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giovedì 7 dicembre 2023

Rapporto tra spiritualità, religione e ateismo

In questo articolo cercherò di affrontare il complesso rapporto tra spiritualità e religione e ateismo, e proverò a mettere in evidenza i tentativi fatti da grandi personaggi per trovare un punto in comune tra i vari percorsi spirituali.

Partiamo da una citazione di Andrè Comte Sponville, un noto filosofo francese che io adoro: “Non possiamo fare a meno della comunione, della fedeltà, dell’amore, ma nemmeno della spiritualità. In Occidente, la spiritualità si è socialmente identificata durante i secoli con una religione (il cristianesimo), e si è finito per credere che religione e spiritualità siano sinonimi”      ( André Comte_Sponville, Bernard Feillet, Alain Rémond, A-ton-besoin d’une religion?, Les Editions de l’Atelier, 2003).

Innanzitutto, la spiritualità può essere definita come un cammino interiore che aiuta il praticante a trovare il vero e profondo Sé, ovvero a ritrovare il rapporto perduto con il Tutto, l’Assoluto, con l’Essere supremo (se siamo credenti), con tutti gli altri esseri viventi e manifestare la natura divina che esiste eternamente in noi.
La spiritualità è qualcosa di diverso dalla religione. La spiritualità si riferisce a esperienze mistiche, stati di coscienza non ordinari e queste esperienze hanno caratteristiche svincolate totalmente dalle società e dal tempo in cui si manifestano. Il cuore del percorso spirituale è il bisogno dell’io di andare oltre se stesso, di trascendere i propri limiti. La religione istituzionale, invece, è il tentativo sistematico e interessato di spiegare queste esperienze e le spiegazioni sono sempre date tramite metafore o concetti circoscritti in un certo tempo e in una certa cultura.  

Le religioni dovrebbero unire le persone dando a ciascuno una sensazione di eguaglianza al di là dello stato sociale di appartenenza e dovrebbero  aiutarle a superare la paura della morte. Hanno anche un grande potere politico e sociale sulle persone che ha spesso generato guerre, astio e dissensi fra le persone e la spiritualità non ha niente a che vedere con le fazioni e le differenze di punti di vista. Il percorso spirituale può essere aiutato dal credo religioso, ma allo stesso tempo può essere deviato poiché l’enfasi sulle credenze porta ad una spropositata crescita dell’ego, nonché ad un senso di superiorità (credendo di essere detentori di verità) rispetto alle altre persone annullando il sentimento della compassione in senso buddhista che è alla base della evoluzione personale e spirituale. Quello che è necessario sono delle regole di vita e una direzione da seguire.

La spiritualità è universale ed ha una dimensione personale, la religione no.

Lo scopo di una religione è far sì che una comunità religiosa abbia un rapporto con la divinità. Il fondatore della religione specificherà quali strumenti (dogmi, luoghi speciali, danze, libri, preghiere, riti, cerimonie, droghe, ecc. ) usare per avere delle esperienze spirituali e con quale linguaggio comunicarle e condividerle. Spesso i grandi mistici non fanno ricorso a questi strumenti. E’ per questo che le istituzioni religiose, il più delle volte, non amano i loro mistici. I mistici intraprendono la loro ricerca interiore in totale libertà e indipendenza e, non avvertono minimamente il bisogno di una religione.

Come precisa Padre Antonio Gentili,  "se approfondissimo veramente il significato di religione scopriremmo che non c'è molta differenza tra percorso spirituale e religione e che per 'religione' (in latino, relìgio: rilego), si deve intendere l’esperienza del legame che unisce l’umano con il Divino; un’esperienza che implica una rilettura (latino: relègere, rileggere) del proprio vissuto, una più profonda scelta di vita (latino: reelìgere, scegliere di nuovo) e infine la coltivazione di un’attitudine improntata a 'devozione' verso la Divinità (latino: rèligens)"  (Frasi di Padre Antonio Gentili, Yoga Yournal del luglio 2016).
Quindi, non bisogna confondere “la religione” con l’assetto istituzionale, dogmatico che l’accompagna e determina l’appartenenza a una determinata “confessione”.
In questo contesto tutte le discipline tendenti allo sviluppo delle capacità umane finalizzate all’auto-realizzazione favoriscono l’apertura al sacro, al Divino. Anche il praticante yoga, dopo aver eliminato l’ego, raggiungendo il silenzio mentale si abbandona al Divino. Questi aspetti sono le premesse e i pilastri stessi di un’autentica religiosità. La ricerca spirituale non deve necessariamente accompagnarsi all’idea di Dio, religione o illuminazione.

Adesso proviamo a vedere il rapporto tra ateismo e cammino spirituale. Sempre Andrè Comte Sponville scrive: “Troppo spesso la religione istituzionale ha prodotto e alimentato il conflitto tra l’intelligenza e la fede, finendo, con un’insistenza plurisecolare, per fornire di esse un’immagine che appare inevitabilmente antitetica”. Il dogma diventa antitetico a qualsiasi puro spirito di ricerca spirituale ed ha prodotto come reazione l’ateismo.
Tutti, anche i non credenti e gli atei possono rivendicare una propria dimensione spirituale. Il grande mistico indiano Ramakrishna, insegnò che persino l’ateismo può essere, per alcuni, un passo verso l’illuminazione e far parte, quindi, dell’evoluzione spirituale di un individuo: “Se un ateo è sinceramente convinto di svilupparsi attraverso un grande impegno e sforzo personale, consapevole di essere un ricercatore della verità, allora come l’aria fresca passa attraverso una finestra aperta, così la verità si rivela alla mente lasciata aperta da un sincero spirito di ricerca”. L’unico ostacolo al progresso è il chiudere l’entrata della comprensione “con le imposte dell’egocentrismo”.
 “La storica antitesi fra religione e scienza, fede e ragione, spiritualità e ateismo - in cui l’Occidente sembra essersi imprigionato come in una trappola culturale - può certamente trovare una via di uscita nel momento in cui si pone la seguente domanda: siamo sicuri che l’oggetto d’interesse della ricerca spirituale debba necessariamente accompagnarsi all’idea di Dio nel modo in cui questa è abitualmente espressa in Occidente?" -  David Donnini

La spiritualità, quindi, non è necessariamente associata a una religione o a un Dio. Basta dare uno sguardo in Oriente, al buddhismo o al taoismo, per scoprire che esistono immensi spazi di spiritualità che non hanno niente a che vedere con la fede in un Dio trascendente, personale e creatore. 

Il cuore del percorso spirituale e della meditazione è il bisogno dell’io di andare oltre sé stesso, di trascendere i propri limiti, perdere il senso di dualità (sé stesso – mondo) e arrivare a un senso di pienezza, al cuore dell’essere, al cuore del mistero dell’essere. 

Del resto, lo stesso XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso afferma: “non credo che la religione sia indispensabile per la vita spirituale ”.  Per il buddhismo la spiritualità consiste anche nello sviluppo della pratica contemplativa e dello sviluppo intenzionale di qualità interiori come la compassione, la gentilezza, l’attenzione e la calma mentale. 

Nel 1966 Thich Nhat Hanh, il monaco zen recentemente scomparso,  fonda l’Ordine dell’Interessere per sottolineare quanto tutti noi siamo collegati e interdipendenti.  E' importante sviluppare le nostre qualità innate come l'altruismo disinteressato e la benevolenza, creare una rete di relazioni basate sulla compassione reciproca estendendola  anche alla natura e a tutto ciò che ci circonda, coltivare "l'interessere", un ben preciso senso di interconnessione con tutto l'universo.  Thich Nhat Hanh, in piena sintonia con il pensiero teosofico e con quello gandhiano, sostiene che nessuna singola tradizione religiosa  può ritenersi depositaria del monopolio dell’intera verità. “Dobbiamo cogliere -dice - i valori migliori delle diverse tradizioni e lavorare insieme per rimuovere le tensioni fra le tradizioni stesse: solo così potremo offrire un’opportunità alla pace".
La via che viene insistentemente proposta (e praticata) è quella del dialogo, attraverso il quale i credenti di varie tradizioni potranno riconoscere somiglianze e differenze.
Ovviamente, affinché possa crearsi un prezioso rapporto di dialogo costruttivo, capace, al contempo, sia di indurre a comprendere e ad amare maggiormente le proprie radici, sia di assaporare ed anche assimilare le cose migliori delle altre fedi e dottrine, dovranno essere abbandonate le pretese di primato e di monopolio, come quella espressa da Giovanni Paolo II nel suo Varcare la soglia della speranza, che, presentando il Cristianesimo, secondo la consolidata tradizione cattolica, come “l’unica via di salvezza”, renderebbe, di fatto, impossibile qualsiasi sincero dialogo, fomentando, altresì, discriminazione  e intolleranza.

Molti grandi mistici indiani come ad esempio Ramakrishna e Swami Yukteswar (maestro di Yogananada), ben prima di Papa Francesco e del Dalai Lama, sottolinearono che che "esiste una armonia e un'unità di fondo tra tutte le religioni".   

Swami Yukteswar (maestro di Yogananda) nel testo La Scienza Sacra mostra "che solo pochi esseri particolarmente dotati riescono a sottrarsi all'influenza del proprio credo e a scorgere l'identità perfetta delle verità sostenute da tutte le grandi religioni.  Tra gli insegnamenti spirituali orientali e quelli occidentali non solo non esistono reali divergenze, ma neppure vere contraddizioni. Spesso, invece, le varie religioni innalzano barriere quasi insormontabili che minacciano di dividere per sempre il genere umano".   

Ramakrishna,  insegnò che Dio può essere visto in vari modi e che "l’essenza della religione è la realizzazione di Dio". Dimostrò con la sua vita che Dio è una Realtà che può essere sperimentata non solo da pochi eletti, ma da tutti gli uomini di buona volontà, a prescindere dalle differenze di razza, religione o stato sociale. L’accettazione di tutte le religioni denota un’attitudine illuminata che è il risultato di un confronto serio con sentieri spirituali diversi. L’armonia non deve significare non seguire nessuna religione in particolare, perché ciò sarebbe altrettanto inutile del fanatismo. E’ necessario seguire la via verso cui ci si sente più portati e seguirla con zelo. 
Se non si è in grado di comprendere, almeno a livello intellettuale, il valore delle altre vie spirituali, è certo che non si sarà in grado di comprendere pienamente nemmeno la propria. 
E’ l’esperienza che rende l’opinione conoscenza e l’intellettualismo saggezza.  
Lo stesso Buddha disse “non dovete accettare i miei insegnamenti, dovete investigare su quello che vi dico. Non accettate le mie parole come vere, verificate tutto”. 

Ramakrishna disse che "la Realtà è Una e sempre la stessa, la differenza sta solo nel nome e nella forma. È come l'acqua, che nelle diverse lingue è chiamata con nomi diversi, tipo 'jal', 'pani' e così via. In un lago ci sono tre o quattro pontili. Gli indù che attingono acqua ad uno di essi la chiamano 'jal'. I mussulmani, che la attingono a un altro, la chiamano 'pani' e gli inglesi, ad un terzo, la chiamano 'water'. Si tratta sempre della stessa cosa chiamata con tre nomi diversi. Allo stesso modo, alcuni chiamano la Realtà col nome di 'Allah', alcuni la chiamano col nome 'Dio', alcuni col nome 'Brahman ', alcuni con 'Kali', ed altri ancora con 'Rama', 'Gesù', 'Durga' e 'Hari'".

A me sembra che la religione cristiana, e cattolica in particolare, non cambi molto nel corso dei tempi e che non ci siano aperture verso altre spiritualità. Papa Francesco, ha sottolineato più volte il primato della fede. Insomma, qualche esperienza metodologica proveniente da altri universi religiosi potrà pur essere accolta all’interno della pratica della preghiera cristiana, ma ciò non dovrà minimamente introdurre diverse prospettive dottrinali, né insinuare dubbi teologici, né contaminare o illanguidire i contenuti del Credo cattolico dogmaticamente definiti. . “Il cristiano, quando prega, – ha detto – non aspira alla piena trasparenza di sé, non si mette in ricerca del nucleo più profondo del suo io.”  Questo perché la “preghiera del cristiano è anzitutto incontro con l’Altro, con l’Altro ma con la A maiuscola: l’incontro trascendente con Dio.”  E a guidarci, come si afferma già nel Catechismo della Chiesa cattolica, sull’unica via della preghiera rappresentata da Gesù, dovrà essere lo Spirito Santo, senza il quale, nessuna meditazione o percorso autenticamente cristiano sarebbe possibile. (Vedi le parole di Papa Francesco quando si è trovato ad affrontare il tema della meditazione nell’Udienza Generale del 28 aprile 2021, dedicata alla Catechesi sulla preghiera).

Per poter creare un prezioso rapporto di dialogo costruttivo, capace, al contempo, sia di indurre a comprendere e ad amare maggiormente le proprie radici, sia di assaporare ed anche assimilare le cose migliori delle altre fedi e dottrine, dovrebbero essere abbandonate le pretese di primato e di monopolio, come quella espressa da Giovanni Paolo II nel suo Varcare la soglia della speranza, che, presentando il Cristianesimo, secondo la consolidata tradizione cattolica, come “l’unica via di salvezza”, renderebbe, di fatto, impossibile qualsiasi sincero dialogo.

Bisogna evidenziare che recentemente alcuni teologi cristiani hanno provato a  costruire un ponte tra le varie spiritualità tentando di elaborare una definizione di sacro più ampia, sottolineando l'anelito verso il divino da parte dell’essere umano. L'Archetipo del monaco, un testo del 2022 di Antonio Dorella, evidenzia come varie forme dell'attuale religiosità provino a incontrarsi su un terreno comune:  la "spiritualità individuativa", che è uno spazio del sacro, contemporaneamente laico e confessionale, un raccordo fra i due mondi.  L'autore presenta, in questo libro, il pensiero e le vicissitudini di cinque ricercatori spirituali:  Raimon Panikkar, Hans Küng, Matthew Fox, Eugen Drewermann e Leonard Boff che sono gli apripista di un nuovo, affascinante modello di umanità.  Per questi tentativi di universalizzare ed allargare la visione spirituale, questi autori sono stati in vari modi, per periodi brevi o lunghi,  emarginati e allontanati dalla Chiesa Cattolica. 

Oggi è chiamata in causa non una particolare forma di religione; ma la religione in se stessa e solo il movimento ecumenico tra le religioni e lo sforzo di ciascuna ad accettare e apprezzare la verità e santità che si trova nelle altre religioni, può rispondere al bisogno di religiosità dell’uomo moderno.” (Bede Griffiths: Matrimonio tra Oriente e Occidente, p.30, pubblicato negli anni '80).   Bede Griffiths ( 1906, 1993) nato Alan Richard Griffiths e conosciuto anche alla fine della sua vita come Swami Dayananda, era un prete cattolico di origine britannica e monaco benedettino che visse in ashram nel sud dell'India e divenne un noto yogi. Griffiths faceva parte del movimento Christian Ashram

Altri tentativi di incontro tra Occidente e Oriente, in modo particolare tra yoga e religione cristiana, sono stati fatti da grandi personaggi come Padre Anthony Elenjimjttam (padre domenicano e monaco buddhista) ; Padre Antonio Gentili, Padre Mariano Ballester (ideatore della meditazione profonda e autoconoscenza MPA) e il monaco Axel Bayer.  Il grande Maestro yoga Giorgio Furlan (uno dei fondatori della federazione yoga italiana e morto nel 2021)  organizzava tutti gli anni una conferenza dal titolo "Incontro Oriente - Occidente".

Il pensiero di Padre Anthony Elenjimjttam si fonda sull'assoluta uguaglianza tra la filosofia orientale e quella occidentale, a partire dalla filosofia indo-vedica, a quella greca, fino al pensiero occidentale legato al cristianesimo. Ciò che cambia è il linguaggio, le parole che vengono utilizzate, ma permane una similitudine di fondo".   Ha ideato anche il "Mandala degli 8 sentieri" chiamato anche "Mandala Cosmico".   J.B. Sparks lo costruì con l'idea che tutti gli uomini potessero unirsi in un unico modo di sentire e concepire la spiritualità. In questo mandala troviamo rappresentati il "Cristianesimo", l'"Umanismo filosofico", il "Taoismo e Confucianesimo", il "Zoroastrismo o Mazdeismo", il "Buddhismo", l'"Induismo Yoga", l'"Islam" e l'"Ebraismo".

Axel Bayer (1970 -) , è un monaco benedettino dell'Eremo di Camaldoli. È laureato in lingue, lettere e teologia, pratica yoga e meditazione da 20 anni ed è insegnante dell' Himalayan Yoga Institute, fondato da Swami Rama. Dopo essersi diplomato, ha trascorso un periodo di approfondimento e di pratica intensa a Rishikesh in India. Da molti anni propone corsi di meditazione e iniziative che mettono in dialogo la tradizione cristiana con la sapienza dell'Oriente.

Padre Antonio Gentili (1937- ) è un religioso barnabita, con licenza in teologia e laurea in filosofia. Preparato conoscitore delle religioni e delle spiritualità orientali ma profondamente radicato nella tradizione cristiana, pratica yoga e guida di corsi di meditazione e preghiera profonda, aperti a ogni categoria di persone. Per lui, la meditazione è un prezioso strumento per avvicinarsi a Dio. Padre Gentili cerca – anche attraverso numerose pubblicazioni – di ravvivare, senza travisamenti, una fede che in questi ultimi decenni mostra segni di crisi sempre più evidenti. Propone un’apertura mistica del cuore, la contemplazione, una vita ascetica e sacramentale autentica.
Padre Gentili fa, spesso, una correlazione tra i precetti morali dello yoga (yama) che governano le nostre interazioni con gli altri, ahimsa (la non violenza), satya (la verità), asteya (il non rubare), bramacharya (la moderazione) e aparigraha (la non possessività), con i Comandamenti cristiani. Tutte le grandi tradizioni sapienziali e spirituali dell’umanità hanno come finalità di promuovere un’autentica qualità delle vita. E quindi ad alimentare nel cuore dell’uomo pace, gioia, amore, compassione e speranza.

Aleyamma o Suor Infant Tresa “La yogi di Cristo” (1951-), nasce nel nel Kerala (regione nel sud dell’India), uno degli Stati indiani in cui il cattolicesimo è molto presente e diventa suora a 19 anni. Nel 1985 – iniziò a fare yoga perchè aveva un terribile mal di schiena che l'obbligava a portare un corsetto speciale. Incontrò un maestro di yoga presso l’università dove studiava che gli consigliò una serie di esercizi da fare e  dopo poco tempo il problema alla schiena era scomparso. Da allora la preghiera mattutina di suor Infant Tresa comincia con Padre nostro e namasté (il saluto dello yoga), dimostrando che non vi è contraddizione alcuna tra la vita da religiosa cattolica e lo yoga che diventa un'estensione della sua vita religiosa. Per trent’anni ha praticato yoga e in età da pensione ha deciso di diventare insegnante di yoga. Gestisce e supervisiona due centri di yoga nel Kerala.

«All’inizio – racconta – alcuni erano perplessi che una suora insegnasse yoga, ma non mi sono mai fatta scoraggiare dai dubbi delle persone». «Spesso i cristiani sono perplessi per i mantra che si recitano durante la pratica, ma questo non è un fatto centrale: io per esempio durante la seduta di yoga recito preghiere cristiane». «Non c’è niente di contraddittorio con la fede cristiana; –. È per ignoranza che una parte dei cristiani si oppongono allo yoga, dicendo che appartiene all’induismo.  Lo yoga non è legato a nessuna religione, ma è un contributo dell’antica India al resto del mondo. È una pratica olistica che unendo fisico, mente, intelletto, emozione e spirito fa sentire meglio l’uomo, gli regala la pace e lo avvicina a Dio. Inoltre, cambia la mentalità: aiuta ad essere meno materialisti e a liberarsi dal consumismo. Ecco perché le persone oggi lo praticano indifferentemente da religione, lingua e comunità di appartenenza». La pratica aiuta tutti a sperimentare la pace che Gesù ci ha promesso ».  Suor Tresa afferma: “Non andrò mai contro la chiesa se mi chiedesse di lasciare lo yoga, ma sono assolutamente certa che la chiesa non chiederà mai a me o a nessuno di rinunciare allo yoga; poiché esso non ha nulla che contraddica la fede o gli insegnamenti cristiani, visto che con lo yoga tutti possiamo diventare esseri umani e cattolici migliori" Anzi il mio vescovo, la mia congregazione, i miei superiori e tutti i miei colleghi mi sostengono e incoraggiano.  Oggi, con l'aiuto dei media e della consapevolezza, le persone sono meglio informate e stanno realizzando i valori nello yoga.  "Lo yoga, una pratica che – sostiene  suor Infant Tresa – non solo non è in contraddizione con la vita da religiosa e col cristianesimo ma aiuta ad essere cattolici migliori".. 

Padre Mariano Ballester (1935 - 2021), gesuita spagnolo, direttore spirituale del Collegio Internazionale del Gesù, ha messo a punto negli anni '70 un metodo di “meditazione silenziosa” che ha chiamato MPA, Meditazione Profonda e Autoconoscenza. Questo metodo si avvale largamente di esercizi basati sul respiro; è un metodo di evoluzione personale che coniuga introspezione e silenzio. 
Ha creato, inoltre, l'associazione senza fini di lucro "Meditazione Profonda e Autoconoscenza (MPA)”, che si propone di diffondere la pratica della MPA attraverso incontri di formazione e di valorizzazione umana e spirituale della persona con la finalità di guidarla verso la sorgente dell'essere. Ogni persona, nessuna esclusa, è portatrice spesso inconsapevole, di un “seme spirituale”. Questo seme, il centro dell’Essere, non può essere disatteso perché la sua non apertura limita la realizzazione più profonda dell'essere umano.  “L'uomo è un ricercatore, nel senso di colui che ricerca qualcosa che non riesce a comprendere e che i fedeli chiamano Dio. Attorno alla meditazione profonda, infatti, si riuniscono soprattutto gli scettici, gli atei, non credenti in generale: ricercatori provenienti dalla strada che cercano qualcosa. Questa ricerca passa attraverso la conoscenza profonda di se stessi e si conclude solo grazie ed attraverso lo spirito.”

 In Occidente c’è il problema di conciliare le proprie tradizioni spirituali con le offerte che provengono dall’Oriente. Negli anni trenta, Carl Gustav Jung pubblicò un libricino Lo yoga e l’Occidente, in cui asseriva che "lo yoga è il metodo più adatto a fondere insieme corpo e spirito, una delle più grandi invenzioni mai create dallo spirito umano". Però raccomandava: “studiate lo yoga, imparerete tantissime cose, ma prima di iniziare a praticarlo dovete conoscere voi stessi”, perché “non sappiamo chi pratica lo yoga. Non ci conosciamo".  "L'Occidente deve trovare il suo yoga".

Il sogno di tutti i grandi saggi e maestri, dal neoplatonismo di Ammonio Sacca all’umanesimo di Pico della Mirandola, dalla teosofia di  Madame Blavatsky al pensiero nonviolento di Aldo Capitini e di Thich Nath Hanh è il seguente: le diverse scuole religiose,  impegnandosi con grande serietà  in un dialogo fiduciosamente aperto e animato da  spirito di autentico ecumenismo, potranno, nello stesso tempo, riscoprire gli aspetti più preziosi della propria dottrina e apprezzare ed apprendere fruttuosamente gli elementi di maggior valore presenti in ciascun credo. 

sabato 23 settembre 2023

Yoga e meditazione all'eremo di Camaldoli con Alex Bayer

Oggi è chiamata in causa non una particolare forma di religione; ma la religione in se stessa e solo il movimento ecumenico tra le religioni e lo sforzo di ciascuna ad accettare e apprezzare la verità e santità che si trova nelle altre religioni, può rispondere al bisogno di religiosità dell’uomo moderno.” (Bede Griffiths: Matrimonio tra Oriente e Occidente, p.30, anni '80).

Axel Bayer è nato nel 1970 a Stoccarda (Germania), è monaco benedettino del Sacro Eremo di Camaldoli (AR). È laureato in lingue, lettere e teologia, pratica yoga e meditazione da 20 anni ed è insegnante dell' Himalayan Yoga Institute, fondato da Swami Rama. Dopo essersi diplomato, ha trascorso un periodo di approfondimento e di pratica intensa a Rishikesh in India. Da molti anni propone corsi di meditazione e iniziative che mettono in dialogo la tradizione cristiana con la sapienza dell'Oriente.

Insegna metodi di meditazione cristiana nel master ‘Meditazione e neuroscienze cognitive’ all’università di Udine. Ha scritto la sua tesi di laurea in teologia sulla preghiera pura di Evagrio Pontico ed è autore del libro: ‘Meditazione – dalla preghiera pura di Evagrio Pontico al raja-yoga di Patanjali’.  Evagrio Pontico è uno dei Padri del deserto che ha maggiormente contribuito allo sviluppo di una via meditativa nella tradizione cristiana. Questo testo ricco e prezioso che ci riporta all’essenza della meditazione che, come fa osservare l’Autore, non è patrimonio esclusivo dell’Oriente o dell’Occidente, ma è una risposta trasversale alla ricerca, propria della natura umana, di strumenti che possano metterci in contatto con il Divino. Nel libro viene ripercorsa la storia della via meditativa nella tradizione cristiana, sottolineandone i punti di contatto con quella orientale. Axel Bayer non si limita, però, solo all’aspetto teorico, ma ci offre molte «indicazioni sulla pratica, sul rilassamento, sulla concentrazione, sul ruolo del maestro, sull’importanza della condivisione e, soprattutto, sulla centralità dell’abbandono. Alex spiega le motivazioni e le difficoltà nell'intraprendere una ricerca spirituale oggi; incoraggia comunque a provarci e a mettersi in cammino».

L’anelito alla meditazione silenziosa è trasversale alle diverse tradizioni religiose, ed Alex esplora il modo in cui questi cammini si illuminano reciprocamente gettando luce anche sul personale cammino spirituale. 

Propone una  pratica yoga e meditativa con condivisione. Intende lo yoga, come un metodo che aiuta il praticante in un processo di svuotamento e di abbandono che porta ad una calma mentale, aperta all’incontro con l’altro, e in questo modo lo yoga diventa un prezioso strumento per approfondire l'esperienza religiosa, la preghiera e la comprensione di noi stessi.  Prendendo spunto dalla ricca tradizione spirituale che proviene dalle religioni orientali, Alex vuole portare avanti il dialogo iniziato dai padri fondatori dell'ashram in India: Jules Monchanin, Henry Le Saux e Bede Griffiths.

Amare il Dio invisibile significa aprire passivamente il cuore davanti a Dio e attendere l’attiva rivelazione di Lui, in modo che nel cuore scenda l’energia dell’amore divino.”  - Pavel Florenskij.

Riferimenti: 

  • https://www.camaldoli.it/yoga-e-meditazione/
  • https://www.youtube.com/watch?v=YfS6Gc_oatk&ab_channel=AxelBayer
  • https://www.youtube.com/watch?v=yI9XchIhcaY&ab_channel=AxelBayer

domenica 12 marzo 2023

La scienza sacra - Swami Sri Yukteswar

"L'Oriente e l'Occidente  devono trovare un'aurea di mezzo tra l'attività e la spiritualità".

Paramahansa Yogananda nella sua Autobiografia di uno Yogi paragona il suo Maestro, Sri Yukteswar (1855-1936) come grandezza al Cristo. Sri Yukteswar (Priya Nath Karar) è stato il discepolo di Lahiri Mahasaya di Benares, il primo ad aver insegnato il kriya yoga, affermando che questa scienza era il mezzo più efficace per ottenere la realizzazione di Dio. Sri Yukteswar  invitava i suoi studenti a diventare legami viventi tra le virtù dell'Occidente e quelle dell'Oriente. Sri Yukteswar era un occidentale dalle abitutini esteriori e interiormente e spiritualmente un orientale. Nel 1920 inviò Paramahansa Yogananda in America per far conoscere ai ricercatori della verità di tutto il mondo la scienza liberatrice del Kriya yoga. Per questo Yogananda fondò la Self-Realization Fellowship, un'associazione internazionale con sede a Los Angeles. Il grande guru entrò nel mahasamadhi, la cosciente uscita dal corpo di uno yogi, il 9 marzo 1936 a Puri.

Lo scopo del libro La scienza sacra, scritto nel 1894 da Sri Yukteswar,  è quello di mostrare che esiste una unità di fondo tra tutte le religioni e che non esistono reali divergenze tra insegnamenti spirituali occidentali e orientali. Le varie dottrine servono soltanto ad inalzare barriere quasi insormontabili che minacciano di dividere per sempre il genere umano.  Tutte le creature desiderano tre cose: l'esistenza, la conoscenza e la beatitudine. Dio è presente in tutto l'universo. Non riusciamo a comprendere Dio, perchè l'uomo si identifica con il corpo fisico, deve trascendere la maya (l'illusione) e diventare egli stesso divino.

Le idee base della nostra civiltà: il tempo, lo spazio, l'atomo sono una stessa e unica cosa, e in sostanza soltanto idee. L'atomo sotto l'influsso di cit (la conoscenza universale) forma il citta, ossia quella condizione di calma della mente, che, una volta spiritualizzata prende il nome di buddhi, l'intelligenza o intelletto. Il suo opposto è manas, la mente, nella quale dimora il jiva: il sè con ego (l'ahamkara) e l'idea dell'esistenza separata.

Quando l'uomo comprende la sua vera natura, liberarsi dalla schiavitù di maya diventa lo scopo principale della sua vita. Con l'influenza di maya subisce tutte le angosce della vita e della morte. Il dolore nasce da avidya, l'ignoranza che è la percezione dell'inesistente, e la non-percezione dell'Esistente. Avidya si manifesta sotto forma di egoismo, attaccamento, avversione e cieca ostinazione. L'uomo è sottoposto all'influenza di questi mali e poi soffre. Il fine dell'uomo è la liberazione completa dall'infelicità. L'esistenza, la coscienza e la beatitudine sono i tre grandi desideri del cuore umano.  Quando l'uomo comprende che il suo Sé è un frammento dello spirito universale, raggiunge kaivalya, l'unione del Sé con Dio.

Il cammino è costituito da sacrificio (yajna), nella penitenza (tapas), dal profondo studio (svadhyaya), e dalla pratica della meditazione. La meditazione sul suono divino Om (pranava), è la sola via che porta a Brahman, e alla salvezza. Inoltre, occorre rivolgere il proprio amore al guru e seguirne amorevolmente gli insegnamenti.  

La forza morale è rafforzata dall'osservanza di yama (moralità e autocontrollo) e di  niyama (osservanze religiose, purezza del corpo e della mente). Praticando Yama e Nyama, le indegnità svaniscono dal cuore dell'uomo e si manifesta la virtù. L'essere umano diventa così un Sadhaka, un vero discepolo in grado di conseguire la verità.

L'obiettivo è liberare la mente da tutti i pregiudizi e i dogmi limitanti, vivere una vita in modo naturale. La qualità della vita dipende dalla scelta del cibo, della dimora e della compagnia. L'uomo è un animale frugivoro che si nutre di frutta e verdura. Ama stare in compagnia di coloro che dissolvono le sue angosce, chiariscono i suoi dubbi e gli concedono la pace. Deve pertanto evitare qualsiasi cosa che produca gli effetti opposti. Inoltre, deve studiare gli scritti degli esseri illuminati.

giovedì 9 marzo 2023

Quand la connaissance s'éveille - Anthony De Mello

Padre Anthony De Mello (1931-1987), è nato a Bombay. A sedici anni entra in un seminario gesuita e diventa padre gesuita.  Ha lavorato anche come scrittore, psicologo e psicoterapeuta e l'intera sua opera è dedicata alla liberazione interiore. Ha dedicato tutta la sua vita ad aiutare gli uomini a realizzare le loro esperienze spirituali e ritrovare energia nel quotidiano, ottimismo per il futuro, coraggio e discernimento nelle difficoltà della vita. Pillole di fiducia, aforismi di illuminanti, parabole di saggezza: questi sono i segreti del pensiero positivo di Anthony De Mello.  I suoi libri sono stati tradotti e diffusi in tutto il mondo e sono best seller internazionali.

Questo testo Quand la connaissance s'éveille (Quando la coscienza si sveglia) è una raccolta di racconti, favole e parabole che, influenzate dalla spiritualità buddista e taoista, tracciano i sentieri di una saggezza originale ed efficace. Attingendo alla sua esperienza di guida di ritiri spirituali, Anthony de Mello si rivolge direttamente al lettore, con uno stile vivace e familiare. Affronta i temi essenziali che possono illuminarlo sul risveglio a se stesso, condizione per l'armonia interiore e la felicità. Questo libro sarà un compagno prezioso per chi vuole camminare verso la conoscenza di sé.

martedì 28 febbraio 2023

Iside Svelata - di Helena Petrovna Blavatsky, presentata da Roberto Fantini

Iside Svelata è il primo monumentale libro scritto (e pubblicato nel 1877) dalla teosofa russa Helena Petrovna Blavatskij, con l'intento di svelare i più profondi misteri spirituali in parte legati all'evoluzione umana.
Iside Svelata - Relazioni di Roberto Fantini, sede della Biblioteca Nazionale Teosofica di Roma
Iside Svelata - un'introduzione alla lettura (parte prima)
Iside Svelata - un'introduzione alla lettura (parte seconda)

https://www.teosofica.org/it/materiale-di-studio/biblioteca-multimediale/iside-svelata,2,545

In questo sito si trovano tanti testi in Pdf stampabili relativi alla Teosofia  http://www.istitutocintamani.org/downloadLibri.php

_______Per chi volesse approfondire la conoscenza relativa alla personalità e al pensiero di Helena P. Blavatsky, suggerisco le seguenti opere:

  • H. P. Blavatsky, La Chiave della Teosofia, H. P. Blavatsky, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2009.
  • Cranston Sylvia, La straordinaria vita e il pensiero della fondatrice del movimento teosofico moderno, Armenia, Milano 1994.
  • Giovetti Paola, Helena Petrovna Blavatsky e la Società Teosofica, Edizioni Mediterranee, Roma 2010.
  • Girardi Antonio (a cura di), La Società Teosofica. Storia, valori e realtà attuale, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2014.
  • Sinnett Alfred Percy, Il Mondo Occulto, Cerchio della Luna, 2017.
  • Sinnett Alfred Percy, La vita straordinaria di Helena Petrovna Blavatsky, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma 1980.
  • sito della Società Teosofica Italiana:  https://www.teosofica.org/

giovedì 12 gennaio 2023

Suor Infant Tresa "La yogi di Cristo"

"Lo yoga, una pratica che – sostiene  suor Infant Tresa – non solo non è in contraddizione con la vita da religiosa e col cristianesimo ma aiuta ad essere cattolici migliori"..

Aleyamma o suor Infant Tresa  nasce nel 1951 nel Kerala (regione nel sud dell’India), uno degli Stati indiani in cui il cattolicesimo è molto presente e diventa suora a 19 anni. Oltre ad essere una delle 7mila clarisse francescane del Kerala,  la suora è  anche una delle insegnanti di yoga più note della zona. Nel 1985 – iniziò a fare yoga perchè aveva un terribile mal di schiena che l'obbligava a portare un corsetto speciale. Incontrò un maestro di yoga presso l’università dove studiava che gli consigliò una serie di esercizi da fare e  dopo poco tempo il problema alla schiena era scomparso. Da allora la preghiera mattutina di suor Infant Tresa comincia con Padre nostro e namasté (il saluto dello yoga), dimostrando che non vi è contraddizione alcuna tra la vita da religiosa cattolica e lo yoga che diventa un'estensione della sua vita religiosa.

Per trent’anni ha praticato yoga e in età da pensione ha deciso di diventare insegnante di yoga. Gestisce e supervisiona due centri di yoga nel Kerala (il primo creato nel 2006) e i suoi corsi sono seguiti da persone di diversi background religiosi, culturali e linguistici provenienti da tutta l'India e dall'estero. Persone di tutte le età, donne, uomini, bambini, persone con diverse malattie, anziani e donne incinte. La sua esperienza più indimenticabile come insegnante di yoga è stata quella di aiutare una persona paralizzata a camminare e muoversi normalmente attraverso la terapia yoga. Era un avvocato del Kerala e un lato del suo corpo era paralizzato e quindi non poteva più neanche alzarsi o sedersi.

«All’inizio – racconta – alcuni erano perplessi che una suora insegnasse yoga, ma non mi sono mai fatta scoraggiare dai dubbi delle persone». Così suor Tresa ogni anno partecipa anche alle conferenze per i professionisti dello yoga, in India e all’estero, e nel 2015 ha ottenuto un riconoscimento per la sua attività da parte della Yoga Alliance.  «Spesso i cristiani sono perplessi per i mantra che si recitano durante la pratica, ma questo non è un fatto centrale: io per esempio durante la seduta di yoga recito preghiere cristiane». «Non c’è niente di contraddittorio con la fede cristiana; –. È per ignoranza che una parte dei cristiani si oppongono allo yoga, dicendo che appartiene all’induismo.  Lo yoga non è legato a nessuna religione, ma è un contributo dell’antica India al resto del mondo. È una pratica olistica che unendo fisico, mente, intelletto, emozione e spirito fa sentire meglio l’uomo, gli regala la pace e lo avvicina a Dio. Inoltre, cambia la mentalità: aiuta ad essere meno materialisti e a liberarsi dal consumismo. Ecco perché le persone oggi lo praticano indifferentemente da religione, lingua e comunità di appartenenza». La pazienza e la tolleranza in tutte le circostanze sono essenziali per diventare un buon insegnante di yoga.

 «Per me la fede è una risorsa nella mia attività – continua – mi ha aiutato a diventare un insegnante valido ed efficace e resto comunque una convinta seguace di Gesù Cristo. La pratica aiuta tutti a sperimentare la pace che Gesù ci ha promesso ».  Suor Tresa afferma: “Non andrò mai contro la chiesa se mi chiedesse di lasciare lo yoga, ma sono assolutamente certa che la chiesa non chiederà mai a me o a nessuno di rinunciare allo yoga; poiché esso non ha nulla che contraddica la fede o gli insegnamenti cristiani, visto che con lo yoga tutti possiamo diventare esseri umani e cattolici migliori.  Anzi il mio vescovo, la mia congregazione, i miei superiori e tutti i miei colleghi mi sostengono e incoraggiano.  Oggi, con l'aiuto dei media e della consapevolezza, le persone sono meglio informate e stanno realizzando i valori nello yoga.

__________Intervista a Suor Infant Tresa  fatta da Philip Mathew - un giornalista di Bangalore

Prima di diventare un'insegnante di yoga professionista a tempo pieno, ha lavorato come infermiera in vari ospedali e collegi medici del Kerala. Tresa ha condiviso la sua missione con Global Sisters Report.

GSR: Cosa l'ha spinta verso lo yoga?
Tresa: Nel 1976, mentre studiavo infermieristica in Kerala, soffrivo di forti dolori alla schiena e di affanno. I medici mi consigliarono di prendere delle medicine, cosa che feci per molto tempo. Dovevo anche usare una cintura [speciale]. Ma niente funzionava. Nel 1985 ho incontrato un guru dello yoga che è venuto nell'istituto dove studiavo. Gli parlai dei miei problemi di salute. Mi consigliò di fare yoga e mi insegnò a farlo. Iniziai a sentirmi meglio dopo aver praticato lo yoga. Ho avuto anche sollievo dal mal di schiena e dal respiro affannoso. Ho sentito che era una benedizione di Dio. Decisi quindi di fare dello yoga una parte della mia vita. Ho praticato yoga negli ultimi 31 anni. Sono convinta che sia stato lo yoga a risolvere i miei problemi di salute.

Quando e come ha iniziato a insegnare yoga?

Nel 2006, dopo essere andata in pensione come infermiera, ho deciso di insegnare yoga per aiutare gli altri. Nello stesso anno ho aperto un centro yoga presso il Nirmala Medical Centre di Muvattupuzha. Dopo qualche anno, ho aperto un altro centro yoga a Thodupuzha, una città vicina, dove insegno due giorni alla settimana.  

Alcuni cristiani e chiese ritengono che lo yoga sia contrario alla Bibbia e alla fede cristiana. Qual è la sua risposta?
È per ignoranza sullo yoga che una minoranza di cristiani nella chiesa si oppone, dicendo che appartiene all'induismo. Lo yoga non appartiene a nessuna religione in particolare. Lo yoga è un contributo dell'antica India al mondo.
Poiché lo yoga è nato in India, c'è il malinteso che faccia parte della religione induista. I veggenti e i saggi indiani hanno sviluppato e promosso lo yoga dopo anni di meditazione affinché l'umanità sperimentasse Dio, la pace e il benessere. In questo mondo di turbolenze, violenza e crisi, dove le persone non hanno pace mentale e conducono una vita di stress e ansia, lo yoga dà alle persone conforto e pace e le avvicina a Dio.
In passato, solo i veggenti e i saggi praticavano lo yoga. Oggi le cose sono cambiate. Le persone, indipendentemente dalla religione, dalla lingua e dalla comunità, sono attratte dallo yoga e lo praticano. Lo yoga aumenta la concentrazione, migliora la meditazione e aiuta a rimanere concentrati. La pratica costante, duratura e sostenuta dello yoga aiuta a diventare meno materialisti e consumisti e a cambiare la prospettiva mentale della vita.

Rinuncerà allo yoga se la Chiesa glielo chiederà?

Non andrò mai contro la Chiesa se mi chiederà di abbandonare lo yoga, ma sono assolutamente certo che la Chiesa non chiederà mai a me o a chiunque altro di rinunciare allo yoga. Non c'è nulla che contraddica la fede o gli insegnamenti cristiani. Lo yoga rende migliori gli esseri umani.

Che cos'è lo yoga? Come lo definisce?
Lo yoga deriva dalla parola sanscrita "Yuj", che significa unire, unire come una cosa sola. È l'unione di fisico, mentale, intellettuale, emotivo e spirituale. Lo yoga è una pratica fisica, mentale e spirituale nata nell'antica India e divenuta popolare in Occidente nel XX secolo.
Lo yoga è una disciplina e una scienza olistica. Tocca tutti gli aspetti della vita umana. Promuove uno stile di vita sano e fornisce una protezione completa alla salute degli esseri umani.

Cosa le piace di più dello yoga?
Lo yoga promuove la salute fisica e mentale, compreso il controllo della mente. In base alla mia esperienza personale, posso dire che lo yoga ha cambiato la mia vita e il mio stile di vita. Credo che lo yoga mi abbia aiutato a controllarmi fisicamente, mentalmente ed emotivamente. Credo anche che lo yoga possa cambiare una persona fisicamente, mentalmente e spiritualmente in meglio e possa dare forza interiore.

La sua congregazione sostiene il suo lavoro? Ha affrontato qualche opposizione? Se sì, come le ha superate?
Il mio vescovo, la mia congregazione, i miei superiori e tutti i miei colleghi mi sostengono e mi incoraggiano. All'inizio, alcune persone hanno espresso apprensione per il fatto che una suora praticasse e insegnasse yoga. Non mi sono mai sentita scoraggiata da questi dubbi della gente. Oggi, con l'aiuto dei media e della consapevolezza, le persone sono diventate più informate e stanno comprendendo i valori dello yoga. Sono molto felice che persone di diversa estrazione religiosa, culturale e linguistica, provenienti da tutta l'India e da fuori del Paese, vengano nel nostro centro yoga per imparare e praticare lo yoga. Le persone che praticano yoga diventano molto mature, lucide e positive.

Quali sono le malattie che lo yoga può curare?
La maggior parte delle malattie umane può essere curata dallo yoga. Lo yoga aiuta a generare quantità corrette di ormoni da tutte le ghiandole del corpo umano. Gli organi malati del corpo umano vengono riparati, stimolati e ringiovaniti. Muscoli e ossa, nervi, sistemi respiratorio, escretore e circolatorio vengono coordinati e rendono il corpo flessibile e sano, adattandosi all'ambiente.
Le malattie legate allo stile di vita, come il diabete, il colesterolo, la pressione sanguigna, l'artrite reumatica, il mal di schiena, l'asma, l'obesità, l'epilessia, i disturbi gastrointestinali, i disturbi mestruali, la distrofia muscolare e così via, vengono curate e corrette. La mente diventa più forte e capace di sopportare il dolore e l'infelicità, di affrontare il dolore, le ansie e i problemi mentali e fisici. I pazienti depressi diventano felici e normali. Si sviluppa la concentrazione. Aumentano la memoria e l'intelletto. Lo yoga controlla anche le emozioni negative come la rabbia, l'avidità e il comportamento violento.

Quali sono i risultati ottenuti finora come insegnante di yoga?
Attualmente, due centri yoga funzionano sotto la mia supervisione. Ho insegnato yoga a quasi 4.000 persone presso il centro yoga. La maggior parte lo pratica quotidianamente. Di tanto in tanto, molti di loro vengono al centro e organizziamo incontri. Facciamo anche dei picnic. La gente considera il centro una famiglia dello yoga.
Oggi il governo incoraggia l'educazione e la formazione allo yoga nelle scuole e nei college del Paese. Gestiamo anche un corso di formazione per insegnanti di yoga. A coloro che completano il corso vengono rilasciati certificati di idoneità. Questi certificati sono riconosciuti e accettati dalle istituzioni scolastiche per l'assunzione di insegnanti di yoga in Kerala.
La mia esperienza più indimenticabile come insegnante di yoga è stata quella di aiutare una persona paralizzata a camminare e a muoversi normalmente grazie alla terapia yoga. Era un avvocato di Muvattupuzha e un lato del suo corpo era paralizzato. Non riusciva nemmeno ad alzarsi o a sedersi. Grazie allo yoga, l'ho riportato a una vita normale. Ora può camminare e condurre una vita normale.

Chi sono i suoi studenti?
Ai miei corsi partecipano donne, uomini, bambini di diverse fasce d'età, persone con diverse malattie, anziani e donne incinte. Anche se insegno a persone appartenenti a diversi ambienti e gruppi di età, trovo più gioia e soddisfazione nell'insegnare a bambini di età superiore ai 10 anni. Lo yoga aiuta i bambini nella formazione del loro carattere e migliora la loro resistenza fisica. Lo yoga li aiuta anche a raggiungere la concentrazione che li aiuta a concentrarsi nello studio. Lo yoga aiuta anche i bambini obesi a ridurre il loro peso e le loro dimensioni.

Come si aggiorna come insegnante di yoga?
Ogni anno mi impegno a partecipare a conferenze sullo yoga che si tengono in diverse parti dell'India e all'estero. L'anno scorso ho partecipato a un programma di formazione per insegnanti di 200 ore della Yoga Alliance e ho ricevuto un premio come riconoscimento del mio lavoro.

Come ha influito sul suo lavoro la creazione della Giornata internazionale dello yoga? Ha trovato più persone interessate allo yoga?
È stata un'esperienza arricchente per me. Quest'anno abbiamo celebrato la Giornata internazionale dello yoga il 21 giugno. Il membro locale dell'Assemblea legislativa del Kerala ha inaugurato la funzione. I partecipanti hanno eseguito esercizi di yoga. Giornali e canali televisivi hanno coperto la funzione. È molto gratificante che il numero di studenti e partecipanti allo yoga aumenti di giorno in giorno.

Come insegnante di yoga, qual è secondo lei la sua migliore risorsa?
La mia spiritualità, la mia fede, la mia salute fisica e mentale e la forza che ho acquisito grazie allo yoga sono i miei punti di forza. Inoltre, sono una persona dal pensiero positivo e una donna religiosa impegnata che segue incessantemente Gesù Cristo.

Qual è, secondo lei, l'abilità più importante che un insegnante di yoga dovrebbe possedere?
La pazienza e la tolleranza in ogni circostanza sono essenziali per diventare un buon insegnante di yoga. Soprattutto, per quanto mi riguarda, sono una forte credente in Dio, che è il mio creatore e salvatore. La mia fede mi ha aiutato a diventare un'insegnante brava ed efficace.

Perché è diventata una sorella?

Sono nata nel 1951 in una famiglia di cinque figli in un villaggio vicino a Palai, in Kerala. Allora mi chiamavo Aleyamma. Da bambina sentivo parlare molto della missione e del lavoro della Chiesa e della mia parrocchia. Da ragazza ero molto religiosa. La mia vita ruotava intorno alla mia Bibbia, al mio rosario e al mio amore per Gesù. Ben presto ho maturato il desiderio di diventare suora e di dedicare il resto della mia vita alla Chiesa. Dopo averci riflettuto a lungo, ho deciso di diventare suora per poter fare molto più bene alla società e alla comunità e anche per pregare e adorare Dio più da vicino. Ma la mia famiglia era contraria al mio desiderio di entrare in convento e diventare suora. Si opponevano alla mia decisione. Ero molto arrabbiata. Protestai ed espressi la mia infelicità. Rimasi senza mangiare per giorni. Alla fine la mia famiglia accettò e mi lasciò diventare suora.
Dopo la scuola superiore, mi sono iscritta all'università. Mentre ero all'università, sono entrata nel convento di Palai e sono diventata suora all'età di 19 anni.

_______________Benefici dello yoga secondo Suor Infant Tresa:

È una pratica olistica che unendo fisico, mente, intelletto, emozione e spirito fa sentire meglio l’uomo, gli regala la pace e lo avvicina a Dio. In un mondo di violenza e crisi, dove gli uomini non hanno pace mentale e vivono una vita di stress e ansia, lo yoga consola. Inoltre, cambia la mentalità: aiuta ad essere meno materialisti e a liberarsi dal consumismo. Ecco perché le persone oggi lo praticano indifferentemente da religione, lingua e comunità di appartenenza.  Le persone che praticano yoga diventano molto mature, equilibrate e positive.
La maggior parte delle malattie umane può essere curata dallo yoga. Lo yoga aiuta a generare quantità corrette di ormoni da tutte le ghiandole di un corpo umano. Gli organi malati in un corpo umano sono riparati, incoraggiati, ringiovaniti. I muscoli e le ossa, i nervi, i sistemi respiratorio, escretore e circolatorio sono coordinati e rendono il corpo flessibile e sano e si adattano all'ambiente.
Malattie dello stile di vita come diabete, colesterolo, pressione arteriosa, artrite reumatica, mal di schiena, asma, obesità, epilessia, disturbi gastrointestinali, disturbi mestruali, distrofia muscolare e così via sono curate e corrette. La mente diventa più forte e in grado di sopportare il dolore e l'infelicità, di affrontare il dolore, le ansie e i problemi mentali e fisici. I pazienti depressi diventano felici e normali. La concentrazione è sviluppata. Si rafforza la memoria e dell'intelletto. Lo yoga controlla anche le emozioni negative come la rabbia, l'avidità e il comportamento violento.
Lo Yoga aiuta i bambini nella loro formazione del carattere e migliora la loro resistenza fisica. Lo yoga aiuta anche a migliorare la loro concentrazione e ad affrontare meglio i loro studi. Lo yoga aiuta anche i bambini obesi a ridurre il loro peso e le loro dimensioni.

La meditazione e le yoga per Padre Antonio Gentili

Tutte le grandi tradizioni sapienziali e spirituali dell’umanità (che il concilio Vaticano II invita ad accogliere “laete et reverenter; con letizia e rispetto”) sono per sé finalizzate a promuovere un’autentica qualità delle vita. E quindi ad alimentare nel cuore dell’uomo pace, gioia, amore, compassione e speranza, la quale proietta l’esistenza verso un Oltre di pienezza e di beatitudine imperiture. Speranza che, così è stato detto, costituisce la virtù dei “tempi difficili”. Come è il nostro”.

Padre Antonio Gentili (1937- ) è un religioso barnabita, con licenza in teologia e laurea in filosofia. Preparato conoscitore delle religioni e delle spiritualità orientali ma profondamente radicato nella tradizione cristiana, pratica yoga e guida di corsi di meditazione e preghiera profonda, aperti a ogni categoria di persone. Per lui, la meditazione è un prezioso strumento per avvicinarsi a Dio. Padre Gentili cerca – anche attraverso numerose pubblicazioni – di ravvivare, senza travisamenti, una fede che in questi ultimi decenni mostra segni di crisi sempre più evidenti. Propone un’apertura mistica del cuore, la contemplazione, una vita ascetica e sacramentale autentica.

La meditazione è una pratica propedeutica ad una unificazione interiore in modo che si possa affrontare la realtà con maggior consapevolezza e distacco. Meditando, si raggiunge un maggior equilibrio interiore e, attraverso il rientro in sé, evidentemente ci si apre ad un rapporto più autentico con Dio. Dio si raggiunge innanzitutto passando attraverso il cuore. Dalla profondità interiore, viene incontro a noi anche attraverso la sua parola e attraverso i sacramenti, ma i sacramenti, se non hanno un luogo interiore dove radicarsi, rimangono una esperienza fine a se stessa e priva di efficacia. C’è un documento del Concilio Vaticano II in cui si parla di meditazione, in cui si asserisce che i sacerdoti devono praticare quotidianamente la meditazione. Poi che lo facciano o non lo facciano, bisogna valutare caso per caso. In ogni caso chi medita è più equilibrato, più capace di introspezione, più essenziale.
Padre Gentili fa spesso presente che per “religione” (in latino, relìgio: rilego), si deve intendere l’esperienza del legame che unisce l’umano con il Divino; un’esperienza che implica anche una rilettura (latino: relègere, rileggere) del proprio vissuto, una più profonda scelta di vita (latino: reelìgere, scegliere di nuovo) e infine la coltivazione di un’attitudine improntata a “devozione” verso la divinità (latino: rèligens).
Quindi, per Padre Gentili, non bisogna confondere “la religione” con l’assetto istituzionale, dogmatico che l’accompagna e determina l’appartenenza a una determinata “confessione”. In questo contesto tutte le discipline tendenti allo sviluppo delle capacità umane finalizzate all’auto-realizzazione favoriscono l’apertura al sacro, al Divino. Anche il praticante yoga, dopo aver eliminato l’ego, raggiungendo il silenzio mentale si abbandona in Dio. Questi aspetti sono le premesse e i pilastri stessi di un’autentica religiosità! “Lo yoga non è una religione, ma neppure vi si oppone”.

Padre Gentili fa, spesso, una correlazione tra i precetti morali dello yoga (yama) che governano le nostre interazioni con gli altri, ahimsa (la non violenza), satya (la verità), asteya (il non rubare), bramacharya (la moderazione) e aparigraha (la non possessività), con i Comandamenti cristiani. Tutte le grandi tradizioni sapienziali e spirituali dell’umanità hanno come finalità di promuovere un’autentica qualità delle vita. E quindi ad alimentare nel cuore dell’uomo pace, gioia, amore, compassione e speranza.

Padre Anthony Elenjimittam - un domenicano e monaco buddhista

 “Affinché Tutto diventi Uno”.    “L'unica Realtà è l'Uno senza un secondo, tutto il creato non è altro che la manifestazione dell'Assoluto nei suoi infiniti nomi e forme”.

"Dove c'è dualismo, c'è il mondo fenomenico; dove si trascende il dualismo e ci si stabilisce saldamente nel cuore dell'Unità, in quell'Uno che è senza secondo c'è beatitudine, immortalità, eternità, c'è la Realtà che trascende le apparenze e le illusioni dei sensi e gli inganni della mente. Ora, la strada maestra che ci può condurre a questa immortalità e a questa beatitudine è la meditazione profonda, la vita interiore, I'interiorizzazione, che scruta sempre piú a fondo nelle insondabili profondità della Coscienza e ci guida sino alla consapevolezza del Sé, sino a toccare, gustare e realizzare il Sé cosmico, la Mente universale, l'Intelligenza illimitata, il Divino, il Dio-in-noi". - P. Anthony Elenjimittam, dal testo la Meditazione per la Realizzazione de Sè.                     

Anthony Elenjimittam (1915 - 2011  ) nasce da genitori cattolici nel Kerala (India meridionale), quindi fin da piccolo è in contatto con la spiritualità cristiana e indiana. Intraprende studi filosofici e teologici e entra nell'Ordine dei Domenicani in Italia. E’ stato il primo Domenicano Indiano dell’era moderna. Diventa, inoltre, monaco buddhista conosciuto col nome di Bhikshu Ishabodananda, il cui significato è "Monaco mendicante la cui Beatitudine è Isha Bhod (Gesù e Buddha)".  

Secondo Padre Anthony lo stato di veglia è un’illusione della coscienza.  Al di là della mente e dei sensi si trova la coscienza profonda, ossia la cosiddetta coscienza universale che è uno stato di coscienza-beatitudine. Finché non dimoreremo in esso continueremo a vivere nel mondo illusorio della maya.
Noi possiamo sperimentare questo stato (turya) solo per mezzo della meditazione profonda, grazie alla quale abbiamo la possibilità di trascendere la vita dei sensi e della mente. Si realizza, in questo modo,  l’approccio al Sé e la vita divina.
Il suo pensiero si fonda sull'assoluta uguaglianza tra la filosofia orientale e quella occidentale, a partire dalla filosofia indo-vedica, a quella greca, fino al pensiero occidentale legato al cristianesimo. Ciò che cambia è il linguaggio, le parole che vengono utilizzate, ma permane una similitudine di fondo".   
Per Padre Anthony, durante la meditazione, è meglio controllare il pensiero più che la respirazione. La respirazione  è automatica e fa parte della vita inconscia, mentre la recitazione del mantra o l’osservazione dei pensieri o altro è autoconsapevole o cosciente.      
Invece di controllare la mente molte persone sono controllate da essa.
Tramite la pratica assidua delle quattro P: Preghiera, Perseveranza, Pazienza e Purezza, impareremo ad elevarci alla vita divina fuori dal mondo fenomenico, cioè ritornare alla purezza originale che è la coscienza di Dio.

Durante gli anni di permanenza  a Roma intraprende lo studio del sanscrito, con l'aiuto del più grande orientalista italiano del '900, il prof. Giuseppe Tucci.  Ha scritto più di cinquanta libri sulla comprensione interreligiosa ed ha tradotto ed interpretato alcuni dei più importanti testi spirituali dell'India.
Padre Anthony aveva molto in comune con la filosofia esistenzialista e libertaria di Krishnamurti.
A Londra entra in contatto col Movimento Vedanta, con la società filosofica, e con il buddhismo birmano. Diventa discepolo del Mahatma Gandhi  ed inserisce all'interno di tutte le religioni la pratica della non-violenza. Studia in modo approfondito gli aspetti mistici di molte religioni e particolarmente del Sufismo Islamico, del Vedānta, dello Yoga, dell'Induismo, Meister Eckhart, S. Giovanni della Croce ed altri mistici del Cristianesimo, S. Francesco d'Assisi, i padri del deserto, lo Zen, il Taoismo, ecc.

Nel 1947, dopo l'indipendenza dell'India, incontra Madre Teresa di Calcutta e approfondisce il messaggio di Swami Vivekananda e nel 1949 diventa monaco  buddhista.

Incorre nella censura del cattolicesimo impersonato dall'Arcivescovo di Bombay Valerian Gracias che fa bruciare i suoi  libri in quanto ritenuti poco ortodossi se scritti da un Padre Domenicano. Poi, successivamente,  viene reintegrato nel suo ministero sacerdotale.  Poi si  dedica totalmente al suo lavoro di missionario ed educatore. Crea nel 1957 la St. Catherine of Siena School  che  raccoglie i primi bambini poveri ed orfani per dare loro un'educazione minima di base
Nel 1962  incontra in un'udienza privata Papa Giovanni XXIII, ottenendo il sostegno della più alta autorità della Chiesa per la sua Missione in India e all'estero. Di lui Padre Antony scrive: “
[...] Ecco un Papa che si accompagnava ad ogni uomo di buona volontà per "cercare ciò che unisce e dimenticare ciò che divide"
Padre Anthony rinuncia alla carica di Vescovo e nel  2000 fonda la Missione Sat Cit Ananda con lo scopo di divulgare il messaggio di unità fra le religioni, promuovendo lo studio dei testi sacri del Cristianesimo, del Buddhismo, dell'Ebraismo, dell'Islam, dell'Induismo yogico, del Taoismo, della Filosofia Greca, dello Zen e del Zoroastrismo.
Anthony Elenjimittam ha avuto il raro privilegio di entrare in contatto con la spiritualità dell'Occidente cristiano e con la sapienza dell'Oriente indo-buddhista, realizzando in se stesso una sintesi vitale ed esperienziale. Realizzare il Sé, immutabile esistenza e consapevolezza, è per Elenjimittam il fine dell'esistenza. Calandosi nella struttura autentica dell'uomo, svelando i meccanismi profondi della mente e le sue inesauribili potenzialità, si arriva all'esperienza di unione con Dio.

 

Per far comprendere in modo semplice e immediato l'unità dei sentieri filosofico-religiosi, stimola la meditazione sul cosiddetto "Mandala degli otto sentieri". Sulla circonferenza più esterna  si trovano gli otto sentieri spirituali principali che possono aiutare il meditante alla Ricerca del Sé. Il cerchio centrale rappresenta il Sat Chit Ananda, l'Essere Consapevolezza Beatitudine, al centro del quale, inscritto in un triangolo il simbolo della sillaba sacra AUM, rappresentante i quattro stati della mente e al cui centro il piccolo punto simboleggia il Sé che tutto rende Uno.

Il "Mandala degli 8 sentieri" chiamato anche "Mandala Cosmico", è creato da J.B. Sparks che lo costruì con l'idea che tutti gli uomini potessero unirsi in un unico modo di sentire e concepire la Spiritualità. In senso orario partendo dall'alto troviamo il "Cristianesimo", l'"Umanismo filosofico", il "Taoismo e Confucianesimo", il "Zoroastrismo o Mazdeismo", il "Buddhismo", l'"Induismo Yoga", l'"Islam" e l'"Ebraismo".
Padre Anthony lo adottò come strumento atto alla pratica della "Meditazione", in modo da far comprendere, attraverso la "Consapevolezza" che esiste un unico Centro. Partendo dai vari sentieri spirituali possiamo approfondire sempre di più la nostra conoscenza fino ad arrivare al Centro, punto d'approdo unico per tutti i sentieri.

  • Filmato su Padre Anthony:  https://www.meditare.net/wp/meditazione/meditazione-e-realizzazione-padre-anthony-elenjimittam/
  • Sito ufficiale di Padre Anthony; http://www.padreanthony.org/it/pages/biografia.html    

Testi consigliati:
    • Meditazione per la realizzazione del Sé, Mursia, Milano, 1990.
    • La Quintessenza delle religioni, Verdechiaro Edizioni, Modena, 2000.
    • Controllo della mente per l'Autorealizzazione, Sat Cit Ananda Edizioni, Assisi, 2010.
    • Pensieri per la Meditazione giornaliera, Sat Cit Ananda Edizioni, Assisi 2010.
    • La Religione delle religioni, Sat Cit Ananda Edizioni, Assisi 2010.

Padre Mariano Ballester e la Meditazione Profonda e Autoconoscenza (MPA)

L'uomo è un ricercatore, nel senso di colui che ricerca qualcosa che non riesce a comprendere e che i fedeli chiamano Dio. Attorno alla meditazione profonda, infatti, si riuniscono soprattutto gli scettici, gli atei, non credenti in generale: ricercatori provenienti dalla strada che cercano qualcosa. Questa ricerca passa attraverso la conoscenza profonda di se stessi e si conclude solo grazie ed attraverso lo spirito.”

Padre Mariano Ballester (1935 - 2021), gesuita spagnolo, direttore spirituale del Collegio Internazionale del Gesù, ha messo a punto negli anni '70 un metodo di “meditazione silenziosa” che ha chiamato MPA, Meditazione Profonda e Autoconoscenza. Questo metodo si avvale largamente di esercizi basati sul respiro; è un metodo di evoluzione personale che coniuga introspezione e silenzio. 
Ha creato, inoltre, l'associazione senza fini di lucro "Meditazione Profonda e Autoconoscenza (MPA)”, che si propone di diffondere la pratica della MPA attraverso incontri di formazione e di valorizzazione umana e spirituale della persona con la finalità di guidarla verso la sorgente dell'essere. 

Ogni persona, nessuna esclusa, è portatrice spesso inconsapevole, di un “seme spirituale”. Questo seme, il centro dell’Essere, non può essere disatteso perché la sua non apertura limita la realizzazione più profonda dell’uomo. Il caos delle grandi metropoli, il lavoro frenetico, l’inquinamento, il chiasso, i nostri problemi personali, ecc… tutto questo rumore ci fa dimenticare che portiamo dentro di noi questa nostalgia d’armonia, quasi un richiamo d’amore: la voce silente del Sé.  La meditazione ci permette di trovare noi stessi.
Ecco nascere allora la necessità di una purificazione (attraverso meditazioni guidate, danze, tecniche di rilassamento, giochi e proiezioni video) dei tre livelli di percezione attraverso cui facciamo esperienza del mondo.  Questi tre livelli sono: 1- Il livello delle Forze legato al corpo e alle molteplici energie dell'inconscio. 2- Il livello delle Emozioni legate al presente ma anche e forse soprattutto, al passato. 3-  Il livello della Mente legato al mondo del pensiero.
La persona acquisirà una maggiore Auto-conoscenza e risveglierà uno stato di Presenza, per poi inoltrarsi sul cammino della vera e propria Meditazione Profonda. Con questa pratica si potrà sperimentare nella vita di tutti i giorni la consapevolezza di rimanere connessi con la voce interiore del Sè pur vivendo nel caos della vita quotidiana. La MPA utilizza il "principio di attrazione" della fisica quantistica per spiegare come l'individuo attiri energia per migliorare se stesso, liberando energia per far cadere gli involucri ed arrivare ad una auto-conoscenza. L'individuo diventa quindi, una manifestazione del suo stato interiore. Dobbiamo liberare le energie in noi, attirare altre energie per migliorare noi stessi, per arrivare al mistero divino.  Come dice la Brihadaranyaka Unpanishad: «Tu sei ciò che è il tuo desiderio più profondo. Com’è il tuo desiderio, così è la tua intenzione. Com’è la tua intenzione, così è la tua volontà. Com’è la tua volontà, così è la tua azione. Com’è la tua azione, così è il tuo destino.»

Archetipo del monaco di Antonio Dorella

La psicologia del profondo e alcune forme dell'attuale religiosità si incontrano oggi su un terreno comune. Antonio Dorella chiama quest'area "spiritualità individuativa", che è uno spazio del sacro, contemporaneamente laico e confessionale, il raccordo fra i due mondi. Recentemente alcuni teologi hanno cominciato a costruire un ponte nel punto esatto in cui gli psicologi del profondo erano all'opera sull'altra riva. 

Questi teologi, con o senza l'ausilio degli strumenti della psicologia, hanno offerto proposte innovative, che non sempre sono state accettate dalle gerarchie ecclesiastiche. Per le loro formulazioni «integrate», i teologi della spiritualità individuativa talvolta hanno pagato in prima persona con molte forme di emarginazione. 

Antonio Dorella, nel suo libro l'Archetipo del monaco pubblicato nel 2022, presenta il pensiero e le vicissitudini dei cinque maestri che hanno elaborato costrutti teologici vicini ai principi della psicologia dinamica, in grado di concorrere a una definizione di sacro e di uomo più ampia e soddisfacente, una definizione analoga all'idea di completezza che si persegue nelle stanze della psicoterapia. Panikkar, Küng, Fox, Drewermann e Boff sono forse gli apripista di un nuovo, affascinante modello di umanità?   Comunque, per questi tentativi di universalizzare ed allargare la visione spirituale, questi autori sono stati in vari modi emarginati ed allontanati dalla Chiesa Cattolica.   Testi dei cinque autori:

  • Raimon Panikkar - Il Cristo sconosciuto dell'induismo. Verso una cristofania ecumenica.   - http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/raimonpanikkar/fascinobud.htm
  • Hans Küng -  libro: Etica planetaria.  
  • Matthew Fox - libro: La spiritualità del creato. Manuale di mistica ribelle.       
  • Eugen Drewermann  - libri: Funzionari di Dio  e  L'essenziale è invisibile. Una interpretazione psicanalitica del Piccolo principe.   
  • Leonardo Boff - libro: Soffia dove vuole. Lo Spirito Santo dal Big Bang alla liberazione degli oppressi.

 Video dove l'autore, Antonio Dorella,  spiega il suo libro: https://www.youtube.com/watch?v=nniCIzeAB44

giovedì 8 dicembre 2022

Il fascino del Buddhismo - Raimon Panikkar

 Dal sito di Gianfranco Bertagni:  http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/raimonpanikkar/fascinobud.htm      "La religione non è un esperimento ma un’esperienza di vita per mezzo della quale l’uomo partecipa all’avventura cosmica.»    Raimond Panikkar

Raimon Panikkar (1918-2010), nome completo Raimon Panikkar Alemany, è stato un filosofo, teologo, presbitero e scrittore spagnolo, di cultura indiana e spagnola. È stato una guida spirituale del XX secolo e innovatore del pensiero, teorizzatore e testimone del dialogo interculturale e dell'incontro tra le religioni.  E' stato un grande divulgatore e un personaggio importante per l'incontro tra Oriente e Occidente. Un altro grande personaggio che ha contribuito al dialogo tra Cristianesimo e Induismo è stato Henri Le Saux (1910-1973): monaco cristiano francese, dell'ordine benedettino, figura mistica del cristianesimo indiano.   Alcuni testi di Panikkar:  Buddismo;   Il silenzio del Buddha. Un a-teismo;  Tra Dio e il Cosmo;   Mistica e spiritualità;     Induismo e Cristianesimo.    Sito:  https://www.raimon-panikkar.org/italiano/home.html

Il fascino del Buddhismo - Raimon Panikkar

Un bel giorno, di buon mattino, un giovane principe che non era delle Asturie né della casa di Davide, ma di un piccolo clan che viveva a fianco delle montagne più alte del mondo da una parte e la piana del Gange che già da mille anni era un punto d'incontro di civiltà dall'altra, dopo anni di lotta e di dubbi, (non oltre la metà del VI secolo a.C.) fece un colpo di testa e andò a prendere Kanthaka, il suo grande cavallo bianco preferito, e Channa, il suo servitore personale, per uscire dalle porte del castello del regno di suo padre lasciando un bambino piccolo (suo figlio) e la principessa (la sua sposa), per provare a risolvere i problemi che fin dall'età di sei anni lo tormentavano. Passato il fiume che segnava il confine del suo regno e di quello di suo padre, si liberò anche del servitore e del suo cavallo bianco preferito, si cambiò d'abito, prese una ciotola da mendicante e si incamminò, senza sapere dove andare.

Fin da quando il bambino aveva sette anni, suo padre s'era reso conto che il figlio, nato con tutti gli auspici per essere un grande re che avrebbe rivoluzionato il mondo dei piccoli regni del nord dell'India, non aveva troppa voglia di utilizzare i poteri e i mezzi che aveva. Gli costruì un palazzo di primavera, un altro d'autunno e un altro d'inverno. Nel palazzo di primavera ci mise tutto quel che potrebbe desiderare un giovane adolescente. In quello d'inverno gli diede tutti i tipi d'insegnamento che i pandit del suo regno gli potevano dare, e in quello d'autunno gli mise a disposizione l'esperienza degli anziani del suo clan. Sembrava però che niente lo soddisfacesse. Aveva in mano la possibilità di utilizzare tutti i mezzi che permette il possesso di un regno. Avrebbe potuto cambiare il mondo se così avesse voluto, cambiare le cose se lo avesse ritenuto giusto. Ma sembra che disprezzasse tutte le agevolazioni del potere come un mezzo per fare il bene. E, come più tardi egli stesso darà ad intendere, rinunciò ad utilizzare il potere; e come più tardi anche un altro giovane, più o meno della stessa età, dirà «lascia che le pietre siano pietre e non volerle cambiare in pane; rispetta le cose e non utilizzare il tuo potere, nemmeno per fare il bene». E quel giovane di 29 anni che aveva visto (sembra) un vecchio, un malato, e un uccellino che portava nel becco un verme che non si poteva liberare e che più tardi si imbatté in un morto e in un funerale (malgrado suo padre, che lo stimava tanto, volesse evitargli le pene dell'esistenza), se ne andò senza sapere dove andare, ruppe i legami, fece il colpo di testa, lasciò correre tutto, disprezzò il potere, le occasioni e superò quello che in seguito lui stesso, quando stava sotto un albero, vide: la tentazione dei mezzi. Utilizzare i mezzi, il potere, per fare cose buone.

Trovò un primo maestro che lo introdusse nel mondo del monachesimo brahmanico del suo tempo e, con zelo di novizio, cominciò a seguirlo finché non s'accorse che quello non era il suo maestro. Lo lasciò perdere e ne andò a cercare un secondo, e poi un terzo. E si rese anche conto che qualsiasi sequela di un maestro non gli andava troppo bene. Quel giovane principe, che nascondeva la sua origine principesca nel seguire una strada, sembrava un po' ottuso, tanto da non sapere quale fosse. Continuò per sei anni a seguire gli insegnamenti di questi tre maestri e, con zelo di convertito, arrivò agli estremi, diminuendo ogni giorno i granelli di riso che mangiava finché, raccontano le scritture, lo sterno gli si vedeva da dietro, le costole erano trasparenti, ridotto in pratica a niente.

Attraversando un fiume, un giorno si imbatté in una bella ragazza, di nome Sujata, che in seguito tutti i canoni hanno ricordato, che gli diede da mangiare, mossa probabilmente a compassione. I cinque discepoli che alla fine di questo periodo lo accompagnavano, scandalizzati che accettasse da mangiare dalle mani di una graziosa ragazza, lo abbandonarono e si trovò solo (perché anche Sujata, dopo avergli dato da mangiare sparì). Continuò da solo, però capì che ogni estremismo ascetico è controproducente e che né il palazzo del re, né la capanna del povero erano per lui quello che cercava. Ma non sapeva quello che cercava, sapeva soltanto quello che non voleva: non voleva essere re, non voleva essere monaco, non voleva il potere, non voleva essere un rinunciante.

Smise dunque d'essere sannyâsi e continuò il suo peregrinare nella zona del Gange; passando per una delle capitali del suo tempo, Pâtaliputra, andò a stabilirsi in un luogo che oggi porta una parte del suo nome, Bodh-Gaya, e là, sotto un albero, la ficus religiosa, albero sacro della tradizione brahmanica, si fermò, tentando di ricollegare il mistero della vita, il mistero della morte, l'ingiustizia della povertà, la realtà del divino, il passato, il presente, e quando stette completamente quieto s'accorse di poter oltrepassare anche l'ordine temporale e vide anche il futuro. Là, dice la tradizione, stette a lungo immobile, doveva ancora superare la terza tentazione, dopo aver resistito alla tentazione di Mâra: la tentazione di fare il bene, la tentazione di convertirsi in un predicatore.

Brahmâ gli si accostò e gli disse: «Siccome ora hai già ottenuto la realizzazione, trasmettila anche agli altri» ed egli rispose di no, che non sarebbe servito trasmettere una cosa già fatta e digerita, e un messaggio idiosincratico, se gli uomini non avessero fatto l'esperienza personale e non fossero passati per là dove era passato lui. Voler salvare il mondo è la grande tentazione, voler salvare se stessi era il gran pericolo. Non fare niente era impossibile, fare piccole cose non lo convinceva. Fare tutto era quello cui aspirava. E quel giovane di circa 35 anni ricordava il passato, vedeva il presente e ancora non sapeva che fare. Continuò il suo peregrinare, camminò per circa 600 chilometri al di sopra del Gange, sentiero molto pianeggiante dopo che la stagione delle piogge era passata, e là, in un luogo dove il Gange, che andava verso l'ovest, per uno di quei capricci della natura che gli uomini interpretano in maniera differente, risale verso il nord, verso la propria sorgente, verso l'Himalaya e si converte perciò in un luogo sacro, là, forse mille anni prima che egli nascesse era stata fondata la città più santa della tradizione brahmanica, Vârânasî, fra i fiumi Asi e Varuna, affluenti del Gange.

Procurò di evitare la città, ormai non voleva vedere uomini santi, non voleva più conoscere il centro del brahmanesimo, e si ritirò un poco più verso il nord, prima di arrivare alla confluenza del Varuna col Gange, a un parco popolato di cervi. E là, a Sarnath, il caso volle che ritrovasse i cinque monaci che erano stati suoi discepoli e che aveva lasciato scandalizzati quando avevano visto che riceveva da mangiare da una ragazza. E allora, avendo superato la tentazione del santo, che è quella di fare il bene, la tentazione del politico, che è quella di utilizzare anche i mezzi per fare il bene, la tentazione del monaco, che è quella di rinunciare a tutte le cose per sentirsi bene e giustificato; allora, in quel parco dei cervi chiamato Îsipatana, riunì quei cinque monaci che aveva ritrovato e disse loro: «Questi due estremi si devono evitare. Quali sono questi due estremi? L'uno è ricercare e desiderare il piacere. Questo viene dall'attaccamento, è volgare, non è nobile, non porta alcun profitto, e conduce a rinascere. L'altro estremo è la ricerca dell'ascetismo, dello spiacevole, della sofferenza, della rinuncia, ed è ugualmente penoso e non porta alcun profitto».  Questi i due estremi che si devono evitare e proseguì: «Il Tathâgata (nome che non si sa se si dava egli stesso o gli diede la tradizione, ma il testo pâli lo riporta così) invece evita questi due estremi e cammina per la via di mezzo che è una via luminosa, bella e intelligibile, che è una via piena di serenità, che porta alla pace, alla conoscenza, alla illuminazione, al nirvâna. E qual è, o monaci, (si rivolgeva ai cinque che l'ascoltavano) questa via di mezzo che porta alla pace, alla conoscenza, al risveglio, al nirvâna? È questa o monaci la via di mezzo: questa è la nobile verità del dolore».
La parola che egli usò, e che è stata tradotta in mille maniere diverse, duhkha, può significare sofferenza, inquietudine, disagio, essere infelice, essere povero, essere miserabile. E si può assumere nel suo significato più originario, accorgendosi che il suo opposto è sukha, che vuol dire benessere, tranquillità, pace... e all'interno di una civiltà agricola i contadini del suo tempo sapevano che quando il carro dei buoi è bene ingrassato e le strade non hanno troppe buche, le cose vanno sukha, agevoli. Quando il carro dei buoi scricchiola perché gli manca il grasso, le strade son piene di buche, il carro fa rumore e allora è duhkha, non ha funzionato agevolmente, in maniera scorrevole. Proferì dunque questo discorso fondamentale di Vârânasî.
«Questa è la nobile verità del duhkha, dell'inquietudine, del dolore, della sofferenza della condizione umana: la nascita è dolore, invecchiare è doloroso, la malattia è sofferenza, la morte è dolorosa, il contatto con ciò che è spiacevole è doloroso, non ottenere quel che si desidera causa dolore, gli skandha (i cinque aggregati coi quali ci poniamo in contatto con la realtà come altrettante finestre della conoscenza) sono dolore».
«Questa è, o monaci, la nobile verità dell'origine del dolore, la sete, il desiderio che porta a cercare il piacere, il quale scatena la passione, e che cerca la soddisfazione qua e là, la sete di piacere, il desiderio di esistere e quello di non esistere. Questa è la nobile verità della cessazione del dolore, la soppressione completa della sete, la sua distruzione, lasciandola correre, abbandonandola, essendone liberati e standone distaccati. Questa è, o monaci, la via che conduce all'estinzione del dolore, questo è l'ottuplice sentiero (le otto strade, ashtângamârga), cioè la retta visione».... Traduco con retta ciò che si potrebbe chiamare serena, equilibrata, completa, perfetta, samyak, da cui viene anche armonia, la visione armonica. Diciamo dunque: La visione corretta, l'intenzione corretta, l'azione o condotta corretta, i mezzi o genere di sforzo appropriato, l'attenzione come ci vuole e concentrazione necessaria. Ciascuna di queste parole si potrebbe tradurre in maniere differenti e si dovrebbe spiegare in dettaglio, ma continuiamo con il testo.

«Finché questa triplice conoscenza e questa intuizione con le sue dodici divisioni non sono state purificate con le quattro nobili verità; fino allora, o monaci, in questo mondo con i suoi dèi, con Mara, con Brahmâ con gli asceti, i bramini, gli spiriti, gli uomini, gli animali e con tutte le cose, io non ho ottenuto lilluminazione completa e suprema». Queste sono le quattro nobili verità, che formano la pietra angolare e il punto d'unione di tutta questa tradizione che per venticinque secoli ha contribuito come poche altre a dare al mondo, non soltanto una, ma molte filosofie, molte civiltà e tutto un sentiero di vita.
Il Buddha, chiamato così dai suoi discepoli come colui che ha conseguito la pienezza della buddhi, della conoscenza, del risveglio, è il principe che ora ha già quasi una quarantina d'anni, forse 38 o 39, quando comincia ad essere seguito da un centinaio di discepoli. Ma egli non vuol fondare una religione, non vuol fondare fin dall'inizio neppure un ordine monastico, non ha lasciato la casa paterna per salvare il mondo, non ha voluto discepoli che lo seguissero perché ha qualcosa da dire loro, egli vuol vivere e ha scoperto una sola cosa: ha scoperto che al mondo c'è dolore; ha scoperto l'origine di questa sofferenza, ha scoperto che questa sofferenza può cessare e ha trovato la strada. E la strada complessa di queste otto dimensioni che portano alla cessazione del dolore, della sofferenza, all'appagamento di ciò che molte volte è stato tradotto come desiderio, ma che la parola tanto in pâli quanto in sanscrito vuol dire semplicemente sete; la sete di esistere, la sete di non esistere, la sete di voler essere perfetto, la sete di voler arrivare da qualche parte, l'inquietudine di non voler stare nel proprio posto, il desiderio di volere qualsiasi cosa. Ora, trascendere la volontà, questo non comprese Nietzsche, non è voler non avere volontà. Durante quasi una quarantina d'anni quest'uomo continua a vivere nelle pianure gangetiche del nord dell'India e pian piano là gente gli si riunì e gli si raggruppò attorno. Nella tradizione di quei tempi chi seguiva un uomo spirituale o un maestro si chiamava bhikkhu, monaco, sannyasi, sadhu, rinunciante.
Gôtama parla mentre cammina e i suoi discepoli si impregnano di quello che egli va dicendo: «Così come il vento soffia davanti e dietro e fa muovere le foglie del cotone, così la vera e inesauribile gioia mi sta muovendo, e in questa maniera compio tutte le cose». Che vuol dire essere uomo? Essere uomo vuol dire, secondo quel che ci dirà uno dei suoi discepoli, partecipare al festival gioioso di tutta l'esistenza. «Il profumo di un fiore non viaggia contro la direzione del vento, ma la fragranza di un uomo buono va anche contro la direzione del vento; un uomo buono penetra le quattro direzioni». Egli è molto convinto di quello che in seguito la tradizione commenterà: «ll santo non lascia tracce, è come il volo di un uccello, non lascia orme. Perciò è tanto difficile seguirlo».

Quest'uomo entusiasma. Discepoli lo seguono da tutte le parti. Anche le donne lo vogliono seguire, ed egli, che aveva fatto quella eccezione con Sujata, dice di no. Ma Ananda, il monaco più stimato da lui, dice al maestro che le accetti e allora egli le accetta. Ma non ha alcuna pretesa né di formare una religione, né di formare una setta, né di riformare il brahmanesimo, né di creare niente. Vuol vivere la propria vita, non pretende niente, non vuole dare neppure un nome alla sua comunità che sempre più si va formando. Quando muore, ottantenne, i discepoli s'accorgono che non hanno un luogo, che non sanno niente, che niente è regolato. Che cosa è accaduto? Allora, tre mesi dopo la sua morte, 500 anziani convocano il primo concilio del mondo buddista per vedere che cosa fosse capitato. E restano sorpresi nell'accorgersi che sì, erano capitate molte cose, che c'era stata una critica feroce alla spiritualità induista e brahmanica, che si erano costituiti gruppi che vivevano la vita del sangha o della comunità, che avevano preso spontaneamente come maestro uno che diceva soltanto di aver visto la realtà delle cose e la differenza che c'è tra loro.
In questo concilio si configurano due partiti. Gli uni sono quelli che cantano e gli altri sono quelli che stanno in silenzio. Questa è l'origine di quello che in seguito verrà chiamato un movimento, e che si chiama religione, che porta il nome di buddismo, e che ha, come tutti gli «ismi», un alto grado di astrazione. Quest'uomo non pretende d'essere profeta, non reclama nessun'autorità speciale, non si dice inviato da nessuno, evita sistematicamente il nome di Dio e quando una volta Râdha, un monaco, gli chiede di dire qualcosa di Dio gli dice: «Oh Râdha! Tu non sai quello che stai domandando, non conosci i limiti della tua domanda, non sai quello che domandi. Come vuoi che io ti risponda!». E nasce così quello che oggi noi, con questa facilità che abbiamo di appioppare etichette alle cose, chiamiamo buddismo o, meglio ancora, tradizioni buddiste, perché ce n'è sicuramente più d'una dozzina, ognuna con le proprie filosofie. Ma il Buddha non vuole niente di ciò. La sua via mediana non vuol essere né mondana, né religiosa, nel senso che a quei tempi sintendeva per religione; vuol essere la via di mezzo, dell'equilibrio, dell'armonia, dell'equanimità, della serenità.

Una madre addolorata lo va a trovare disperata perché sua figlia era morta, volendo un miracolo o sperando una consolazione. E Buddha la riceve, la guarda e le dice: «Mi accontento di poche cose». «Domandami qualsiasi cosa!» dice Kisâ Gautamî. «Portami tre granelli dì riso (o una manciata di semi di senape). Però valli a cercare in quella casa dove non ci sia mai stata alcuna disgrazia come la tua, dove non ci sia mai stato alcun dolore». E la giovane madre disperata, credendo che la cosa fosse relativamente facile, se ne va a cercare i tre granelli di riso e non trova casa che la morte prematura non abbia visitato. E torna dal Buddha dicendo: «Perché io volevo essere tanto speciale, perché misconoscevo la condizione umana? Perché non mi accorgevo che quello che io stavo patendo alla mia maniera è quello che ho trovato in tutte le case dove chiedevo un granello di riso? Mentre io credevo che non ci fosse stato alcun dolore, ho trovato che in tutte le case ce n'è stato. Grazie!». Più tardi entrò nell'ordine e divenne un arhant.
Senso comune! Non parla di Dio, non parla di religione, non vuol consolare con sentimentalismi, non dà spiegazioni. I discepoli della seconda generazione che lo seguono sono più intellettuali. Vogliono dottrina e soluzioni teoriche: Quel che io predico è come il caso di un uomo al quale hanno tirato una freccia e ora voi mi domandate che io continui la discussione: perché gli hanno tirato la freccia? E chi erano i suoi vicini? E chi ha visto il colpevole? E dov'è fuggito colui che l'ha tirata? Tutte discussioni teoriche. E intanto l'uomo ferito dalla freccia è morto, perché in quel momento l'unica cosa importante era estrargli la freccia dal corpo senza perdere tempo investigando le cause, domandando le ragioni, inseguendo il colpevole, cercando la giustizia, facendo il filosofo, cercando soluzioni. Prassi, azione immediata, spontaneità: estrarre la freccia dal corpo dell'uomo ferito, dal corpo dell'umanità gravemente ferita.
Il Buddha parla di silenzio sacro, utilizzando la stessa parola di quando, nel giardino vicino a Vârânâsi, egli parlava delle quattro nobili verità e del nobile silenzio. Ma il nobile silenzio non consiste nel tacere perché non si dice tutto quello che si avrebbe da dire o perché si vuol nascondere il segreto e la pietra filosofale che si è trovata. Il nobile silenzio è silenzio perché non ha niente da dire, e siccome non ha niente da dire non nasconde niente, né dice niente, né tace, ma placa le inquietudini che potrebbero sorgere da noi. Se domandiamo perché, è perché cerchiamo di trovare una risposta, ma questa risposta, a sua volta, genera un altro perché. Finché non distruggiamo la radice che ci fa domandare il perché, semplicemente finché domandiamo, non sorgerà la risposta adeguata. Ogni risposta è sempre informazione di seconda mano, risponde ad un problema che ci siamo formati, risponde a una domanda, non la risolve, non la dissolve, non fa che la domanda non sorga più.

Il mondo di Buddha è il mondo della spontaneità, della libertà, dell'estrarre la freccia senza chiedersi il perché, non perché non ci sia, ma perché qualsiasi domanda è un modo di far violenza all'esistenza, è domandare quel che c'è dietro, è fare quel che fanno le bambine quando si domandano che cosa c'è dentro la bambola e allora la rompono. E questa non è la cosa peggiore, il peggio è che non giocano più con la bambola che hanno rotto. Quando cerchiamo le cause non lasciamo più che gli effetti ci rallegrino la vita. Questo è lo spirito del buddismo. Tutto il resto è sorto da quest'uomo che non voleva niente, che non voleva fondare niente, che non voleva nemmeno riformare il brahmanesimo.
Io ricordo che relativamente pochi anni fa (gli anni 50) a Sarnath, lo stesso luogo dove nacque questo grande movimento, io domandavo a un monaco hindu, buddista theravada molto amico mio, (l'editore del Tripitaka in hindi e che in seguito diventò rettore dell'università di Nalanda) come mai in India non ci fossero buddisti, come mai in tutta l'India, la patria del Buddha, il buddismo come religione non esistesse più. E il bhikkhu mi guardava e mi diceva: «Ah sì? Non ci sono buddisti?». E io mi rimangiavo la domanda. Diciamo che non ci sono buddisti perché non c'è gente che ha firmato per il partito buddista, perché non c'è gente che si dichiara buddista, perché il buddismo come religione in India non esiste. Abbiamo perduto ormai lo spirito del vero buddismo.
L'India non ha buddisti, secondo le nostre statistiche, e secondo le nostre classificazioni non ci sono buddisti in India. E l'unico monaco buddista che c'era rimaneva sorpreso che io fossi ancora tanto stupido da chiedergli se in India ancora ci fossero o non ci fossero buddisti. O si prende sul serio quello che le tradizioni umane ci dicono dal punto di vista più profondo e più reale, oppure ne facciamo un'ideologia, un partito politico, o anche una religione. E certamente i buddisti delle statistiche classificatrici si trovano tutti fuori dell'India, eccetto forse i tre milioni di neo-buddisti del Dr. Ambedkar, i quali per ragioni sociali e politiche, per superare la schiavitù delle caste moderne, si stanno convertendo al buddismo, stanno accettando il buddismo come una delle grandi religioni, per potersi liberare dall'ignominia dei fuori casta e acquistare una certa identità. Vi si stanno verificando allora conversioni in massa al buddismo, ad un buddismo che farebbe sorridere anche il Buddha.

È prendendo rifugio nel Buddha , come uno dei tre gioielli (sangha e dhamma sono gli altri due) che si diventa buddisti. Ma prendere rifugio nel Buddha come ho fatto io, non vuol dire abiurare il cristianesimo o l'induismo o altro. Perché dobbiamo fare tutto sempre secondo le nostre categorie? Se l'induismo non ha un fondatore, il buddismo ne ha uno, benché il Buddha non fondi niente, dunque è piuttosto un simbolo. Egli che sorride quando gli si porge una domanda, egli che tace quando qualcuno fa una cosa cattiva.
Il Buddha ormai vecchio si trovava nel nord dell'India; lascia l'India centrale perché ha sentito dire che alcuni fratelli maltrattavano e disprezzavano un monaco che aveva preso una malattia repellente. Gôtama va laggiù, lo cura, e poi dice ai monaci: «Monaci, a me mi avreste curato! Quello che fate a qualsiasi uomo, lo fate a me». Questo succedeva più di quattro secoli prima che alcune parole simili fossero state pronunciate da un giovane rabbi di un'altra tradizione! Parlare dunque del buddismo implica parlare con una certa devozione. Il Buddismo non permette di farne soltanto un'ideologia, di spiegarne soltanto alcune dottrine, siano di filosofia o di logica. C'è tutta un'ideologia buddista, indiscutibilmente, ma lo spirito, incluso quello del più acuto forse di tutti i logici della tradizione buddista, Nâgârjuna, è sempre guidato da ciò che lui stesso dirà che è l'essenza del buddismo. Così come l'induismo non ha essenza, il buddismo ne ha una, e secondo la tradizione mâhâyanica si può riassumere in una sola parola, parola difficile da tradurre e ancor più difficile da praticare: Mahakarunâ, la grande compassione, cum patire, patire insieme con tutte le cose che esistono, senza far discriminazioni di alcun tipo.
Scoprire il pathos della cosa stessa e condividerlo. Sunt lacrimae rerum, diceva Virgilio. Mahakarunâ, la grande karuna, la grande compassione, è dove la tradizione mâhâyana ha riassunto l'essenza del buddismo, ma per una ragione: non per lasciarmi sofferente, ma perché io ho realizzato le quattro verità fondamentali e so che c'è sofferenza, che questa sofferenza ha un'origine, ma che può cessare, e che c'è una via per uscirne. E per questa cessazione la tradizione buddista usa la stessa parola classica di tutto lo yoga. Buddha utilizza la parola nirodha, la cessazione del dolore corrisponde alla cessazione della corrente mentale, del fiume di pensieri, della TV interna che ci distrae e non ci permette di fruire della verità della vita. Yogas citta vrtti nirodhah dice il secondo degli Yogasutra di Patañjali: yoga è la cessazione dei processi della mente.

Qualsiasi approssimazione al buddismo che non arrivi a toccare queste fibre della compassione universale, di rinunciare, come diranno i bodhisattva, alla mia salvezza personale in favore di tutti gli esseri viventi che ancora forse hanno bisogno del mio aiuto, non ha capito niente di quel che voglia dire il buddismo. Un grande arhant (e qui stiamo dentro l'ironia delle due grandi tradizioni buddiste), avendo compiuto la propria vita terrena sale al nirvâna, al cielo meritato, e il suo grande desiderio è di vedere il maestro e di sapere dove il maestro vive. E sale per tutti i cieli del nîrvâna, e si potrebbero descrivere le apsara , le ninfe e le cose preziose che trova, fino ad arrivare al settimo cielo. Qui le porte sono aperte e grida e cerca, perché vuole vedere Gôtama, il Buddha. Non lo trova e grida, ed esce un'apsara, esce una ninfa, una fanciulla che lo guarda tutta stupita. Egli le dice: Cerco Sakyâmuni, l'Adhibuddha. Essa gli risponde: «Ma tu non sai quel che cerchi, il Sakyâmuni, il vero, il Buddha non è mai venuto qui, è sempre rimasto tra gli uomini e ci rimarrà finché l'ultimo essere senziente non sia arrivato al nirvâna».
Il posto del Buddha è tra coloro che soffrono, tra gli uomini. La grande compassione che fa sì che si possa essere un bodhisattva, fa che si rinunci alla propria salvezza per collaborare col resto degli esseri viventi alla liberazione dell'universo. Il voto del bodhisattva che fa il monaco della tradizione mahayâna, dopo cinque anni di preparazione come minimo, è la rinuncia a qualsiasi beneficio e merito personale, di non farci caso e di non capitalizzarlo, finché l'ultimo essere vivente non arrivi alla propria pienezza. E quando si vuol costruire tutto un sistema filosofico quel che si vuole è sbancare tutta la forza della logica per dimostrare, logicamente, che qualsiasi costruzione intellettuale, distrugge se stessa quando si vuol formulare. Questo è lo spirito del buddismo.

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