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sabato 13 settembre 2025

India, Induismo e le sei Darshana.

Le parole ‘India’ e ‘Induismo’ sono estranei all’India, essendo stati creati dai primi viaggiatori provenienti dall’Occidente.  Definirono India tutto quello che era al di là del fiume Indo (che in realtà si chiamava Sindhu), le genti che lì vivevano, Indiani, e la loro religione, Induismo. Gli ‘Indiani’ chiamano la loro terra Bharatavarsha, la terra dei discendenti di Bharata, grande re leggendario, e la loro religione Sanatana Dharma, gli insegnamenti spirituali atti ad elevare gli individui e condurli fino a Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti. 
Nell’ambito del Sanatana Dharma (la religione di sempre), esistono sei scuole riconosciute, o meglio, sei Darshana, visioni, punti di vista, perché, anche se la realtà, Sat, è e non può essere che una e immutabile, i modi per accostarsi ad essa sono molti, e le Darshana rappresentano i sei principali sistemi epistemologici e gnoseologici. Piuttosto che considerarsi dottrine rivali, i darshanas sono tradizionalmente percepiti come approcci complementari, che offrono diverse prospettive su una stessa verità ultima.
Sono considerate scuole ortodosse ( astika), perchè riconoscono l'autorità dei Veda, mentre altre  scuole eterodosse (nastika), la rifiutano (come il buddismo e il giainismo, che non sono considerati darshanas indù in senso stretto). 
Le sei Darshanas ortodosse sono tradizionalmente raggruppate a coppie, a causa delle loro affinità concettuali:
Nyaya : la scuola della logica e dell'epistemologia,   basata sui Nyaya Sutra di Akshapada Gautama.
Si concentra sui mezzi di conoscenza validi (pramana), come la percezione, l'inferenza, il confronto e la testimonianza. Sviluppa una metodologia rigorosa di argomentazione e ragionamento logico.  Il suo scopo è raggiungere la liberazione attraverso la corretta conoscenza della realtà.
Vaisheshika : la scuola della fisica e della metafisica atomista, Fondata dal rishi Kanada. Analizza la realtà in termini di atomi, loro combinazioni e qualità. Elabora una teoria delle categorie (padarthas) per classificare i diversi aspetti dell'esistenza. Spesso associata al Nyaya, con cui condivide concetti e metodi.
Samkhya :  la scuola del dualismo metafisico, Fondata da Kapila. Postula l'esistenza di due principi fondamentali: Purusha (la coscienza pura, il Sé) e Prakriti (la natura primordiale, la materia). Descrive l'evoluzione del mondo materiale a partire da Prakriti e la sua interazione con Purusha. Il suo scopo è la discriminazione tra Purusha e Prakriti, che porta alla liberazione.
Yoga : la scuola della pratica spirituale e dell'autocontrollo. Associata a Patanjali, autore degli Yoga Sutra. Si basa sulla metafisica del Samkhya, ma pone l'accento sulla pratica, in particolare sulla meditazione e sulle tecniche psicofisiche. Propone un percorso ottuplice (Ashtanga Yoga) per raggiungere l'unione con il Sé (Samadhi).
Mimamsa : la scuola dell'esegesi vedica. Si basa principalmente sui Mimamsa Sutra di Jainini,  Si concentra sull'interpretazione dei testi vedici, in particolare dei mantra e dei rituali. Cerca di stabilire il dharma (dovere religioso e morale) analizzando i precetti e i divieti dei Veda. Pone l'accento sull'importanza dell'azione rituale (karma).
Vedanta : la scuola della non dualità (Advaita) e dell'unità del Brahman. Basata sugli Upanishad, la parte finale dei Veda. La corrente più influente è l'Advaita Vedanta che si fonda sul Brahma Sutra Karika, Il commentario dei Brahma Sutra è opera di Badarayana, e in seguito perfezionata e diffusa dal grande rishi Adi Shankaracharya. Postula l'unità assoluta del Brahman (la realtà ultima) e l'illusione del mondo fenomenico. Il suo scopo è la realizzazione dell'unità con il Brahman, la liberazione dal ciclo delle rinascite (samsara).

Le due Darshana di cui ci occupiamo sono lo Yoga di Patanjali e l’Advaita Vedanta di Shankara.

Il Vedanta. Questo sistema si basa su un monismo assoluto (Advaita vuol dire non dualistico) che viene
sinteticamente espresso nella Mahavakya (grande affermazione): Brahma satyam jagan mithya ovvero: Brahma è reale, l’universo, la natura sensibile, è irreale. Non irreale in quanto non esistente, ma in quanto transitorio: nasce, cresce, decade e muore, o più precisamente, si trasforma in qualcos’altro. “Sharira parigraha dukham eva”, “Il possesso del corpo è sicuro dolore”.
In altre parole, la causa di ogni dolore e affanno è l’incarnazione dell’Atman, la porzione individuale del Brahman, l’anima cosmica, mai nata ed eterna, in un corpo. 
Cercare di spezzare questa catena carica di dolore e sofferenza, il Samsara, è lo scopo del Vedanta e dello Yoga.
Vediamo quindi che il Vedanta si basa su un’apparente dicotomia: Brahman - Anima Cosmica da una parte, e Prakriti o Maya o Jagad, natura o illusione o universo, dall’altra. Una falsa dicotomia, però, perché solo il Brahman è reale, gli altri sono sue produzioni momentanee (anche se il ‘momento’ dura miliardi dei nostri anni). Quindi, tutta la Sadhana, la pratica spirituale, ha come obiettivo l’elevazione spirituale del Jiva, dell’Atman incarnato. All’elevazione spirituale corrisponde l’elevazione del livello vibratorio del Jiva. 

Materia-Energia-Livelli vibratori. Nel mondo occidentale si è sempre considerata la materia come qualcosa di inerte che, solo quando è investita del respiro divino diventa viva. La materia inerte si può suddividere in un’immensa quantità di particelle che la compongono, gli atomi. Questi mattoncini di base sono, come dice la parola stessa, indivisibili. Negli anni 30 del ‘900 la visione della fisica occidentale comincia a cambiare. Grazie anche alla possibilità di utilizzare strumenti di analisi sempre più complessi e raffinati, ci si accorge che l’atomo è tutt’altro che immobile e tutt’altro che indivisibile.
Al suo interno si riproduce una struttura simile a quella del sistema solare, con un nucleo, intorno al quale orbitano a velocità vorticosa una miriade di particelle subatomiche, elettroni, neutroni, neutrini ecc. Tutte le particelle sono di massa infinitesimale, ma cariche di energia. Da questo si può facilmente dedurre che il concetto di materia inerte è superato. La materia, in un certo senso, non esiste. Esiste solo l’energia che, a seconda del suo livello vibratorio, cambia di stato. Se scaldiamo un pezzo di ghiaccio, ossia gli comunichiamo dell’energia, in questo caso termica, diventa acqua; se scaldiamo ancora, diventa vapore. Quando l’energia contenuta nel vapore comincia a dissiparsi nell’ambiente, esso si condensa e torna ad essere acqua; se togliamo ulteriore energia, avremo di nuovo il ghiaccio. È sempre H2O, ma la forma cambia radicalmente in base alla quantità di energia che possiede e al livello vibratorio dell’energia stessa. Se l’idea che l’intero Universo sia in realtà composto di sola energia è, per noi Occidentali, qualcosa di relativamente recente, lo stesso non si può dire per le scuole filosofiche indiane. Gli antichi Rishi sapevano benissimo, non solo che l’intero Universo è una massa viva e vibrante di energia, ma sapevano anche che il livello vibratorio di quest’energia ne determina, oltre alla forma (ghiaccio-acqua-vapore), anche la consapevolezza. Un’energia di basso livello darà vita a cose statiche, con nessuna consapevolezza di sé, come i minerali; un’energia di livello un po’ più alto produrrà esseri più complessi e dotati di una consapevolezza di base, come le piante. Salendo di livello in livello, alla sottigliezza dell’essere corrisponde una sempre maggiore consapevolezza di sé. Si passa dalla pianta al batterio, dal batterio all’insetto e così via fino all’uomo, e dall’uomo comune all’uomo spiritualmente evoluto, l’uomo il cui livello vibratorio è talmente elevato, da conferirgli la consapevolezza del suo essere divino. Tutta la Sadhana è rivolta all’innalzamento del livello vibratorio del praticante, affinché, con esso, si innalzi il suo livello di consapevolezza. La cosmogonica indiana è stata in qualche modo accettata anche dalla fisica moderna. La teoria del ‘big bang’, la grande esplosione, corrisponde al concetto di nascita dell’universo che troviamo negli antichissimi Shastra indiani. Secondo la fisica moderna, l’energia accumulata e concentrata in uno spazio minimo, un buco nero, a un certo punto si libera, dando il via ad un’immensa esplosione. Questa massa enorme
di energia, man mano che si allontana dalla fonte originaria, inizia a rallentare, abbassando il   proprio livello vibratorio, e diventando sempre più grossolana, trasformandosi prima in gas, poi in liquidi e infine in materia solida. Quando la forza centrifuga iniziale si sarà esaurita completamente, l’Universo smetterà di espandersi e la forza centripeta del buco nero avrà di nuovo il sopravvento, richiamando a sé tutto quello che ne era uscito.
Il racconto indiano della Creazione è analogo, anche se un po’ più variopinto. All’inizio, non dei tempi, ma di ogni ciclo cosmico, Mahavishnu, l’Essere Supremo, dorme disteso su un immenso serpente che galleggia nell’oceano cosmico, lo spazio infinito. Il serpente è arrotolato in tre spire e mezzo, come la Kundalini nel Muladhara Chakra prima del suo risveglio. Dall’ombelico di Mahavishnu spunta un fiore di loto, all’interno del quale siede Brahma, il dio che presiede alla Creazione dell’universo. Per motivi legati al Karma, l’equilibrio tra i Guna viene alterato, e da questo disequilibrio nasce la vibrazione primigenia, Shabdabrahman, il suono senza suono, la vibrazione talmente sottile da non essere percepibile. Man mano, la vibrazione, allontanandosi dalla fonte primigenia, tende a rallentare. La massa di energia continua ad espandersi e, ogni volta che raggiunge un punto in cui non può espandersi più, si differenzia. La Creazione procede quindi per espansioni e differenziazioni, fino ad assumere tutte le forme della Natura che conosciamo. È importante ricordare che tutte queste forme che conosciamo sono in realtà diversi aspetti di un’unica energia divina, di Brahman, che si manifesta in innumerevoli modi.

Il Karma è quella legge inderogabile che fa sì che ad ogni azione ne corrisponda un’altra, uguale e contraria. È la conseguenza di ciò che noi abbiamo fatto, in questa e, soprattutto, nelle vite precedenti. Nasciamo in una data situazione, corpo, intelligenza, famiglia, salute, agiatezza ecc., non casualmente, ma per poter riprendere il cammino spirituale, l’avvicinamento alla fonte divina, dallo stesso punto in cui lo avevamo lasciato nella vita precedente. Nella Bhagavad Gita, quando Arjuna chiede a Krishna cosa accade a coloro che, pur avendo percorso la via dello Yoga, sono morti prima di aver raggiunto Moksha, la liberazione, Krishna così risponde: “L’uomo che hai descritto non sarà perduto né in questo mondo né nell’altro, perché chi persegue il bene non può mai percorrere i sentieri della rovina. Dopo aver raggiunto i mondi dove vivono i giusti, ed esserci rimasto per una successione ininterrotta di anni, colui che ha fallito in questo yoga rinasce quaggiù, nella casa di persone prospere e virtuose.” B.G. VI, 40-42. E poi aggiunge: “Nel nuovo corpo egli ritroverà comunque il raccoglimento che aveva conseguito nella vita precedente, e potrà impegnarsi ulteriormente verso la perfezione. Anche senza cercarlo, egli sarà spontaneamente e irresistibilmente attratto dai principi della meditazione. Tenterà così di riafferrare la conoscenza, e solo facendo questo egli sarà già più avanti di chi ha eseguito tutti i riti purificatori raccomandati nelle scritture.” Ogni vita dipende dalle precedenti, nel bene e nel male, e pone i presupposti per le successive. Tutto quello che ci accade dipende esclusivamente da noi, anche se non ne siamo sempre coscienti.
I Guna sono tre: Sattva, Rajas e Tamas, purezza, azione e inerzia. I Guna pervadono l’intero Universo, tanto che Jagad, l’Universo, in realtà corrisponde ad essi. Jagad non potrebbe esistere senza Guna, di cui è manifestazione, né i Guna senza Jagad, di cui sono causa. È importante notare che in ogni cosa i tre Guna sono sempre presenti contemporaneamente. Nulla e nessuno, finché appartiene a Prakriti, la Natura, può essere completamente privo di uno dei tre. Quello che cambia è la proporzione tra loro. Un cibo sano, fresco, ottenuto senza violenza, è prevalentemente Sattvic. Un cibo un po’ meno puro, ma molto energetico, è Rajasic. Un cibo morto, stantio, derivato dalla violenza, che altera la mente, è Tamasic. Lo stesso criterio si applica a tutte le cose che appartengono alla Natura, inclusi gli esseri umani. A livello vibratorio, Sattva è ovviamente molto più sottile sia di Rajas che di Tamas. Per questo è importante, nella Sadhana, capire bene il significato dei Guna e come si manifestano. Poiché gli strumenti di cui disponiamo per il nostro progresso spirituale sono corpo, mente, respiro, Prana e, in qualche modo, i Guna, è su questi strumenti che dobbiamo fare affidamento nel nostro percorso karmico verso la fonte divina. 
Quindi, se siamo indolenti, dobbiamo imparare a superare l’indolenza dovuta ad una prevalenza di Tamas, con l’attività di Rajas. Questa indispensabile attività va però disciplinata e resa sottile da Sattva. Dobbiamo quindi sempre tendere verso quest’ultimo Guna, sapendo però che anch’esso andrà poi superato, in quanto comunque parte di Prakriti, la Natura sensibile. 
C’è, a tal proposito, una storia molto istruttiva. Un mercante viaggia per il suo lavoro, quando, attraversando un bosco, viene aggredito da tre ladri. Dopo averlo derubato, cercano di decidere cosa fare del mercante. Uno propone di ucciderlo subito e scappare; un altro dice di legarlo ad un albero e andarsene. Quindi, lo legano ad un albero e lo abbandonano. Il terzo ladro, impietosito, torna indietro, lo slega e lo conduce sulla strada, salvandolo. I tre ladri sono ovviamente i tre Guna, Tamas ti uccide, Rajas ti lega e Sattva ti libera. Ma Sattva è pur sempre un ladro, e qualsiasi attaccamento, anche il più puro, costituisce un impedimento alla liberazione. 
Nella Bhagavad Gita, Krishna ci spiega il concetto con chiarezza: “La Fede degli esseri incarnati, che è radicata nella loro disposizione naturale (derivante dalle impressioni delle nascite passate), è di tre tipi: quelle della natura di Sattva, di Rajas e di Tamas. Ti prego di ascoltare. La Fede di ognuno è in relazione alla sua disposizione naturale (derivata dalle impressioni passate). L’uomo è costituito dalla sua Fede. Ciò che la sua Fede è, quello egli è.” B.G. XVII, 2-3.
Per arrivare ad una fede Sattvic, bisogna rendere Sattvic tutto il nostro essere, corpo, respiro, Prana, mente. Questo è il compito dello Yoga. Portare gradualmente il praticante ad essere Sattvic in ogni parte della sua vita. È una sfida immensa, ma va affrontata. 

I quattro percorsi dello Yoga. Lo Yoga è una disciplina spirituale estremamente complessa, così com’è complesso l’essere umano. Non c’è un aspetto dell’uomo che non prenda in considerazione, dal corpo al respiro, dalla mente al superamento della mente. Per questo abbiamo più sentieri dello Yoga, anche se i principali sono quattro: 
  • Karma Yoga, lo Yoga che trasforma l’azione da causa di legami, a strumento diliberazione; 
  • il Bhakti Yoga, lo Yoga della devozione, che trasforma l’amore umano, solitamente egoistico, in amore disinteressato e universale, Prem; 
  • Jnana Yoga, lo Yoga della conoscenza, che, tramite lo studio degli Shastra e l’autoanalisi, permette alla mente superiore di calmare quella inferiore e di elevarsi a livelli divini; 
  • il Raja Yoga, la via reale o lo Yoga dei poteri psichici. Del Raja Yoga fanno parte tutte le pratiche più note, dall’Hatha Yoga al Mantra Yoga o allo Yoga Kundalini, pratica molto avanzata, riservata a chi ha già fatto un percorso di purificazione e di consapevolezza di buon livello. 
Ci soffermiamo leggermente sul Raja Yoga, detto anche Ashtanga Yoga, lo Yoga delle otto parti, in quanto diviso, appunto, in otto parti, ognuna propedeutica all’altra. Le otto parti sono: i cinque Yama e i cinque Niyama, dieci norme etico-comportamentali per la purificazione e la preparazione alla pratica vera e propria; Asana, le posture yogiche; Pranayama, il controllo del Prana, ottenuto attraverso il controllo del respiro; Pratyahara, il ritiro all’interno dei sensi; Dharana, la concentrazione, tendente a portare la mente a fermarsi su un unico punto; Dhyana, la meditazione vera e propria, e infine Samadhi, l’unione dell’Atman, l’anima individuale, con Brahma, l’anima cosmica.

Su quanto sia prezioso ed insostituibile il percorso dello Yoga, e della meditazione in particolare, Swami Sivananda così scrive: “Condurre una vita virtuosa non è sufficiente in sé per ottenere la realizzazione di Dio. È assolutamente necessario raggiungere la concentrazione della mente. Una vita buona e virtuosa prepara semplicemente la mente ad essere uno strumento adatto alla concentrazione e alla meditazione. Sono la concentrazione e la meditazione che alla fine conducono alla realizzazione del Sé. Senza l’aiuto della meditazione non potrete raggiungere la Conoscenza del Sé. Senza il suo aiuto non potrete sviluppare lo stato divino. Senza di essa non potrete liberarvi dalle pastoie della mente e ottenere l’immortalità. La meditazione è l’unica via regale per il conseguimento della salvezza, di Moksha. È una scala misteriosa che conduce dalla terra al cielo, dall’errore alla verità, dalle tenebre alla luce, dal dolore alla beatitudine, dall’inquietudine alla pace permanente, dall’ignoranza alla conoscenza. Dalla mortalità all’immortalità.” 

Patanjali, nel secondo dei 196 aforismi dello ‘Yoga Sutra’, dice che “Yogas Chitta Vritti Nirodah”, ovvero “Lo Yoga è l’arresto delle alterazioni della mente”, cioè l’arresto delle onde di pensiero, di ogni attività mentale. Perché è così importante fermare la mente fino all’immobilità totale? Un esempio che si usa spesso per spiegare questo concetto, è il seguente: quando il mare è agitato, l’acqua intorbidita ci impedisce di vederne il fondo, che contiene un grande tesoro. Calmando l’acqua, fino a fermarla del tutto, essa diventerà trasparente, permettendo di vedere quel tesoro che prima era nascosto. Così la mente, in costante movimento, erige una sorta di cortina fumogena davanti alla parte divina, l’Atman, impedendoci di percepirlo e, di conseguenza, di prendere coscienza della nostra vera natura, che è divina. Naturalmente, queste non sono cose che si ottengono facilmente e in tempi brevi.  
Lo Yoga riconosce 5 stati della mente, essi sono:
  • Kshipta ……. Mente disturbata e dispersa
  • Mudha………Mente stordita e intontita
  • Vikshipta……Mente distratta, attenta solo occasionalmente
  • Ekagra………Mente concentrata su un unico punto
  • Niruddha……Mente completamente ferma e sotto controllo nella concentrazione.
È fin troppo ovvio che Kshipta, è uno stato, purtroppo molto comune, in cui la mente conclude ben poco, disperdendo la propria energia in mille rivoli inutili. Per fortuna, anche nelle persone comuni la mente non è sempre in quello stato. Spesso è solo un po’ distratta, a volte concentrata, a volte tanto concentrata che si va in un’apnea involontaria, si trattiene il respiro. L’obiettivo è quello di rendere, tramite la pratica yogica, la mente sempre più presente a se stessa; questo migliorerà non solo il nostro livello spirituale, ma anche la nostra vita di ogni giorno. Prima di praticare Dhyana, non è indispensabile essere dei maestri assoluti dei sei ‘Anga’ precedenti, ma bisogna praticarli assolutamente, altrimenti i progressi nella meditazione saranno ben pochi.  Swami Vishnudevananda sostiene che non si possa insegnare a meditare, come non si può insegnare a dormire; però, come è sicuramente più facile dormire su un buon letto, in una camera silenziosa, anche osservare certe regole di base può non essere sufficiente a meditare, ma certamente ridurrà gli ostacoli che si frappongono tra il praticante e l’obiettivo. Queste regole di base sono: costanza e, possibilmente, uniformità di orario; l’ora migliore per la meditazione è il Brahma Muhurta, prima dell’alba; cercare di avere una stanza, o almeno un angolo protetto e tranquillo, dove si pratica solo la meditazione, con un altare dov’è esposta l’immagine dell’Ishta Devata, la divinità preferita; utilizzare le energie migliori della Terra, orientandosi verso est o verso nord; utilizzare il respiro per calmare la mente, perché, se la mente è agitata, meditare diventa quasi impossibile; concentrare la mente sul punto tra le sopracciglia o sul Chakra del cuore. Ultimo, ma
non meno importante: recitare il proprio Mantra, per coloro a cui è stato impartito da una persona qualificata, o il Mantra universale OM, adatto a tutti.

L'uso dei Mantra è molto importante nel percorso spirituale. Swami Vishnu lo definisce in questo modo : “Il Mantra è energia mistica racchiusa in una struttura sonora.” È quindi energia divina, quella stessa energia che è alla base della creazione dell’universo e che tutto pervade, troppo sottile per essere percepita e che, leggermente meno sottile, si fa suono. Ripetere il Mantra, dapprima ad alta voce, poi sussurrandolo a fior di labbra, infine solo mentalmente, significa far vibrare tutto il nostro essere ad una frequenza che altrimenti riusciremmo a raggiungere solo con enormi difficoltà. Quando recitiamo un Mantra, non creiamo quel suono, perché quel suono già esiste, è sempre esistito, ma noi non abbiamo i mezzi per percepirlo, come non riusciamo a percepire le onde radio se non disponiamo di un apparecchio adatto. Quando recitiamo il Mantra, non facciamo che sintonizzarci, attraverso il suono grossolano, sulla sua essenza sottile, che è diretta espressione dell’energia divina. Abbiamo detto che l’intero Universo non è che energia; dietro ad ogni manifestazione grossolana di Prakriti, la natura sensibile, si nasconde un’essenza sottile, e dietro l’essenza sottile si nasconde una natura divina. Mettendo il nostro corpo e la nostra mente in vibrazione, dapprima grossolana, poi via via più sottile, ci avviciniamo sempre di più alla nostra vera, profonda natura, quella divina. Se tutta la Sadhana è tesa ad alzare il livello vibratorio del praticante, a renderlo sempre più sottile, quale sussidio migliore del Mantra? Esso ci permette di fare in brevissimo tempo un percorso che sarebbe altrimenti lungo e difficoltoso. 
La parola Mantra deriva dalla radice Man, mente e da Trai, che vuol dire sia proteggere che liberare. Quindi, il Mantra protegge la mente, o libera attraverso la mente. Perché un Mantra possa definirsi tale, deve possedere sei caratteristiche:
  • 1. Deve avere un Rishi che ha raggiunto la realizzazione del Sé per la prima volta tramite questo Mantra, e lo ha donato al mondo. È il veggente di questo Mantra. Il saggio Vishwamitra, per esempio, è il Rishi del Gayatri mantra.
  • 2. Il Mantra deve avere una metrica, Pada, che governa l’inflessione della voce. Alcuni invece di Pada, parlano di Raga, musica, nel senso che il Mantra ha degli accenti che ne stabiliscono il ritmo e la musicalità, essenziali perché esso mantenga tutto il suo potere.
  • 3. Il Mantra deve avere un particolare Devata, la divinità che presiede al Mantra stesso.
  • 4. Il Mantra ha un Bija o seme. Il seme è l’essenza più sottile del Mantra, e gli conferisce un potere speciale.
  • 5. Ogni Mantra ha una Shakti. La Shakti è l’energia divina insita nel Mantra. L’energia creatrice che si manifesta nel Mantra stesso.
  • 6. Il Mantra ha un Kilaka, una sorta di tappo. Kilaka chiude la Mantra Chaitanya, la coscienza che è nascosta nel Mantra. Quando questo ‘tappo’ viene gradualmente consumato e, infine, eliminato, con la ripetizione costante e prolungata del nome dell’Ishta Devata, la divinità di riferimento, la Chaitanya, la coscienza nascosta si rivela e il devoto ottiene la Darshana, la visione, dell’Ishta Devata.
I Mantra sono in lingua Sanscrita e sono assolutamente intraducibili, non perché non ne sappiamo il significato, ma perché traducendoli in una lingua diversa dal Sanscrito, essi perdono buona parte, se non tutta, la loro forza spirituale ed evocatrice. Abbiamo visto, accennando alla cosmogonia indiana, che essa procede per espansioni e differenziazioni. Gli Shastra ci dicono che alla quinta differenziazione appaiono i Varna, colori o sfumature, da cui, per ulteriori differenziazioni, avranno origine tutti i suoni e tutte le lingue. Oggi, la cosa più vicina ai Varna sono le 54 lettere dell’alfabeto Sanscrito, i Devanagari, la scrittura degli dei. I suoni del Sanscrito, e quindi i Mantra, sono i suoni conosciuti più puri e più prossimi alla fonte divina originale, e proprio in questo consiste la loro straordinaria forza. Traducendoli, il significato rimane, ma l’energia spirituale svanisce. Per questo motivo è oltremodo importante che i Mantra vengano recitati con la pronuncia appropriata.
Mettete una barra di ferro in una fornace ardente, diventerà rossa come il fuoco. Toglietela dalla fornace e perderà il suo colore rosso. Se volete mantenerla sempre rossa, dovrete tenerla sempre nella fornace. Allo stesso modo, se volete mantenere la mente carica del fuoco della saggezza brahmica, dovete tenerla sempre in contatto col fuoco brahmico della conoscenza, attraverso una costante ed intensa meditazione. Dovete mantenere un flusso ininterrotto di coscienza brahmica. 
"Se riuscirete a meditare per mezz’ora, sarete capaci di impegnarvi nei compiti di ogni giorno con pace e forza spirituale. Questi sono gli effetti benefici della meditazione. Poiché nella vostra vita quotidiana dovete muovervi usando diversi aspetti peculiari della vostra mente, prendete la forza e la pace dalla meditazione. Poi, non avrete più né problemi né preoccupazioni.” --Swami Sivananda - Pratica dello yoga
Se, come dicevano i Romani, Repetita juvant è un’affermazione valida per qualsiasi pratica a cui si riferisca, dallo studio, all’arte, allo sport, ancora di più è vera quando si parla di plasmare non il corpo o la mente inferiore, ma la psiche profonda. Solo una pratica regolare e, soprattutto, prolungata, Abhyasa, può produrre risultati che tendono a stabilizzare la mente. Man mano che si procede nella pratica, vi accorgerete che il tempo che impiega la mente ad entrare in uno stato meditativo, si riduce sempre più. Per stabilire nella mente questo tipo di memoria, l’uso del Mantra è un sostegno straordinario, e anche per questo, una volta adottato un Mantra, non bisogna cambiarlo. 
Ci vuole un po’ di tempo, a volte un bel po’ di tempo, perché il Mantra manifesti tutta la sua Shakti, che è poi il tempo che serve alla nostra sensibilità per diventare abbastanza sottile da percepirla.

La Japa, la ripetizione di un mantra, si può praticare in tre modi: ad alta voce, e viene chiamata Vaikhari Japa; sussurrando a fior di labbra, ed è detta Upamsu Japa; mentalmente, Manasika Japa. Questa è la forma di ripetizione più potente e richiede una concentrazione più intensa, poiché la mente dopo un po’ tende a chiudersi. Nel caso ci si accorga che ci si sta assopendo, si può ripetere il Mantra ad alta voce per un po’, oppure fare un ciclo di Kapalabhati, e ricominciare. Uno strumento molto utile per tenere il conto dei Mantra, quando si fa la Japa, è il Mala. Una corona di perline, simile al Rosario, composta da 108 grani più uno, il Meru, che non va superato. Quindi, quando si arriva al Meru, si gira il Mala e si ricomincia a sgranare nell’altro senso. 
Sul perché di questo numero, 108, che peraltro troviamo spesso nell‟Induismo e nel Buddhismo, ci sono parecchie risposte: sul Chakra del cuore, l’Anahata, convergono 108 Nadi; i Devanagari, le lettere dell’alfabeto sanscrito, sono 54 e ognuna ha un suo doppio, maschile e femminile; nello Sri Yantra, lo Yantra dell Dea, ci sono 54 Marma, intersezioni, e anch’esse hanno un doppio, maschile e femminile; 12 segni zodiacali x nove pianeti ecc. ecc. 
Il Mala può essere composto di vari materiali, anche se i più usati sono la Rudraksha, il seme di una bacca comune in India, il legno di Tulsi, una pianta sacra simile al basilico con un gambo legnoso, o di sandalo, il cristallo di rocca, e poi qualsiasi pietra preziosa o semipreziosa. Normalmente, durante la Japa, il Mala viene tenuto con la mano sinistra, all’altezza dell’Anahata Chakra, al centro del petto, e si sgrana con la destra, evitando di toccarlo con l’indice, che è considerato il dito che rappresenta l’io e l’egoismo.

Normalmente i Mantra vengono divisi nei seguenti gruppi: 
Saguna, o personali, Saguna vuol dire ‘con qualità’. 
Nirguna, impersonali.  I Nirguna, a loro volta, si dividono in  Gayatri, Bija Mantra astratti

I Saguna Mantra sono tutti quei Mantra che si riferiscono ad una divinità specifica, come Om Ganapataye Namah, il Mantra di Ganesha, Om Namo Narayanaya, il Mantra di Vishnu, On Namah Sivaya, il Mantra di Siva, e così via. 
A questo proposito, vorrei riportare un bellissimo pensiero di Swami Sivananda, rivolto in particolare a chi pensa che quella di invocare una divinità specifica sia una forma di idolatria ‘pagana’, politeista: “Dio Si rivela ai Suoi devoti in vari modi. Egli assume esattamente la forma che il devoto ha scelto per il suo culto. Se Lo adorate come Signore Hari con quattro mani, vi Si presenterà come Hari. Se Lo adorate come Siva, vi darà Darshan come Siva. Se Lo adorate come Madre Durga o Kali, verrà a voi come Durga o Kali. Se Lo adorate come Rama, Krishna o Dattatreya, verrà a voi come Rama, Krishna o Dattatreya. Se Lo adorate come Cristo o Allah, verrà a voi come Cristo o Allah". 
"Sono tutti aspetti di un unico Isvara o Signore. Sotto qualsivoglia nome o forma, è sempre Isvara ad essere adorato. L’adorazione va a Colui che è dentro, il Signore nella forma. Pensare che una forma sia superiore ad un’altra è pura ignoranza. Tutte le forme sono esattamente la stessa cosa. Adoriamo tutti lo stesso Dio, le differenze sono solo differenze di nome dovute alle differenze in coloro che adorano, ma non nell’oggetto dell’adorazione. Il vero Gesù o il vero Krishna sono nel vostro cuore. Egli vive lì eternamente, dimora dentro di voi. È sempre il vostro compagno, non c’è un amico migliore di Colui che dimora dentro di voi. Affidatevi a Lui, rifugiatevi in Lui, realizzateLo e siate liberi.” -- Swami Sivananda
Identificare Dio con un Ishta Devata, una divinità preferita, di riferimento, è soltanto un modo di rappresentare Brahman, il Divino universale, in maniera più confacente alla nostra mente limitata, che altrimenti non sarebbe in grado di concepire l’inconcepibile, l’illimitato. È un gradino utile, spesso indispensabile, per prepararci a passare dallo stato umano, con i suoi limiti e le sue miserie, a quello divino. L’aspirante spirituale solitamente inizia la sua ricerca con Saguna, perché è più accessibile, più facile e può dare risultati tangibili in tempi ragionevoli. Solo quando è arrivato ad un considerevole livello di sviluppo, può cominciare a utilizzare nella sua pratica elementi Nirguna, privi di qualità, che sono certamente molto più potenti, ma, proprio per questo, richiedono purezza, forza e capacità di gestire le immense forze spirituali che sprigionano.
I Nirguna Mantra, come abbiamo appena accennato, sono quei Mantra privi di Guna, che non hanno qualità, e sono fondamentalmente dei Mantra astratti, a volte composti da un’unica sillaba priva di un significato apparente, ma carica di energia spirituale. Talmente carica, che il loro uso è consigliabile esclusivamente ai praticanti più esperti, che già hanno acquisito la capacità di gestire al meglio questa massa di energia sottile senza fare danni. 
I Nirguna più usati sono i Bija Mantra. Bija vuol dire seme, e così come il seme, benché piccolissimo, racchiude in sé tutta la potenza dell’albero maestoso che da esso nascerà, così il Bija, monosillabico, racchiude in sé una potenza spirituale straordinaria. 
Ogni Chakra ha il suo Bija, che ne rappresenta ed è lo stesso Bija dell’elemento associato a quel Chakra. Partendo dal basso, i Bija dei Chakra sono: 
  • Lam per il Muladhara, elemento Terra; 
  • Vam per lo Svadistana, Acqua; 
  • Ram per il Manipura, Fuoco; 
  • Yam per l’Anahata, Aria; 
  • Ham per il Vishuddha, Etere, e infine 
  • OM per l’Ajna. 
  • Il Sahsrara, il loto dai mille petali, alla sommità della testa, non ha un Bija, ma solo silenzio. 
Anche i Devata hanno il loro Bija, che spesso si aggiungono all’inizio del loro Mantra, per conferirgli ulteriore forza spirituale. 
Così il Mantra di Ganesha diventa Om Gam Ganapataye Namah, 
quello di Durga, Om Dum Durgaye Namah, 
quello di Sarasvati, Om Aim Sarasvatye Namah e così via. 
L’uso dei soli Bija Mantra nella meditazione è solitamente sconsigliato a chi non abbia già raggiunto una notevole esperienza nella pratica, e andrebbe sempre usato sotto la guida di un insegnante qualificato. Altri Nirguna Mantra sono quelli astratti, come So Ham (io sono), che indica l’identificazione del praticante col Divino ed è collegato anche al respiro cosmico, e OM, il Mantra universale. 
I Gayatri sono dei Mantra che hanno una particolare metrica, di solito 24 sillabe, in parte lode ad Ishvara, il Creatore, in parte preghiera per l’illuminazione. È un Mantra molto popolare in India, e questa è la forma più diffusa: "Meditiamo sulla gloria di Ishvara, che ha creato l’universo, che è degno di essere adorato, che è l’incarnazione della conoscenza e della luce, che toglie tutti i peccati e l’ignoranza. Possa Egli illuminare i nostri intelletti".

OM Simbolo del Para Brahman
Bhur Bhu-Loka (piano fisico)
Bhuvah Antariksha-Loka (piano astrale)
Svah Svarga-Loka (piano celeste)
Tat Quello; Paramatman trascendente
Savitur Ishvara o Creatore
Varenyam Degno di essere venerato o adorato
Bhargo Che elimina peccati ed ignoranza.
Splendore di gloria
Devasya Risplendente; luminoso
Dheemahi Noi meditiamo
Dhiyo Buddhi; intelletto; comprensione
Yo Che; chi
Nah Nostro
Prachodayat Illumina; guida; spinge a fare

Oltre a questo, che è il Gayatri Mantra fondamentale, esistono anche i Gayatri delle varie divinità, così abbiamo il Gayatri di Ganesha, di Vishnu, di Durga e così via. 
Mahavakya Vak vuol dire ‘parola’ e ‘maha’ grande. Quindi, Mahavakya vuol dire ‘grande espressione verbale’ o ‘grande affermazione’. Sono delle frasi brevissime che racchiudono l’essenza della saggezza del Vedanta. Le quattro più conosciute e più importanti sono estrapolate ognuna da uno
dei quattro Veda, e sono le seguenti:
  • Prajñānam brahma - "La coscienza è Brahman" – Rig Veda
  • Ayam ātmā brahma - "Questo Sé (Atman) è Brahman" –Atharva Veda
  • Tat tvam asi - "Tu sei quello” - Sama Veda
  • Aham brahmāsmi - "Io sono Brahman" – Yajur Veda.
Tutte e quattro affermano in maniera inequivocabile l’identità dell’Atman col Brahman. Nella prima l’Atman viene indicato come pura coscienza, Prajñānam, cioè, per unirsi al Brahman, bisogna essere coscienti della nostra natura divina, che è un riflesso del Brahman stesso. Nella seconda, l’identità è tra Atman e Brahma. Nella terza Tat, quello, indica l’incommensurabile, l’Essere Supremo; tvam, tu, il Jiva, e asi, sei, l’unione tra i due. Nella quarta, lo stesso concetto viene espresso in prima persona, Aham. 
 
OM: “La sillaba Om è tutto l'universo". Eccone la spiegazione. Il passato, il presente, il futuro: tutto ciò è compreso nella sillaba Om. E anche ciò che è al di là del tempo, che è triplice, è compreso nella sillaba Om. "Ogni cosa è il Brahman; l'Atman è il Brahman. Questo Atman ha quattro modi di essere.” Mandukya Upanishad, 1-2 Om è il Mantra universale, il Mantra della Creazione, il suono dell’Universo. Om è l’espressione sonora o, in assenza di suono, di vibrazione sottile dello stesso Brahman. È causa ed origine di ogni suono e di ogni cosa nel Cosmo intero. 
Il Vangelo di Giovanni inizia con queste parole: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.” Non è difficile cogliere il parallelo tra il Verbo del Vangelo e la Vibrazione prima, lo Shabdabhraman che si trasforma in Om. Om, come il Verbo, è causa di ogni cosa. 

Pur essendo normalmente considerato un suono unico, in realtà OM è composto da tre suoni distinti: A, U e M. Parte dalla parte posteriore della bocca (A), passa al centro (U) e si conclude anteriormente verso le labbra (M). È consigliabile fare una piccola pausa di silenzio alla fine di ogni Om, vedremo presto perché. I tre suoni coinvolgono anche tre Chakra, sede dei Granthi, sorta di nodi, cancelli, che impediscono alla Kundalini di salire lungo la Sushumna Nadi fino a quando il praticante non è pronto a gestirla. I tre Granthi sono: 
-il primo è Brahma Granthi, nel Muladhara Chakra (perineo), il suono è A; 
-il secondo è il Vishnu Granthi, nell’Anahata Chakra, il suono è U; 
-il terzo è il Rudra, o Siva, Granthi, nell’Ajna Chakra, il suono è M. 

Om rappresenta molte triadi presenti nel Vedanta: Creazione (Brahma), preservazione (Vishnu) e cambiamento, Pralaya (Siva); passato, presente e futuro, i tre Guna, Tamas, Rajas e Sattva; i tre mondi o piani, Bhur, la Terra, Bhuva, l’atmosfera e Svah, il Cielo; i tre Sharira, corpi: Sthula Sharira, il corpo grossolano, fisico, Sukshma Sharira, il corpo astrale, e Karana Sharira, il corpo causale. 

Ma la triade più importante, rappresentata dalle tre componenti dell’Om, è quella degli stati mentali: veglia, sogno e sonno profondo. Dall’analisi della mente in questi tre stati si può comprendere l’irrealtà del mondo sensibile e che l’unica realtà eterna e immutabile, Sat, è il Brahman, e il suo riflesso nel Jiva,
l’Atman. 
Il silenzio alla fine della recitazione dell’Om rappresenta il superamento del tempo, l’infinito, del corpo e dei Guna, Moksha, dei mondi, la dimensione divina, e il quarto stato della mente, Turiya, lo stato di fermezza vigile e imperturbabile. Lo stato che si raggiunge quando il nostro livello di consapevolezza ci rende capaci di identificarci, non più, erroneamente col complesso corpo-mente-prana, ma con la nostra vera essenza divina, l’Atman.   ---   Hari Om Tat Sat

Il Vedānta e le sue Correnti Filosofiche

Vedānta (devanāgarī: वेदान्त, "fine dei Veda") è un termine sanscrito che indica la parte finale del corpus vedico, rappresentata principalmente dalle Upaniṣad, e che simboleggia anche il culmine del pensiero spirituale indiano, orientato verso la liberazione (mokṣa).      

In senso dottrinale, Vedānta si riferisce anche alla Uttaramīmāṃsā ("esegesi ulteriore"), fondata sullo studio del Brahmasūtra (o Vedāntasūtra), un testo di aforismi attribuito a Bādarāyaṇa, strutturato in quattro adhyāya (capitoli), ciascuno diviso in pāda (sezioni), per un totale di 555 sutra.

   

La base scritturale del Vedānta si fonda sul prasthānatraya ("i tre punti di partenza"):

  •     Le Upaniṣad
  •     La Bhagavadgītā
  •     Il Brahmasūtra

Queste opere sono oggetto di interpretazioni diverse, da cui derivano varie scuole vedāntiche. Tradizionalmente, il Vedānta si articola in sei principali correnti filosofiche:

  •     Advaita Vedānta di Śaṅkara (VI–VII secolo)
  •     Viśiṣṭādvaita Vedānta di Rāmānuja (XI secolo)
  •     Dvaita Vedānta di Madhva (XIII secolo)
  •     Dvaitādvaita Vedānta di Nimbārka (XIV secolo)
  •     Śuddhādvaita Vedānta di Vallabha (XV–XVI secolo)
  •     Acintyabhedābheda Vedānta di Caitanya (XVI secolo)

Queste scuole, pur avendo come riferimento lo stesso canone, giungono a concezioni molto differenti sulla natura dell’Assoluto (Brahman), del sé (ātman), e del mondo empirico (jagat).

Advaita Vedānta. Advaita (sanscrito: "non-dualismo", o "monismo") è la scuola Vedānta più influente, fondata in forma sistematica da Śaṅkara (Śaṅkarācārya), ma preceduta dal pensiero del filosofo del VII secolo Gauḍapāda, autore del Māṇḍūkya-kārikā, un commento in versi sulla Māṇḍūkya Upaniṣad.

Gauḍapāda, influenzato anche dal buddhismo mahāyāna (in particolare dalla dottrina dello śūnyavāda), afferma:

  •     L’unica realtà è la non-dualità (advaita).
  •     Tutta la percezione fenomenica, nella veglia come nel sogno, è māyā (illusione).
  •     Il jīva (anima individuale) non è realmente distinto dall’ātman, l’Essere universale.

    Non c'è divenire, solo apparenza: come lo spazio in un vaso non è diverso dallo spazio infinito, così l’anima individuale non è distinta dal Brahman.

Śaṅkara sviluppa l’Advaita in modo filosoficamente rigoroso nel suo Śārīraka-mīmāṃsā-bhāṣya, il commento ai Brahmasūtra. La sua visione si fonda su alcuni principi chiave:

  •     Brahman è l’unica realtà: senza attributi (nirguṇa), al di là del tempo, dello spazio e della causalità.
  •     Il mondo è illusorio (māyā): reale solo in senso relativo.
  •     L’ātman individuale è Brahman: la conoscenza di questa identità porta alla liberazione.

    L’errore percettivo (adhyāsa) consiste nel sovrapporre attributi all’Io, come nell’esempio della corda scambiata per un serpente.

Viśiṣṭādvaita significa "non-dualismo qualificato". Fondata da Rāmānuja, questa scuola propone una visione in cui l’unità dell’Essere supremo (Brahman) è mantenuta, ma è qualificata dalla presenza della prakṛti (materia) e degli ātman individuali, che costituiscono il corpo del Signore (sarīra-sarīrī bhāva).

  •     Il jīvātman non è identico al Brahman, ma eternamente connesso ad esso.
  •     La molteplicità è reale, ma subordinata all’unità organica del tutto.
  •     L’affermazione "Aham Brahmāsmi" è letta in chiave devozionale: l’unione con Dio non annulla la dualità, ma la sublima in comunione.

Una metafora spesso utilizzata è quella della scintilla e del fuoco: il jīvātman è una parte del Brahman, ma non è il tutto.

    Dvaita Vedānta di Madhva afferma una netta dualità: Dio e l’anima individuale sono eternamente distinti.

    Dvaitādvaita, Śuddhādvaita e Acintyabhedābheda cercano diverse forme di conciliazione tra unità e diversità. Differenze di prospettiva e coesistenza delle visioni. Una celebre risposta di Hanuman a Rāma sintetizza poeticamente le tre visioni vedāntiche:

  •     Quando sono consapevole del mio corpo, sono il Tuo servo.
  •     Quando sono consapevole della mia individualità, sono una parte di Te.
  •     Quando sono consapevole della mia essenza, sono Te stesso.

Questa risposta incarna:   -  La prospettiva dvaitica (servo),   - Quella viśiṣṭādvaitica (parte),    -  E infine quella advaitica (identità totale).

Molti vedāntin contemporanei sottolineano che le tre visioni non si escludono, ma possono essere viste come progressive realizzazioni spirituali.

Conclusione.    Il Vedānta rappresenta un corpus filosofico vasto e profondo, in cui le diverse scuole interpretano in modi differenti la natura dell'Assoluto e il rapporto con l’individuo e il mondo. Sebbene Advaita sia stata la scuola più influente storicamente, Viśiṣṭādvaita, Dvaita e le altre correnti offrono alternative altrettanto coerenti e profonde.  La loro diversità non implica necessariamente contraddizione, ma riflette differenti vie di accesso alla verità, adattabili ai livelli e agli stati di coscienza dei ricercatori spirituali.

Advaita Vedanta

 Advaita (sanscrito: non dualismo, talvolta Monismo), è la più influente delle scuole del Vedanta, una delle sei scuole filosofiche ortodosse dell' India. Mentre i suoi seguaci trovano i temi principali già completamente espressi nelle Upanisad e codificati nel Vedanta-sutra, ha il suo inizio storico con Gaudapada, un filosofo del VII secolo, autore del Mandukya-karika, un commento in versi sulla tarda Mandukya Upanisad.     

Gaudapada argomentò anche sulla filosofia buddista del Mahayana di Shunyava-da (vacuità). Sostenendo la non esistenza della dualità; la mente, nella veglia o nel sogno, si muove nella maya (illusione o ignoranza metafisica); e soltanto la non dualità (advaita) è la verità finale. Questa verità è celata dall' ignoranza dell' illusione. Non c'è alcun divenire, né da una cosa in sé o da una cosa a un'altra cosa. Non c'è infine il Sé o anima individuale (jiva), ma solo l'atman (l'Essere o spirito omnipervadente), in cui gli individui sono temporaneamente delineati così come lo spazio in un vaso si delinea come una parte dello spazio principale: quando il vaso è rotto, lo spazio specifico torna ancora una volta parte dello spazio principale.

Il filosofo medioevale indiano Shankara, o Shankaracarya, elaborò ulteriormente i concetti di Gaudapada, principalmente nel suo commento sul Vedanta-sutra, lo Shariraka-mimamsa-bhasya (Commentario sullo Studio sul Sé).  Shankara nella sua filosofia non inizia dal mondo empirico attraverso un processo di analisi logica ma, piuttosto, direttamente dall' assoluto (Brahman). Se interpretato correttamente, sostiene, le Upanisad insegnano la natura della Realtà Assoluta (Brahman). In questa questa discussione, sviluppa un epistemologia completa per rappresentare l' errore umano nella percezione del mondo fenomenico come reale.  Fondamentale per Shankara è il principio che il Brahman è reale ed il mondo è irreale. Ogni cambiamento, la dualità e la molteplicità sono un' illusione. Il Sé non è null'altro che il Brahman. La visione di questa identità provoca la realizzazione spirituale. Brahman è oltre il tempo, lo spazio e la causalità, che sono semplicemente forme dell'esperienza empirica. Nessuna distinzione nel o dal Brahman è possibile.

Shankara afferma che i testi scritti, dichianti l' identità (Tu sei Quello) o che negano la differenza (Qui non esiste dualità), in realtà affermano il vero significato di una Realtà Assoluta (Brahman) senza alcun attributo o qualità (nirguna). Altri testi che attribuiscono delle qualità (saguna) alla Realtà Assoluta (Brahman) sono da riferirsi non alla reale vera del Brahman ma alla relativa personalità come Divino (Ishvara).

La percezione umana della unitaria ed infinita Realtà Assoluta come molteplice ed infinita è causata dall' essere umano e alla sua abitudine innata della sovrapposizione (adhyasa), da cui un attributo si attribuisce all'Io (Io sono stanco; Io sono felice; Io sto percependo). L'abitudine proviene dall' ignoranza umana (avidya), che può essere evitata soltanto dalla realizzazione dell' identità del Brahman. Tuttavia, il mondo empirico non è completamente irreale, dato che è comunque un'apprensione errata del Brahman reale. Una corda si scambia con un serpente; c'è soltanto una corda e non c' è nessun serpente, ma, finché si pensa ad essa come al serpente, c'è il serpente. 

Shankara ha avuto molti seguaci che hanno continuato ed elaborato la sua opera, considerevole il contributo del filosofo Vacaspati Mishra del IX secolo. La letteratura Advaita è estremamente vasta e la sua influenza ancora è sensibile nel pensiero indù moderno.

venerdì 1 agosto 2025

Kumbh Mela: il più grande raduno religioso del mondo,

Ogni dodici anni, l’India ospita un evento unico al mondo per portata spirituale e dimensioni umane: il Kumbh Mela, il più grande raduno religioso esistente, che raccoglie centinaia di milioni di fedeli induisti lungo le rive sacre del Gange e dello Yamuna. L’edizione del Maha Kumbh Mela, celebrata quest’anno (2025) a Prayagraj, ha visto la partecipazione di oltre 400 milioni di pellegrini, con picchi di 76 milioni di persone in un solo giorno, il 29 gennaio.

Il Kumbh Mela è molto più di un pellegrinaggio: è un momento di purificazione spirituale in cui i fedeli si immergono nelle acque sacre per lavare i peccati e cercare la liberazione dal ciclo della rinascita. Il tempismo dell’evento è determinato da un raro allineamento astrologico tra Giove, il Sole e la Luna, che – secondo la tradizione vedica – conferisce potere spirituale all’acqua del Gange. Il luogo è considerato ancora più sacro perché, oltre ai due fiumi visibili, si crede che in forma metafisica si unisca anche il mitico Sarasvati, rendendo il sito una convergenza divina.

Per accogliere una tale moltitudine, viene costruita una megalopoli temporanea su una pianura alluvionale di 4.000 ettari. In appena due mesi, il governo indiano allestisce strade, ponti, tende, servizi igienici (oltre 30.000), acqua potabile, elettricità e copertura mobile. Le sistemazioni vanno dalle tende collettive statali alle lussuose Dome City, strutture a forma di bolla trasparente con ogni comfort moderno.

Tredici gruppi spirituali, gli Akharas, guidati da santoni ascetici, attraversano i ponti fluviali per sfilare e guidare le cerimonie. I sadhu benedicono i pellegrini, mentre le offerte di calendule e il canto incessante avvolgono l'atmosfera in una dimensione sospesa tra devozione e festa.

Il Kumbh Mela è anche una prova logistica senza pari. Le autorità hanno mobilitato 13.000 treni, 40.000 poliziotti (tra cui 1.300 donne agenti specializzate), 2.700 telecamere dotate di intelligenza artificiale per monitorare la folla, e 150.000 bagni portatili. Eppure, i rischi rimangono. Il 29 gennaio, una calca ha causato 30 morti e 90 feriti, rilanciando il dibattito sulla gestione della sicurezza, soprattutto nei confronti dei pellegrini più poveri, spesso trascurati rispetto ai visitatori VIP.

Il Kumbh Mela è anche solidarietà.  Numerose organizzazioni caritatevoli, tra cui la Società Internazionale per la Coscienza di Krishna, hanno offerto fino a 100.000 pasti vegetariani gratuiti al giorno. Iniziative sanitarie come la clinica Netra Kumbh hanno fornito screening visivi, occhiali gratuiti e interventi di cataratta a migliaia di persone. Grazie a una gestione oculata, negli ultimi anni non si sono verificati gravi focolai epidemici, un risultato straordinario per un evento di tali proporzioni.

Terminato il festival, il terreno torna al suo uso agricolo. Ci vogliono settimane per ripulire la città temporanea, ma la piena autunnale del Gange completerà l’opera, riportando tutto alla normalità, come se niente fosse mai accaduto. Ma i pellegrini, tornati a casa, porteranno con sé molto più che semplici ricordi: un’esperienza spirituale collettiva, un momento di connessione, purificazione e rinascita.

Vedi link:   https://www.nationalgeographic.it/kumbh-mela-che-cos-e-e-come-si-celebra-in-india-il-piu-grande-raduno-religioso-del-mondo?utm_source=firefox-newtab-it-it


sabato 11 gennaio 2025

Educazione Indiana - Ram Pace

Il libro Educazione Indiana di Ram Pace è un viaggio di dolore e speranza che, il suo autore, ha portato avanti raccontando la sua storia e quella della sua famiglia. 

Educazione indiana, non è solo un romanzo, ma una ricerca di un perché abbastanza forte da portare un uomo ad abbandonare tutto per una vocazione. È la narrazione di una vita descritta attraverso gli occhi di un figlio.    Ram Pace è cresciuto a Roma, ed ha avuto una vita anticonvenzionale ed è vissuto in un ambiente domestico vibrante di spiritualità, con un padre santone che poi è partito in India diventando un eremita asceta devoto a Shiva.      

I primi vent’anni di Ram sono stati un mosaico di sogni e utopie, segnati dalla costante ricerca di una identità e di una stabilità. Dalla convivenza con la madre in una casa-famiglia a Londra diretta dal psichiatra Ronald Laing , all’infanzia trascorsa con il padre in una comunità hippie a Roma, dalla sua esperienza nei centri sociali occupati fino al lavoro come cameraman, il suo cammino ha attraversato molteplici sfaccettature della vita e della società. Ram ha dovuto fare i conti con il difficile compito di accettare le utopie di un padre e, forse, comprendere che più la strada è ardua, più è preziosa e significativa.

Le pagine di questo racconto sembrano sussurrare che, come in ogni iniziazione, le sfide più grandi meritano di essere affrontate fino in fondo, portando alla riconciliazione e all’indulgenza della maturità raggiunta.   Educazione indiana è un viaggio fatto di incanto e rabbia, amore e risentimento, un rapporto padre - figlio mai del tutto chiarito, fino a una riconciliazione, data dalla consapevolezza che tutto è insegnamento e che nulla è realmente così diverso da noi.

Piccola sintesi del libro:  https://www.google.it/books/edition/Educazione_indiana/xsi6EAAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&pg=PT9&printsec=frontcover

 Educazione Indiana, link:   https://www.youtube.com/watch?v=kvZYXhDBc1Q

sabato 14 dicembre 2024

Giuseppe Tucci e l'ISMEO

Giuseppe Tucci (1894-1984) è uno dei personaggi più importanti dell’esplorazione del Novecento. Anche oggi, è considerato tra i più grandi tibetologi di tutti i tempi. Andò in India per la prima volta nel 1926 con il poeta Rabindranath Tagore, poi imparò molte lingue dell’Asia, e insegnò a Dacca, Benares e Calcutta. Nel 1933 fondò a Roma l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (ISMEO) insieme al filosofo Giovanni Gentile. 

Durante le decine di spedizioni avventurose in Tibet, Nepal e e nelle aree più remote dell’India e dell'Himalaya trattò direttamente con i monaci l’acquisto di manoscritti e di oggetti sacri, ed accumulò moltissime opere d’arte e reperti da riportare in Italia, dove verranno poi esposti all’ISMEO.  I suoi primi tre viaggi in Nepal avvengono nel 1929, 1931 e 1933 durante i quali riuscì ad arrivare fino a Pokhara.

Nel 1937 lo studioso italiano viaggiò per la sesta volta nel Paese proibito (il Tibet). Alle porte di Lhasa, i suoi compagni di viaggio dovranno fermarsi e attendere. Solo Tucci, che due anni prima si è convertito al Buddhismo, avrà il permesso di incontrare il Dalai Lama. Nel libro  “Santi e briganti nel Tibet ignoto”,  Tucci racconta la sua iniziazione ricevuta dall’abate di Saskya nel 1935.

Spesso era accompagnato nelle sue spedizioni dal medico Concetto Guttuso e dal fotografo Fosco Maraini che conobbe Tucci tramite un giornale. Su una pagina scoprì un titolo che gli cambiò la vita. “Il noto orientalista Giuseppe Tucci si prepara a tornare nel Tibet”.   Maraini scrisse al professore una lettera, lo incontrò a Roma e venne assunto come fotografo. Quattro mesi dopo, insieme a Tucci e al capitano Felice Boffa Ballaran si imbarcò su una nave diretta a Bombay per poi da li partire in spedizione.  Tucci racconta:  “Il Tibet oggi è come un museo vivente. Situato al centro dell’Asia, è remoto ma non periferico, ogni movimento spirituale del continente vi ha lasciato il suo riflesso".   

Nel 1948 al ritorno da una spedizione Maraini scrive il libro “Segreto Tibet”, un libro che diventa un best-seller mondiale.  Il rapporto si ruppe perchè Tucci considerò questo libro un'invasione nel suo mondo.  Tucci scrisse molti testi divulgativi come “A Lhasa e oltre” e “Tra giungle e pagode e Nepal”, “Indo-Tibetica”, studi scientifici sulle civiltà dell’Asia centrale.    La fotografa Francesca Bonardi, subentrò a Maraini e poi nel 1971 diventò la terza moglie del professore. E’ lei, molto più giovane del marito, a stargli accanto nei suoi ultimi anni, quando la coppia si trasferisce a San Polo dei Cavalieri nella campagna romana.

Nell’inverno del 1983, arrivò fin lì, alle porte di Roma, il  re Birendra del Nepal, per consegnare a Tucci una delle onorificenze più importanti del Paese Himalayano.  Un anno dopo, il 5 aprile del 1984, l’avventura terrena di Giuseppe Tucci si concluse. Secondo alcune fonti, prima di morire, il professore ripudiò Buddha per ridiventare cattolico. 

Qualche anno dopo la morte di Tucci l’ISMEO viene sciolto, e le sue preziose collezioni trasferite nel Museo delle Civiltà dell’EUR. 

Nel 2012 escono due biografie su Tucci; la prima di Enrica Garzilli intitolata “L’esploratore del Duce”. e la seconda scritta da Alice Crisanti con il titolo "Giuseppe Tucci. Una biografia".  

A San Polo dei Cavalieri, l’ultima casa di Tucci e di sua moglie Francesca dovrebbe diventare un museo. Nel 2023 il Comune di Macerata fa proprio il progetto del Parco storico-Letterario “Le Marche e l’Oriente – Giuseppe Tucci”.

L'Induismo

Dio è uno ma i saggi lo chiamano con molti nome" - (Rig Veda).     L’induismo è una religione monoteista e un modo di vivere. La sua pratica non si basa su rigidi dogmi e pur vantando una storia di grandi speculazioni filosofiche e teologiche, predilige un approccio esperienziale quindi una ricerca diretta della Realtà. L’induismo è la terza religione più diffusa al mondo, con circa 950 milioni di aderenti in tutto il mondo. Non fa proselitismo, poiché riconosce valide tutte le strade per arrivare alla Verità.  Alla definizione di “induismo”, tradizionalmente, si preferiscono quelle di sanatana dharma, “la norma eterna”; vaidika dharma, la religione del Veda; matrka dharma, la Madre di ogni norma. Denominatore comune è il termine dharma ovvero l’ordine cosmico di tutta la realtà.

Il termine Induismo è una parola inventata verso la fine del 18° secolo dagli inglesi ‒ per indicare la religione praticata dagli Indiani (parola la cui origine è a sua volta legata al fiume Indo).
L'induismo non si basa sulla rivelazione di un singolo profeta o fondatore. Dal vasto oceano della Conoscenza senza fine, gli antichi veggenti, rishi, ricavarono un'essenza da trasmettere all'umanità per favorire il benessere e la felicità dell'uomo. Tale conoscenza eterna è il Veda.  Isvara (nelle sue innumerevoli forme e nomi) costituisce l'aspetto supremo di Dio presso i principali culti devozionali (Bhakti) monoteisti, ovvero Shivaismo (monoteismo di Shiva), Vaishnavismo (monoteismo di Visnù/Krishna) e Shaktismo (monoteismo di Devī, la Madre Divina, chiamata anche Shakti).

Il  Sanatana Dharma  (la Religione o Legge Universale ed Eterna) trova espressione nei testi sacri dell’antica Tradizione Vedica…nei santi, negli yogi e nei mistici di tutti i tempi e di tutte le tradizioni che ne incarnano i principi fondamentali. L’espressione Sanatana Dharma indica ciò che non ha origine se non in se stesso, ciò che non è stato comunicato da nessun essere vivente, che non ha un fondatore, che esiste sin dall’inizio di ogni ciclo di tempo (kalpa) e che perennemente È.  Il significato di Sanatana è eterno, “ciò che non ha inizio né fine, ciò che È e sempre sarà”.    Da questo punto di partenza nascono i sei darshana bramanici - sei  visioni, da cui derivano le principali correnti del moderno pensiero indiano.     Delle sei filosofie, quelle che si sono affermate nel tempo sono il Vedanta e il Raja yoga riportato negli Yoga sutra di Patanjali.   

Il termine Vedanta, dal sanscrito, vuol dire "fine dei Veda", intende indicare sia le Upaniṣhad, per l'appunto parte finale del corpus vedico, sia il fatto che esse rappresentino il culmine dello stesso corpus nel senso che indirizzano al fine ultimo dello stesso, il mokṣa ("liberazione"), sia nel senso che tale letteratura viene studiata per ultimo, dopo gli altri testi. Vedanta è conoscenza metafisica, sapienza, scienza, e deriva dalla radice vid (da cui Veda) che significa "vedere", "sapere".  L'alveo dottrinale del Vedanta fa particolare riferimento a un "triplice canone" prasthanātraya , che corrisponde alle Upaniṣhad, alla Bhagavad Gītā, al Brahmasūtra di Bādarāyaṇa.   La Gita viene considerata il quinto Veda. 

Tradizionalmente sono sei le principali correnti (sampradāya) indicate come Vedānta le quali, pur radicandosi nel prasthanātraya, offrono dottrine e teologie assolutamente diverse tra loro:

  •     Advaita Vedānta di Śaṅkara (VI-VII secolo)
  •     Śrī Vaiṣṇava di Rāmānuja (XI secolo)
  •     Madhva sampradāy di Madhva (XIII secolo)
  •     Nimbārka sampradāya di Nimbārka (XIV secolo)
  •     Vallabha sampradāya di Vallabha (XV-XVI secolo)
  •     Viṣṇuismo gauḍīya di Caitanya (XVI secolo).

Di queste filosofie, quella che si è più affermata è l'Advaita Vedanta di Adi Shankara.  Shankara, filosofo e teologo, è noto per i suoi commentari sul Brahma-sutra e sulle Upanishad principali, affermano l'esistenza di una realtà eterna e immutabile (Brahman) e l' illusione della molteplicità e della differenziazione.   Vedi https://vedanta.it/

Il termine Dharma  deriva dalla radice  ‘dr ‘, che vuol dire ‘supportare, sostenere’, ‘legare, unire’. La sua radice indica “ciò che sostiene la nostra esistenza“. 

La letteratura indiana si divide in Shruti  e Smirti.  Shruti è ciò che si è sentito,  contiene valori universali validi in eterno. Shruti è ciò che si è sentito, ciò che hanno sentito i rishi. Sono considerati shruti, i Veda e le Upanishad. La Smriti si basa sull'autorità della shruti, ma è stata compilata dall'uomo; in questa categoria rientrano i due poemi epici come il Ramayana e il Mahabaratha. In questi due poemi sono protagonisti Rama e Krishna che sono degli avatar di Vishnu.   Krishna spiega lo yoga dell'azione, della devozione e della ricerca interiore. 

Il Raja yoga si fa risalire a Shiva che spiega a sua moglie Parvati che cosa è lo yoga, insegnamento poi trasmesso dai maestri, l'ultimo di questa tradizione è stato  Sivananda con i suoi discepoli Satyananda Saraswati e Vishnudevananda.   Shiva e Krishna sono i signori dello yoga.  Lo svara yoga (scienza yogica) è la conoscenza dei ritmi e dei flussi del prana attraverso lo studio del respiro. In questo yoga confluiscono elaborate conoscenze trasmesse da maestro a discepolo.

Lo scopo del Vedanta  è la conoscenza del divino ed arrivare al samadhi, dove non c'è più nulla da conoscere,  I Veda sono la conoscenza necessaria per intraprendere questo cammino. 

Yug significa unione tra Atman (jiva - anima individuale ) e Brahman (anima cosmica). Atman e Brahman sono la stessa cosa.  Lo scopo dello Yoga e del Vedanta è quello di portare alla consapevolezza dell'unione; Noi siamo già uniti al divino, non lo vediamo,nonlo percepiamo perchè c'è maya.   Il divino cosmico è reale, la natura sensibile è irreale.  La realtà di Brahman è sempre esistita, le altre realtà sono temporanee, sono emanazioni del divino. 

Il Vedanta riconosce tre corpi: 1- Corpo fisico: Sthula Sharira costituito dai cinque elementi ; 2- Corpo sottile o Corpo astrale: Sukshma Sharira  costituito dall'essenza dei sensi, mente, intelletto, memoria, chitta.; 3- Corpo causale che tiene tutto legato..

Secondo la filosofia Vedānta, l'essenza spirituale dell'uomo (detta Ātman) è rivestita da cinque involucri o guaine, chiamati Kosha. Essi sono i corpi di cui è composto l'"io" fenomenico, che separano la coscienza (il proprio Ātman, il proprio Sé) dal Brahman indifferenziato. I cinque Kosha sono presenti in tutti i piani o corpi (grossolano, sottile e causale), partendo da quello più materiale per arrivare a quello più spirituale e sono i seguenti:

  • La prima guaina Annamayakosa è quella del corpo grossolano,
  • La seconda guaina Pranamayakosa è quella dell'energia vitale,
  • Il terzo involucro Manomayakosa è quello che concerne il mentale,
  • La quarta guaina Vijnanamayakosa è detta guaina dell'intelletto,
  • L'ultima guaina e quella più interna Anandamayakosa è quella della beatitudine.

Quando si muore i corpi astrale e causale vanno nei sette loka, nelle sette dimensioni, il corpo si posizionerà in uno di questi loka a seconda delle vibrazioni sottili, si determina la permanenza nei loka, e poi l'anima si reincarna in una situazione equivalente al suo percorso spirituale.   Non sarà mai perduto ciò che è stato fatto nella vita, lo dice anche Krishna nella Gita. Si continua da dove si erano trovati a livelllo vibratorio il corpo astrale e il corpo causale.

Loka  è un termine sanscrito che significa dimora, luogo, regno, mondo, cioè uno dei piani di esistenza o livelli di manifestazione nella cosmologia induista e in quella buddhista.  Il loka per eccellenza, in particolare nei testi giainisti, è la sfera mondana o terrestre, abitata dagli umani, contrapposta a quella trascendente. I Purana ne menzionano sette, mentre in Samkhya e Vedanta ve ne sono otto, con denominazioni diverse.  Oltre che dei luoghi fisici, i vari loka rappresentano soprattutto degli stati di coscienza, attraverso i quali tutti gli uomini devono passare, e in particolare i chela, cioè i discepoli spirituali nel loro cammino.

Le Vritti sono le alterazioni della mente, le Vasana sono le abitudini che scavano un solco e determinano la personalità e i Sanskara sono i tratti del carattere. Ad un certo punto tutti questi elementi si esauriscono.   Rendendosi conto dei nostri sanskara attraverso la meditazione possiamo agire tramite le vritti opposte per riequilibrare la nostra personalità e far prevalere gli aspetti positivi. Yama e niyama sono importanti per aggiustare le nostre attitudini.  Svadiaya  significa studio del sè, e si appoggia sia sullo studio dei testi che permettono al praticante di orientarsi sul cammino, sia sulla presenza di un Maestro. Gandhi diceva: con i tuoi pensieri costruisci il tuo carattere, con il tuo carattere costruisci il tuo destino. Alla morte, a livello fisico e mentale il sè incarnato entra in nuovi corpi; lo scopo di ogni vita è progredire nel percorso spirituale accumulando capitali per arrivare al samadhi. 

I guna sono le tre qualità di cui fa parte la natura (Prakriti).  Nella Cosmogonia indiana, quando Vishnu è disteso su un serpente sull'oceano, i tre guna sono in equilibrio, poi iniziano a vibrare, da questa vibrazione sorge il suono divino da cui nascono i 5 elementi etere, aria, fuoco acqua e terra. I tre guna pervadono l'universo: Il satva di colore bianco, il rajas rosso, il tamas nero. In ogni cosa e in ogni persona c'è una combinazione delle tre qualità, che possono cambiare anche a seconda delle circostanze e lo stile di vita. Le tre qualità determinano il carattere e la personalità degli individui, ad esempio chi è caratterizzato da rajas e satva farà del volontariato.  Il momento del cambiamento  è chiamato Brahmamurta.  Nel  XVII capitolo della Gita, il Dio Krishna spiega ad Arjuna i guna. 

Le pratiche di yoga portano alla fede che è il motore del cammino spirituale, cuore e mente ti portano più avanti, ti permettono di passare dal tamas al rajas poi al satva (che rappresenta l'energia neutra). All'inizio della pratica yoga si lavora sulle parti basse del corpo (sui 3 chakra più bassi che caratterizzano il tamas) poi si passa al rajas, e al satva.  

Vivere una vita etica, propugnata dagli Yama e Niyama  è propedeutico al percorso spirituale; La meditazione è necessaria alla moksa (liberazione) e porta dall'ignoranza alla conoscenza e alla felicità, la nostra vera natura è ananda (felicità).  

La parola Karma corrisponde ad azione, e ad ogni azione corrisponde una reazione ->  Ciò è gestito dalla legge di causalità. In ogni nostra azione c'è il libero arbitrio o c'è una predestinazione?  Il karma permettere di conciliare queste due posizioni.    La tua natura ti porta a incarnarti in certi luoghi, con un certo fisico, in una certa classe sociale.     Dove inizia l'azione o la reazione? Inizio e fine sono lo stesso punto, così come salita e discesa sono la stessa cosa, ogni cosa ha in se la sua reazione, l'albero e il seme,   esiste una continua trasformazione,  che apporta una continuazione.    Non c'è inizio e non c'è fine. Ananta ("Senza fine") è un termine sanscrito e principalmente un epiteto di Visnù. Ananta è anche il nome di Shesha, il serpente celeste, sul quale Visnù si adagia nell'oceano cosmico.

La legge di causalità è costituita da tre aspetti; 1- legge di azione e reazione,  Dio non è parziale, nè giusto,  non premia i virtuosi e non punisce i malvagi, 2- legge di compensazione,  3- legge del castigo.

Perchè mi succede questo?  Perchè è quello di cui hai esattamente bisogno. 

Esistono tre tipi di karma:   1- Sanchita karma = il tuo karma totale accumulato da milioni di vite (passato) , 2-     Prarabhda Karma = una piccola parte del tuo sanchita karma responsabile della tua vita attuale (attuale) 3-     Agami Karma = il karma che generi nella tua vita attuale; verrà aggiunto al tuo sanchita karma quando morirai (futuro).

Le azioni compiute con libero arbitrio determinano la vita di oggi con la quale creiamo la vita futura,   L'attuale karma non possono cambiarlo nemmeno gli Dei. Il karma a volte è buono, a volte è spiacevole, dobbiamo accettarlo perchè sono cose che abbiamo creato, dobbiamo cambiare vritti, carattere  usare gli eventi negativi per crescere, le persone che vivono in condizioni difficili sono le più generose, le più felici. Il bilancio esce dal misto delle tue azioni.  Ma non è l'azione che conta, ma l'intenzione.  

Nello yoga esistono tre fasi nel fare un'azione: 1-  il desiderio e volontà per fare l'azione, 2- la conoscenza per fare l'azione, 3- l'azione stessa.  Dall'azione spesso ci aspettiamo i frutti, mentre il karma yoga è caratterizzato dall'azione disinteressata, offrirla al divino senza desiderio.

il nostro  Prarabhda è creato dalle nostre scelte, lo scopo della vita crea il karma, il dharma regola la vita, e ciò che ti avvicina al progresso spirituale    Adharma è ciò che ti impedisce il samadhi.

Il puruṣārtha (obiettivo della ricerca umana) rappresenta, nella cultura induista, i quattro scopi della vita di un uomo: dharma (valori morali), artha (benessere economico), kāma (piacere) e il mokṣa (liberazione spirituale, desiderio di liberazione).     
Faro che illumina tutto è il dharma, il giusto modo di comportarsi, la deontologia. Godere di beni materiali, sempre in armonia con i principi etici del dharma, è artha. Soddisfare la sfera sensoriale e sensuale senza esserne condizionati è kama. Questi tre sono gli scopi definiti pravritti, “verso il mondo”. Il quarto scopo moksha, è l’emancipazione dai vincoli dell’ignoranza e la realizzazione dell’Assoluto. Questa è la via nivritti, la via del monaco che rinuncia al mondo. Il monaco offre la sua vita alla ricerca di Dio e al servizio verso tutti gli esseri. In generale, tutti e quattro rivestono un ruolo fondamentale nella vita di un uomo, ma in tempo di guerra il dharma ricoprirebbe un ruolo più rilevante di artha e kāma, mentre l'ultimo, il mokṣa, rappresenta la realizzazione finale nella vita di un uomo.  

Svadharma è un termine che, nell'Induismo, designa i doveri di un individuo, secondo le sue modalità di natura materiale o disposizione naturale, che deve seguire. Seguire il proprio swadharma è il cuore della Gita.   Krishna nella Gita dice ad Arjuna che deve combattere e seguire il suo swadharma, kukushreta è il campo di battaglia dell'uomo, Krishna deve agire per mantenere l'ordine costituito. Krishna poi però dice anche abbandona i frutti della tua azione  e abbandonati a dio.  Tutti i piaceri spirituali sono ananda, la mente fa da barriera fumogena.  Anche Ahimsha  la nonviolenza, è un aspetto importante per il progresso spirituale.  

Sempre nell'induismo il comportamento di un individuo è determinato dal purusartha dai varna ossia dalla casta di appartenenza e dagli stadi della vita, ashrama. 

I varna (parola che letteralmente significa "colore") sono le quattro categorie sociali (caste) principali della tradizione indu: sacerdoti, guerrieri, commercianti e contadini (oltre ai "fuori-casta" o "intoccabili", i paria). 

La vita degli esseri umani è idealmente suddivisa in quattro stadi (ashrama): brahmacharya, grihastha, vanaprastha e samnyasa. Considerando idealmente di cento anni la durata della vita, ai primi venticinque corrisponde il periodo dello studentato in cui si studiano le Scritture presso la casa di un Maestro e si osserva la castità. Nei successivi venticinque anni, si entra nello stadio famigliare in cui si assolvono i compiti domestici e si partecipa attivamente al benessere economico della società. Il quarto stadio (a 60 anni) prevede il ritiro nella foresta, un ritiro parziale dalla vita del mondo, in cui si approfondiscono le Scritture e si intensificano le pratiche ascetiche e meditative. Il quarto stadio (oltre gli 80 anni) è la totale rinuncia al mondo, è la via del monaco.

I testi dicono che noi veniamo dal mondo materiale, poi nel processo si passa al mondo vegetale dove possiamo vedere la presenza di coscienza anche nelle piante (ad esempio il girasole che si rivolge al sole, la pianta verso la luce, ecc) poi la consapevolezza aumenta e si passa al mondo animale, poi all'essere umano, da dove inizia il percorso di purificazione. Il percorso spirituale è un percorso di consapevolezza, ritrovare la consapevolezza della nostra natura divina.  Krishna, sempre nella Giata,  dice a Arjuna: "la nostra vita è il frutto delle nostre innumerevoli vite  delle precedenti".

Vedi testo: Molte vite, un'anima sola. Il potere di guarigione delle vite future e la terapia della progressione ; Autore, Brian L. Weiss ;

Vedi link:   https://www.induismo.it/induismo-cosa/

mercoledì 20 novembre 2024

Arati - L' eliminazione delle tenebre

Dal sito    https://www.cyswamivishnu.com/

Arati vuol dire "eliminazione delle tenebre" ed è un rituale induista nel quale la luce, emessa da una o cinque fiamme, viene offerta al Divino. All’ondeggiare della fiamma della lampada davanti agli idoli si accompagna la recitazione di Mantra e frasi rituali.          

Nel caso delle cinque luci, esse simboleggiano i cinque elementi della terra, dell'aria, del fuoco, dell'acqua e dell'etere, rappresentando quindi la totalità del Cosmo. Le luci vengono mosse con una rotazione in senso orario davanti all'immagine della divinità. L'offerta della luce viene fatta con la mano destra. La lampada ha cinque uscite ed è alimentata da canfora, olio o burro. 

Arati è anche il canto devozionale tradizionalmente intonato durante il rituale. L'Arati viene eseguita solitamente al mattino e alla sera, o come conclusione di una pūjā (atto rituale diretto alla divinità, con offerte di fiori e cibo) o di una sessione di bhajan (è un particolare tipo di canto devozionale della tradizione Induista), di cui l'Arati rappresenta il momento culminante.  L'offerta della fiamma di canfora ha un preciso significato simbolico: poiché arde senza lasciare residui, essa rappresenta l'ego che, una volta raggiunta la realizzazione spirituale, scompare senza lasciare alcuna traccia. 

Ci sono vari tipi di Arati. Prenderemo in esame quella proposta dal Maestro Swami Vishnudevananda. È un interessante panoramica sul variegato mondo delle Divinità indiane, con aspetti spirituali molto profondi.

  Testo del canto devozionale -  Arati
-   Jaya jaya arati Vighnavinayaka 
    Vighnavinayaka sri Ganesha.
Il Dio Ganesha viene invocato per primo, figlio di Shiva e Parvati,  concepito dal sudore di Parvati a Kailasha. Shiva decapita il figlio, e quando lo scopre sostituisce la testa tagliata con la testa del primo animale che si incontra nella foresta con la testa rivolta verso Est.  Ganesha è colui che rimuove tutti gli ostacoli. Testa tagliata significa tagliare l'ego.
 
-   Jaya jaya arati Subrahmanya 
    Subrahmanya kartikeya 
Kartikeya è il fratello di Ganesha, nato da 6 goccie, sempre eternamente giovane, capo dei Deva e degli angeli
 
-  Jaya jaya arati Venugopala 
   Venugopala Venulola 
   Papavidura navanita cora 
“Venu” significa “flauto di bambù” e “gopal” che significa “colui che protegge il bestiame” e quindi fa riferimento a Krishna. Krishan è un Avatar (reincarnazione di Visnu) e viene rappresentato in tutte le sue fasi di vita. Papavidura significa peccato. 
 
-   Jaya jaya arati Venkataramana 
    Venkataramana shankataharana 
   Sita Rama Radhe shyama 
Venkataramana è un rishi,  c'è  un tempio a lui dedicato a Mangalore. 
Rama e Ravana il demone con 11 teste (rappresentano i 10 sensi + la mente), 9 porte rappresentano i nostri orifizi, la battaglia rappresenta la lotta tra la nostra parte spirituale e la parte materiale.
 
-   Jaya jaya arati Gauri manohara 
   Gauri manohara bhavani shankara 
   Samba Sadashiva Uma Maheshvara 
Gauri significa bianca e rappresenta la Dea Parvati, il principio femminile. Nel tantrismo Shakti il principio femminile.    Shankara è l'aspetto benevolo di Shiva. Shiva e Parvati diventano una unica persona, i due principi che danno vita all'umanità.L'energia divina prende la forma sonora sotto forma di mantra, prende la forma sottile sotto forma di yantra. 
 
-   Jaya jaya arati Raja Rajeshvari 
   Raja Rajeshvari Tripura Sundari 
   Maha Lakshmi Maha Sarasvati 
   Maha Kali Maha Shakti 
Saraswati è lo studio, e la conoscenza.   Kali ha varie braccia che portano delle teste tagliate degli Asura (demoni) che sono le energie negative in noi. Kali è la distruttrice del male e  noi siamo immersi nella Maya (il mondo illusorio).  La felicità è la nostra dimensione naturale, dobbiamo solo scoprirla in noi; ma non ricreandoci ogni volta nuovi obiettivi.  Dovremmo solo cercare di morire di come siamo nati.   L'energia negativa dovremmo contrastarla con l'amore, i cattivi hanno paura solo dell'amore.  Per avanzare nel cammino spirituale occorre forza della volontà, conoscenza e azione. 
 
-   Jaya jaya arati Anjaneya 
   Anjaneya Hanumanta 
   Jaya jaya arati Dattatreya 
  Dattatreya Trimurti avatara
Pronunciando il nome di Rama si prendono poteri (siddhi).  La devozione di Hanuman verso Rama lo porta a diventare un semidio. 
Dattatreya è il dono fatto a Atri. Surya è una delle 12 divinità solari, fonte di vita.  A livello nutritivo la pianta assorbe direttamente l'energia dal sole per questo è consigliata una alimentazione vegetariana.
 
-   Jaya jaya arati Adityaya 
   Adityaya Bhaskaraya 
   Jaya jaya arati Senishvaraya 
   Senishvaraya Bhaskaraya 
 
-   Jaya jaya arati Shankaracharya 
    Shankaracharya advaita gurave
Shankaracharya significa gioiello della discriminazione. Si usa la ragione per superare la ragione.
Shankaracharya  è colui che ha inventato la filosofia Advaita Vedanta,  Vedanta significa fine dei Veda; ossia la parte finale dei Veda, la parte filosofica (le Upanishad) oppure la fine del Vedanta significa illuminazione.  Nell'Advaita Vedanta c'è una sola realtà, con la lama della discriminazione si riesce a discriminare tra il reale e il Non reale, si arriva alla realtà ultima (oltre la realtà).
Controlla il corpo, e poi vai oltre.
Controlla il respiro, e poi vai oltre.
Controlla la realtà con la mente, e poi vai oltre.
 
Poi iniza il saluto ai Maestri 
 
-  Jaya jaya arati Sadguru natha 
   Sadguru natha Sivananda

-  Jaya jaya arati Vishnudevananda 
Vishnudevananda sri guru natha 
 
- Jaya jaya arati agastya munaye 
Agastya munaye shri rama priyaye
Agastya fu un guru, i Deva esseri luminosi legati ai cicli cosmici, cercano l'amrita nell'oceano del latte immortale. Gli Asura sono alla ricerca dell'immortalità, Monte meru, il serpente, la tartaruga. 
 
- Jaya jaya arati ayappa swamiye 
Ayappa swamiye dharmashastave 
Ayappa è figlio di Shiva e Vishnu e protettore del Dharma (leggi).  Tempio dedicato a Bhrama a Puskar. Essendo Brahma il creatore della natura (maya) non ci sono molti templi a lui dedicati, perchè si cerca di distaccarsi dalla natura. 
Gli Asura ricevono i poteri da Brahma.  Narashima, Mezzo uomo e mezzo leone, uccide l'asura che voleva l'immortalità.
 
- Jaya jaya arati jesus gurave 
moses gurave buddha gurave 
Jaya jaya arati mohammed gurave 
Guru nanak gurave samasta 
gurubhyoh namah 
Jaya jaya arati venugopala 
 
- Om na tatra suryo bhati na chandra tarakam 
Nema vidyuto bhanti kuto yamagnaih 
Tameva bhantam anubhati sarvam 
Tasya bhasa sarvamidam vibhati 
 
Il saluto ai fiumi sacri 
 
- Om gange ca yamune caiva godavari 
sarasvati narmade sindhu kaveri 
namastubhyam namo namah 
 
. Tvam eva mata ca pita tvam eva 
Tvam eva bandhush ca sakha tvam eva 
Tvam eva vidya dravinam tvam eva 
Tvam eva sarvam mama deva deva 
 
. Kayena vaca manasendryairva 
Buddhiatman va prakritessvabhavat 
Karomi yadyat sakalam parasmai 
 Narayanayeti samarpayami
 
- Sarva dharma parityajya 
mamekam sharanam vraja 
Aham tva sarva papebhyo 
mokshashyishyami ma suchah

Introduzione al Blog

  Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono c...