditazione). Il cuore dello zen è il meditare sull'essenza dell'essere, cercare di trovare la verità attraverso la propria esperienza di vita, allargare la propria interiorità. Nel tiro con l'arco si cerca un'osmosi tra corpo e arco per raggiungere il bersaglio. Si medita in piena natura e lo scopo della meditazione zen è di legarsi all'universo, fondersi con la natura. Si immagina di diventare l'aria, gli alberi, ecc,  Durante la meditazione Za Zen si porta la coscienza nell'istante presente, si cerca di trovare la risposta giusta ad una domanda. Ad esempio come essere utile a qualcuno, come aiutarlo? La cerimonia del tè è una forma di meditazione, una via verso la liberazione dall'agitazione del mentale, e segue un protocollo ben definito in una piccola opera scritta nel XIII secolo. C'è una entrata bassa per accedere alla sala della cerimonia, che ha come significato allegorico di lasciare lo status sociale fuori dalla sala. I principi  che guidano questa cerimonia sono: rispetto, silenzio, armonia, tranquillità, purezza.  Si prepara il tè in silenzio, raccogliendo il corpo, la mente e il cuore, con un sentimento di gratitudine verso la persona invitata. Lo zen è una via di trasformazione interiore e una ricerca perpetua di saggezza, serenità e equilibrio in un mondo che va sempre più veloce,

Buddha asseriva che occorre liberarsi dalla sofferenza nel più profondo di noi stessi. Jon Kabat Zin l'ideatore della mindfulness studia dal 2000 l'effetto della meditazione sullo stress, e le modifiche sul cervello. Attraverso la meditazione occorre vedere la vita come un laboratorio, cercando di riconoscere la sofferenza e le sue cause, e il potenziale di liberazione dalla sofferenza,  La mindfulness ha gli stessi risultati di un antidepressivo.   André Compte-Sponville,  filosofo francese asserisce che: "la saggeza è il massimo benessere possibile, nella massima lucidità". Per Epicuro, la saggezza è arrivare al benessere riducendo il numero dei desideri, la persona che cerca gloria, denaro, potere non sarà mai felice. La verità che ciascuno di noi  sperimenta è che tutti moriremo, la vita è difficile, il benessere è improbabile.

Nicole Bordeleau è riuscita a guarire dalla malattia  lavorando sulla respirazione attraverso tecniche yoga e Qi Gong. Il respiro è  sacro, lavorare sul respiro è come lavorare sulle nostre facoltà psichiche, sulla nostra coscienza. E' creare un legame particolare con tutto quello che ci circonda. Il termine Qì Gōng si riferisce a una serie di pratiche e di esercizi collegati alla medicina tradizionale cinese e in parte alle arti marziali che prevedono la meditazione, la concentrazione mentale, il controllo della respirazione e particolari movimenti di esercizio fisico.  Il corpo e il respiro ci dicono tutto su di noi, la natura ci insegna come essere soddisfatti, come radicarci, ecc,  riconnetterci con qualcosa di più bello e più grande, con lo spazio intorno a noi.

Rishikesh in  India è la patria dello yoga. Lo yoga, unione corpo - mente è  praticato dagli asceti indiani che cercano la liberazione.  Lo yoga è stato una delle prime correnti spirituali che ha cercato di sperimentare il sacro in maniera diretta, fuori dai rituali religiosi, e che ci permette di acquisire uno spazio interiore. Oltre Rishikesh, un'altra città sacra, con una forte impronta spirituale, è Varanasi, dedicata a Shiva. Qui si incontrano migliaia di asceti nudi, chiamati Naga, sono dei sannyasin, i rinuncianti che cercano la liberazione dal samsara (il ciclo delle rinascite) rinunciando al possesso, e al conforto materiale. Dopo la rinuncia arriva la pace...    A Dharamsala nel nord dell'India al confine con il Pakistan, i Lama tibetani cercano di arrivare alla saggezza con l'uso della dialettica e il ragionamento. Su proposta del Dalai Lama, a partire degli anni '80 è stata proposta una formazione filosofica anche alle donne.

A Kathmandu Matthieu Ricard asserisce che la pratica spirtuale permette di riconciliarsi con se stesi e rapportarsi agli altri, e progredire nell'altruismo e la benevolenza. Karuna o compassione è al vertice di ogni saggezza; da quanto appreso dai Maestri,  saggezza e compassione sono indissociabili. Occorre coltivare la benevolenza attraverso la meditazione e poi metterla in azione. Matthieu Ricard ha portato avanti una serie di progetti umanitari, con la sua associazione Karuna Shechen, vedi: https://karuna-shechen.org/   il cui scopo è promuovere il soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell'essere umano, come i diritti delle donne, garantire educazione e salute a tutti, sviluppo sostenibile con fonti di energia rinnovabile. la sfida attuale è sviluppare un'economia solidale ed ascoltare gli scienziati, per non sacrificare le sorti  delle generazioni future al Dio profitto.  Saggezza e compassione sono le due ali del percorso spirituale, solo così l'uccello potrà avanzare verso il risveglio, l'illuminazione. L'obiettivo del percorso spirituale è riconciliarsi con se stessi per potersi riconciliare con gli altri e con il mondo; 

Colui che aspira alla saggezza, aspira a un benessero profondo e vero, ma anche a migliorarsi come essere umano per agire in modo corretto  e con amore.

In cosa crede chi non crede?

 A inizio 1995 la rivista 'Liberal' aveva proposto al Cardinal Martini e a Umberto Eco di aprire un dialogo per cercare di trovare punti comuni tra mondo laico e mondo cattolico sui fondamenti ultimi dell’esistenza.  Questo libretto dal titolo In cosa crede chi non crede?  aveva poi riportato nel 1996 le lettere che i due filosofi si erano scambiati, ed era stato tradotto e pubblicato in seguito in sedici Paesi. Lo potete trovare in PDF al seguente indirizzo Vedi link

Nel testo è riportato lo scambio epistolare che si è svolto in modo cordiale e franco sui problemi di importanza capitale che hanno spesso diviso i credenti dai non credenti, dal senso della storia al problema dell'aborto, dal sacerdozio delle donne, alle possibilità di un'etica comune, sia a chi crede, che a chi non crede. Laici e credenti si possono incontrare sul terreno di un’etica che non sia vissuta come costume o necessità sociale, ma sia legata a principi solidi, soprattutto quando si agisce nei confronti del prossimo.

Umberto Eco (1932 - 2016) è stato filosofo, medievista, semiologo, massmediologo, ha esordito nella narrativa nel 1980 con Il nome della rosa (Premio Strega 1981), seguito da Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), Il cimitero di Praga (2010) e Numero zero (2015). Tra le sue numerose opere di saggistica (accademica e non)  nel 2004 ha pubblicato il volume illustrato Storia della Bellezza, seguito nel 2007 da Storia della Bruttezza.  

Carlo Maria Martini ( 1927-2012) ha svolto un’intensa attività sia di pubblicazione scientifica sia di predicazione di Esercizi spirituali. Si è impegnato nel dialogo ecumenico e in quello interreligioso (in particolare con l’ebraismo). Nel 1979 venne nominato arcivescovo di Milano da Giovanni Paolo II e poi proclamato cardinale nel 1983. Fra le diverse iniziative da lui avviate hanno avuto ampia risonanza la Scuola della Parola, le Scuole di formazione all’impegno sociale e politico e la Cattedra dei non credenti. Dal 1986 al 1993 è stato presidente del Consiglio delle conferenze episcopali europee; molte delle sue pubblicazioni sono tradotte in diverse lingue e vengono lette nei cinque continenti, da credenti e non credenti.

Yoga e psicanalisi

 Convegno su Yoga e psicanalisi (2017 - Relatori  Paolo Ricci e Domenico Chianese)

La mia mente è pacifica quando il mio ego scompare, adotto leggerezza e nessun attaccamento nella relazione. La società è pacifica quando scompaiono la banalità e il profitto, quando qualcosa ri-equilibra i pensieri negativi.

Lo yoga è vasto come la coscienza umana. Ogni maestro ne prende un pezzettino. Affacciarsi allo yoga ci permette di rientrare in noi stessi.  Quando Freud con la Psicopatologia della vita quotidiana parla di disagio della civiltà, accenna allo yoga?  Sicuramente questo disagio può essere alleviato dalla psicoanalisi e dallo yoga.  Nello yoga, il rapporto tra istinto sessuale e controllo (civiltà) corrisponde al rapporto tra secondo e terzo chakra. L’interiorità di un individuo è profonda come il cosmo. Spesso, nell'affrontare questa interiorità si semplifica eccessivamente. L'essere umano si trova a vivere una serie di patologie come ossessioni, fobie, sofferenza, ansia, depressione. Nella società, oggi, c'è molta sofferenza e gli pisicotici e gli schizzofrenici rappresentano il 25% di ogni società.

Non bisogna avere pregiudizi verso i farmaci che si usano per curare queste patologie, ma devono essere necessariamente accompagnati da una pratica psicoanalitica.  Nello yoga e nell’ayurveda la schizofrenia è curata col massaggio. Spesso il rapporto corpo - mente porta alla regressione,  e lo yoga, in queste situazioni,  è un anti ossessionante.

La pratica yoga è associata alla psicoanalisi, infatti durante la pratica, il praticante nella posizione cambia la vibrazione, e ciò gli permette di ricomporsi, e trovare un'apertura ed equilibrio nell’anarchia della mente.  Lo yoga aiuta a restare tranquillo nell'ansia, a respirare l’ansia, a gestire l'ansia che non necessariamente deve essere eliminata,  perchè  l’ansia è vita.

Nello Yoga, posizione e respirazione sono linguaggi che non possono essere tradotti ed è opportuno fare yoga senza teorizzazione. La psicoanalisi, invece, tende a decifrare il corpo attraverso le parole.  Lo yoga e la psicoanalisi sono delle pratiche che permettono di rimetterci in asse con il cosmo e rimanere ancorati alla vita.

sabato 25 settembre 2021

Lo yoga spiegato dal grande Maestro indiano Gyanander

Casa YOG è l'ashram dove vive un grande Maestro indiano di nome Gyanander.  Si trova a Perugia, nella strada comunale San Marino, 21 tel: 075 5899339  -                                                                 Articolo preso dal sito www.casayog.com

Gyanander è un Maestro indiano che vive da molti anni a Perugia. Nato a Busana, un villaggio a 150 km da Delhi che, fino a non molti anni fa, era circondato dalla fitta foresta, in parte distrutta dalla modernizzazione. Nel suo paese ancora non c'è luce elettrica nelle capanne che sono per lo più di fango, e le strade non sono asfaltate. Era ancora un bambino, Gyanander, quando ha scoperto la via dello Yoga, un giorno mentre andava a scuola. Mentre studiava a Delhi il suo cuore era altrove. Ha vissuto otto anni nella foresta praticando lo Yoga «era davvero un paradiso quel luogo», racconta, «la mia casa era un gigantesco albero, la vegetazione mi proteggeva dal caldo, gli animali erano i miei compagni».

Ha anche insegnato Yoga nel "Vivekananda Mahila College", alla Delhi University. E' venuto in Italia nell'86 per il grande meeting organizzato dalla rivista "Astra" sulle rive del Garda. Si fece seppellire sotto terra, dove rimase per quattro giorni. Era in "Samadhi", uno stato di trascendenza e di beatitudine, una condizione in cui vengono sospese tutte le funzioni del corpo, il livello più alto dello Yoga. Fu controllato da telecamere, ne parlarono le tivù e tutti i giornali. Poi rientrò in India e dopo due anni tornò in Italia e si stabilì a Perugia dove aveva trovato amici cari, spiega, «avevo capito che, c'era chi aveva bisogno di me». E qu,i da anni insegna lo Yoga o meglio lo Yog. Ha pubblicato il suo "Yog Album" che raccoglie anni di studio e sopratutto di esperienza. Vedi link.

Lo yoga spiegato dal grande Maestro indiano Gyanander.   Da tempo immemorabile centinaia di migliaia di maestri sono nati sulla terra per guidare gli uomini sulla strada della spiritualità. Il ruolo del Maestro è molto importante nella vita degli uomini. Per Maestro non si intende quelli con diplomi e certificazioni che si trovano in occidente nelle associazioni o nei centri spirituali. Il Maestro è colui che ti permette di aprire un centro spirituale nel tuo cuore dove risiede il Signore supremo, il Sé. Maestro non è colui che ha molti anni di esperienza nell’insegnamento dello Yoga o colui che ha una folla di discepoli o che ha studiato la Ghita, le Upanishad, i Ved, il Vangelo, il Corano e il Sanscrito. Il Maestro è colui che ha realizzato la totalità della sua personalità, che ha sperimentato la pace e il silenzio dentro di sé, colui che ha trasceso la mente e che può darti un’esperienza di pace, non importa se sia analfabeta o non abbia nemmeno un discepolo.

Lo Yog ti permette di affrontare le situazioni della vita con pace, coraggio e comprensione e la mente deve essere trascesa piuttosto che curata.  Lo Yog ci insegna che la realtà ultima dell’uomo non è la mente, ma che c’è qualcosa al di là della mente chiamato Sé o Spirito Universale. Lo Yog non è fatto né per la mente né per il corpo, la mente ed il corpo sono solamente dei mezzi per arrivare alla scoperta del Sé. Lo Yog ci dà gli strumenti per raggiungere questa realtà mediante un duro lavoro che può durare anni o addirittura una vita. Lo Yog è una scienza che prima di essere insegnata deve essere sperimentata su di sé. Senza questa esperienza non si può diventare un insegnante di Yog, perché se un cieco prende la mano ad un altro cieco, tutti e due andranno a cadere nel pozzo. Come si può diventare professori universitari se non si è stati prima studenti? Non basta leggere libri o fare seminari di Yog, ci vuole continuità nella vita spirituale.

Questo è un aspetto molto importante che manca a questi maestri. Il Maestro ha il diritto di scegliere i propri discepoli e i discepoli dovrebbero essere capaci di scegliere il loro Maestro. Una volta che hai trovato un Maestro non devi cambiarlo mai, né lui, né il mantar che lui ti ha dato. "Tra mille uomini, forse soltanto uno aspira alla perfezione. E, tra quei mille che aspirano alla perfezione, soltanto uno mi conosce veramente". Ghita capitolo 7:3.

Gli occidentali si trovano confusi di fronte alle varie realtà spirituali non sapendo che cosa è lo Yog. Lo Yoga o meglio Yog, non è né una religione né una filosofia, non è né una magia né misticismo. Il fatto che dalle pratiche Yog si possano ottenere risultati miracolosi come il mantenimento della giovinezza, la sconfitta delle malattie o dei poteri soprannaturali, fa apparire questa disciplina come avvolta da un alone di mistero. Lo Yog è un antica scienza mentale, fisica e spirituale. E’ la scienza del sé pervenutaci dagli antichi yoghi dell’India. 

La disciplina Yog è stata tramandata da Maestro a discepolo e si può definire come una scienza yoghica dal momento che si basa su due processi scientifici: il processo di Fusione e Fissione che avvengono dentro e fuori il corpo. Chi ha studiato  scienze potrà meglio capire questi due processi. Tutta la materia contiene una certa quantità di energia. La materia è essa stessa una forma grossolana di energia. L’energia è materia e la materia è energia. La conversione dell’energia consiste nella sua liberazione dalla materia mediante un determinato processo. Nella scienza nucleare la conversione avviene mediante due processi: la Fusione e la Fissione. Questi due processi sono gli stessi usati nel nostro corpo per liberare l’energia personale degli individui.Quando parliamo di Fissione intendiamo la separazione dell’idea e dell’esperienza dallo sperimentatore (sé), che, in questo caso, diviene “testimone” dell’evento. Esperienza e sperimentatore sono mescolati come il sale nell’acqua, che, senza l’esperienza della Fissione sono da noi distinguibili solo in teoria, ma in pratica vissuti come un unica cosa. Con la Fissione possiamo separare le due cose. La Fusione invece è l’unione di due polarità diverse e si riferisce alla creazione. Questi due poli opposti di energia sono indicati come: Tempo e Spazio, Shiv e Shakti, Mente e Prana, Ida e Pingala, Sole e Luna, Uomo e Donna. Essi non sono mai insieme, se non al momento della creazione quando si incontrano nel nucleo, il punto d’unione di ogni sfera. Quando tempo e spazio si uniscono a livello universale l’esplosione si risolve in materia. Quando invece queste due energie con polarità diverse Shakti (Energia, Kundalini) e Shiv (consapevolezza) si uniscono al centro della testa come due fili elettrici, si manifesta con una grande estasi.  Questa è la Fusione, che produce la perdita dell’individualità e dove ogni cosa diventa Sé. Nel processo di Fusione si perde la consapevolezza del sé e ci si immerge nell’esperienza mentre nel processo di Fissione si diventa consapevoli del sé e dell’esperienza.

Purtroppo oggi in Occidente ci sono molte persone che insegnano e giudicano lo Yog senza conoscere a fondo il suo vero significato. Chi lo insegna infatti crede che esistano molti tipi di Yoga e che i vari gradini che lo compongono possano essere insegnati separatamente. E’ come dire di fare meditazione senza lavorare prima sul corpo, oppure come mandare un bambino appena nato a scuola e subito dopo una settimana a lavorare. Questi insegnanti parlano di meditazione e kundalini senza sapere che la prima cosa dello Yog è saper espellere dal corpo ciò che si è mangiato il giorno precedente, e mantenere sempre l’intestino pulito.

Un antico testo di Yoga chiamato Hath-yog-pardipika al capitolo 4 verso 144 dice: " Se il prana non sale lungo Susumna nadi (in mezzo alla spina dorsale), se il prana e il Bindu non sono fermi e se la mente trascesa non entra in meditazione, quella persona che parla di Yoga e di conoscenza spirituale dice bugie e falsità".

In Occidente si pensa che la kundalini si possa risvegliare facilmente, con la semplice imposizione delle mani. È come credere di camminare sulla Via Lattea quando invece non si è arrivati nemmeno sul tetto della propria casa. E’ probabile che nemmeno il duro Pursharth, che è la dura e onesta fatica che si compie durante una o più vite per risvegliare la kundalini, riuscirà a rendere schiave la mente e la kundalini.

Altre persone credono invece che diventare buddista, induista o cambiare il loro nome faccia parte dello Yoga, o che le religioni cinesi come il Tao e lo Zen facciano parte dello Yoga. In realtà la parola Yog è stata usata spesso senza cognizione di causa. Alcuni pensano che anche la medicina Ayurvedica faccia parte dello Yog, ed è molto diffusa in Occidente l’idea che il sesso faccia parte del Tantra, che è una parte dello Yog. E’ vero che il sesso viene usato in alcune pratiche tantriche ma è da escludere ogni idea di licenziosità.

Un argomento su cui in occidente si fa molta confusione e su cui si può addirittura ottenere un diploma è il Patanjal Yog-darshan, l’opera dello yoghi Patanjial. Nella sua opera si parla di otto scalini dello Yoga detti Astang Yog. Astang vuol dire otto. Questi otto scalini sono: Yam, Niyam, Asan, Pranayam, Pratyhar, Dharana (concentrazione), Dhyan (meditazione) e Samadhi (estasi). Patanjial non fa qualcosa di nuovo suddividendo lo Yoga in otto scalini, l’unica differenza, anche giusta, è che non indica lo Shat-Karam come parte del Niyam e i Mudra come parte del Pranayam. In questo suo libro egli scrive a proposito delle Asana: Sthir Sukh Asanam 2:46.  "Quella posizione che si può mantenere a lungo, immobili senza dolore, che ti porta velocemente al successo nelle tue pratiche è chiamata Asana". La controversia sta proprio su questo versetto poiché in Occidente è noto un esercizio chiamato Suriya Namaskar o Saluto del Sole, dove non vengono insegnate le posizioni di Yoga ma dei semplici esercizi ginnici. Gli esercizi ginnici non fanno parte dello Yog poichè producono una dispersione dell’energia e danneggiano il corpo. Ciò che si fa in Occidente con il nome di Patanjial è proprio contro lo Yog perché sia nell’opera di Patanjial che in qualsiasi altro libro di Yog, non esiste un solo versetto che parla di posizioni di Yog fatte di movimento.

Esistono persino dei diplomi di Yoga e chi li dà o chi li riceve crede di insegnare la strada del Sé. Questa è NON conoscenza, lo Yog inizia proprio quando non c’è questo desiderio. Credersi ciò che in realtà non si è, può considerarsi un disturbo psicologico capace di bloccare la crescita spirituale di un individuo anche per tutta la vita. Un altro tipico blocco spirituale riguarda le persone fortemente religiose, che per paura sfuggono la loro vera natura umana, reprimendo desideri subconsci e la loro vera personalità. In questi ultimi anni in Occidente abbiamo visto nascere alcune “dottrine” o, potremmo dire, alcune pseudo-scienze dell’alimentazione che hanno creato e continueranno a creare una grande confusione in tutti coloro che si avvicinano ad esse in modo ingenuo ed impreparato. Mi riferisco in particolare alla “macrobiotica” ed a certe altre cucina “vegetariane” che spesso vengono indicate come “regimi alimentari da associare allo Yog”.  Il verità le diete consigliate da queste pseudo-scienze sono assolutamente contrarie alle indicazioni dei testi sacri sui quali si fonda lo Yoga. Coloro che si sono affidati ad esse hanno spesso peggiorato o addirittura rovinato la salute e la psiche. Le cucine di cui sopra hanno creato principalmente due tipi di problemi: a livello fisico la costipazione intestinale e a livello psichico la repressione degli impulsi. Questi due problemi sono alla base di tutte le attuali malattie. Nella cucina macrobiotica sono aboliti molti cibi che, pur essendo tipici della nostra terra, della nostra cultura e del nostro gusto, vengono additati come tossici e nocivi. Tutto ciò crea solo confusione e repressione degli impulsi tanto è vero che spesso chi è vittima di tali costrizioni alimentari pensa ossessivamente al cibo, di giorno e di notte,  il cibo diventa il suo incubo. Ed è un incubo anche per coloro che vendono tali prodotti. Si aggiunga a ciò, l’abuso commerciale perpetrato da coloro che, in nome della macrobiotica, vendono prodotti a prezzi elevatissimi. Tanto più ridicoli quelli che dicendosi “vegetariani” si concedono un piatto di pesce e arrivano a sostenere che la loro è una dieta adatta allo Yog. Non sanno costoro che il pesce rapidamente va in putrefazione diventando più maleodorante di qualunque altro alimento? Non sanno che nello Yog è vietata la violenza e il nutrirsi di cadaveri?

Per lo Yog la frutta è alla base dell’alimentazione, quella stessa frutta vietata in certe diete. A mio avviso colui che mangia secondo lo stile macrobiotico potrebbe ammalarsi presto, sia nel corpo che nella mente. Tra le altre numerose mode occidentali bisogna annoverare anche la cosiddetta “cucina ayurvedica”. Essa in realtà è priva di fondamento perchè non esiste una cucina ayurvedica ma soltanto una medicina ayurvedica. Molti giovani che vanno in India per assumere droghe, e pensano di staccarsi dal mondo esteriore paralizzando in questo modo la mente. Per loro questa è una forma di meditazione.

Fare la meditazione non significa né bloccare la mente né sfuggire da sé stessi e dal mondo. Solo quando tutti i Sanskar, che gli scienziati chiamano archetipi, trasformati da Karam (le azioni belle e brutte di questa ed altre vite) saranno distrutti nel tuo Cit (subconscio), solo allora si può parlare di meditazione. E non basta una vita per fare meditazione e svegliare la Kundalini. Quando la Kundalini si sveglia si diventa uno Yogheswar, uno yoghi superiore. Si diventa giovani, si è in grado di conoscere il passato, il presente e il futuro, si diventa il vero imperatore tra gli imperatori, si possiedono tutti i poteri divini (Siddhi) e si possono comandare i cinque elementi che compongono la natura (etere, aria, fuoco, terra e acqua). Chi ha risvegliato la Kundalini beve il nettare dell’immortalità, può levitare nell’aria, acquista la chiaroveggenza e non morirà nemmeno durante la grande inondazione. La sua gloria è indescrivibile. Non si può riuscire a svegliare la Kundalini senza aver attraversato tutti i gradini che compongono lo Yog che sono : Yam, Niyam, Shat-Karam, Asan, Pranayam, Mudra, Meditazione e Tantar.

Il Tantar è considerato in Occidente un cammino di sensualità. Occorre ribadire una volta per tutte che non è affatto così, anzi solo coloro che hanno superato il desiderio, possono intraprendere la strada del Tantar per svegliare la Kundalini mediante l’aiuto di un partner. A volte il sesso viene usato, ma ogni forma di licenziosità ne è estranea. Mentre per una persona comune il sesso ha come scopo la procreazione o il piacere per uno yoghi lo scopo è il raggiungimento del Samadhi. Perciò l’atto sessuale può sembrare identico ma lo scopo dello yoghi è diverso. E’ come una persona che ride con gli amici ed una che ride da sola in un manicomio: l’atto è lo stesso ma cambia il background.

Nel Tantar la Kundalini viene risvegliata mediante il processo di fusione che, avviene attraverso l’unione di due energie di polarità opposta: l’energia femminile e l’energia maschile. Per fare la meditazione tantrica occorre innanzitutto conoscere il Vajroli Mudra che è una pratica segreta, molto difficili e dolorosa. Prima di iniziare questa pratica bisogna aver perfezionato tutte le altre, lo Shat-Karam, il Pranayam, le Asan e le Mudra.Il perfezionamento di Vajroli Mudra può richiedere anche tutta la vita e una volta perfezionata la pratica sarà necessario trovare un partner adatto che dovrà dedicarsi a questa completamente. Per chi non conosce la realtà dello Yog queste pratiche possono sembrare, anche per come sono insegnate in occidente, esoteriche o addirittura diaboliche. Tutto questo è dovuto ad un errore di giudizio causato da un cattivo insegnamento di chi non conosce bene lo Yog e che ha fatto nascere pregiudizi su questa disciplina. Risvegliare la Kundalini tramite un partner fa quindi parte del Tantar, ma la Kundalini si può svegliare anche da soli, visto che il nostro corpo possiede già le due polarità necessarie a questo risveglio. L’unione del Prana e Apana, Sole e Luna, Ida e Pingala (Ida energia femminile, Shakti – Pingala energia maschile, Shiv) corrisponde all’unione tra uomo e donna. Quando questi due poli si congiungono è come se dei fili elettrici, facendo contatto, accendessero un interruttore. Da questa unione allora si verifica un’esplosione ed una grande estasi.

Tantar è una parola sanscrita composta da due sillabe Tan e Tar: Tan significa espansione e Tar vuol dire liberazione. Tantar perciò significa espansione e liberazione, espansione della mente e liberazione dell’energia. - Espansione della mente.  L’esperienza umana è limitata, dipende dai sensi e dal senso dell’oggetto. Se non hai gli occhi e il senso dell’oggetto non puoi vedere, ma quando la mente va oltre i suoi limiti può vedere senza occhi, può sentire senza orecchie e senza onde sonore. La pace della mente, l’intuizione, la capacità di udire anche in lontananza, la chiaroveggenza, e le esperienze interiori come la conoscenza del passato e del futuro, sono i prodotti di una mente espansa. Se non si è in grado di espandere la mente non si potrà assolutamente avere una esperienza spirituale, un potere e sopratutto una pace mentale. Quando la mente si espande si è in grado di fare qualunque cosa meglio di chiunque altro al mondo.

Chi ha studiato le scienze o la fisica potrà meglio capire cosa significa liberare energia dalla materia. Liberazione in questo senso non significa emancipazione, ma vuol dire liberazione dell’energia che si trova alla base della colonna vertebrale. Questa energia ha la forma di un serpente di sesso femminile coricato su tre cerchi e mezzo con la coda in bocca ed è meglio conosciuta come Kundalini shakti. La Kundalini non è né un illusione né una suggestione, è una sostanza biologica molto sottile che si trova nel corpo umano. Il suo risveglio crea degli impulsi elettrici attraverso il corpo e la colonna vertebrale che possono essere percepiti con degli strumenti scientifici moderni. La Kundalini è il potere primordiale e lo scopo dello Yog consiste nella liberazione di questa energia. Se la Kundalini rimane dormiente l’uomo rimane allo stadio di un animale. Anche la pratica più intensa di Yog non aiuterà l’uomo ad acquistare la conoscenza del sé se la sua Kundalini sta dormendo. Il risveglio della Kundalini dà la liberazione agli yoghi. Solo chi riesce a purificare il suo corpo tramite lo Shat-Karam, e la sua mente con Yam e Niyam e col Mantar, seguendo Asan, Pranayam, Mudra e Meditazione, e con la grazia del maestro riuscirà a svegliare la Kundalini. Dopo aver perfezionato le purificazioni del corpo, le Asan, Pranayam e Mudra è possibile fare la difficile pratica di Meditazione con il partner chiamata Vam-Marg, in occidente conosciuta come Tan-Tar.

In passato in India i moralisti e i puritani hanno diffamato queste pratiche dichiarandole peccaminose, perverse e depravate. Questi giudizi erano prevalentemente sollevati da religiosi e gente comune e quindi di poca rilevanza. Io posso essere un uomo gentile, pacifico e buono, posso comportarmi secondo i dettami religiosi e sociali, ma quale utilità avranno per me queste convenzioni sociali e morali se non riuscirò a raggiungere l’autorealizzazione? Colui che ha ottenuto l’autorealizzazione può vivere al di fuori di un sistema sociale perché lui ne avrà già uno dentro di sé. La verità e la virtù saranno il suo vero essere.

Il Mantra (in sanskrito Mantar) è lo strumento più importante dello Yoga. In occidente si pensa che il Mantar o Mantra abbia a che fare con le divinità religiose ma non è così. Il Mantar non ha nulla a che vedere con le religioni, è soltanto una parola priva di significato. I Mantar sono espressioni della consapevolezza trascendente sotto forma di suono. Questi suoni non sono stati prodotti da nessun essere vivente, ma sono stati uditi in uno stato di samadhi meditativo molto profondo.

Gli yoghi hanno diviso il suono del Mantar in quattro stadi: il primo stadio è molto grossolano perché è prodotto dal sistema articolare e può essere percepito anche dalle orecchie di altre persone. Nel secondo stadio, questo suono viene ridotto e diventa sussurrato, non produce più un suono vero e proprio, la vibrazione diventa più sottile di quella prodotta dal Mantar in forma grossolana e può essere udito solo con molta attenzione. Il terzo stadio del Mantar si realizza quando questo viene ripetuto mentalmente e le vibrazioni vengono prodotte all’interno della mente. Come quando si pensa, si parla con se stessi di un argomento ben determinato. Se si penso “ho fame”, si produce il pensiero in forma di discorso, in una idea formulata che è la stessa di quando si dice verbalmente “ho fame”. In questo stadio del Mantar si sta quindi pensando mentalmente senza articolare alcun suono. Quando però si pensa “ho fame” questa idea già esiste, il discorso esiste, il pensiero stesso esiste ed esiste quindi anche il suono, ma è un suono mentale non fisico. Questi tre tipi di suoni, grossolano, sottile e mentale sono chiamati suoni empirici e sono la manifestazione della consapevolezza umana (tre Guna), sono l’espressione della conoscenza, delle qualità negative o positive, dei sentimenti, delle idee, della personalità, ecc.

Quando la mente trascende dai suoi limiti si possono udire o realizzare i suoni trascendentali, ed ecco il Mantar al suo quarto stadio. Il Mantar è quindi un suono o vibrazione e funziona come un sasso gettato in un lago, crea delle onde di risonanza all’interno della consapevolezza che con il tempo si alterneranno alla consapevolezza stessa. Il Mantar è la rivelazione della più evoluta consapevolezza e può essere usato per evolverla. Nello Yoga il Mantar è una scienza molto importante, e nelle Upnishad ed in altri libri antichi di Yoga si parla molto dell’importanza del Mantar.

Nel Bhagti Sagar, per esempio, è scritto più volte che lo Yoga senza il Mantar è come una donna senza un uomo, un guerriero senza la sua spada, un corpo senza l’anima, un uccello senza le sue ali. Lo Yog senza Mantar non raggiungerà mai il suo scopo che è la rivelazione del Sé. Secondo la tradizione l’iniziazione al Mantar può essere data sia dal Maestro che dalla propria madre o tramite il ricordo della vita precedente, ma in passato veniva sempre data dal Maestro. Un Mantar non può mai essere comprato o venduto, un mantar ottenuto in questo modo non avrà mai alcun effetto sulla consapevolezza.

Nel praticare Yog è bene indossare abiti confortevoli (una tuta) possibilmente in tessuto naturale (cotone, lino ecc.); sarebbe opportuno, nei limiti del possibile, orientarsi verso colori chiari, preferibilmente bianco, portare con se un telo o asciugamano grande. Si consiglia di praticare Yog a stomaco vuoto. Non ci sono controindicazioni alla pratica dello Yog, ma si deve aver cura di avvisare l’insegnante qualora ci siano problemi di qualsiasi natura.

Empatia - Matthieu Ricard

Matthieu Ricard parla dell' Empatia suddividendo la trattazione in tre parti:

  1.  Definizione generale di empatia, 
  2.  L’empatia secondo Matthieu Ricard (definizioni tratte dal libro “Il gusto di essere altruisti”, Collegamento tra empatia e altruismo, 
  3.  Frasi sull’altruismo e sulla relazione tra altruismo e felicità.  

Parte 1- Definizione di empatia. L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è "sentire dentro", ad esempio "mettersi nei panni dell'altro", ed è una capacità che fa parte dell'esperienza umana ed animale. La capacità di porsi nella situazione (immedesimarsi) di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. 

L’empatia è una risorsa fondamentale per rinforzare i legami sociali che, a loro volta, sono fondamentali per il benessere psicofisico. Provare empatia aiuta a migliorare le nostre relazioni, rendendole più sincere e profonde, e instaurare un senso di intimità con l’altro. L’empatia è la capacità di comunicare efficacemente con chi sta soffrendo. Non sono abilità scontate, tuttavia, secondo ricerche recenti, possono essere apprese e sviluppate. Secondo l’ultimo manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5), bassi livelli di empatia o una mancanza totale di questa, possono essere sintomi di narcisismo o antisocialità. Comunque, essere poco empatici non significa in automatico avere un disturbo di personalità. Per una diagnosi di questo tipo è necessario, infatti, mostrare una serie di pensieri e comportamenti peculiari e pervasivi, di cui l’assenza di empatia è solo un aspetto.

Come si fa a mostrare empatia? Il punto principale da tenere in considerazione, quando chi sta soffrendo si confida con noi, è non banalizzare. Glen Gabbard, noto psichiatra americano, ha sostenuto che in una psicoterapia con persone depresse, cercare di incoraggiare il paziente focalizzandosi sugli aspetti positivi è controproducente. Dire, per esempio “lei non ha motivo per essere depresso, ha molte qualità” sortirebbe l’effetto di far sentire l’altro ancora più solo e incompreso. Al contrario, un buon modo di stare vicino a una persona depressa consiste nel trasmettere l’idea che esistano molti buoni motivi per essere tristi e che quella sofferenza ha senso di esistere. Elizabeth Dorrance Hall, studiosa americana di relazioni familiari e comunicazione, ha proposto alcuni punti da tenere a mente quando si affrontano conversazioni con chi sta soffrendo:

  • Scegliere messaggi personalizzati. Le persone amano ascoltare messaggi ‘ritagliati su di loro’, che legittimano come si sentono e li aiutano a esplorare le proprie emozioni. Se vogliamo aiutare qualcuno a superare un momento difficile, potremmo sottolineare alcune sue risorse. Una frase efficace potrebbe essere: “Riesco a sentire che per te è un momento difficile, ma sei una persona tenace e puoi venirne fuori”. Attenzione: è importante che la qualità che sottolineiamo sia reale (in questo caso, la persona deve essere veramente tenace).
  • Alterna sostegno e “sfida”. Le persone gradiscono quando si sentono, nello stesso momento, accettate e stimolate (in modo gentile). Utile in special modo quando pensiamo che una persona possa superare un momento difficile attraverso un cambiamento o chiedendo aiuto. L’accettazione, cioè l’ascolto senza giudizio, trasmette calore e fa sentire all’altro che ci teniamo e che ha un valore. Accanto a questo messaggio rassicurante è possibile suggerire di esaminare il proprio comportamento, per capire cosa sta andando storto e cosa potrebbe essere fatto diversamente in futuro. Bisogna però essere delicati, o faremo sentire l’altro in colpa e solo.
  • Evita ansia e facili soluzioni. Le persone non amano messaggi minacciosi, che implicano l’essere giudicati in modo negativo o che restringono la propria libertà di scelta. Per esempio, se pensiamo che qualcuno sia troppo stressato a causa del lavoro, dirgli “mio cugino ha avuto un infarto per lo stress sul lavoro, devi prenderti una pausa!” sortirà un effetto negativo, perché creerà urgenza e farà sentire l’altro poco ascoltato. Potremmo invece suggerire attività alternative a quelle lavorative, in modo che non si senta pressato o angosciato e senta di conservare libertà di scelta.
  • Non giudicare. Risultiamo più empatici quando siamo in grado di sospendere il giudizio. Per chi sta soffrendo, infatti, sarà più facile sentirsi compreso e accettato, se evitiamo di esprimere un’opinione su quanto il suo vissuto possa essere giusto o sbagliato secondo noi.

Oltre a questi punti, è importante evitare una tendenza tanto diffusa quanto irritante per chi sta soffrendo: la frase “ma almeno..”. Quando qualcuno è triste, a volte si tende a spingerlo a focalizzare l’attenzione su elementi positivi della sua vita. Per esempio, se l’altro ci dice “il mio matrimonio è un disastro”, possiamo essere tentati di rispondere “ma almeno hai dei figli fantastici”. In realtà, questo tentativo di consolare l’altro lo fa solo sentire ancora più incompreso. In questo caso, infatti, non solo non stiamo riconoscendo la sua sofferenza, ma lo stiamo anche facendo sentire in colpa. Il vero messaggio che comunichiamo è: “sei triste perché non sei in grado di vedere ciò che hai di buono”. Una modalità di consolare che può risultare arrogante.

Si può imparare a essere più empatici?  La risposta è sì (anche se non è semplice). Alcuni studi hanno dimostrato che perfino persone con autismo – un disturbo che include deficit nell’interazione e comunicazione sociale, ridotta condivisione di interessi, emozioni e sentimenti – possono imparare a mostrare più empatia nelle relazioni sociali attraverso un allenamento specifico.
Il ricercatore scozzese, David Jeffrey sostiene che professionisti in ambito medico dovrebbero fare un uso maggiore dell’empatia nella relazione con i pazienti. L’autore ha avanzato alcune proposte su come raggiungere tale obiettivo. Tra queste, alcuni suggerimenti sono applicabili nella quotidianità: Come si sente l’altro? Esercitarsi nell’assumere la prospettiva altrui non significa pensare “come mi sentirei io in quella situazione?”. Ciò infatti può portare all’urgenza di distogliere il pensiero dalle sensazioni negative. L’idea è immedesimarsi nell’altro e assumere la sua prospettiva, tenendo conto del suo contesto e della sua storia di vita.

Le attività in grado di aumentare le capacità empatiche sono: meditazione, scrittura creativa,  ‘role playing’.  In particolare, il ‘role playing’ consiste nel giocare a recitare la parte della persona che sta soffrendo, in modo da assumere la sua prospettiva e comprenderla a fondo. È possibile aumentare le capacità empatiche anche costruendo una storia su un personaggio immaginario. Seguire in prima persona le vicende del protagonista del racconto che inventiamo induce a immedesimarsi in un punto di vista diverso dal proprio e a “esercitarsi” nel provare empatia per le vicende che affronta. Infine, la meditazione e i corsi di mindfulness sembrano essere utili per entrare più a contatto con le proprie e altrui emozioni in modo non giudicante.

Per concludere, l’empatia è una capacità innata, legata a specifici circuiti cerebrali, che tuttavia può essere allenata e migliorata nel tempo, al fine di connetterci in maggior misura agli altri e favorire l’intimità. Non sempre è facile provare empatia, in special modo quando chi soffre è stato scorretto nei nostri confronti o è un estraneo. Tuttavia, vale la pena allenarsi a esercitarla per migliorare la qualità delle nostre relazioni. L’empatia è un’arte, un’eccezionale capacità geneticamente programmata nel nostro cervello con cui ci sintonizziamo con i sentimenti e le intenzioni altrui. Tuttavia, ed ecco che si presentano i problemi, non tutti riescono ad accendere quella lanterna che illumina il processo di costruzione delle relazioni più solide ed appaganti.

Spesso sentiamo dire frasi come “quella persona non è empatica”, “quel tizio è un egoista ed è totalmente privo di empatia”. Ebbene, una cosa molto importante da chiarire subito è che il nostro cervello dispone di un’architettura molto sofisticata mediante la quale favorisce questa connessione. In fin dei conti, l’empatia è una delle strategie con cui garantiamo la sopravvivenza della nostra specie: ci permette di capire l’individuo che abbiamo davanti e ci dà la possibilità di stabilire un rapporto profondo con lui. “Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà.” La struttura cerebrale in cui la neuroscienza colloca la nostra empatia si trova nella circonvoluzione sopramarginale destra, un punto situato tra il lobo parietale, quello temporale e quello frontale. Grazie all’attività di questi neuroni, in determinati momenti riusciamo ad accantonare il nostro mondo emotivo e le nostre cognizioni per essere più ricettivi nei confronti degli altri.

Chiarito questo punto, la seguente domanda da porsi è: se tutti disponiamo di questa struttura cerebrale, perché ci sono persone più empatiche ed altre meno empatiche, e perché in alcune l'empatia sembra essere totalmente assente? Sappiamo, ad esempio, che la principale caratteristica del disturbo anti-sociale della personalità è la mancanza di connessione emotiva con gli altri. Tuttavia, tralasciando l’aspetto clinico e psicopatologico, sono molte le persone che semplicemente non riescono a sviluppare quest’abilità.

Le esperienze della tenera età, i modelli educativi e il contesto sociale debilitano questa meravigliosa capacità a favore di un egocentrismo sociale molto marcato. Una ricerca realizzata presso l’Università del Michigan ci dice che gli universitari di oggi sono un 40% meno empatici degli studenti degli anni ’80 e ’90. Al giorno d’oggi la vita ha così tanti stimoli e distrazioni per i giovani e i meno giovani da aver smesso tutti di essere pienamente consapevoli del momento presente e persino della persona che abbiamo davanti a noi. La gente è più attenta ai suoi dispositivi elettronici che ai sentimenti altrui, e questo è un  problema su cui dobbiamo riflettere. Il tempo passato sui social misura l’inadeguatezza di noi stessi, l’incapacità di affrontare la vita reale, il tempo passato sui social network è un parametro spesso associato alla depressione.

Parte 2 - L’empatia secondo Matthieu Ricard (definizioni tratte dal libro “Il gusto di essere altruisti”, Collegamento tra empatia e altruismo.   Monaco buddista da quasi quarant'anni, Matthieu Ricard utilizza la sua duplice formazione in discipline scientifiche e filosofiche occidentali e in quelle contemplative e meditative orientali per dimostrarci che, nell'era della globalizzazione, l'altruismo non è un pensiero utopico, ma una necessità, e che una vera attitudine altruista può avere un dirompente effetto positivo sulle nostre vite a livello individuale e, di conseguenza, sull'intera società. L'appello di Ricard, ripreso dai principali economisti e pensatori, tra cui Amartya Sen e Joseph Stiglitz, è il frutto di anni di ricerche, esperienza, osservazione e riflessione. 

L'empatia è un termine che è stato sempre più utilizzato dagli scienziati e nel linguaggio comune ed è generalmente confuso con l'altruismo e la compassione. La parola empatia comprende in realtà diversi stati mentali. La parola empatia è una traduzione della parola tedesca Einfühlung che si riferisce alla capacità di "sentire gli altri dall'interno". E 'stato utilizzato in primo luogo dal psicologo tedesco Robert Vischer nel 1873 per designare un oggetto esterno a cui si era soggettivamente identificato, ad esempio: una casa, un vecchio albero nodoso o una collina modellata dal vento (iv). Successivamente, il filosofo Theodor Lipps ha ampliato questo concetto per descrivere la sensazione di un artista che attraverso la sua immaginazione si proietta non solo su un oggetto inanimato, ma anche sull'esperienza di qualcun altro.

L'empatia può essere innescata da una percezione affettiva dei sentimenti degli altri o dall'immaginazione cognitiva di ciò che hanno vissuto. In entrambi i casi la persona fa una chiara distinzione tra ciò che sente e ciò che sente l'altro, che è diverso dal contagio emotivo durante il quale detta differenziazione è imprecisa. L’empatia affettiva appare dunque spontaneamente quando entriamo in risonanza con la situazione dei sentimenti di un'altra persona, con le emozioni che si manifestano attraverso le espressioni facciali, lo sguardo, il tono della voce e del comportamento.

La dimensione cognitiva dell'empatia è nata, evocando mentalmente un'esperienza vissuta da qualcun altro, immaginando ciò che quella persona prova e come è influenzata dall'esperienza o immaginando ciò che sentiremmo al suo posto. Empatia potrebbe portare ad una motivazione altruistica, ma anche, quando ci si confronta con la sofferenza degli altri, generare una sensazione di impotenza e il desiderio di evitare la situazione.

L'empatia cognitiva senza altruismo può anche portare alla strumentalizzazione dell'altra persona sfruttando le informazioni che fornisce sul suo stato mentale e sulla situazione. Portato all'estremo è una delle caratteristiche degli psicopatici. I significati attribuiti da diversi pensatori e ricercatori alla parola "empatia" così come ad altri concetti simili come la compassione sono molto vari e possono quindi essere fuorvianti.

Tuttavia, la ricerca scientifica condotta da 70-80 anni, soprattutto da psicologi come Daniel Batson, Jack Dovidio e Nancy Eisenberg, e più recentemente da neuro-scienziati come Jean Decety e Tania Singer, hanno contribuito a chiarire le sottigliezze del concetto e analizzare i suoi collegamenti con l'altruismo.  Lo psicologo americano Daniel Batson ha mostrato che i diversi significati della parola "empatia" alla fine portano a due domande: "come posso sapere che cosa pensa e sente un altro essere?" E "quali sono i fattori che portano a preoccuparsi di qualcosa che capita e rispondere con gentilezza e sensibilità? ".  Batson ha elencato otto diverse forme della nozione di "empatia" che sono correlate, ma senza costituire diversi aspetti dello stesso fenomeno (vii). Analizzandoli, ha concluso che solo una di queste manifestazioni che chiama "gentilezza empatica" è necessaria e sufficiente per generare una motivazione altruistica.

  • La prima forma è la conoscenza dello stato interiore di un altro essere, che può fornirci argomenti per provare gentilezza nei suoi confronti, senza che ciò sia sufficiente, né indispensabile per generare una motivazione altruistica. Pertanto, puoi essere consapevole di ciò che l'altro pensa o sente e rimane indifferente alla sua situazione.
  • La seconda forma è l'imitazione motoria e neuronale. Preston e Waal furono i primi a proporre un modello teorico per i meccanismi neurali che sostengono l'empatia e il contagio emotivo. Secondo questi ricercatori, il fatto di percepire qualcuno sotto una certa situazione porta il nostro sistema neurale ad adottare uno stato analogo al vostro, che genera un corpo e la mimica facciale accompagnato da sentimenti simili all'altra persona (ix). Questo processo di imitazione osservando i comportamenti fisici è anche la base dei processi di apprendimento che vengono trasmessi da un individuo all'altro. Ma questo modello non distingue chiaramente l'empatia, in cui confondiamo le nostre emozioni con quelle degli altri. Secondo Batson, questo processo può aiutare a produrre sentimenti di empatia, ma non è abbastanza per spiegarli. In effetti, non sempre imitiamo le azioni degli altri; Ad esempio, reagiamo intensamente quando osserviamo un calciatore che segna un goal, ma non ci sentiamo necessariamente inclini a imitare o ad entrare in risonanza emotiva con qualcuno mentre organizziamo i loro documenti o mentre mangiamo un piatto di cibo che non ci piace.
  • La terza forma è la risonanza emotiva, che ci consente di sentire esattamente ciò che sente l'altro, sia che si tratti di un sentimento di felicità o tristezza (x). È impossibile vivere esattamente la stessa esperienza di qualcun altro, ma possiamo provare emozioni simili. Non c'è niente di meglio per metterci di buon umore che guardare un gruppo di amici felici di vedersi; e al contrario, il fatto di osservare le persone che soffrono intensamente ci commuove e ci fa persino piangere. Sentendo in modo approssimativo ciò che un'altra persona vive può generare una motivazione altruistica, ma come detto sopra, questo tipo di emozione non è indispensabile o sufficiente (xi). In certi casi, sentire le emozioni di un'altra persona può inibire la nostra gentilezza. Se di fronte a una persona terrorizzata cominciamo a provare paura, è possibile che siamo più influenzati dalla nostra stessa ansia di quello che succede a quella persona (xii). Inoltre, affinché tale motivazione si verifichi, è sufficiente essere consapevoli della sofferenza dell'altro, senza che sia necessario soffrire allo stesso modo.
  • Il quarto modo è di proiettarsi intuitivamente nella situazione dell'altra persona. È l'esperienza a cui Théodor Lipps fa riferimento usando la parola Einfühlung. Tuttavia, per essere influenzati da ciò che accade a qualcun altro, non è necessario immaginare tutti i dettagli della loro esperienza, è sufficiente sapere che essi soffrono. Inoltre, corri il rischio di immaginare cosa provi l'altro.
  • Il quinto modo è quello di creare una rappresentazione molto chiara dei sentimenti dell'altra persona grazie a ciò che lei ci dice, ciò che osserviamo e la nostra conoscenza di quella persona, i suoi valori e aspirazioni. Tuttavia, il fatto di creare una rappresentazione dello stato interiore di un'altra persona non garantisce l'emergere di una motivazione altruistica (xiii). Una persona calcolatrice e maliziosa può usare la sua conoscenza della nostra esperienza interiore per manipolarci e farci del male.
  • Il sesto modo è immaginare quello che sentiremmo se fossimo nel posto dell'altra persona, con il nostro carattere, le nostre aspirazioni e la nostra visione del mondo. Se uno dei tuoi amici è un grande fan dell'opera o del rock and roll e tu non apprezzi quel tipo di musica, sarai in grado di immaginare di provare piacere e sentirti felice per lui, ma se fossi seduto in prima fila sentiresti irritazione. Per questo motivo, George Bernard Shaw afferma: "Non facciamo agli altri ciò che non vorremmo che loro facessero a noi, perché gli altri non hanno necessariamente gli stessi nostri gusti ".
  • La settima forma è la sofferenza attraverso l'empatia, che è ciò che senti quando sei testimone o hai evocato la sofferenza di un'altra persona. Questa forma di empatia può far ignorare la situazione invece di assumere un atteggiamento altruistico. In realtà, in questo caso, non si tratta di prendersi cura dell'altra persona, o di mettersi al loro posto, ma di un'ansia personale generata dall'altra persona (xiv). Tale sensazione di sofferenza non genera necessariamente una reazione di gentilezza o una risposta appropriata alla sofferenza dell'altro, specialmente se possiamo ridurre la nostra ansia rimuovendo la nostra attenzione dal dolore che prova la persona. Alcune persone non sono in grado di vedere le immagini in movimento. Preferiscono distogliere lo sguardo dalle immagini che li feriscono invece di vedere la realtà. Tuttavia, il fatto di fuggire fisicamente o psicologicamente non aiuta affatto le vittime, sarebbe meglio prendere coscienza dei fatti e agire per risolverli. Quando viviamo principalmente preoccupati di noi stessi, diventiamo vulnerabili a tutto ciò che può influenzarci. Essendo prigionieri di questo stato mentale, il nostro coraggio è influenzato dalla contemplazione egocentrica del dolore degli altri, che viene vissuto come un peso che aumenta solo la nostra sofferenza. Al contrario, nel caso della compassione, la contemplazione altruistica della sofferenza degli altri moltiplica il nostro coraggio, la nostra disponibilità e la nostra determinazione a trovare una soluzione a questa sofferenza. Se la risonanza con la sofferenza dell'altra persona ci causa sofferenza personale, dovremmo dirigere la nostra attenzione verso quella persona e riattivare la nostra capacità di esprimere gentilezza e amore altruistico.
  • L'ottava forma è la gentilezza empatica, che consiste nel divenire consapevoli dei bisogni degli altri e nel provare un sincero desiderio di aiutarli. Secondo Daniel Batson, la gentilezza empatica è l'unica risposta che è diretta verso gli altri e non verso noi stessi, che è necessaria e sufficiente per produrre una motivazione altruistica. Infatti, quando è presente la sofferenza di un'altra persona, è essenziale adottare un atteggiamento che gli dia conforto e decidere quale sia l'azione più appropriata per porre rimedio alla sua sofferenza. Il fatto che ci commuove o che sentiamo o meno le stesse emozioni che questa persona è secondaria.

Daniel Batson conclude che le prime sei forme di empatia possono contribuire individualmente alla creazione di una motivazione altruistica, ma nessuna di esse garantisce l'emergere di tale motivazione, al massimo costituiscono le loro condizioni indispensabili. La settima forma, cioè la sofferenza attraverso l'empatia, è chiaramente contro l'altruismo. Solo l'ultima forma, vale a dire la gentilezza empatica, è necessaria e sufficiente perché la motivazione altruistica nasca nel nostro spirito e ci stimoli all'azione.

Risonanze convergenti e divergenti.  L'empatia affettiva consiste, quindi, nel risuonare con i sentimenti dell'altra persona, sia di gioia che di sofferenza. Tuttavia, questo processo è distorto dalle nostre stesse emozioni e dai nostri pregiudizi che agiscono come filtri. Lo psicologo Paul Ekman distingue due tipi di risonanza affettiva. La prima è la risonanza convergente: soffro quando tu soffri, provo rabbia quando provi rabbia. Se, ad esempio, tua moglie torna a casa sconvolta perché il suo capo si è comportato in modo inappropriato verso di lei, ti senti indignato e le dici con rabbia: "Come osa trattarti così?"  Nella risonanza divergente, invece di provare la stessa emozione di tua moglie e arrabbiarsi, ripensi la situazione e rispondi: "Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare qualcuno così scortese. Cosa posso fare per te? "Vuoi una tazza di tè o preferisci che facciamo una passeggiata?" La sua reazione accompagna le emozioni della moglie ma sotto un diverso registro emotivo.

Parte 3 - Frasi sull’altruismo, sulla relazione tra altruismo e felicità.  Quasi tutte le frasi sono prese dal libro “Il gusto di essere felici” di Matthieu Ricard. Dalla Quarta di Copertina: «In un'epoca di sfide come la nostra, una delle maggiori difficoltà sta nel riuscire a conciliare gli imperativi di economia, ricerca della felicità e rispetto dell'ambiente. Imperativi che corrispondono rispettivamente al breve, medio e lungo periodo e cui si sovrappongono tre diversi tipi di interessi: i nostri, quelli di chi ci è vicino e quelli di tutti gli esseri viventi.»

Nel mondo che celebra la competizione, Ricard ci propone la sua lettura dell'altruismo: non virtù individuale bensì come comportamento utile alla nostra vita e a quella di tutta la società. Un'opera che racchiude anni di riflessioni e di ricerche e utilizza filosofia, psicologia, neuroscienze, economia, ecologia per lanciare un messaggio verso un impegno altruistico che aiuti a risolvere i problemi attuali e il loro impatto sul nostro pianeta.  Ecco alcune frasi prese dal testo:

  • Affinché la gioia sopravviva e maturi serenamente, occorre che sia associata ad altre componenti della felicità come la bontà.
  • Le persone più felici sono anche più altruiste.
  • L’Altruismo è un termine inventato da Auguste Comte nel 1830 in opposizione ad egoismo,
  • Cercare la felicità mantenendosi indifferenti alla sofferenza degli altri è un tragico errore.
  • E’ essenziale comprendere che realizzando la felicità degli altri si ottiene la propria.
  • Quando si prova benevolenza, la mente tutta intera finisce per essere impregnata in questo sentimento, la disponibilità verso gli altri sarà rafforzata e sarete capaci di accogliere le sofferenze degli altri in maniera costruttiva, questo non è il caso dell’empatia, che può portare la persona che la prova a una forma di angoscia.
  • È possibile definire l'amore altruistico come "il desiderio che tutti gli esseri trovino la felicità e le cause della felicità".
  • Questo desiderio altruistico è accompagnato da una disponibilità costante per gli altri e dalla determinazione di fare tutto ciò che è in nostro potere per aiutare ciascuna persona ad ottenere la loro autentica felicità.
  • La compassione è la forma che l'amore altruistico assume di fronte alla sofferenza degli altri. Il buddhismo lo definisce come "il desiderio che tutti gli esseri siano liberi dalla sofferenza e dalle sue cause". Questa aspirazione deve essere accompagnata dall'applicazione di tutti i mezzi possibili per porre rimedio a tali tormenti.
  • L'empatia è la capacità di entrare in risonanza affettiva con i sentimenti degli altri e di prendere cognizione della loro situazione cognitivamente. L'empatia ci avvisa soprattutto della natura e dell'intensità della sofferenza che altri sperimentano. È possibile affermare che ciò catalizza la trasformazione dell'amore altruistico in compassione.
  •  L'altruismo salverà l'umanità anche dal punto di vista economico.

E adesso, per fare in modo che le cose cambino in fretta, bisogna osare l'altruismo.

  • Osare dire che il vero altruismo esiste, che può essere coltivato da ciascuno di noi.
  • Osare anche insegnarlo nelle scuole come strumento per realizzare il nostro innato potenziale di benevolenza.
  • Osare affermare che l'economia non può accontentarsi della voce della ragione e dello stretto interesse personale.
  • Osare prendere seriamente in considerazione il futuro delle generazioni a venire.
  • Osare, infine, proclamare che l'altruismo non è un lusso ma una necessità.

L'amore altruistico deve cercare lucidamente, il modo migliore per procurare il bene agli altri. Questa estensione contiene due aspetti principali. Da un lato, vengono identificati i bisogni di un numero maggiore di esseri, in particolare quelli che sono considerati stranieri o nemici. D'altra parte, il valore è dato a un insieme molto più ampio di esseri senzienti, che supera la cerchia dei nostri parenti, del nostro gruppo sociale, etnico, religioso e nazionale, che si estende anche al di là della specie umana.

Fabio Guidi - Gurdjeff e la psicosintesi

"La psicosintesi è un metodo di auto-formazione e realizzazione psico-spirituale per tutti coloro che non vogliono accettare di restare schiavi dei loro fantasmi interiori e degli influssi esterni, di subire passivamente il gioco delle forze psicologiche che si svolge in loro, ma vogliono diventare padroni del proprio regno interiore."  -  Roberto Assagioli.

Tutte le tradizioni religiose parlano della spiritualità, della religione interiore, come una Via; in cinese  si usa la parola Tao, in sanscrito marga, in arabo tariqa, in  greco hodos. Sono tutti termini che esprimono lo stesso significato: via, cammino, sentiero spirituale. Non esiste una sola via, eppure esistono infinite vie perché esiste la Via. La vera Via non può essere descritta: il Tao di cui si parla non è il vero Tao, ed è Neti Neti, né questo, nè quello, per gli induisti. 

E come si può parlare di qualcosa che muta incessantemente? Come si può parlare di qualcosa che non può essere fissato in parole e concetti?  Nei percorsi spirituali c’è una trasmissione diretta della conoscenza da maestro ad allievo, che deve essere individuale. Solo affinando la propria percezione ed imparando a vedere, imparare ad imparare, si aprirà al ricercatore la strada verso un autentico percorso spirituale. La realtà psichica è l’unica realtà che conti, ed è più effettiva  di qualsiasi altro aspetto della vita reale. 

La psicosintesi è una corrente psicologica, la cui paternità spirituale è attribuibile a Gurdjieff, che si ispira ai principi della psicologia umanistica, tesa allo sviluppo armonico della personalità, come totalità bio-psico-spirituale, e a favorire un contatto con i livelli superiori della psiche. È un metodo di lavoro concreto per la conoscenza, la crescita, la trasformazione personale, in cui ciascuno, partendo da ciò che è, ha il potere di attuare le sue potenzialità individuali, attraverso un lavoro guidato, ma essenzialmente autoformativo.

Questa via allo sviluppo di sé, in senso ampio, può essere anche definita «psicosintesi», senza con questo volerla assimilare alla Psicosintesi con la 'p' maiuscola, che fa stretto riferimento alla scuola fondata dallo psichiatra Roberto Assagioli (1888-1974), annoverato tra i precursori, a livello mondiale, della Psicologia Transpersonale, cioè di quella parte della psicologia che si occupa anche degli aspetti superiori, o spirituali dell'animo umano.

Il termine psicosintesi  è una tappa del lavoro di ricerca interiore. Per la psicosintesi ci sono tre modi di affrontare la realtà spirituale:

  • Ricercando l'Essere supremo che racchiude tutte le qualità umane in grado infinitamente maggiore;
  • In modo passivo, evitando di parlare di Dio;
  • Indicando strumenti e metodi per realizzare l’esperienza di quella realtà superiore (approccio psicosintetico)

Ogni uomo manifesta diversi Io, spesso contraddittori per questo ha un funzionamento disarmonico che sfocia nella Psicosi (personalità multiple) o nella Nevrosi (diversi io in lotta tra loro). Nell’uomo ordinario c’è confusione, inconcludenza e incoerenza. Le nostre razionalizzazioni sono i cuscinetti (ammortizzatori) che l’uomo usa per evitare di sentirsi pazzo ed essere scisso tra mille contraddizioni. Gli ammortizzatori ti impediscono il risveglio alla verità su te stesso. Il risveglio è semplicemente vedere le cose come effettivamente sono, ed è il frutto di un Lavoro che inizia con l’osservazione attenta di ogni aspetto della nostra personalità. Per iniziare il cammino, devi essere pronto allo smantellamento di tutte le tue razionalizzazioni mettendo in gioco la tua tranquillità e la tua sicurezza.  L’uomo ordinario ha diversi falsi io, delle maschere a  difesa dell'ego che devono essere rimosse.

Il motto della psicosintesi, rappresentata in Italia da Assagioli e Fabio Guidi è “conosci, possiedi, trasforma te stesso”.   Ciò che conta è la comprensione profonda ed interiore di se stessi. Bisogna passare dalla disidentificazione dei contenuti emotivi per arrivare al dominio su di essi. Dominio significa regolazione e trasmutazione delle energie impulsive e delle emozioni per esprimerle in modo costruttivo. Non si devono sprecare le energie e si deve accumulare la forza per cristallizzare il nostro io.

Lo scopo del Metodo della psicosintesi è quello di smascherare le nostre false sembianze, i sufi chiamano questa attività "lucidare lo specchio".  Il primo passo del Lavoro è la disidentificazione dai vari aspetti egoici. La personalità si esprime su più livelli, e la maschera è il modo in cui l’individuo si relaziona nel sociale. Sotto il livello della maschera si apre il livello del dolore originario, del bambino autentico, fragile e inadeguato che ha provato l’esperienza del non amore, connessa al sentimento di vuoto interiore.

Nell'essere umano si manifestano due personalità: quella sociale e quella del diavolo caratterizzata da impulsi distruttivi e asociali.  La Via, il Lavoro è il confronto tra queste due nature per imparare ad amare di un amore adulto, maturo. La Via propugna lo sviluppo del cuore, come sviluppo maturo dell’essenza, delle energie positive dell’individuo che si esprime in modo vitale, sensibile, creativo, razionale e responsabile. In questo modo è possibile un vero contatto tra gli esseri umani, tra essenze.

La sintesi degli opposti è il metodo centrale della psicosintesi, utilizzando una terza forza dal potere armonizzante si cercherà di arrivare ad una integrazione degli aspetti  più produttivi delle due polarità. Esprimere creativamente la nostra presenza nel mondo, è questo il modo per farci parteci del divino, a renderci immortali. Oggi le relazioni si riducono a semplici connessioni, in un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare e uscire, puri contatti senza impegno e responsabilità.

Nella psicosintesi, la personalità è composta da quattro aspetti: fisico, emotivo, mentale e spirituale. Si deve imparare non attraverso la mente ma attraverso il corpo e il sentimento. Solo la mente può prevedere (il futuro), solo le altre possono fare.

Sesso e eros sono separati, ciò che conta oggi è evitare legami, tenersi a distanza, creare una barriera difensiva. Eros è la perdita di sé, abbandono all’incertezza, eliminando eros evitiamo la paura, ma il rapporto diventa insignificante. Il demoniaco è la spinta ad affermare la propria individualità, la propria volontà, negare il demoniaco equivale ad una autocastrazione. Se non si è capaci di affermare se stessi, non si è neppure capaci di un'autentica partecipazione ad un rapporto.  Un io incapace di esprimersi può portare ad egoismo ed egocentrismo. Una mente analitica traccia continuamente linee di confine tra ciò che sei e ciò che non sei. Più l’uomo ricerca e si attacca ad un aspetto (piacere, successo, bene, vita), più teme ed è ossessionato dal suo opposto. Chi è sul cammino spirituale ha l’arroganza di arrivare alla comprensione di ciò che è, attraverso il nostro limitato intelletto, al contrario occorrerebbe un atteggiamento anti-intellettualistico.

Tradizionalmente, diceva George Ivanovitch Gurdjieff (1866-1949), si può parlare di tre vie tradizionali destinate all'evoluzione interiore dell'uomo che sono: "La prima via" del fachiro e della mortificazione dell’ego, spesso questi impulsi di eroismo spirituale sono dovuti a sotterranei sentimenti di inadeguatezza, e dimostrare agli altri la propria supposta grandiosità. La volontà per la volontà non serve a niente. "La Seconda via" è quella del monaco: il lavoro non è concentrato sul corpo, ma sui sentimenti sottomettendo tutto alla fede. Per essere in grado di servirsi di ciò che avrà raggiunto dovrà coltivarsi fisicamente e intellettualmente. Il totale abbandono di sé a Dio può rivelarsi un materialismo spirituale e precludere l’avanzamento verso il vero sé. "La Terza via" dello yogi è quella della conoscenza, Dio è visto come verità eterna, da inseguire con un progressivo disidentificarsi da ogni forma, da ogni posizione intellettuale (neti, neti). Le tre vie hanno in comune la necessità di rinunciare alla vita ordinaria per concentrarsi unicamente e incessantemente su particolari pratiche, studi e esercizi. É ovvio che una reale evoluzione interiore preveda lo sviluppo armonico di questi tre centri. La «Quarta Via» ricerca l'integrazione delle tre vie precedenti, perché il cammino di sviluppo interiore presuppone energia, motivazione e conoscenza. È possibile seguire questa via rimanendo nelle condizioni abituali di vita, senza rompere le relazioni che avevamo, un principio essenziale della quarta via è il lavoro simultaneo sui tre centri motorio, emotivo e mentale, nella vera comprensione l’uomo è in contatto con se stesso a livello profondo, la sua conoscenza è intimamente sentita sul piano sentimentale e corporeo e coinvolge l’intera sua personalità. Bisogna arrivare ad esprimere la nostra energia più autentica. Ogni attività deve prevedere triplice concentrazione: fisica, emotiva e mentale. È la via dell’osservazione per arrivare alla profonda consapevolezza. Spesso molte persone scelgono delle vie spirituali perché immaginano che sarà più facile la loro vita, trovando una giustificazione alla loro debolezza e al loro eterno difetto di adattamento.

In base ai princìpi su esposti della Quarta Via, il Lavoro proposto dalla Scuola di Psicosintesi consiste in un percorso preparatorio ad un cammino spirituale vero e proprio, secondo ciò che Gurdjieff definisce «la scala dalla vita alla via». 

L’obiettivo della psicanalisi è il mettere l’uomo in grado di amare e lavorare; su questa base si innesta il percorso della psicosintesi e l’auto-sviluppo. Il lavoro inizia solo dopo aver raggiunto una certa stabilità socio-emotiva, un equilibrio psico-affettivo; non è adatto a persone che vivono profondi attriti in relazione al proprio adattamento sociale. La crescita interiore è un andare oltre, non aggirare l’ostacolo. Il ricercatore deve essere nel mondo e non rinunciare ad esso, deve cercare di eccellere nel proprio lavoro. 

La spiritualità non deve essere confusa con un’ascesi alla mortificazione. Non c’è nessun bisogno di rinunciare alla lettura, ai normali impegni sociali, praticare il celibato. Oggi purtroppo il campo della spiritualità è contaminato da occultisti umili e pronti alla sottomissione, da nevrotici e persone che sentono di dover rinnegare il proprio sviluppo intellettuale, emotivo ed affettivo. L’apice del percorso spirituale consiste nell’impegno concreto e costruttivo nel mondo attraverso una coscienza rinnovata e tale impegno consente il definitivo ingresso dell’uomo nella Via.  Riconciliarsi con il mondo, operare nel mondo, assistendo e sostenendo gli altri, dedicarsi allo sviluppo degli altri come un moderno Boddhisattva, questo deve essere il risultato del percorso spirituale.

Per trovare iI centri di Psicosintesi in Italia che fanno riferimento ad Assagioli  vedi link: http://www.psicosintesi.it/  Nel 1967 si costituisce ufficialmente il primo centro italiano di psicosintesi, a  Roma;

Fabio Guidi è Laureato in Filosofia e diplomato in Scienze Religiose, analista a indirizzo esistenziale e psicosintetico, è autore di Iniziazione alla Psicosintesi (Edizioni Mediterranee) e I miei anni con Gesù: un vangelo psicosintetico (Vivere Altrimenti Editore).   Gurdjieff e la psicosintesi è il suo libro dedicato all’approccio spirituale della Quarta Via. Si è particolarmente dedicato alla realizzazione, nel cuore della campagna pisana, di una comunità di Psicosintesi, “Hodos”, impegnata nella ricerca e nella formazione in psicosintesi transpersonale. Adesso la comunità non esiste più. 
Sito: www.psicosintesi.orginfo.psicosintesi.org

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...