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sabato 28 gennaio 2023

Nuovi modelli per studiare la plasticità della coscienza e i suoi effetti

Ipnosi, meditazione, trance, prodotti psichedelici: molte pratiche mirano a "disturbare" la coscienza nella speranza di liberarsi da stati mentali dannosi che mantengono la nostra sofferenza, ad esempio nel caso di disturbi d'ansia, stress post-traumatico o depressione. Considerate a lungo esoteriche, queste pratiche, come l'ipnosi per il dolore, la meditazione per ridurre l'ansia, l'EMDR per ridurre i ricordi traumatici, ecc. vengono ora incorporate in un contesto laico; in particolare, nelle psicoterapie: partecipano alla cura di disturbi per i quali non esistono o esistono pochi trattamenti farmacologici efficaci.  Gli scienziati lo considerano anche un buon modello per studiare la plasticità della coscienza e i suoi effetti, positivi o negativi, sulla salute fisica e mentale. Alcune di queste sono ben documentate, altre sono al centro di ricerche interessanti. Si stanno studiando approcci innovativi, come la stimolazione cerebrale profonda o gli psichedelici.

Cosa sappiamo davvero della coscienza? Possiamo davvero "manipolarla"?  Ma cos'è esattamente questa facoltà mentale? Da cosa nasce e come emerge nel cervello? Quali approcci possono essere utilizzati per modularla? Per quali indicazioni? Cosa dice la scienza sulla loro efficacia?
E' importante fare il punto sui recenti progressi in questo campo e di esplorare le implicazioni di queste pratiche per la salute pubblica e le strategie educative. La ricerca scientifica sta facendo passi da giganti e sta beneficiando del crescente interesse dei cittadini, alcuni dei quali sono disposti a partecipare a studi interventistici come il Silver Santé Study.
Per secoli, la coscienza è sfuggita all'analisi delle scienze naturali a causa della sua natura altamente soggettiva ed è rimasta il campo di studio privilegiato dei filosofi. I filosofi lo concepiscono come un'emanazione dell'anima o dello spirito e lo considerano un'entità immateriale, persino immortale, distinta dal corpo. È stata la dottrina del dualismo, sviluppata nel XVII secolo dal filosofo francese René Descartes, ad assimilare l'anima e la coscienza, fonte degli stati mentali, e a differenziarle radicalmente dalla sostanza corporea che è il cervello.
All'inizio degli anni '90, con l'avvento delle tecniche di imaging cerebrale, i neuroscienziati hanno iniziato ad analizzare la coscienza. Le Neuroscienze la considerano "un prodotto del cervello, che deriva dal funzionamento dei neuroni", afferma Stanislas Dehaene, vincitore del premio Inserm per il suo lavoro su questo argomento.
I ricercatori distinguono tre aspetti essenziali della coscienza: la consapevolezza o risveglio, la consapevolezza dell'ambiente e l'autoconsapevolezza o metacognizione. E per esplorare le basi neurali di questo fenomeno, hanno concordato un criterio sperimentale essenziale: la "riferibilità soggettiva", che permette di decidere se un soggetto è cosciente o meno, evento possibile anche quando non può essere comunicata ad altri. Pertanto, non è necessariamente verbale. 

Dal 1998, ad esempio, Stanislas Dehaene, Lionel Naccache e i loro colleghi hanno scoperto che il nostro cervello elabora continuamente un'enorme quantità di informazioni in modo non cosciente. Solo una minima parte è selezionata dalla coscienza.  In relazione a questo lavoro, i due neuroscienziati e il neurobiologo Jean-Pierre Changeux hanno proposto un importante modello teorico che spiega come potrebbe emergere la coscienza: la teoria dello "spazio di lavoro neurale globale". Secondo questa ipotesi, le informazioni provenienti dai nostri sensi che raggiungono il cervello vengono prima elaborate in modo non cosciente. Poi, la loro integrazione cosciente avviene grazie al loro ingresso in una rete neurale specifica che rende disponibili queste informazioni a tutte le nostre facoltà mentali (attenzione, memoria, ecc.) e le utilizza per compiere azioni. Esiste una comunicazione neuronale coerente e complessa tra la parte anteriore e posteriore del cervello. "Se questa conversazione è alterata a causa di un danno cerebrale, ad esempio, l'individuo non è cosciente, anche se la sua formazione reticolare funziona. Questo è ciò che accade, ad esempio, nello stato vegetativo. Al contrario, se questa conversazione è eccessiva, come in alcune crisi epilettiche, il paziente perde anche conoscenza pur rimanendo sveglio con gli occhi aperti.

Ad oggi, coesistono una mezza dozzina di altri modelli di coscienza, tra cui la "teoria dell'informazione integrata" proposta nel 2004 da Giulio Tononi, psichiatra dell'Università del Wisconsin negli Stati Uniti. Tononi ipotizza che la coscienza nasca nella parte posteriore del cervello, dove i neuroni si collegano in una struttura a griglia. Maggiore è il numero di neuroni che interagiscono, più alto è il livello di coscienza dell'organismo interessato, anche in assenza di input sensoriali immediati.
Oggi, quando la vittima di una grave lesione cerebrale dovuta a un trauma cranico, ha un arresto cardiaco o a un ictus non risponde più agli stimoli provenienti dall'ambiente, è difficile per i neurologi stabilire, sulla base del solo esame clinico, se la persona ha ancora una coscienza conservata e non è in grado di esprimerla (sindrome locked-in) o se la sua coscienza è stata completamente abolita.

Esistono molte tecniche che permettono di manipolare la coscienza nella speranza di trattare diversi disturbi mentali: ansia, stress, depressione, dipendenze, ecc. che negli ultimi decenni hanno conosciuto una rinascita di interesse. Antoine Bioy, professore di psicologia clinica e psicopatologia all'Università di Parigi e ipnoterapeuta asserisce che queste tecniche mirano ad alleviare i disturbi inducendo uno specifico "stato modificato di coscienza".  La coscienza è, infatti, uno stato molto instabile, in continuo movimento, che non consiste in un unico stato perfettamente uniforme, ma in centinaia di possibili variazioni: veglia, iperconcentrazione, sonnolenza, contemplazione, sogno ad occhi aperti, ecc.   Secondo Charlotte Martial, neuropsicologa e ricercatrice dell'Università di Liegi, "in un normale stato di attenzione, le tre componenti essenziali della coscienza - veglia, consapevolezza di sé e dell'ambiente - sono associate e pienamente attive. Negli stati alterati di coscienza non è così: una o più di queste componenti si estingue, diminuisce o si dissocia dalle altre.
Come ad esempio, nella fantasticheria, nel coma, nello stato vegetativo, nelle allucinazioni, che si manifestano, a volte,nella schizofrenia. Alcuni stati di coscienza possono essere modificati o indotti attraverso tecniche, rituali o sostanze specifiche come l'ayahuasca, un decotto allucinogeno dell'Amazzonia a base di liane (abbandonato dal campo medico all'inizio del XX secolo perché proibito). 

L'ipnosi è oggi una delle pratiche non convenzionali più utilizzate. In pratica, questo approccio mira a indurre uno stato di coscienza intermedio tra la veglia e il sonno, grazie a suggestioni ipnotiche create da un operatore (ipnoterapeuta) o dal paziente stesso, dopo un certo addestramento (autoipnosi). All'inizio degli anni '90, l'ipnosi ha cominciato a essere reintegrata nella ricerca accademica e medica, in particolare sotto l'impulso di Marie-Elisabeth Faymonville, presso l'Ospedale Universitario di Liegi. Pioniere in questo campo, questo anestesista-rianimatore ha sviluppato l'ipnosedazione, che combina l'ipnosi, la somministrazione di un sedativo e l'anestesia locale; questa tecnica mira ad aumentare il comfort del paziente durante un intervento chirurgico o endoscopico, riducendo l'ansia e il dolore associati all'operazione. In questo modo si evita l'anestesia generale e i suoi possibili effetti collaterali (perdita di memoria, nausea, vertigini, ecc.). Un punto di svolta è stata la scoperta, a metà degli anni '90, dell'azione specifica di questa tecnica sul cervello: una riduzione dell'attività delle regioni cerebrali coinvolte nella percezione soggettiva del dolore, tra cui la corteccia cingolata anteriore (nella parte anteriore e centrale del cervello). .

Negli ultimi decenni un'altra pratica antica è entrata nelle grazie della medicina contemporanea: la meditazione.   Il Dalai Lama ha costituito, insieme al neuroscienziato Francisco Varela e Adam Engle, nel 1991,  l’Istituto Mind and Life con lo scopo di promuovere il dialogo tra la tradizione buddhista e il pensiero scientifico moderno. Da diversi anni, monaci buddhisti come Matthieu Ricard Yongey Mingyur Rinpoche ( https://tergar.org/ ) prestano il loro cervello alla scienza, per misurare i possibili effetti di una meditazione molto prolungata su alcune aree cerebrali. Fu Matthieu Ricard, che aveva ottenuto un dottorato in biologia molecolare, a creare un ponte tra la meditazione buddhista e la ricerca scientifica, accettando di sottoporsi ad una serie di esperimenti scientifici a partire dal 2000 con Richard Davidson, ( docente di Psicologia e Psichiatria alla University of Wisconsin, a Madison, e fondatore del   Center for Healthy Minds).

"La meditazione viene ora insegnata ai futuri medici e utilizzata nel settore sanitario come approccio complementare ai metodi terapeutici più convenzionali", afferma Antoine Lutz, direttore della ricerca Inserm, che studia l'efficacia e i meccanismi neurofisiologici di questo approccio presso il Centro di Ricerca sulle Neuroscienze di Lione. Secondo lui, "il rinnovato interesse per questo metodo, che incoraggia la coltivazione di certe disposizioni mentali che possono prevenire o favorire la guarigione di alcuni disturbi, potrebbe portare a una medicina più umanistica e preventiva". La globalizzazione ha contribuito all'accesso a queste tecnchiche tradizionali. Le tecniche meditative consistono, principalmente, nel focalizzare l'attenzione su un oggetto: il respiro, i suoni circostanti, l'amore per se stessi e per gli altri, il mantra (suono o parola senza significato). Ciò induce gradualmente uno specifico stato alterato di coscienza in cui aumenta la consapevolezza di sé, del proprio corpo e dell'ambiente. In termini di ricerca, la tecnica più studiata è senza dubbio la meditazione mindfulness, un programma di meditazione laico e standardizzato ideato negli anni Settanta dal biologo americano Jon Kabat Zinn sulla base delle pratiche del monaco zen Thich Nhat Hanh. Gestione dello stress, ansia, depressione, dipendenze... negli ultimi trent'anni, numerosi studi hanno testato l'efficacia di questo approccio per diversi disturbi. Nel 2019, i ricercatori dell'Università del Wisconsin-Madison, negli Stati Uniti, hanno analizzato i risultati di ben 167 lavori pubblicati su questo argomento dal 1992. Hanno concluso che c'è "una forte evidenza che gli interventi basati sulla meditazione di consapevolezza, adeguatamente progettati e realizzati, possono essere paragonabili in termini di efficacia ai trattamenti standard per la depressione, l'ansia, il dolore e le dipendenze". La mindfulness potrebbe essere utilizzata anche per combattere i disturbi alimentari, il disturbo da stress post-traumatico e le malattie mentali gravi [disturbi psicotici, disturbi bipolari...]. Ma questi ultimi usi citati, devono essere confermati. 

Parallelamente, gli studi di brain imaging hanno permesso di misurare l'impatto delle pratiche di meditazione sul cervello. Per esempio, circa dieci anni fa, Antoine Lutz e il suo team hanno utilizzato la risonanza magnetica funzionale (che mostra quali aree cerebrali sono attive durante un determinato compito) per confrontare i cervelli di 14 praticanti di lunga data della meditazione mindfulness - che avevano accumulato più di 10.000 ore di pratica - e di 14 novizi. Questo è stato fatto mentre i partecipanti meditavano e ricevevano uno stimolo doloroso - una temperatura elevata sull'avambraccio. "I nostri risultati hanno dimostrato che la meditazione non modifica effettivamente l'intensità del dolore provato, ma piuttosto il nostro rapporto con il dolore, rendendolo meno intrusivo". Più pronunciata negli esperti, questa regolazione dei sentimenti e delle emozioni e sensazioni è stata associata a una modulazione dell'attività di una regione cerebrale, l'insula.
L'uso della meditazione potrebbe essere esteso a un nuovo casmpo, che rappresenta un'importante questione sanitaria e sociale nelle società occidentali, alle prese con l'invecchiamento della popolazione: aiutare le persone a invecchiare. "Se utilizzata nelle persone anziane, riteniamo che la meditazione possa ridurre lo stress, la depressione e l'ansia, che notoriamente influenzano il sonno, la cognizione e la salute mentale e aumentano il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer. Così facendo, questa tecnica potrebbe preservare il benessere e ritardare, almeno di qualche anno, l'insorgenza di questa patologia", spiega Gaël Chételat, direttore di ricerca Inserm presso il gruppo di interesse pubblico Cyceron di Caen, la cui équipe sta lavorando a questo settore in collaborazione con quella di Antoine Lutz

Nel corso di uno studio pilota pubblicato nel 2017, i due ricercatori hanno esaminato il cervello di sei appassionati meditanti (tra le 15.000 e le 30.000 ore di pratica) e di sei non meditanti (gruppo di controllo), tutti di età media di 65 anni, utilizzando il neuroimaging. Bingo!   Hanno scoperto che, rispetto ai non meditanti, i meditanti avevano un volume di materia grigia e/o un metabolismo maggiore in due regioni cerebrali note per il loro significativo declino con l'età: la corteccia frontale cingolata e l'insula. Questo suggerisce che la pratica della meditazione può aiutare a preservare la struttura e la funzione del cervello dal declino legato all'età. Dopo questo lavoro esplorativo, i neuroscienziati hanno ricevuto un finanziamento di 6 milioni di euro dalla Commissione europea per cercare di confermare questi risultati iniziali in un numero maggiore di persone. Si tratta del progetto Silver Santé Study, coordinato da Gaël Chételat e comprendente dieci gruppi di ricerca di sei Paesi europei (Francia, Svizzera, Inghilterra, Germania, Belgio e Spagna). "Avviato nel 2016, il nostro studio si propone di valutare i benefici di programmi di meditazione, apprendimento dell'inglese o educazione alla salute, seguiti per 2 e 18 mesi, sul benessere e sulla salute mentale. Questo è stato fatto su 316 anziani, tra cui 30 meditatori esperti e 286 novizi, esaminando vari parametri: qualità del sonno, livelli di alcuni ormoni nel sangue, attività cerebrale, ecc. I risultati principali sono attesi per l'autunno 2022.

Tecniche fantastiche?  Tra le tecniche più recenti c'è l'EMDR (per desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), sviluppato nel 1987 dalla psicologa americana Francine Shapiro. Un approccio utilizzato in particolare nel disturbo post-traumatico da stress (PTSD), l'EMDR mira a indurre uno stato di coscienza simile all'ipnosi, al fine di trasformare il ricordo traumatico per renderlo meno doloroso. "Si tratta di movimenti oculari indotti chiedendo al paziente di seguire un oggetto spostato davanti a lui da sinistra a destra (penna, dito, ecc.), oppure di suoni o colpetti, attivati alternativamente a destra e a sinistra, rispettivamente a livello delle orecchie e delle ginocchia. Queste stimolazioni vengono applicate per 20-30 secondi", "Una singola sessione di EMDR ha avuto successo nel desensibilizzare i ricordi traumatici dei pazienti".  Lo studio Everest ha testato questo approccio su 80 persone affette da PTSD, i cui risultati potrebbero essere pubblicati all'inizio del 2023.
Secondo il lavoro di neuroimaging, questi stimoli attivano e sincronizzano grandi reti di neuroni situati in strutture cerebrali coinvolte nell'elaborazione emotiva e nella memoria, come il precuneo, l'insula e il talamo. Ciò favorirebbe la trasformazione della rete neurale alla base del ricordo traumatico, attraverso l'integrazione di nuove informazioni. 

Un'altra pratica ancora più recente sta incuriosendo ricercatori e pazienti: la trance cognitiva autoindotta, ereditata dalle pratiche sciamaniche tradizionali della Mongolia. La sua storia inizia nel 2001 quando, durante un reportage in Mongolia, la scrittrice e musicista Corine Sombrun entra improvvisamente in trance ascoltando i suoni dei tamburi, al punto da non riuscire più a controllare i propri movimenti. In seguito a questa esperienza, si è convinta che questo stato alterato di coscienza è accessibile a tutti, non solo agli sciamani. Si è quindi rivolta a Élie Le Quemener, un ricercatore dell'INRAE, e ha lavorato con lui per modellare sequenze di tamburi in grado di indurre uno stato di trance. Ha poi testato questi "loop sonori" con studenti avventurosi a Nantes. Sorpresi, la maggior parte di loro è entrata in trance... Sulla base di questo risultato, Corine Sombrun ha poi creato un protocollo standardizzato che permette alle persone di entrare in trance di propria volontà, senza alcun rituale o sciamano. Esaminando l'attività cerebrale di Corine Sombrun in trance, con la tecnica dell'elettroencefalogramma, è stato rilevato un chiaro cambiamento nell'attività cerebrale. Si rileva un cambiamento molto chiaro nell'attività cerebrale, con uno spostamento della dominanza dall'emisfero sinistro, coinvolto nella logica e nell'analisi, all'emisfero destro, legato all'immaginazione, all'intuizione e ai sogni; ciò indica che questa tecnica ha un'azione specifica sul cervello.
La trance cognitiva autoindotta produce uno stato di coscienza alterato e potrebbe portare benefici simili a quelli di altre tecniche come l'ipnosi o la meditazione: riduzione del dolore, della depressione, ecc.
 La neuropsicologa Audrey Vanhaudenhuyse ha lanciato un importante progetto nel 2021: un ampio studio previsto per 160 pazienti oncologici, che mira a valutare i possibili benefici di un anno di pratica regolare di trance cognitiva autoindotta, ipnosi o meditazione.  I primi risultati sono attesi per il 2024. 

La gamma di terapie che agiscono sulla coscienza potrebbe essere ancora più ampia. Una delle idee più audaci attualmente esplorate è quella di stimolare il cervello... per "risvegliare" la coscienza dei pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza. A tal fine, il team guidato da Béchir Jarraya, neurologo a marzo 2022, ha dimostrato per la prima volta, in una scimmia, che questa tecnica può ripristinare efficacemente la coscienza alterata. In pratica, hanno posto l'animale in coma artificiale somministrando un anestetico generale profondo. Poi hanno stimolato una struttura situata nel cuore del cervello, il talamo, che è noto per integrare le informazioni provenienti da diverse altre regioni cerebrali. La speranza era di ristabilire le comunicazioni che potevano essere state alterate tra il talamo e la corteccia, lo strato di materia grigia sulla superficie del cervello responsabile delle funzioni più elevate (cognizione, memoria, ecc.). Si è verificato un fenomeno sorprendente: il macaco, pur essendo incosciente, ha aperto gli occhi, ha ripreso a respirare spontaneamente e ha persino mosso spontaneamente braccia e gambe!
Il risveglio di alcune sue facoltà è stato confermato da due tecniche di analisi dell'attività cerebrale (fMRI ed EEG). Una volta tolta la corrente, l'animale è caduto immediatamente in uno stato di sedazione profonda. Il team di Lionel Naccache si sta concentrando su un altro approccio: la stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS), in cui gli elettrodi di stimolazione cerebrale sono posizionati sul cuoio capelluto - e non all'interno del cervello. Già nel 2014, diversi studi hanno dimostrato che questa tecnica può migliorare la coscienza alterata. Il problema è che non è efficace in tutti i pazienti, né in tutti i tentativi. Dobbiamo selezionare meglio i pazienti che ne possono beneficiare", sottolinea Bertrand Hermann, variando il numero di elettrodi, il loro posizionamento e/o l'intensità della corrente somministrata. "Nel corso di un lavoro pubblicato online nel maggio 2022 e condotto su volontari che stavano facendo un pisolino, il team di Delphine Oudiette ha rilevato l'esistenza di "piccole finestre di reattività all'ambiente" durante il sonno. "Se riuscissimo a identificare queste piccole finestre nelle persone in coma o in stato vegetativo, potremmo immaginare di aumentare la durata di questi fenomeni e potenzialmente ripristinare la coscienza più rapidamente", spiega la ricercatrice.

La famiglia degli psicofarmaci - molecole in grado di agire sul cervello (queste sostanze sono state vietate nel 1971) - comprende vari composti naturali o sintetici, tra cui la psilocibina ricavata dai funghi allucinogeni del genere Psilocybe, la DMT estratta dalla pianta sudamericana chacruna e l'LSD, un composto sintetico. Noti per indurre "esperienze psichedeliche" caratterizzate da distorsioni percettive, che possono arrivare fino alle allucinazioni, "modulano il modo in cui ci rappresentiamo il mondo esterno e il nostro mondo interno, e quindi la nostra consapevolezza di noi stessi e dell'ambiente". Secondo un'ipotesi ancora dibattuta, potrebbero addirittura aumentare la capacità di percepire informazioni e quindi la coscienza.
Come per l'ipnosi, la meditazione e altre terapie incentrate sulla coscienza, l'uso degli psichedelici non è nuovo: alcuni di essi (psilocibina, ayahuasca, ecc.) sono stati utilizzati per migliaia di anni in riti religiosi o mistici in alcune società del Sud America e dell'Africa.
Oggi, le norme relative al loro utilizzo nella ricerca stanno gradualmente cambiando e il campo sta vivendo una rinascita di interesse senza precedenti. Negli ultimi vent'anni, diversi studi hanno indicato che gli psichedelici potrebbero alleviare vari disturbi resistenti al trattamento. Nel 2021, Lucie Berkovitch e i suoi colleghi hanno esaminato i risultati di 25 studi pubblicati tra il 1990 e il 2020, che hanno valutato diversi psichedelici rispetto a diversi disturbi psichiatrici: ansia, depressione, dipendenze, sindromi ansioso-depressive legate alla fine della vita...* Secondo i ricercatori, queste sostanze sono "promettenti, rapidamente efficaci terapeutici". Queste sostanze modulano l'attività e la connettività cerebrale, in particolare nei neuroni piramidali coinvolti nella coscienza. Alla fine del 2021, Luc Mallet e i suoi colleghi hanno iniziato uno studio chiamato Adely LSD, che dovrebbe durare 2 anni e includere almeno 210 pazienti che saranno seguiti per 6 mesi in 8 servizi per le dipendenze della regione dell'Île-de-France. Coordinato da Florence Vorspan, tossicologa di Parigi, questo studio valuterà i possibili benefici dell'LSD contro la dipendenza da alcol.  

Il rapporto Inserm sulla valutazione dell'efficacia della pratica dell'ipnosi, pubblicato nel 2015, sottolinea che dobbiamo essere vigili sulle derive etiche che le tecniche di suggestione possono causare. Nel campo della medicina alternativa, il rischio di aberrazioni settarie è maggiore e questi approcci non sono né regolamentati né standardizzati. Di conseguenza, chiunque può affermare di essere un terapeuta e applicare idee o protocolli di trattamento più o meno fantasiosi. Per ridurre questi pericoli, una soluzione consiste in una rigorosa dimostrazione preventiva della loro efficacia per problemi specifici. L'intensificazione della ricerca sulla coscienza e sulle tecniche per modularla sarà fondamentale, non solo per sollevare il velo sul potenziale - a volte ignorato, a volte sopravvalutato - di questi approcci, ma anche per garantire la sicurezza delle persone in situazioni di vulnerabilità.

Ulteriori ricerche,

Un allucinogeno nella tundra siberiana.  Durante l'estate 2019, nell'ambito della sua tesi di laurea presso il Laboratoire d'anthropologie sociale del Collège de France di Parigi, Amélie Barbier si è recata nell'estremo oriente russo, nel villaggio di Tymlat, per studiare l'uso di un fungo allucinogeno non ancora valutato dalla ricerca, ma utilizzato da secoli in questa regione per curare la mente: il v'apaq, o agarico mosca. "Lì, questo allucinogeno viene ingerito per aumentare le immagini mentali, le esperienze sensoriali, per entrare in relazione con il defunto e per ispirare melodie. Può quindi avere effetti benefici sulle emozioni", osserva l'antropologo. Questo può alleviare l'ansia e migliorare il benessere. Il problema è che in certe dosi questo fungo è neurotossico...   

Ipnosi per il trattamento dei disturbi neurofunzionali?  Alcuni disturbi neurologici, detti funzionali, corrispondono a deficit neurologici (paralisi di un arto, disturbi del linguaggio, della memoria) in assenza di lesioni neuronali osservabili. Ad oggi, non esistono trattamenti efficaci per queste malattie. Questo potrebbe cambiare, grazie al lavoro pubblicato nel marzo 2022 da Esteban MunozMusat e dai suoi colleghi! Dopo aver indotto una sordità transitoria in una donna sana tramite suggestione ipnotica, il team ha analizzato l'attività elettrica del suo cervello utilizzando la tecnica dell'elettroencefalogramma (EEG) ad alta densità. I risultati indicano che la sordità ipnotica è legata a un meccanismo inibitorio innescato consapevolmente dall'individuo, che accetta di seguire le istruzioni dell'induzione ipnotica, e che mobilita una regione cerebrale nota come "corteccia cingolata anteriore". Da qui l'ipotesi che i disturbi neurologici funzionali siano legati a un processo di inibizione autosuggestionato dal paziente; la rimozione di questa inibizione attraverso l'ipnosi potrebbe porre fine al disturbo. Per verificare questa ipotesi, il team si sta preparando a lanciare uno studio su circa 30 pazienti. I risultati saranno disponibili a partire dalla seconda metà del 2023.

Dall'articolo di Kheira Bettayeb Inserm  "La coscienza: modulare per una migliore assistenza".

 _______Libri.
J. Jaynes. La nascita della coscienza nel crollo della mente bicamerale, nuova edizione francese, Éditions Fage, coll. "Particulière", 2021
Stanislas Dehaene. Le Code de la conscience, Odile Jacob, 2014
L. Naccache. Il nuovo inconscio. Freud, il Christophe Colomb delle neuroscienze, Odile Jacob, 2006
F. Shapiro. Trauma Stress, aprile 1989

giovedì 26 gennaio 2023

Méditation, hypnose... se soigner par la conscience

 Méditation, hypnose... se soigner par la conscience – Webconférence du 26 janvier 2023
Intervenants:
   - Antoine Lutz, neuroscientifique, Centre de recherche en neurosciences de Lyon (unité 1028 Inserm/CNRS/Université Claude Bernard Lyon 1)
   - Gaël Chételat, neuroscientifique, laboratoire Physiopathologie et imagerie des maladies neurologiques (unité 1237 Inserm/Université de Caen Normandie)
    -  Marie-Elisabeth Faymonville, médecin-anesthésiste-réanimateur, responsable du Centre de la douleur CHU de Liège, pionnière en Europe de l’hypnose à l’hôpital
      - Dominique Frau, pratiquante de méditation.  Une conférence animée par Elodie Barakat, journaliste sciences et santé.

https://www.inserm.fr/actualite/webconference-meditation-hypnose-se-soigner-par-la-conscience/ 

https://www.association-mindfulness.org/    L' ADM est l'Association pour le Développement de la Mindfulness. Fondée en 2009, l'ADM a pour mission de diffuser et de promouvoir auprès du grand public toute action en lien avec la pleine conscience. L'ADM propose un annuaire professionnel des instructeurs MBSR et MBCT intervenants dans les 3 pays francomphones européens ( Belgique, France et Suisse). Elle organise les formations qualifiantes à l'instruction des programmes MBSR et MBCT. Elle propose aussi régulièrement des retraites dirigées pars des enseignants seniors de renommée internationale.

lunedì 5 settembre 2022

I veri effetti della meditazione - Il programma europeo Silver Santé Study

La popolazione mondiale sta invecchiando; si prevede che il numero di persone con più di 60 anni raddoppierà nella prima metà di questo secolo, raggiungendo i due miliardi nel 2050. A livello globale, si prevede che nel 2047 il numero di anziani supererà per la prima volta quello dei bambini. Si tratta di una vera e propria sfida per i politici e gli operatori sanitari, per garantire alle nostre popolazioni che invecchiano prospettive di salute migliori.
Le pratiche meditative, siano esse spirituali o meno, sono di crescente interesse per gli scienziati che esplorano il cervello in quanto potrebbero svolgere un ruolo decisivo nella prevenzione delle malattie neurodegenerative.  Il programma europeo Silver Santé Study  (https://silversantestudy.eu/), condotto presso il centro di imaging Cyceron a Caen (Francia) per misurare l'impatto della meditazione sul cervello durante l'invecchiamento, ha seguito 150 volontari  per quattro anni ed è lo studio europeo più ambizioso mai lanciato al mondo sull'impatto della meditazione sul cervello in età avanzata.

Il progetto (finanziato dall'UE con 7 milioni di euro)  ha riunito scienziati di diversi Paesi europei (Francia, Regno Unito, Belgio, Spagna, Svizzera e Germania) che hanno lavorato per identificare i fattori determinanti della salute mentale e del benessere degli anziani. Al progetto portato avanti all'Università Inter-Age di Caen, hanno aderito 150 pensionati (sono stati selezionati tra il 2016 e fine 2017)  che hanno accettato di essere studiati ed  esaminati da tutti i punti di vista per far progredire la scienza. I volontari sono stati divisi in tre gruppi. Il primo gruppo ha frequentato corsi di inglese, il secondo ha partecipato a sessioni di meditazione e il terzo ha vissuto la propria vita senza alcuna nuova attività. Ma tutti sono stati sottoposti a uno scrupoloso monitoraggio del peso, della dieta, del sonno e dell'attività cerebrale, attraverso questionari, esami del sangue, elettroencefalogrammi e risonanza magnetica (RM), ecc. 
Fino a pochi anni fa, sembrava impossibile prescrivere regolarmente la meditazione a pazienti. Adesso è diventata una prassi. All'Ospedale Universitario di Liegi, oltre alla meditazione, si propone la sofrologia, lo yoga o l'ipnosi, e i "bagni nella foresta", che abbassano il livello di cortisolo.
Quindi non solo farmacopea, ma assegnare ai pazienti un ruolo attivo per mantenere la loro salute e invitarli a scoprire, in base alle loro esigenze, gli esercizi che li aiuteranno a combattere lo stress e l'ansia, e a dormire meglio.
La medicina si sta gradualmente aprendo a un approccio cosiddetto "integrativo". "Questo approccio umanistico e preventivo consiste nell'affrontare i problemi di salute fisica o psicologica tenendo conto del punto di vista globale del paziente e includendolo nella sua cura", spiega Antoine Lutz, del Centro di Ricerca sulle Neuroscienze di Lione.
I progressi della ricerca hanno aperto nuove prospettive cliniche sul modo in cui la mente e il corpo si influenzano reciprocamente. La medicina integrativa, sviluppatasi negli Stati Uniti negli ultimi vent'anni, sta muovendo i primi passi in Francia e le iniziative si moltiplicano. Mentre a Lione e Strasburgo diversi diplomi universitari (DU) offrono ora corsi di meditazione nei corsi di salute, l'Ospedale Universitario di Bordeaux ha appena inaugurato l'Istituto di Medicina Integrativa e Complementare (Imic): dal marzo 2022, ai pazienti e al personale dell'ospedale vengono offerti consulti di ipnosi clinica e terapeutica e programmi di meditazione mindfulness. 
Che ruolo ha la meditazione regolare? Può prevenire i rischi di declino cognitivo, demenza e malattia di Alzheimer? 
Tante domande essenziali visto che ogni anno perdiamo dallo 0,5 all'1% del volume del nostro cervello, cioè un milione di neuroni al giorno, soprattutto nelle regioni cruciali per la memoria, l'attenzione e la pianificazione delle nostre azioni. "Sappiamo che lo sport, la dieta o l'apprendimento delle lingue possono avere un effetto sul corpo e sul cervello", spiega Gaël Chételat, direttore di ricerca dell'Inserm e coordinatore di questo vasto progetto che coinvolge sei Paesi europei. Ma sappiamo anche che altri fattori, noti come fattori psicoaffettivi, come stress, ansia e depressione, influiscono sulla salute mentale. Tuttavia, non è ancora stato condotto alcuno studio di "intervento" su larga scala su questi aspetti emotivi dell'invecchiamento. I disturbi del sonno, ad esempio, associati ad alterazioni cerebrali, possono favorire l'Alzheimer. Lo stesso vale per lo stress, che ha un effetto dannoso sull'ippocampo, senza il quale i ricordi non possono essere immagazzinati!

La pratica della meditazione fa funzionare il cervello in un modo particolare, che sta diventando sempre più noto. Sappiamo che il cervello degli esperti di meditazione mostra meno segni di declino nelle aree più vulnerabili all'invecchiamento, sia in termini di integrità anatomica che di funzionalità. Tra gli effetti che si possono osservare grazie alle immagini cerebrali troviamo un ispessimento della materia grigia nelle regioni chiave: per la memoria (ippocampo), per le emozioni e le sensazioni corporee (insula, amigdala), nonché per l'attenzione (corteccia prefrontale). Ma anche una migliore "connettività" del cervello, con un rafforzamento della materia bianca (fasci di assoni, fibre nervose che interconnettono i neuroni).
Questi esercizi mentali, presenti in tutte le religioni e in gran parte secolarizzati, consistono nello stare fermi e nell'accogliere pensieri e sensazioni in silenzio. Seduto con la schiena dritta, il meditante si concentra sul proprio respiro, su una parte del corpo o su un oggetto, attento a ciò che accade nel momento presente - niente a che vedere con il rilassamento, che mira a rilassare il corpo.
Con questo semplice ma impegnativo allenamento della mente, si tratta di diventare osservatori di ciò che accade dentro di sé, senza giudicare, e, nel processo, imparare a regolare il flusso di pensieri, emozioni e sensazioni. Non per controllarli, ma per evitare che la rabbia, le ruminazioni o la paura ci controllino. E per trovare il "silenzio interiore", per ridurre il rumore di fondo dei nostri pensieri, per diminuire la voce che ci dice di fare di più e meglio, che commenta tutta la nostra vita...
Per molto tempo queste pratiche sono state guardate con disprezzo dal mondo scientifico. Troppo esoteriche, impossibile da studiare oggettivamente, si diceva. A poco a poco, le cose stanno cambiando. Gli scienziati statunitensi hanno colto per primi il valore terapeutico della meditazione. Già negli anni '70, il biologo Jon Kabat Zinn ebbe l'idea di secolarizzare la meditazione buddista per aiutare i pazienti occidentali a combattere lo stress, l'ansia e il dolore (attraverso un programma standardizzato noto come MBSR). Allo stesso tempo, un riesame teorico è in corso all'interno del Mind and Life Institute, creato negli Stati Uniti dal Dalai Lama e dal neurobiologo Francisco Varela per sviluppare un dialogo tra le neuroscienze e le tradizioni di meditazione. Antoine Lutz, ex studente di Varela, e ricercatore presso l'Università di Wisconsin,  ha partecipato ai primi studi di brain imaging, in particolare con il monaco buddista Matthieu Ricard - "il cui cervello, da un punto di vista neurologico, assomiglia a quello di una persona di quindici anni più giovane" - e, da allora, con decine di praticanti occidentali, più o meno esperti. "Anche se c'è ancora molto da fare, le neuroscienze cognitive sono in piena espansione", riassume. 
Lo studio della meditazione si sta rivelando sempre più utile per comprendere il funzionamento del cervello. Tra le circa ventiduemila pubblicazioni biomediche sull'argomento negli ultimi vent'anni, molte dimostrano i suoi molteplici effetti benefici su depressione, burnout, dolore cronico, ma anche sul rafforzamento del sistema immunitario, sull'equilibrio emotivo o sul miglioramento dell'apprendimento. "Queste scoperte coincidono con il riconoscimento della 'plasticità' del cervello adulto: si evolve continuamente in base alle nostre esperienze e può essere profondamente modificato". In un tassista, è l'ippocampo (coinvolto nella memoria spaziale) che si svilupperà durante il lavoro, mentre in un violinista sarà la corteccia motoria (che controlla i movimenti delle dita). "Un processo simile si verifica nei meditatori, con lo sviluppo, ad esempio, di alcune aree della corteccia prefrontale e parietale (associate all'attenzione e alla resistenza allo stress), o dell'insula (coinvolta nella sensazione del dolore). Nel corso del tempo, il campo della "scienza contemplativa" è diventato più preciso, al punto che oggi è possibile distinguere gli effetti prodotti da diversi tipi di meditazione. Sulla scia del lavoro svolto dalla neurologa tedesca Tania Singer, i ricercatori coinvolti in Silver Santé stanno utilizzando le migliaia di dati raccolti per tracciare gli effetti di due forme di meditazione, particolarmente importanti nel contesto dell'invecchiamento. Da un lato, la meditazione "mindfulness", in cui il meditante deve aprirsi il più possibile al momento presente, concentrandosi sul proprio respiro, sui pensieri, sulle sensazioni del corpo o persino sul rumore circostante. D'altra parte, la meditazione "compassione e amorevole", che proviene dalla tradizione buddista, consiste nello sviluppare uno stato emotivo di compassione verso gli altri, di amore altruistico. 
"Siamo solo all'inizio di queste esplorazioni", afferma Antoine Lutz. Oggi c'è una maggiore esigenza metodologica. Si tratta di costruire e consolidare le conoscenze, anche sui risultati negativi. Gli studi dimostrano ora che i cambiamenti più importanti nel cervello si verificano durante programmi intensivi di nove mesi; al contrario, programmi più brevi - otto settimane di mindfulness - sembrano non portare a cambiamenti suscettibili.
 La sfida non è più solo quella di osservare gli effetti sul cervello e sul comportamento, o i cambiamenti indotti, ma di sviluppare una teoria neuroscientifica della meditazione, in altre parole di cercare di trovare le "leggi" che spiegano perché la meditazione funziona, e di comprendere i meccanismi del cervello che la pratica. Per esempio, l'attenzione, la percezione o anche la metacognizione (la capacità di prendere coscienza dei propri meccanismi mentali, delle proprie emozioni).
Riusciremo mai a svelare questo immenso mistero, a capire come un organo - il cervello - produce l'immateriale - il pensiero?
Tutto ciò che sappiamo è legato agli strumenti di misura che utilizziamo, molto più potenti e precisi rispetto a vent'anni fa: queste neuroimmagini permettono di identificare macroscopicamente le basi neuronali di determinati stati cerebrali, in momenti di attività ma anche di rigenerazione (sonno, meditazione, ecc.). Ma non sappiamo ancora come scendere al livello del neurone, per esempio. 
E la vita mentale può davvero essere ridotta ad un fenomeno puramente fisico e misurabile? 
"La scienza porta con sé nuovi modi di cogliere questi fenomeni, di descriverli e di comprenderli. Ma la meditazione, come l'amore o la musica, rimane un'esperienza in prima persona, la cui ricchezza la scienza non potrà mai esaurire". Anche con le macchine più potenti, sarebbe inutile ridurre il nostro approccio alla sola conoscenza oggettiva, senza interessarci a ciò che accade nell'individuo. Le nuove scienze stanno portando ad un maggiore riconoscimento della soggettività.
Sembra che la meditazione mindfulness abbia effetti positivi sull'attenzione, sullo stress e sull'ansia. Esiste un'abbondante letteratura scientifica sull'argomento. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, la meditazione potrebbe integrare gli effetti degli antidepressivi. Da diversi anni, monaci buddisti come Matthieu Ricard Yongey Mingyur Rinpoche ( https://tergar.org/ ) prestano il loro cervello alla scienza, per misurare i possibili effetti di una meditazione molto prolungata su alcune aree cerebrali. 

 
La meditazione può avere anche un impatto sui processi neurofisiologici, cioè una sorta di rimodellamento dell'organizzazione funzionale e anatomica del cervello, in particolare della regolazione delle emozioni e   permetterebbe quindi ad alcune persone di riprendere il controllo delle proprie emozioni. Tuttavia, altri studi mettono in dubbio i benefici della mindfulness e la metodologia scientifica utilizzata per misurarla. Alcuni medici notano possibili effetti negativi sui pazienti fragili. La psichiatra Anne GutFayand, dell'Ospedale Sainte-Anne di Parigi, cita "alcune controindicazioni". "All'inizio della pratica, possono verificarsi delle impennate ansiose", avverte l'esperta. Studi recenti non mettono in dubbio i benefici della meditazione mindfulness, ma mettono in guardia dai pericoli di una meditazione non controllata.      Contatti  per il progetto Silver Santé silversantestudy@cyceron.fr o telefono 02 31 47 02 06 , l'ambasciatore del progetto è il monaco buddista Matthieu Ricard, il progetto continuerà dopo la scadenza prevista a  marzo 2022    .
https://www.youtube.com/watch?v=iHh8JaU7eKU   -- Telerama giugno 2022.    

________     Libri.
Meditare con il dottor Steven Laureys: Carnet d'exercices de méditation.
La meditazione fa bene al cervello, di Steven Laureys.
Perché abbiamo bisogno della bellezza del mondo, di Michel Le Van Quyen.,
Cerveau et silence, di Michel Le Van Quyen.
La Méditation - Ses effets sur le cerveau et la santé, di Baudouin Bernard.

sabato 14 maggio 2022

Table Ronde - Cerveau, Méditation et Vieillissement (Cervello, Meditazione e Invecchiamento)

 Table Ronde - Cerveau, Méditation et Vieillissement  https://www.youtube.com/watch?v=5gPiSiM4LiI

Hanno partecipato alla tavola rotonda: Matthieu Ricard (monaco buddhista), Ilios Kotsou (dottore in psicologia) e  Olivier Deladoucette (fondatore della Fondation Recherche Alzheimer), ed hanno presentato un'analisi sulla tematica.

La meditazione è un allenamento della mente, per potenziare l’attenzione e risvegliare le qualità positive innate. Lo scopo è diventare un miglior essere umano e contribuire a migliorare la società. Meditare significa coltivare, familiarizzare con il modo in cui funziona la mente, come funzionano le emozioni e quindi gestirle più facilmente.

Un tipo di meditazione laica è la mindfulness, semplice da praticare, se praticata regolarmente porta una certa stabilità emozionale. Con la meditazione si è più ancorati alla vita, si acquisisce un certo discernimento che permette di agire meglio nella vita senza condizionamenti. La meditazione porta gioia, gratitudine, aumenta l'attenzione alle piccole cose della vita e al quotidiano. All’inizio, c'è stata un'esplorazione scientifica della meditazione con un protocollo adeguato e rigoroso, e ciò ha permesso di sviluppare ed esplorare la neuroplasticità.

Le conseguenze del nostro invecchiare sono non solo un fenomeno biologico del corpo, ma in realtà è un invecchiamento sociale, psicologico. Con la progressione della speranza di vita, invecchiare in modo sereno è una grande sfida. Dobbiamo partire dall'assunto che abbiamo l’età dei nostri desideri.

Ci sono persone anziane difficili a vivere, altre in armonia con il loro ambiente. La personalità non cambia molto con l’invecchiamento. L’invecchiamento si sviluppa, piano piano, e se non prestiamo attenzione ci troviamo soffocati…

Per combattere questo processo negativo dobbiamo mettere in piedi dei processi adattativi, dei processi positivi come altruismo, sublimazione, investire il tempo in progetti, trasformare le pulsioni negative in positive e sviluppare l'umorismo. Gustare con serenità di essere in vita.

Lo scenario: la terza età dell’Europa. In Europa una persona su 5 ha più di 60 anni. Entro il 2050 aumenteranno del 70% le persone oltre i 65 anni d'età e del 170% oltre gli 80 anni. Senza adeguate politiche di alfabetizzazione funzionale e digitale l’invecchiamento della popolazione rischia di acuire il digital divide e aumentare la disuguaglianza sociale, perfino in Europa e all’interno dei paesi più sviluppati.  La commissione europea a messo in atto il Programma Silver. 

Il progetto Silver è finalizzato a creare un programma sostenibile di apprendimento permanente della popolazione adulta che persegua i seguenti obiettivi:
  • formare la popolazione anziana con competenze e risorse necessarie a beneficiare delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC)
  • rinnovare i tradizionali processi di apprendimento ed insegnamento di studenti e docenti (21st Century Education)
  • attuare poliche locali di inclusione sociale attraverso un approccio che coinvolga differenti attori quali: scuole, centri anziani e altre organizzazioni che lavorano con gli anziani.

La visione dell’esistenza è molto importante a livello biologico, lo stress aumenta il processo di invecchiamento. Una mente più serena, favorisce un invecchiamento di migliore di qualità.

La non reattività agli eventi, contribuisce a creare un'infiammazione psicologica e corporea; Con la meditazione si riduce il sentimento di solitudine e infiammazione e si diventa più connessi e più lucidi. Globalmente le persone più generose sono più in buona salute. Con la meditazione si arriva a comprendere che c'è qualcosa di più grande, e ciò impedisce di ripiegarsi su se stessi. 

A 65 anni abbiamo 20 anni di una vita da inventare. Dobbiamo sviluppare l’essere, e la meditazione è uno dei migliori strumenti per fare ciò. La spiritualità è indispensabile per invecchiare bene.

In Francia, un milione di individui soffre della malattia di Alzheimer, una malattia di famiglia, che non si può curare. E' stato messo in atto un progetto per verificare se la meditazione può contribuire a prevenire la malattia.  Per cominciare a meditare bisogna demistificare la meditazione. Senza l’attenzione non si può fare niente. Occorre tempo. I veri cambiamenti sono progressivi e sono necessarie delle corte sedute ma regolari. Per modificare la neuro-plasticità del cervello occorre regolarità.

Per la prevenzione occorre immagazzinare delle riserve cognitive che permettono di aumentare la densità del circuito neuronale. Inoltre, fare sport, sviluppare una  vita sociale è buono sia per le arterie, sia per il cervello. Come diceva Paul Valerie: "Un uomo solo, è sempre in cattiva compagnia".   Nella prevenzione bisogna rispettare i sensi, come l’udito, fare attenzione allo stress e alla depressione. Inoltre, il sonno deve essere rispettato, perchè proprio nel sonno il cervello si sbarazza delle tossine accumulate. Frutti e legumi sono indispensabili per frenare l’invecchiamento celebrale.

I cinque sensi sono le cinque porte per meditare, la meditazione è come coltivare un giardino più che prendere una pillola per il benessere, bisogna allenarsi a vedere ed apprezzare un paesaggio, un viso di qualcuno, le piccole meraviglie della natura.

Passare per il corpo, attraverso la marcia meditativa o lo yoga, facilita la meditazione. Una meditazione senza oggetto è molto più esigente ed occorre molto più tempo e disciplina.

Meditare è riconoscere di essere connessi con il mondo e con gli altri.

sabato 20 novembre 2021

Similitudini tra il buddhismo e le scienze moderne

Nelle lezioni sul Buddhism and Modern Psychology, della Princeton University, diretto dal prof. Robert Wright sono state presentate delle ricerche scientifiche sullo studio del cervello e i punti d'incontro tra le scienze moderne, in particolare le neuroscienze, e le pratiche meditative. 

 Le ricerche dimostrano che la meditazione aiuta a sviluppare qualità come l'attenzione focalizzata, l'empatia e la compassione. Il cervello non è una scatola impenetrabile e immutabile come si è pensato per secoli: migliorandone il funzionamento, possiamo cambiare stile emozionale, vivere meglio con noi stessi e con gli altri.
Ma andiamo per ordine. Michael Gazzaniga, professore di psicologia all'Università della California ed uno dei più importanti neuroscienziati del mondo ha introdotto il concetto della struttura modulare della mente. I moduli che compongono la mente, a turno esercitano un'influenza decisiva sul nostro pensiero, i nostri sentimenti, il nostro comportamento.
La teoria modulare del cervello è ripresa da Douglas Kendrick, professor di psycologia alla Arizona State University,  che chiama sub-sé questi sette moduli (autoprotezione, attrazione dei propri simili, repulsione dei propri simili, affiliazione, cura dei parenti, status, evitare le malattie). Il prefisso, sub, significa sotto,  e ciò porterebbe a pensare che c'è un unico sé unificato nella parte superiore. Ma in effetti questi moduli determinano il nostro comportamento sociale e sono in continua competizione tra loro. In un determinato contesto ed in un determinato istante un modulo prende il controllo delle operazioni (diventa il Sè temporaneamente) e fornisce la risposta più adeguata per affrontare l'evento.  
Per Leda Cosmides,  (è una psicologa statunitense, che, insieme al marito antropologo John Tooby, ha contribuito a sviluppare il campo della psicologia evoluzionista)  ciò fa pensare anche allo sviluppo darwiniano,  in cui prevale l'elemento (in questo caso il modulo) più idoneo a migliorare  la specie. Questo approccio converge con il pensiero buddhista della mancanza di un Sè controllore, si ritrova una corrispondenza tra questa teoria dei moduli della  psicologia moderna e quel carattere impermanente che Buddha attribuiva ai cinque aggregati. Nella dottrina buddhista i cinque skandha sono i costituenti della persona empirica, che è tradizionalmente scomposta nei cinque aggregati, ovvero: forma, rūpa; sensazione, vedanā; percezione, saññā; coefficienti, saṅkhāra; coscienza, viññāna.

Il buddhismo sostiene che l’universo non è costituito da entità solide e distinte, ma che consiste in un flusso dinamico di interazioni tra innumerevoli fenomeni e quello che noi percepiamo: il risultato delle interazioni della nostra coscienza con i fenomeni. Esiste soltanto un sistema di relazioni interdipendenti che il buddismo chiama realtà.  La causa della nostra percezione erronea della realtà è l’attaccamento ad un sé distinto e autonomo coerente, che persiste nel tempo e che dovrebbe costituire il centro del nostro essere e della nostra esperienza. Una visione modulare della mente aiuta a spiegare questa affermazione.
Buddha asseriva che il nostro stato mentale in un dato momento non è, in generale, il risultato di una scelta consapevole. Ma piuttosto, è il risultato di come le informazioni nel nostro ambiente. entrano nella nostra mente a livello tipicamente inconscio.
Nel corso della meditazione di consapevolezza accade che:
1- La rete di modalità predefinita, che è la situazione in cui diversi moduli si contendono la nostra attenzione, come dice Judson Brewer, (psichiatra, neuroscienziato)  diventa più silenziosa perchè la mente non è impegnata in qualcosa in particolare, non è assorbita da alcun compito.  2- Essendo consapevoli dei sentimenti possiamo determinare quali moduli sono e non sono autorizzati a prendere il controllo della mente. 3- Esercitando questa consapevolezza, possiamo influenzare il potere a lungo termine che i diversi moduli hanno.
Sono stati intervistati molti meditanti esperti (autori di diversi libri sulla meditazione o insegnanti di meditazione),  che hanno provato a descrivere la loro esperienza. Ciò è molto difficile in quanto come asserisce lo psicologo William James l'esperienza mistica ha due caratteristiche: è  noetica e ineffabile. La persona  è colta da una profonda intuizione ma è difficile esprimere l'esperienza. Rodney Smith  esprime la sua esperienza di meditazione come un annullamento di distanze, di aver percepito una coscienza senza proprietario.  Per Joseph Goldstein, il pensiero stesso appare e scompare. Come un suono. Si perde  l'identificazione con il pensiero ed è come provare ad  immaginare che ogni pensiero che sta sorgendo nella vostra mente provenga dalla persona vicina.  Ciò  ricorda la visione modulare della mente, in cui  la mente cosciente non genera  i pensieri, ma piuttosto i pensieri sono generati da alcuni moduli al di fuori del regno della coscienza. Yitha, una suora buddhista, intervistata in una delle lezion, descrive le emozioni e i pensieri con la stessa metafora di un film. Uno pensa che le scene siano reali, ma quando le prendi una per una, scopri che non sono reali.  Essendo consapevoli dei sentimenti di cui sono portatori i diversi moduli, stando in meditazione, potremmo influenzare quali moduli far vincere ed emergere  e quali moduli far perdere.
L'obiettivo della meditazione è arrivare ad uno stato di risveglio, ad un'esperienza conosciuta come illuminazione, che comporta una visione perfettamente chiara delle cose e alla liberazione dalla sofferenza. La parola Buddha significa proprio risvegliato. La realtà è la stessa, ma viene percepita in maniera diversa.  
La pratica regolare della meditazione porta a una condizione personale descritta da tutti i meditanti in termini di quattro elementi: l'assenza di una sorta di sé esterno, il vuoto, l'assenza di una sorta di sé interno e l'impermanenza.
Sharon Salzberg, (pratica la meditazione vipassana da più di venticinque anni ed ha insegnato nei centri buddhisti di tutto il mondo) spiega che il non-sé esterno consiste nella comprensione che gli individui sono immersi in un universo interconnesso. Altri meditanti come Gary Webber, Judson Brewer, riferiscono che nella meditazione questo stato di interconnessione, di appartenenza al tutto, diventa un'esperienza di percezione profonda. L'altro aspetto importante dell'illuminazione buddhista è la consapevolezza del vuoto che è trattato soprattutto dalla tradizione  Mahayana. Secondo il saggio Nāgārjuna, poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente, si può dire che tutto ciò che esiste è vuoto. L'esperienza della vacuità è la via che porta al "Risveglio".

venerdì 22 ottobre 2021

Cervello e meditazione - di Matthieu Ricard e Wolf Singer.

 Vi presento il libro  Cervello e meditazione - di Matthieu Ricard e Wolf Singer.                                      "E’ sempre la nostra mente che crea la nostra esperienza del mondo e la traduce in benessere o sofferenza".  - Matthieu Ricard.

Matthieu Ricard è un monaco buddista da quarant'anni ed è un meditatore esperto che viene regolarmente chiamato dalle università di tutto il mondo per condurre esperimenti sul cervello. Wolf Singer, neurobiologo e direttore emerito del Max Planck Institute for Brain Research, è uno dei maggiori specialisti mondiali del cervello. Per otto anni, hanno condiviso le loro conoscenze e si sono interrogati insieme su come funziona la mente. La meditazione cambia i circuiti neurali? Come si formano le emozioni? Quali sono i diversi stati alterati di coscienza? Che cos'è l'io? Esiste il libero arbitrio? Cosa possiamo dire sulla natura della coscienza? Su ogni tema, Matthieu Ricard e Wolf Singer confrontano due tradizioni di pensiero. Una, la filosofia buddista, è una conoscenza in prima persona, frutto delle pratiche millenarie dei monaci tibetani. L'altra, la neuroscienza, è una conoscenza in terza persona, il risultato di esperimenti di laboratorio. I due approcci sono radicalmente diversi, ma spesso portano alle stesse conclusioni. Per sviluppare una vera "scienza della mente", è essenziale riunirli, come è stato delineato negli ultimi anni. Questo è ciò che propone questo libro: un dialogo approfondito tra le scienze contemplative e le scienze moderne per penetrare i misteri della mente umana. 

Lo scopo della meditazione è coltivare senza distrazioni uno stato della mente particolare. Non bisogna ridurre la meditazione all'opinione comune che l’associa a vuotare la mente o rilassarsi. Nelle lingue asiatiche ci sono due parole per tradurre meditazione: il termine sanscrito bhavana: che significa coltivare e sviluppare e il termine tibetano gom: che significa familiarizzare con le qualità e le prospettive associate ad un nuovo modo di essere. La meditazione quindi è un processo estremamente attivo.

Spesso siamo talmente assorbiti dal contenuto dei nostri pensieri che ci identifichiamo totalmente con essi. Uno degli scopi del buddhismo non è di essere privi di emozioni, ma di imparare a gestirle, non esserne schiavi, vederle sorgere e sparire senza creare perturbamenti emozionali. Quando le emozioni conflittuali come la collera invadono la nostra mente dovremmo riuscire a dissiparle. Dobbiamo essere sempre vigilanti e cercare di Non essere coinvolti dalle perturbazioni emozionali e provare a raggiungere una grande stabilità.

Si giudicano i praticanti quando sono confrontati alle avversità, è in questi momenti che si valutano realmente i cambiamenti che si sono prodotti nelle nostre attitudini. Quando siamo in faccia a qualcuno che ci critica e che ci insulta, se non esplodiamo, ma riusciamo a trattare questa situazione con calma mantenendo la nostra pace interiore, questo significa che noi abbiamo raggiunto un autentico equilibrio emozionale e una reale libertà interiore.

Nella meditazione è imperativo di mantenere una continuità e di meditare quotidianamente. Sia presto al mattino, sia prima di dormire. Il profumo della meditazione apporterà una fragranza particolare alla giornata.  Spesso gli eremiti e i meditanti sono accusati di egoismo e indifferenza. Invece, spesso il ritiro è una tappa fondamentale nell’evoluzione interiore, ci si ritira per diventare più forti, altrimenti saremo troppo vulnerabili per aiutare gli altri e se stessi. Per sviluppare una attitudine occorre tempo e concentrazione. Ho lavorato nel modo umanitario da diversi anni e ho constatato che i problemi maggiori (corruzione, conflitto di ego, debolezza di empatia e scoraggiamento) che sono presenti in questo mondo provengono da una mancanza di maturità delle qualità umane. E’ indispensabile acquistare una forza interiore, sviluppare la compassione, avere un bon equilibrio interno prima di impegnarsi ad andare in aiuto ad altri. Bisogna aver raggiunto un certo grado di saggezza per riconoscere che siamo sufficientemente maturi per aiutare realmente gli altri. Dobbiamo provare sinceramente di diventare un essere migliore. "Cambia te stesso per poter cambiare il mondo".

Perchè ci sia un conflitto occorrono due protagonisti. Per riprendere un proverbio tibetano “Non si può applaudire con una sola mano”.  Matthieu Ricard, nel testo, riporta un esperimento a cui ha partecipato in prima persona, con Paul Ekman e Robert Levenson a Berkeley.  Mi hanno messo a confronto con un una persona con un carattere molto difficile, e il dibattito si preannunciava riscaldato, la persona è subito entrata nel vivo del soggetto ed ha cominciata ad agitarsi, io cercavo di restare calmo e fornirgli le risposte sensate con un tono amichevole e cominciavo a prendere piacere nello stare in quella situazione. Dopo qualche tempo la persona ha cominciato a calmarsi e dopo dieci minuti ha dichiarato ai ricercatori: “Non posso litigare con quest’uomo, tiene delle argomentazioni sensate e sorride tutto il tempo”. 

L’antidoto consiste nell'essere cosciente del desiderio o della collera, invece di identificarsi con essi. Non possiamo fare esplodere la collera a discapito di quelli che ci circondano e della nostra pace interiore e nemmeno la possiamo reprimere. Il vero amore deve essere altruista, per essere una sorgente di benessere reciproco. La natura universale dell’altruismo fa sì che deve applicarsi a chiunque entra nel nostro campo di attenzione. Come il sole brilla nello stesso modo per tutti gli esseri e in tutte le direzioni; tuttavia nella vita ci sono delle persone che si trovano più vicine al sole della nostra attenzione. 
Conoscere la pace interiore e l’equanimità non significa che si cessa di fare esperienza del mondo in tutta la sua profondità, questo non implica il ridurre la qualità del nostro amore, della nostra affezione, della nostra apertura verso gli altri, né la nostra gioia. In realtà essere nel momento presente, ci rende più presenti agli altri e al mondo. Se ci sono onde enormi o la superficie dell’acqua resta liscia come uno specchio la profondità dell’oceano resta la stessa.  A scuola occorrerebbe sviluppare il coraggio e l’equilibrio emozionale.Oggi c'è la necessità di eliminare le principali afflizioni mentali che sono: attaccamento, collera, ostilità, arroganza, la confusione mentale e sostituirle con la serenità, la compassione, la libertà interiore. La maggioranza dei problemi che ci affliggono sono delle costruzioni mentali che sovrapponiamo alla realtà e che potremmo facilmente decostruire, infatti come è stato già detto è sempre la mente a fare esperienza del mondo.

L’individuo può fare evolvere la società e le istituzioni, le ricerche sulla epigenetica e la neuroplasticità hanno dimostrato che gli individui possono cambiare.

E’ possibile riconoscere la vera natura delle cose? Abbiamo due sorgenti di conoscenza: la prima l’esperienza soggettiva attraverso l’interazione con l’ambiente e la seconda è la scienza. Con i cinque sensi assimiliamo il mondo ordinario. E’ difficile immaginare qualcosa che a secondo il modo di osservazione ci appare un’onda o una particella. Investigando sulla natura ultima della realtà, si scopre che quelle entità sono un insieme di fenomeni interdipendenti privi di ogni esistenza propria e non si limitano mai ad una causalità lineare. La costruzione mentale dipende da due evoluzioni: la lenta evoluzione genetica e la più rapida, il cambiamento culturale.

Secondo il buddhismo l’aspetto più profondo, il più fondamentale della coscienza, è questa presenza risvegliata simile al sole. Ci sono numerosi esempi che dimostrano che il modo in cui le cose appaiono non corrisponde alla realtà. La percezione produce una cognizione non valida. Noi non vediamo mai un fenomeno in tempo reale, e noi lo deformiamo inevitabilmente in un modo o nell’altro. Per Ignoranza o confusione mentale. La saggezza discriminante è la visione profonda, che comprende la natura ultima delle cose e dei fenomeni senza la sovrapposizione delle costruzioni mentali. Il mondo che noi percepiamo è inestricabilmente legato al modo di funzionamento della nostra coscienza, il solo mondo che noi conosciamo è la relazione tra il nostro tipo di coscienza specifica e il mondo fenomenico. Le particelle sono delle onde di probabilità che si sviluppano da un vuoto quantico.

Riconoscere che l’universo non è costituito da entità solide e distinte, ma che consiste di un flusso dinamico d’interazioni tra innumerevoli fenomeni fluttuanti permettono di comprendere correttamente l’impermanenza. Il buddismo decostruisce le nostre percezioni. Il mondo fenomenico è un normale flusso di eventi interdipendenti e dinamici e quello che noi percepiamo è il risultato delle interazioni della nostra coscienza e dei fenomeni. Esiste solo un sistema di relazioni interdipendenti che il buddismo chiama realtà.  Essere consapevoli di questo ridurrà l’attaccamento. Riducendo l’attaccamento si acquisterà la consapevolezza di una più grande realtà interiore. Dovremmo quindi perfezionare il nostro telescopio interno per comprendere il mondo esterno. Se ci è impossibile di conoscere il risultato finale dei nostri atti, noi possiamo sempre verificare il senso delle nostre motivazioni, si tratta di una motivazione egoista e una motivazione altruista?  Rabindranath Tagore dice: “noi decifriamo male il mondo e diciamo che ci tradisce”.

La causa della nostra percezione erronea della realtà è l’attaccamento di un sé distinto e autonomo che sarà il centro del nostro essere e della nostra esperienza. La forza interiore viene da una libertà interiore.

Molti pensano che al centro di questo flusso di esperienze, c’è una entità singola, distinta, il nostro vero sé. Se noi esaminiamo questo concetto vediamo che è difficile designare questo sé, mentre è facile constatare che questo nostro attaccamento ad un sé distinto perturba la nostra vita.   Visto che è difficile trovare il sé nel corpo possiamo pensare che il sé è associato alla coscienza, che non è altro che un flusso di esperienze. Ma è pragmatico considerare il Sé come convenzionale, una etichetta mentale apposta sull’associazione del corpo e della coscienza. Questo è funzionale in quanto noi non siamo questa entità immaginaria alla quale ci identifichiamo, ma un flusso dinamico di esperienze. L’autentica libertà è liberarsi dai diktat di questo Sé. Una persona che non è preoccupata dall’immagine di se stessa, dall’affermazione del proprio io, ha più fiducia in se stessa. 

La differenza tra un io forte e una mente forte. Un Io forte si accompagna ad un egocentrismo smisurato, una mente (uno spirito) forte si accompagna ad una mente resiliente, libera e sagace. La situazione ottimale sarebbe quella di un IO debole ed uno spirito forte. Importante capire l’interdipendenza fondamentale del sé, degli altri e del mondo. Un praticante capace di restare libero dal sé, imperturbabile, non è in nessun caso indifferente agli altri né tagliato dal mondo esterno, e può contare sulle sue risorse interiori che sono sempre là. La fiducia in se stesso non ha bisogno di essere rinforzata da fattori esterni. Una forte personalità ha une grande fiducia in se stesso, mentre essere egocentrici e vulnerabili di fronte alle critiche sono dei segnali che indicano una fiducia in se stessi limitati e un io debole.

Rimuginare sul passato, sul futuro è il flagello della pratica meditativa e della libertà interiore. Non bisogna confondere il rimuginare con la meditazione analitica che serve a decostruire il concetto di un sé indipendente. Non deve essere nemmeno confusa con l’osservazione vigilante che permette di riconoscere un’emozione negativa e smorzarla al momento che sorge. La pratica meditativa deve tradursi con dei cambiamenti reali, progressivi e durevoli nel nostro vissuto interiore e nel nostro rapporto con il mondo. Il Buthan, è uno dei pochi Paaesi al mondo, forse l'unico,  ad incorporare principi buddhisti nella costituzione con lo scopo di equilibrare i doveri con i diritti. 

Nel Buddhismo non è ammessa la violenza e il Dalai Lama lo ha affermato più volte: "Niente nel buddhismo giustifica la violenza".   Quindi ha condannato senza esitazione gli episodi accaduti in Birmania, dove un movimento di monaci buddhisti capeggiato da Ashin Wirathu ha incitato i contadini birmani a perpetrare degli orribili massacri sulle minorità mussulmane. Nel Tibet quando c'è un contrasto , il caso è spesso sottomesso al giudizio di un lama, che convocati i protagonisti fa promettere loro di interrompere il ciclo di rappresaglie.

Il buddhismo considera diversi aspetti della coscienza. La prima, la coscienza di base, la coscienza dei cinque sensi, e l'ultimo livello invece è la coscienza mentale che assegna dei concetti astratti agli altri livelli. Il buddismo considera un ulteriore livello, delle emozioni negative (rabbia, cupidigia, ) che alterano la realtà. Il dibattito su corpo e mente non ha senso in quanto entrambe non sono dotate di esistenza estrinseca. Quando perdiamo di vista l’unità della coscienza e del mondo si instaura una visione dualistica tra sé e non sé, e il mondo dell’ignoranza e del sansara si manifesta. La concezione buddhista differisce totalmente dal dualismo cartesiano tra realtà materiale e coscienza immateriale. 

Nel buddhismo il dualismo è assente ed afferma che la vacuità è la forma e la forma è la vacuità. Non esiste una realtà intrinseca. In assenza di coscienza è impossibile affermare che il mondo esiste. Il tempo e lo spazio sono cominciati con il Big Bang. Noi non possiamo mai situarci fuori dalla coscienza. Che cosa determina che siamo coscienti di noi stessi? Noi siamo lo stesso coscienti del nostro sé cosciente? La coscienza è un cervello iscritto in un corpo situato in un ambiente e queste tre istanze sono indissolubili. Gli stati di coscienza sono vuoti di contenuto. La Coscienza è non duale perché non c’è più distinzione tra il soggetto e l’oggetto.

Nel testo si parla anche del ricordo delle vite precedenti: uno dei casi più famosi è quello di Chanti Deva nata a Delhi nel 1926. Gandhi in persona è venuto a trovare la ragazzina che raggiunta la città di Mathura, ha riconosciuto tutti i membri della sua famiglia, il marito e la sua casa. Era sposata ed è morta mettendo al mondo un figlio. Shanti Deva, secondo i buddhisti,  era la reincarnazione di Lungi Deva.

Nel testo si parla anche di Esperienze di morte imminente (EMI), dove tutte le persone che hanno vissuto tale esperienza hanno conosciuto una esperienza di felicità, hanno avuto una visione di una luce all’estremità di un tunnel, l'impressione di fluttuare nell’aria sopra il proprio corpo, e  queste esperienze si erano manifestate nella camera d’ospedale quando erano in coma. Si erano manifestate anche esperienze di dissociazione e confusione, da parte dei pazienti nella percezione di spazio e tempo. Nello spazio di tempo che precede l’attacco di epilessia si hanno le stesse esperienze EMI. Esiste un rapporto stretto tra il funzionamento neuronale del cervello e quello che il buddhismo chiama l’aspetto grossolano della coscienza. Con la meditazione, si assiste alla crescita dell’ampiezza dell’attività oscillatoria su una banda di frequenza di 40Hz, la celebre frequenza gamma. A riguardo vengono citati i lavori di Richard Davidson e Antoine Lutz.  Vengono trattati anche i lavori di Paul Ekman sulle microespressioni facciali delle emozioni.

La psicoanalisi conferma che ruminare costantemente è uno dei principali sintomi di depressione e che gli stati conflittuali, che hanno per origine l’egoismo, accrescono il fossato tra sé e gli altri, ma anche tra sé e il mondo.  Peer superare queste derive, l’essere umano ha a disposizione la sua mente, una pepita d’oro, un nucleo di purezza e di qualità positive. I pensieri sono la manifestazione della pura presenza risvegliata, come le onde che si alzano dall’oceano. La presenza aperta è uno stato di coscienza estremamente chiaro e positivo. Nel buddhismo non esiste un compito difficile, occorre solo dividere il compito in piccoli compiti più facili. 

 La meditazione fa ringiovanire corpo e mente.  Il testo riporta anche lo studio di un team di scienziati del Center for Healthy Minds dell’Università del Wisconsin-Madison che ha seguito per 14 anni lo sviluppo del cervello di Yongey Mingyur Rinpoche, un monaco buddhista e insegnante di meditazione. I ricercatori hanno analizzato il cervello di Mingyur Rinpoche quattro volte usando la risonanza magnetica strutturale per vedere i cambiamenti nel cervello nel tempo. Lo studio che è stato pubblicato da LiveScience nel 2020, ha rivelato che il cervello di Mingyur Rinpoche sembrava rallentare nel suo invecchiamento per oltre un decennio. https://www.livescience.com/buddhist-monk-meditation-brain.html               “Il grande passo avanti è che il cervello di questo monaco tibetano, che ha trascorso più di 60.000 ore della sua vita in meditazione formale, invecchia più lentamente del cervello del gruppo di controllo“, ha affermato Richard Davidson, ricercatore e professore di psicologia e psichiatria all’università.  Mingyur Rinpoche era il soggetto perfetto per testare gli effetti a lungo termine della meditazione sul cervello umano a causa della sua straordinaria vita. Credendo di essere la settima incarnazione di Yongey Mingyur Rinpoche, maestro dei lignaggi Karma Kagyu e Nyingma del buddismo tibetano, Mingyur Rinpoche guida altri praticanti buddisti senior nei metodi della meditazione buddhista fin dall’adolescenza.  Questa scoperta sembra aggiungere prove all'ipotesi che la meditazione influisca sullo sviluppo del cervello e  fornisce un qualche tipo di beneficio per la salute del corpo.    Altri ricercatori ritengono che il cervello dei nati in alta quota, in Tibet, come Mingyur Rinpoche, possa naturalmente invecchiare più lentamente a causa dell’ambiente. C’è anche la possibilità che lo stile di vita buddhista – praticando una dieta sana e vivendo nell’area a basso inquinamento delle montagne tibetane – possa aver contribuito ad avere un cervello “giovane”.

sabato 24 luglio 2021

Prove di dialogo fra scienza e buddhismo - Istituto Mind and Life

Prove di dialogo fra scienza e buddhismo.  di Pier Luigi Lisi   vedi link

Uno degli aspetti più interessanti della diffusione del Buddhismo in Occidente è l’alto numero di scienziati che hanno partecipato ai dialoghi tra scienza e buddhismo. Una misura di questo è data dalle conferenze dell’Istituto Mind and Life, costituito nel 1991 dal presente XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, il neuroscienziato Francisco Varela e Adam Engle, con lo scopo appunto di promuovere il dialogo tra la tradizione buddhista e il pensiero scientifico moderno.

Fisici di chiara fama, come Anton Zeilinger, Stephen Chu, David Finkelstein, astrofisici come George Greenstein, neurobiologi come Wolf Singer, Tanja Singer, Richard Davidson, Cliff Saron, Antonio Damasio, filosofi e sociologi come Charles Taylor, Michel Bitbol, Paul Ekman, Patricia Churchland, Alan Wallace, Daniel Goleman, Anne Harrington, Bunker Roy, biologi e genetisti come Eric Lander e Ursula Goodenough, hanno preso parte a questi incontri,  e la lista potrebbe facilmente arricchirsi fino a raggiungere un centinaio di illustri nomi di accademici. 

Inoltre, tali conferenze di dialogo si sono svolte non solo a Dharamasala, in India, la sede in esilio del Dalai Lama, ma nei maggiori centri accademici in USA e Europa, in grandi città come New York, Boston, Zurigo, Vienna, Chicago, e centri accademici tradizionali come il MIT, la Rockfeller University, la Wisconsin University, il Politecnico di Zurigo, diverse università romane.

Il possibile punto di contatto e dialogo tra il mondo della scienza e il buddhismo è reso più facile dall’atteggiamento estremamente aperto del presente Dalai Lama, che ha, notoriamente, un profondo rispetto e interesse personale per la scienza, tanto da dire “La mia fiducia nell’avventurarmi nella scienza è basata nel fatto che credo, che sia la scienza, che il buddhismo perseguano la comprensione della realtà della natura per mezzo di indagine critica. Se l’analisi scientifica arrivasse a dimostrare nel modo più conclusivo che certe affermazioni del buddhismo sono false, allora dovremmo accettare le conclusione della scienza e abbandonare tali affermazioni.

I buddhisti credono nella reincarnazione. Ma supponiamo che la scienza, attraverso una serie di metodi, riesca a dimostrare conclusivamente che la reincarnazione non esiste. Allora dobbiamo accettarlo.

Immaginate se una cosa del genere fosse stata detta da uno dei nostri Papi del passato a proposito dell’anima… Poi però, altrove, il Dalai Lama aggiunge qualcosa di molto acuto che gli permette di mettere le mani avanti: “Tuttavia, bisogna fare una chiara distinzione tra quello che non viene trovato dalla scienza, e quello che invece la scienza dimostra essere non-esistente. Dobbiamo accettare come non-esistente tutto quel che la scienza dimostra essere non esistente; ma quel che la scienza non riesce a trovare, è tutto un altro discorso.”  E aggiunge che un esempio di questo è dato dalla coscienza…

Perchè esiste questo interesse degli scienziati per il Buddhismo? C’è un terreno comune tra scienza e buddhismo? Può l’uno imparare dall’altro, e in che modo?

Il Buddha, nel V secolo a.C., aveva come fine ultimo la liberazione dell’umanità dalla sofferenza e dall’ignoranza. Il cammino proposto dal Buddha per affrancarsi dalla sofferenza, insita nella condizione umana, era un cammino per liberarsi della ignoranza. In tale cammino, nel Dharma, basato sulle quattro “nobili verità" enunciate dal Buddha, si trattava di trovare (con la cosiddetta illuminazione) la natura vera delle cose. Chiaramente, questo è un discorso di prassi filosofica ed etica. Si trattava quindi di un cammino in cui la retta cognizione e il retto comportamento morale sono i cardini principali. Ecco che il cammino del Dharma diventa anche un percorso di filosofia pratica.

La metodologia. Un possibile punto di incontro è dato dal fatto che sia il buddhismo, sia la scienza, hanno come cardine principale la sperimentazione. Questo è ben noto ovviamente nella scienza. Diceva Richard Feynman: “Il principio della scienza, quasi la sua stessa definizione è il seguente: il testo della conoscenza è l’esperimento. L’esperimento è il sole giudice della verità scientifica”.  Ed ecco come il Dalai Lama gli fa eco:  “Quando si pone il problema della validazione della verità di una certa asserzione, il Buddhismo pone la autorità più grande nell’esperienza, poi nella ragione, e per ultimo nelle Scritture”.  Questa non è solo l’idea di un Dalai Lama moderno, ma viene da molto lontano. Vic Mansfield cita il testo di un famoso Sutra (testo sacro), parole quindi ascrivibili secondo la tradizione al Buddha stesso, che recita:  "I monaci e gli studenti devono accettare la mia parola non per rispetto, ma devono analizzarla così’ come un gioielliere analizza l’oro, tagliandolo, fondendolo, incidendolo e strofinandolo”.

In effetti tutti i grandi maestri del Buddhismo insistono molto sul concetto che non si deve credere ciecamente alle scritture, né al proprio guru, ma che ci si deve basare soprattutto in quello che si trova con la sperimentazione personale. C’è la celebre immagine per cui “uccidi il Buddha se lo trovi sul tuo cammino”, che implica, che anche il maestro può essere un impedimento nel percorso che porta alla conoscenza.  

Un primo punto essenziale di differenza è il modo in cui sono sperimentate queste verità. La sperimentazione del buddhista è a livello soggettivo, di esperienza personale, non ha niente a che fare con i criteri di oggettività sperimentale Galileiana, o della inter-soggettività dei principi della scienza moderna. Uno deve convincersi di certe verità lavorando e sperimentando, ma solo su se stesso, magari con l’aiuto di un maestro, ma si tratterà sempre di una conoscenza in prima persona. Esiste un’esperienza mistica a seguito della meditazione? Non c’è modo di dimostrarlo oggettivamente: il maestro ti dirà di perseguire nella meditazione, fino a che tale esperienza profonda non ti arrivi: e se arriva, questa sarà incomunicabile al mondo esterno, nemmeno condivisibile a parole.  Con questo discorso si tocca anche un problema che è venuto recentemente alla ribalta anche nel campo più propriamente scientifico. Che valore si deve attribuire alle esperienze soggettive? Anche perché, secondo la visione della scienza moderna, l’osservatore non può più essere escluso dal risultato degli esperimenti. 

Comunque tra scienza classica e buddhismo c’è una differenza sostanziale: da una parte l’introspezione e la sperimentazione personale e soggettiva, dall’altro invece il discorso dell'oggettività o per lo meno della inter-soggettività. Questo è riassunto bene nella seguente citazione presa dal libro di Mansfield “Così’, si può vedere che, a dispetto delle similitudini riguardo all’autorità, alla ragione, e alla necessità della verificazione empirica con l’esperimento, ci sono differenze significative tra scienza e buddhismo. Questo non può essere una sorpresa, considerando che la scienza è lo studio della natura in tutte le sue forme, mentre il Buddhismo è primariamente rivolto alla eliminazione della sofferenza. Tuttavia, siccome la ragione della sofferenza è la nostra incapacità di comprendere la vera natura della realtà - che include il dominio della scienza - allora possiamo anche aspettarci profonde connessioni tra il Buddhismo e la scienza”.

Forse il punto di contatto più forte tra scienza e Buddhismo è nel concetto buddhista di vacuità . Il concetto di vacuità - è il fondamento della visione buddhista delle cose e della natura. Nella sua essenzialità, questo principio dice che tutte le cose e tutte le persone sono prive di un’esistenza indipendente, prive di una loro realtà intrinseca. Se tu cerchi qualcosa che abbia una propria realtà intrinseca, trovi il vuoto - la vacuità (da non confondere con il nulla). E questo è così perché ogni cosa e ogni persona dipendono da una serie di cause: l’albero dipende dal seme ma anche dal terreno, dalla pioggia, dalla temperatura, dal contadino…; e l’esistenza del contadino dipende dai suoi genitori, dal cibo che ha mangiato, dai suoi fornitori di cibo e di lavoro. Non esiste niente di indipendente, niente che abbia una valenza di realtà intrinseca, ogni cosa dipende invece da una rete multidimensionale di cause. Il concetto di emptiness è quindi anche equivalente alla causalità molteplice, ogni cosa, ogni persona, è il risultato di una catena lunga e complessa di con-cause. Il che anche vuol dire che, quello che è importante non è tanto la esistenza degli oggetti di per sé, ma le relazioni che determinano e definiscono tali oggetti. Ci avviciniamo con questo alla scienza moderna, in particolare alla visione sistemica della vita e della scienza. 

Secondo la visione sistemica, quello che è importante sono le relazioni tra le cose piuttosto che gli oggetti di per se stessi. Per esempio nella visione sistemica della biologia, la vita è un fenomeno d’integrazione, è data dalla rete di relazioni di tutti gli organi tra di loro, poi ogni organo è l’integrazione di tutte le cellule tra di loro, la vita di ogni cellula è data dalla intera rete metabolica, etc. La vita non è dovuta a una cosa, a una reazione, a una molecola: è la rete stessa. E così è per la società, per la natura, per l’ecologia (Vedi gli ultimi testi di Fritjof Capra). 

Si tratta in fondo di una visione non-riduzionista, che accomuna quindi strettamente la scienza moderna con la visione buddhista delle cose. Si deve notare – punto saliente nel Buddhismo - che tutta questa rete di dipendenza reciproca fa si che non ci sia una causa prima - quindi un Dio creatore.

Si deve aggiungere a questo punto un altro concetto importante della filosofia buddhista, il concetto di impermanenza. Tutto quello che nasce è destinato a morire. Non c’è niente che abbia valenza di eternità. E anche nell’impermanenza c’è una catena di causalità. Il concetto di impermanenza è quindi collegato al concetto di vacuità, e la molteplice causalità è la componente principale di entrambe le cose. Mansfield, dedica molte pagine al rapporto tra vacuità e meccanica quantistica. Afferma per esempio che le particelle elementari - elettroni e fotoni per esempio - sono indistinguibili l’uno dall’altro e quindi non possiedono una individualità intrinseca. Importante è il concetto di non-localizzazione  "un fotone non può essere chiamato particella, o onda, se non dopo che l’operatore ha usato un particolare congegno per svelarne appunto la natura, o come particella o come onda". Quindi l’essere onda, o particella, dipende da tutta una serie di con-cause esterne, tra cui l’operatore e il suo strumento di indagine. Non esiste quindi una realtà intrinseca di per sé della luce o dei fotoni.

Interessante è anche quello che scrive Mansfield a proposito dell’esperimento EPR (Einstein-Podolski-Rosen), sull’entanglement (intreccio) dei due elettroni sparati in direzioni oppose. Il fenomeno può essere interpretato affermando che un elettrone esiste in un particolare stato (per esempio di spin) a causa di una correlazione con un’altra particella, ma che lui stesso non ha un’intrinseca esistenza. L’EPR paper fu concepito come critica alla meccanica quantistica, giudicata incompleta da Einstein. Einstein dice “…..appare essenziale per questa configurazione di oggetti introdotti in fisica, che, in un certo tempo, questi oggetti richiedano una esistenza indipendente l’una dall’altra, una volta che tali oggetti giacciono in parti diverse dello spazio. Senza questa assunzione, che ha un’origine in ogni pensiero comune, il pensiero fisico che ci è familiare non sarebbe possibile…”.

Questo è molto interessante nel nostro contesto, perché rappresenta esattamente l’opposto di quanto affermato nel concetto di vacuità buddista. Giustamente Einstein si basa sul buon senso comune - ma è proprio questa imputazione di separabilità e di indipendenza, prodotti della nostra mente, che il Buddhismo condanna come fonte dell’ignoranza di cui dobbiamo liberarci per arrivare alla verità.

Un altro soggetto scientifico interessante, oltre a quello della meccanica quantistica, è fornito dalla teoria della relatività. Secondo la relatività einsteiniana, cose come il tempo, la massa, la lunghezza, l’energia, non hanno un valore assoluto, ma dipendono dal sistema di riferimento in cui tali grandezze sono misurate. Quindi, usando un linguaggio buddhista, si può dire che non hanno un’esistenza intrinseca, non hanno un’esistenza indipendente. Siamo quindi di nuovo al concetto di vacuità.

Dalla biologia alla coscienza.  Cominciamo con l’origine della vita sulla Terra. Su questo problema, il predicato principale della scienza è che la vita sia sorta dalla materia inanimata, e questo attraverso un lentissimo e spontaneo processo di aumento di struttura molecolare e funzionalità. E’ quindi un processo basato sul principio di continuità, per cui cioè c’è un graduale e omogeneo evolversi della materia, senza che ci sia trascendenza dall’esterno. Tale principio è in armonia con il discorso buddhista di una continuità di cause successive. Tuttavia la scienza moderna vede la vita come una qualità nuova, emergente rispetto alla materia inanimata, e tale salto di qualità non è contemplato dal buddhismo classico. Infatti, nel buddhismo si ha difficoltà ad accettare che a un certo punto dell’evoluzione sia venuto fuori qualcosa che prima non c’era, per esempio la mente, o la coscienza. 

In questa chiave, per quanto riguarda l’evoluzione Darwiniana, si dice che il Dalai Lama e il buddhismo in generale abbiano difficoltà ad accettare il concetto di mutazione random, in quanto questa appare come qualcosa che accade senza una causa. Qualsiasi mutazione, è contingente alla struttura pre-esistente e la sua particolare organizzazione.

Un’interpretazione della evoluzione puo' essere legata al concetto buddhista di karma. Questa è una causalità a livello etico - ed è connessa al concetto di reincarnazione. Le azioni cattive condotte in una vita – dicono i buddhisti - si trasmettono alla vita successiva, di generazione in generazione, così che ognuno di noi rappresenta l’accumulo di tutta una serie di azioni, positive o negative, compiute in tutte le vite precedenti. Con il concetto di karma e di reincarnazione, si toccano gli elementi più ostici del buddhismo, quelli con cui il nostro mondo occidentale scientifico ha più difficoltà. E questi due concetti sono a loro volta fondati – o strettamente correlati - a un altro concetto basilare, quello della coscienza sottile.

Per la nostra scienza esiste una diretta dipendenza tra cervello e coscienza – una specie di relazione diretta tra cervello, mente e coscienza. Ci sono due accezioni principali del temine coscienza nella nostra letteratura presente, che si rifanno alla celebre definizione del filosofo inglese David Chalmers. Secondo Chalmers, c’è il problema facile, e il problema difficile della coscienza, the easy and the hard problem. L’easy problem ha a che fare con gli aspetti cognitivi della coscienza, gli atti volitivi, coscientemente intenzionali, la coscienza di qualcosa (si chiama easy problem non perché sia facile capirne il funzionamento, ma perché almeno si vede una connessione con gli aspetti neuronali, meccanicistici del cervello). Poi c’è invece l’aspetto soggettivo della coscienza, la esperienza personale per esempio della sensazione del colore blu, della gioia, della paura… Questa è appunto l’esperienza individuale, incomunicabile, intima, che corrisponde veramente a un livello diverso di coscienza. E quando si raggiunge tale livello, e se ne ha la percezione, allora si può raggiungere un terzo livello, quello del sapere di sapere, cioè il livello auto-riflessivo della coscienza. E su questa dimensione di esperienza soggettiva della coscienza, l’hard problem, secondo Chalmers, non abbiamo una spiegazione. Non sappiamo neppure perché esista. La maggior parte della scienza neurobiologica vede tutti gli aspetti di coscienza come derivanti, in un modo o nell’altro, dal cervello. In questo senso anche l'hard problem ha una base materiale, ed è una proprietà emergente del cervello. 

Il mondo buddhista, il Dalai Lama in particolare, accetta la nozione che il cervello sia fondamentale per tutta una serie di atti di percezione cognitiva, a livello appunto di un livello più grossolano (gross level); ma poi c’è appunto per i buddhisti la subtle consciousness, che è la base stessa della illuminazione e dei meccanismi di reincarnazione. E appunto, il lato caratteristico è che questo livello di coscienza non ha, per il Dalai Lama, una base materiale.

E’ chiaro che la scienza moderna nella sua forma più tradizionale non può accettare il concetto di karma e di reincarnazione, né quello di una coscienza senza una base materiale - e quindi qui c’è un terreno di non-accordo. Il concetto di karma è correlato al comportamento morale, all’etica in generale, e questo è un punto essenziale del buddhismo, che non si ritrova nella scienza. Per questo, ritorniamo per un momento al concetto di vacuità, per cui tutte le cose, e tutte le persone, hanno un senso solo se viste e comprese in una rete di relazioni. Per il buddhismo, questa rete di relazioni porta al concetto di considerare il prossimo come parte di se stessi, a coltivare quindi sentimenti positivi per aiutare il prossimo nel cammino diretto a liberarsi della sofferenza. Porta a un concetto fondamentale del buddhismo, quello di compassion, il sentimento, coltivato e coltivabile, di empatia per la sofferenza altrui, e il desiderio di aiutare il prossimo nel cammino della liberazione dall'ignoranza e quindi dalla sofferenza.  Ovviamente per la scienza, la visione che gli elettroni siano particelle prive di individualità, etc., non porta necessariamente a una visione etica, a vedere il prossimo e la natura in qualche modo più ricco di moralità. Forse un’eccezione è data dalla visione sistemica della vita a livello della ecologia, dove appunto tale visione diventa coscienza di un rispetto per la natura e per il prossimo, anche per salvaguardare il futuro del nostro Pianeta. 

Riferimenti bibliografici

  • The Dalai Lama, The universe in a single atom. The convergence of Science and Spirituality. 2005.
  • Sidney Piburn, “A Policy of kindness. An Anthology of writings by and about the Dalai Lama”, 1990.
  • Vic Mansfield, "Tibetan Buddhism and modern physics", Templeton Foundation Press, 2008.
  • Richard Feynman, The physics lectures of Feynman on physics, 1989.
  • Pier Luigi Luisi, Mind and Life, Dialogues with the Dalai Lama on the nature of reality, 2006.
  • Fritjof Capra, The Hidden Connections, 2002.
  • Fritjof Capra and Pier Luigi Luisi, The system view of life.
  • Albert Einstein, “Einstein on locality and separability", 1949.
  • Humberto Maturana e Francisco Varela, The tree of knowledge, 1998.
  • David Chalmers, The Conscious Mind, 1996.
  • Michel Bitbol, "Is Consciousness Primary?", 2008.
  • Michel Bitbol and Pier Luigi Luisi, "Science and the Self-Referentiality of Consciousness", 2011.

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