venerdì 30 luglio 2021

Lezioni di yoga tenute dal Maestro Amadio Bianchi

Vi segnalo un ciclo di lezioni di yoga tenute dal Maestro Amadio Bianchi, in questo periodo estivo - fino alla fine di agosto, al Parco Terramaini di Cagliari e trasmesse in streaming.  Vi consiglio fortemente di seguirle.

La prima lezione potrete trovarla su Youtube: Vedi link,  per l'ultima lezione svolta in ordine di tempo  Vedi link

Amadio Bianchi è il Fondatore della Comunità Mondiale Yoga e Ayurveda, Presidente del Movimento Mondiale per lo Yoga e l'Ayurveda, della Federazione Europea Yoga   ( https://www.europeanyogafederation.net/ ), della Scuola Internazionale di Yoga e Ayurveda C.Y. Surya, Vice Presidente della International Yog Confederation di New Delhi, membro fondatore della European Ayurveda Association, Consigliere della United Consciousness Global, Membro del Global Council of Hindu Leaders, Coordinatore Nazionale per l'Italia della Hindu Acarya Saba.

Nel gennaio 2014 a Dubai per un'importante conferenza internazionale, è stato insignito del titolo di Ambasciatore dello Yoga e dell'Ayurveda.

Ha operato in Italia, India, Grecia, Francia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Croazia, Portogallo, Argentina, Romania, Polonia, Brasile, Bulgaria, Germania, U.S.A., Slovacchia ecc. È spesso presente in importanti congressi come relatore.  Ha scritto numerosi libri dedicati allo yoga e alle discipline ayurvediche, sotto sono riportati alcuni titoli:

  • La scienza della vita. Lo yoga e l'ayurveda,
  • Apprendere dal passato, vivere il presente e prepararsi al futuro,
  • Marmani. I 107 gioielli della medicina ayurvedica
  • Salute, famiglia e benessere personale
  • Nel respiro il segreto della vita. Rieducazione alla respirazione
  • Ayurveda. Una scienza per la salute. Diagnosi e terapia alla portata di tutti
  • La gioia di vivere. Con lo yoga e la yogaterapia

martedì 27 luglio 2021

La rete della vita - Fritjof Capra

Vedere anche il testo  Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente di  Fritjof Capra.

Fritjof Capra fa parte di quel gruppo di scienziati degli anni ’70 che affrontò la fisica su basi nuove, sviluppando un particolare interesse per le spettacolari e contro-intuitive conseguenze della meccanica quantistica.  Nel Tao della fisica sosteneva l’esistenza di un collegamento tra le tesi dei padri fondatori della fisica quantistica e gli assunti di alcune religioni orientali, tra cui soprattutto il taosimo e il buddhismo. Il suo libro divenne una Bibbia nei campus universitari californiani, dove in quegli anni gli studenti sognavano di cambiare il mondo e condividevano le visioni offerte da Capra nel suo libro. Rispetto a quegli anni, lo scrittore è diventato oggi meno radicale, e nel testo La rete della vita propone una rilettura della storia evolutiva dal punto di vista della cooperazione. 


Attraverso i mondi della storia della filosofia, della scienza, della chimica e della biologia,  Capra propone una nuova visione della vita intesa come trama, rete di relazioni in evoluzione a cui tutti gli organismi viventi si collegano, e interpreta la natura e gli esseri viventi come “sistemi viventi” dove il singolo è strettamente interdipendente dai suoi simili e dal sistema tutto. 
L’approccio meccanicistico era caratterizzato dall’importanza data alle parti, mentre la nuova visione ecologica mette in risalto il tutto. L’autore dimostra come i modelli deterministici ereditati da Newton e Cartesio si siano rivelati sempre meno adatti a favorire la comprensione del mondo e degli individui: "è necessaria una nuova visione sistemica della vita che si fondi sulle relazioni e la somma di queste relazioni, che legano le dimensioni della psiche, della biologia, della società e della cultura, e porti alla configurazione più appropriata che è quella della rete".
La trama della vita è composta da reti che si intrecciano con altre reti, la tendenza comune è quella di ordinare questi sistemi all’interno di sistemi più grandi, secondo una struttura gerarchica, ma ci si accorge che in natura non esistono gerarchie, ma solo reti dentro reti.  Il fenomeno della vita per essere compreso deve essere letto in termini di sistema preso nella sua totalità. In sostanza, “la vita non prese il sopravvento del globo con la lotta, ma istituendo interrelazioni”. 

La rete della vita propone una visione olistica della realtà e della natura simile a quella proposta da James Lovelock nel suo celebre volume Gaia, apparso negli anni ’70 in cui la Terra, “Gaia”, è un grande organismo capace di autoregolarsi con lo scopo di mantenere le condizioni affinché la biosfera, ossia la vita, possa prosperare. Capra scrive che l’evoluzione della vita dai microrganismi fino agli esseri macroscopici, come noi umani, non si è basata solo sulla competizione, ma anche sulla collaborazione altruistica, ed avanza una tesi che finora non ha trovato fondamento negli studi sull’evoluzione. Infatti, la selezione naturale, alla base del motore dell’evoluzione, non si fonda sulla cooperazione ma sulla competizione. 

Il successo dell’essere umano nel suo processo evolutivo, suggerisce Capra, si misura nella sua capacità di fondare comunità e suddividere i compiti tra i diversi membri così da garantire il successo della comunità nel suo insieme.  Stiamo già costruendo una “rete della vita” in cui ciascuno ha il suo ruolo, in una prospettiva di vantaggio per l’umanità nel suo insieme, un “superorganismo” che dovrà trovare infine il suo equilibrio con il resto della biosfera in cui vive. 

Alla maturità 2013 il Ministero dell’istruzione propose, nella scelta “tema libero”, un brano preso da questo testo; Vedi link. Che la cooperazione e la solidarietà tra individui sia la vera forza dell’evoluzione, è tema ancora aperto tra gli studiosi. Però ciò non toglie che la proposta di Fritjof Capra sia un’esortazione per il futuro, soprattutto dei più giovani. 

Cosa è la meditazione - J. Krishnamurti

Cosa è la meditazione?  Jiddu Khishnamurti asserisce che possiamo essere alla ricerca di qualcosa di cui conosciamo;  ma ammonisce "nella meditazione qualsiasi ricerca deve finire"

Gli yogi insegnano a meditare. Tutta l’Asia parla di meditazione, le persone si mettono dieci minuti seduti, si concentrano, fissano un’immagine e meditano, lottano per controllare la mente. 
E' questa la meditazione?
Per iniziare a meditare occorre disciplina per imparare ad osservare cosa avviene interiormenteIn questo processo c'è bisogno di una mente autonoma in grado di prendere coscienza di se stessi, delle proprie illusioni e contraddizioni, ecc. Se si osserva secondo uno schema non c’è auto-conoscenza. 

L'obiettivo è coltivare una mente ferma, tranquilla, attenta, silenziosa per osservare. La mente che osserva non cerca esperienze, osserva soltanto, libera da qualsiasi rumore, assolutamente quieta. Cercare di controllare la mente è una cosa assurda.  Solo il silenzio della mente vi permetterà di ascoltare in completo silenzio.

Quel silenzio della mente NON è possibile se il corpo non è tranquillo. Il corpo deve essere completamente fermo, immobile. Se si riuscirà a fare questo per soli due minuti, in quei due minuti tutto si rivelerà, se si è appreso ad osservare. Il corpo ha una propria intelligenza che la mente e l’intelligenza hanno distrutto indulgendo nel cibo, nel sesso, nelle medicine.


L’illuminazione non arriva tramite un maestro ma dalla comprensione di ciò che siete e di ciò che è in voi. Dovete iniziare questo processo con gioia e felicità senza sperare di raggiungere un risultato. 

Qualche monaco venuto dall’oriente vi ha proposto di fare meditazione e voi lo seguite per avidità. Ogni formula o sistema fa diventare il processo meccanico e ripetitivo. Se praticate diventerete quello che il metodo offre, che non è la verità. Non unitevi a nulla, nessun gruppo, nessuna organizzazione. Vi propongono spesso un Talismano in forma di parole.   

La verità è una cosa vera, il metodo è meccanico. 

Da una parte ci siete voi che praticate e dall’altra il metodo, quindi c’è divisione e conflitto. 

L'osservazione è un apprendere, l'esplorare è un accumulo di conoscenze.  

Perchè volete fare migliaia di esperienze? Perché la vostra vita è miserevole, e volete trasferirvi in un'altra dimensione. Come può una mente simile sperimentare altro che le sue proiezioni ed attività?

Nel processo di meditazione corpo, mente, cervello, e cuore (che si suppone associato all’amore) devono essere in totale armonia.  Krishnamurti esorta ad non intellettualizzare e incontrare quella strana cosa chiamata amore e senza paura. Altrimenti la meditazione diventerà autoipnosi.

Quale è il senso di questa vita, cosa c’è di buono in questo mondo? Tutto questo NON ha alcun senso, ma se nella vita riuscirete ad incontrare quella cosa straordinaria che è l’amore, allora tutto assumerà un senso, diventerete un maestro, una nuvola nel cielo, una foglia che vola nel vento.

Qualsiasi forma di descrizione non è la cosa descritta. Quindi non parlate dell'esperienza della meditazione. Nessuno può nominare ciò che non si può nominare, sia che si tratti del tutto o del nulla.   Chiunque lo descriva, non lo conosce. Chi dice di sapere, non sa.

Concludo con una domanda di J. Krishnamurti:
"L'amore può essere diviso in sacro e profano, umano e divino, o c'è solo l'amore?".

La sintesi dello yoga - Sri Aurobindo

Sri Aurobindo (1872 - 1950) è stato un filosofo e mistico indiano, considerato dai suoi discepoli un avatar, un'incarnazione dell'Assoluto. Poeta, scrittore e maestro di yoga, si distinse anche per il suo impegno politico in favore dell'indipendenza dell'India. Ho visitato la sua tomba, nel cortile interno dell'ashram di Pondicherry (India), un luogo dove si respira un'incredibile atmosfera di pace.  Al suo fianco è sepolta Mére, la sua collaboratrice spirituale che l'aiuto a fondare l'ashram.  Vedi link: Link - 1           Link - 2

La sintesi dello yoga è un testo scritto da Sri Aurobindo dove viene descritto lo yoga integrale, che è un orientamento di tutto l'essere, in ogni sua parte verso il Divino. Ne consegue che nella pratica spirituale, insieme alla devozione (bhakti yoga), devono esserci la conoscenza (jnana yoga) e l'azione (karma yoga).  La mera idea o la ricerca intellettuale di qualcosa di superiore, per quanto intenso possa essere l'interesse che suscita nella mente, rimane inefficace se non viene assunta dal cuore come l'unica cosa desiderabile e dalla volontà quale sola cosa da fare.

La ricerca spirituale mira ad uno stato di conoscenza che ci permette di raggiungere quest'eterno, infinito, assoluto, di entrare in Lui o di conoscerlo per l'immedesimazione. Questo stato di conoscenza che dobbiamo raggiungere è il Nirvana, l'estinzione dell'ego, la sospensione di tutte le attività mentali. Il mezzo è la meditazione.

Il pensiero serve solo ad esplorare il sentiero, Il conduttore del viaggio è la volontà. Solo eliminando la falsità dell'essere che appare come ego, eliminando l'ignoranza possiamo percepire questo assoluto. 

Esiste una conoscenza al di là del nostro intelletto, al di là dell'individuo e dell'universo. Esiste qualcosa di indescrivibile e inafferrabile in cui possiamo dissolverci abolendo la nostra personalità. L'assoluto, il Sé, il Supremo è il nostro più alto e più vero sé, è la Persona da cui siamo usciti nella nostra natura manifesta. Nemmeno la vita, la forza vitale è il vero sé, né la materia. 

Se si scopre il vero sé, si scopre che esso non è questa individualità creata, ma un essere universale nel rapporto con gli altri. Questa suprema esistenza non è condizionata né dall'individuo, né dall'universo. Non è né l'uno, né l'altro. E' neti, neti, né questo, né quello. E' indefinibile, senza attributi, senza relazioni.  L'oggetto dello yoga  e della conoscenza spirituale non può essere che questa eterna realtà, il Brahman.

Dobbiamo raggiungere una più grande coscienza, che la nostra semi-cosciente umanità non possiede, ed è possibile ottenerla solo con un'ascesa spirituale. Una coscienza segreta al di là della mente, nascosta nelle profondità dell'esistenza. La conoscenza che viene dai sensi e dal ragionamento intellettuale è solo una scienza delle apparenze. Infatti il jnana yoga serve solo a sgombrare il sentiero, il giusto modo di pensare diviene efficace solo quando è seguito dall'esperienza, dalla visione e dalla realizzazione. Le porte dell'anima possono aprirsi solo dall'interno all'esterno. L'osservazione di sé e l'auto-analisi sono un'importante ed efficace introduzione all'interiorità vera. 

"Conosci te stesso" è la parola d'ordine della vera conoscenza. La realizzazione consiste in tre successivi movimenti: la visione interiore, la completa esperienza interiore e l'identità con il vero Sé.  

sabato 24 luglio 2021

Prove di dialogo fra scienza e buddhismo - Istituto Mind and Life

Prove di dialogo fra scienza e buddhismo.  di Pier Luigi Lisi   vedi link

Uno degli aspetti più interessanti della diffusione del Buddhismo in Occidente è l’alto numero di scienziati che hanno partecipato ai dialoghi tra scienza e buddhismo. Una misura di questo è data dalle conferenze dell’Istituto Mind and Life, costituito nel 1991 dal presente XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, Francisco Varela e Adam Engle, con lo scopo appunto di promuovere il dialogo tra la tradizione buddhista e il pensiero scientifico moderno.

Fisici di chiara fama, come Anton Zeilinger, Stephen Chu, David Finkelstein, astrofisici come George Greenstein, neurobiologi come Wolf Singer, Tanja Singer, Richard Davidson, Cliff Saron, Antonio Damasio, filosofi e sociologi come Charles Taylor, Michel Bitbol, Paul Ekman, Patricia Churchland, Alan Wallace, Daniel Goleman, Anne Harrington, Bunker Roy, biologi e genetisti come Eric Lander e Ursula Goodenough, hanno preso parte a questi incontri,  e la lista potrebbe facilmente arricchirsi fino a raggiungere un centinaio di illustri nomi di accademici. 

Inoltre, tali conferenze di dialogo si sono svolte non solo a Dharamasala, in India, la sede in esilio del Dalai Lama, ma nei maggiori centri accademici in USA e Europa, in grandi città come New York, Boston, Zurigo, Vienna, Chicago, e centri accademici tradizionali come il MIT, la Rockfeller University, la Wisconsin University, il Politecnico di Zurigo, diverse università romane.

Il possibile punto di contatto e dialogo tra il mondo della scienza e il buddhismo è reso più facile dall’atteggiamento estremamente aperto del presente Dalai Lama, che ha, notoriamente, un profondo rispetto e interesse personale per la scienza, tanto da dire “La mia fiducia nell’avventurarmi nella scienza è basata nel fatto che credo, che sia la scienza, che il buddhismo perseguano la comprensione della realtà della natura per mezzo di indagine critica. Se l’analisi scientifica arrivasse a dimostrare nel modo più conclusivo che certe affermazioni del buddhismo sono false, allora dovremmo accettare le conclusione della scienza e abbandonare tali affermazioni.

I buddhisti credono nella reincarnazione. Ma supponiamo che la scienza, attraverso una serie di metodi, riesca a dimostrare conclusivamente che la reincarnazione non esiste. Allora dobbiamo accettarlo.

Immaginate se una cosa del genere fosse stata detta da uno dei nostri Papi del passato a proposito dell’anima… Poi però, altrove, il Dalai Lama aggiunge qualcosa di molto acuto che gli permette di mettere le mani avanti: “Tuttavia, bisogna fare una chiara distinzione tra quello che non viene trovato dalla scienza, e quello che invece la scienza dimostra essere non-esistente. Dobbiamo accettare come non-esistente tutto quel che la scienza dimostra essere non esistente; ma quel che la scienza non riesce a trovare, è tutto un altro discorso.”  E aggiunge che un esempio di questo è dato dalla coscienza…

Perchè esiste questo interesse degli scienziati per il Buddhismo? C’è un terreno comune tra scienza e buddhismo? Può l’uno imparare dall’altro, e in che modo?

Il Buddha, nel V secolo a.C., aveva come fine ultimo la liberazione dell’umanità dalla sofferenza e dall’ignoranza. Il cammino proposto dal Buddha per affrancarsi dalla sofferenza, insita nella condizione umana, era un cammino per liberarsi della ignoranza. In tale cammino, nel Dharma, basato sulle quattro “nobili verità" enunciate dal Buddha, si trattava di trovare (con la cosiddetta illuminazione) la natura vera delle cose. Chiaramente, questo è un discorso di prassi filosofica ed etica. Si trattava quindi di un cammino in cui la retta cognizione e il retto comportamento morale sono i cardini principali. Ecco che il cammino del Dharma diventa anche un percorso di filosofia pratica.

La metodologia. Un possibile punto di incontro è dato dal fatto che sia il buddhismo, sia la scienza, hanno come cardine principale la sperimentazione. Questo è ben noto ovviamente nella scienza. Diceva Richard Feynman: “Il principio della scienza, quasi la sua stessa definizione è il seguente: il testo della conoscenza è l’esperimento. L’esperimento è il sole giudice della verità scientifica”.  Ed ecco come il Dalai Lama gli fa eco:  “Quando si pone il problema della validazione della verità di una certa asserzione, il Buddhismo pone la autorità più grande nell’esperienza, poi nella ragione, e per ultimo nelle Scritture”.  Questa non è solo l’idea di un Dalai Lama moderno, ma viene da molto lontano. Vic Mansfield cita il testo di un famoso Sutra (testo sacro), parole quindi ascrivibili secondo la tradizione al Buddha stesso, che recita:  "I monaci e gli studenti devono accettare la mia parola non per rispetto, ma devono analizzarla così’ come un gioielliere analizza l’oro, tagliandolo, fondendolo, incidendolo e strofinandolo”.

In effetti tutti i grandi maestri del Buddhismo insistono molto sul concetto che non si deve credere ciecamente alle scritture, né al proprio guru, ma che ci si deve basare soprattutto in quello che si trova con la sperimentazione personale. C’è la celebre immagine per cui “uccidi il Buddha se lo trovi sul tuo cammino”, che implica, che anche il maestro può essere un impedimento nel percorso che porta alla conoscenza.  

Un primo punto essenziale di differenza è il modo in cui sono sperimentate queste verità. La sperimentazione del buddhista è a livello soggettivo, di esperienza personale, non ha niente a che fare con i criteri di oggettività sperimentale Galileiana, o della inter-soggettività dei principi della scienza moderna. Uno deve convincersi di certe verità lavorando e sperimentando, ma solo su se stesso, magari con l’aiuto di un maestro, ma si tratterà sempre di una conoscenza in prima persona. Esiste un’esperienza mistica a seguito della meditazione? Non c’è modo di dimostrarlo oggettivamente: il maestro ti dirà di perseguire nella meditazione, fino a che tale esperienza profonda non ti arrivi: e se arriva, questa sarà incomunicabile al mondo esterno, nemmeno condivisibile a parole.  Con questo discorso si tocca anche un problema che è venuto recentemente alla ribalta anche nel campo più propriamente scientifico. Che valore si deve attribuire alle esperienze soggettive? Anche perché, secondo la visione della scienza moderna, l’osservatore non può più essere escluso dal risultato degli esperimenti. 

Comunque tra scienza classica e buddhismo c’è una differenza sostanziale: da una parte l’introspezione e la sperimentazione personale e soggettiva, dall’altro invece il discorso dell'oggettività o per lo meno della inter-soggettività. Questo è riassunto bene nella seguente citazione presa dal libro di Mansfield “Così’, si può vedere che, a dispetto delle similitudini riguardo all’autorità, alla ragione, e alla necessità della verificazione empirica con l’esperimento, ci sono differenze significative tra scienza e buddhismo. Questo non può essere una sorpresa, considerando che la scienza è lo studio della natura in tutte le sue forme, mentre il Buddhismo è primariamente rivolto alla eliminazione della sofferenza. Tuttavia, siccome la ragione della sofferenza è la nostra incapacità di comprendere la vera natura della realtà - che include il dominio della scienza - allora possiamo anche aspettarci profonde connessioni tra il Buddhismo e la scienza”.

Forse il punto di contatto più forte tra scienza e Buddhismo è nel concetto buddhista di vacuità . Il concetto di vacuità - è il fondamento della visione buddhista delle cose e della natura. Nella sua essenzialità, questo principio dice che tutte le cose e tutte le persone sono prive di un’esistenza indipendente, prive di una loro realtà intrinseca. Se tu cerchi qualcosa che abbia una propria realtà intrinseca, trovi il vuoto - la vacuità (da non confondere con il nulla). E questo è così perché ogni cosa e ogni persona dipendono da una serie di cause: l’albero dipende dal seme ma anche dal terreno, dalla pioggia, dalla temperatura, dal contadino…; e l’esistenza del contadino dipende dai suoi genitori, dal cibo che ha mangiato, dai suoi fornitori di cibo e di lavoro. Non esiste niente di indipendente, niente che abbia una valenza di realtà intrinseca, ogni cosa dipende invece da una rete multidimensionale di cause. Il concetto di emptiness è quindi anche equivalente alla causalità molteplice, ogni cosa, ogni persona, è il risultato di una catena lunga e complessa di con-cause. Il che anche vuol dire che, quello che è importante non è tanto la esistenza degli oggetti di per sé, ma le relazioni che determinano e definiscono tali oggetti. Ci avviciniamo con questo alla scienza moderna, in particolare alla visione sistemica della vita e della scienza. 

Secondo la visione sistemica, quello che è importante sono le relazioni tra le cose piuttosto che gli oggetti di per se stessi. Per esempio nella visione sistemica della biologia, la vita è un fenomeno d’integrazione, è data dalla rete di relazioni di tutti gli organi tra di loro, poi ogni organo è l’integrazione di tutte le cellule tra di loro, la vita di ogni cellula è data dalla intera rete metabolica, etc. La vita non è dovuta a una cosa, a una reazione, a una molecola: è la rete stessa. E così è per la società, per la natura, per l’ecologia (Vedi gli ultimi testi di Fritjof Capra). 

Si tratta in fondo di una visione non-riduzionista, che accomuna quindi strettamente la scienza moderna con la visione buddhista delle cose. Si deve notare – punto saliente nel Buddhismo - che tutta questa rete di dipendenza reciproca fa si che non ci sia una causa prima - quindi un Dio creatore.

Si deve aggiungere a questo punto un altro concetto importante della filosofia buddhista, il concetto di impermanenza. Tutto quello che nasce è destinato a morire. Non c’è niente che abbia valenza di eternità. E anche nell’impermanenza c’è una catena di causalità. Il concetto di impermanenza è quindi collegato al concetto di vacuità, e la molteplice causalità è la componente principale di entrambe le cose. Mansfield, dedica molte pagine al rapporto tra vacuità e meccanica quantistica. Afferma per esempio che le particelle elementari - elettroni e fotoni per esempio - sono indistinguibili l’uno dall’altro e quindi non possiedono una individualità intrinseca. Importante è il concetto di non-localizzazione  "un fotone non può essere chiamato particella, o onda, se non dopo che l’operatore ha usato un particolare congegno per svelarne appunto la natura, o come particella o come onda". Quindi l’essere onda, o particella, dipende da tutta una serie di con-cause esterne, tra cui l’operatore e il suo strumento di indagine. Non esiste quindi una realtà intrinseca di per sé della luce o dei fotoni.

Interessante è anche quello che scrive Mansfield a proposito dell’esperimento EPR (Einstein-Podolski-Rosen), sull’entanglement (intreccio) dei due elettroni sparati in direzioni oppose. Il fenomeno può essere interpretato affermando che un elettrone esiste in un particolare stato (per esempio di spin) a causa di una correlazione con un’altra particella, ma che lui stesso non ha un’intrinseca esistenza. L’EPR paper fu concepito come critica alla meccanica quantistica, giudicata incompleta da Einstein. Einstein dice “…..appare essenziale per questa configurazione di oggetti introdotti in fisica, che, in un certo tempo, questi oggetti richiedano una esistenza indipendente l’una dall’altra, una volta che tali oggetti giacciono in parti diverse dello spazio. Senza questa assunzione, che ha un’origine in ogni pensiero comune, il pensiero fisico che ci è familiare non sarebbe possibile…”.

Questo è molto interessante nel nostro contesto, perché rappresenta esattamente l’opposto di quanto affermato nel concetto di vacuità buddista. Giustamente Einstein si basa sul buon senso comune - ma è proprio questa imputazione di separabilità e di indipendenza, prodotti della nostra mente, che il Buddhismo condanna come fonte dell’ignoranza di cui dobbiamo liberarci per arrivare alla verità.

Un altro soggetto scientifico interessante, oltre a quello della meccanica quantistica, è fornito dalla teoria della relatività. Secondo la relatività einsteiniana, cose come il tempo, la massa, la lunghezza, l’energia, non hanno un valore assoluto, ma dipendono dal sistema di riferimento in cui tali grandezze sono misurate. Quindi, usando un linguaggio buddhista, si può dire che non hanno un’esistenza intrinseca, non hanno un’esistenza indipendente. Siamo quindi di nuovo al concetto di vacuità.

Dalla biologia alla coscienza.  Cominciamo con l’origine della vita sulla Terra. Su questo problema, il predicato principale della scienza è che la vita sia sorta dalla materia inanimata, e questo attraverso un lentissimo e spontaneo processo di aumento di struttura molecolare e funzionalità. E’ quindi un processo basato sul principio di continuità, per cui cioè c’è un graduale e omogeneo evolversi della materia, senza che ci sia trascendenza dall’esterno. Tale principio è in armonia con il discorso buddhista di una continuità di cause successive. Tuttavia la scienza moderna vede la vita come una qualità nuova, emergente rispetto alla materia inanimata, e tale salto di qualità non è contemplato dal buddhismo classico. Infatti, nel buddhismo si ha difficoltà ad accettare che a un certo punto dell’evoluzione sia venuto fuori qualcosa che prima non c’era, per esempio la mente, o la coscienza. 

In questa chiave, per quanto riguarda l’evoluzione Darwiniana, si dice che il Dalai Lama e il buddhismo in generale abbiano difficoltà ad accettare il concetto di mutazione random, in quanto questa appare come qualcosa che accade senza una causa. Qualsiasi mutazione, è contingente alla struttura pre-esistente e la sua particolare organizzazione.

Un’interpretazione della evoluzione puo' essere legata al concetto buddhista di karma. Questa è una causalità a livello etico - ed è connessa al concetto di reincarnazione. Le azioni cattive condotte in una vita – dicono i buddhisti - si trasmettono alla vita successiva, di generazione in generazione, così che ognuno di noi rappresenta l’accumulo di tutta una serie di azioni, positive o negative, compiute in tutte le vite precedenti. Con il concetto di karma e di reincarnazione, si toccano gli elementi più ostici del buddhismo, quelli con cui il nostro mondo occidentale scientifico ha più difficoltà. E questi due concetti sono a loro volta fondati – o strettamente correlati - a un altro concetto basilare, quello della coscienza sottile.

Per la nostra scienza esiste una diretta dipendenza tra cervello e coscienza – una specie di relazione diretta tra cervello, mente e coscienza. Ci sono due accezioni principali del temine coscienza nella nostra letteratura presente, che si rifanno alla celebre definizione del filosofo inglese David Chalmers. Secondo Chalmers, c’è il problema facile, e il problema difficile della coscienza, the easy and the hard problem. L’easy problem ha a che fare con gli aspetti cognitivi della coscienza, gli atti volitivi, coscientemente intenzionali, la coscienza di qualcosa (si chiama easy problem non perché sia facile capirne il funzionamento, ma perché almeno si vede una connessione con gli aspetti neuronali, meccanicistici del cervello). Poi c’è invece l’aspetto soggettivo della coscienza, la esperienza personale per esempio della sensazione del colore blu, della gioia, della paura… Questa è appunto l’esperienza individuale, incomunicabile, intima, che corrisponde veramente a un livello diverso di coscienza. E quando si raggiunge tale livello, e se ne ha la percezione, allora si può raggiungere un terzo livello, quello del sapere di sapere, cioè il livello auto-riflessivo della coscienza. E su questa dimensione di esperienza soggettiva della coscienza, l’hard problem, secondo Chalmers, non abbiamo una spiegazione. Non sappiamo neppure perché esista. La maggior parte della scienza neurobiologica vede tutti gli aspetti di coscienza come derivanti, in un modo o nell’altro, dal cervello. In questo senso anche l'hard problem ha una base materiale, ed è una proprietà emergente del cervello. 

Il mondo buddhista, il Dalai Lama in particolare, accetta la nozione che il cervello sia fondamentale per tutta una serie di atti di percezione cognitiva, a livello appunto di un livello più grossolano (gross level); ma poi c’è appunto per i buddhisti la subtle consciousness, che è la base stessa della illuminazione e dei meccanismi di reincarnazione. E appunto, il lato caratteristico è che questo livello di coscienza non ha, per il Dalai Lama, una base materiale.

E’ chiaro che la scienza moderna nella sua forma più tradizionale non può accettare il concetto di karma e di reincarnazione, né quello di una coscienza senza una base materiale - e quindi qui c’è un terreno di non-accordo. Il concetto di karma è correlato al comportamento morale, all’etica in generale, e questo è un punto essenziale del buddhismo, che non si ritrova nella scienza. Per questo, ritorniamo per un momento al concetto di vacuità, per cui tutte le cose, e tutte le persone, hanno un senso solo se viste e comprese in una rete di relazioni. Per il buddhismo, questa rete di relazioni porta al concetto di considerare il prossimo come parte di se stessi, a coltivare quindi sentimenti positivi per aiutare il prossimo nel cammino diretto a liberarsi della sofferenza. Porta a un concetto fondamentale del buddhismo, quello di compassion, il sentimento, coltivato e coltivabile, di empatia per la sofferenza altrui, e il desiderio di aiutare il prossimo nel cammino della liberazione dall'ignoranza e quindi dalla sofferenza.  Ovviamente per la scienza, la visione che gli elettroni siano particelle prive di individualità, etc., non porta necessariamente a una visione etica, a vedere il prossimo e la natura in qualche modo più ricco di moralità. Forse un’eccezione è data dalla visione sistemica della vita a livello della ecologia, dove appunto tale visione diventa coscienza di un rispetto per la natura e per il prossimo, anche per salvaguardare il futuro del nostro Pianeta. 

Riferimenti bibliografici

  • The Dalai Lama, The universe in a single atom. The convergence of Science and Spirituality. 2005.
  • Sidney Piburn, “A Policy of kindness. An Anthology of writings by and about the Dalai Lama”, 1990.
  • Vic Mansfield, "Tibetan Buddhism and modern physics", Templeton Foundation Press, 2008.
  • Richard Feynman, The physics lectures of Feynman on physics, 1989.
  • Pier Luigi Luisi, Mind and Life, Dialogues with the Dalai Lama on the nature of reality, 2006.
  • Fritjof Capra, The Hidden Connections, 2002.
  • Fritjof Capra and Pier Luigi Luisi, The system view of life.
  • Albert Einstein, “Einstein on locality and separability", 1949.
  • Humberto Maturana e Francisco Varela, The tree of knowledge, 1998.
  • David Chalmers, The Conscious Mind, 1996.
  • Michel Bitbol, "Is Consciousness Primary?", 2008.
  • Michel Bitbol and Pier Luigi Luisi, "Science and the Self-Referentiality of Consciousness", 2011.

A casa dello Yogi

 A casa dello yogi, esperienze di yoga nell'ashram italiano di Angelo Fanelli (2017).

In questo libro Angelo, che ho incontrato più volte proprio a Casa Yog (a Perugia, vedi link https://www.casayog.com/ ), descrive il suo incontro con il Maestro Gyanander e riporta le esperienze delle persone che hanno frequentato l'ashram, da quando è stata fondato, il 9 luglio 2005 ad oggi. 
Parla di come Gyanander è arrivato in Italia nel 1986 per il grande meeting organizzato dalla rivista Astra a Riva del Garda (Trento). E descrive l’esperienza del Samadhi di Gyanander a Riva del Garda che è stata documentata anche da Paola Giovetti in “Miracoli e magia”, sulla rivista Astra, novembre 1986. Paola Giovetti è una delle più grandi esperte di spiritualità ed esoterismo in Italia.  Il Samadhi o Turya è lo stato supremo dello Yog durante il quale lo yogi è in grado di sospendere le sue funzioni vitali, condurre la propria mente ad un livello di concentrazione così profondo e totale da sciogliere totalmente la distinzione tra osservatore ed osservato, tra interno ed esterno, tra passato, presente e futuro.  Poi lo stessa esperienza fu condotta in una stanza di ospedale sotto stretto controllo medico, e riportata sempre sulla rivista Astra nel febbraio 1988. Dopo quattro ore gli elettrodi rilevavano la temperatura di Gyanander a 26 gradi, battito cardiaco nullo, capacità di resistenza epidermica aumentata. Sulla base di questi dati vennero formulate quattro ipotesi: Gyanander è morto, ha fermato il cuore, ha staccato gli elettrodi, la macchina non funzionava. Durante l'esperimento Gyanander è rimasto per quattro giorni in quella posizione, quando si è risvegliato era in perfetta forma e solo i valori del sangue e delle urine erano un po’ alterati, e che si sono ristabiliti dopo due giorni.

Angelo descrive anche l'importanza di praticare yoga per noi occidentali: "Qualsiasi forma di esercizio che prevede l’impiego di qualcosa di più delle semplici dita su una tastiera è un grosso aiuto per sopravvivere nel caos del mondo attuale. Qualsiasi yoga, vannamarchizzato o meno. Un’altra cosa è quando ci poniamo il problema di capire cosa stiamo cercando". 
Soprattutto nella società odierna dove imperano i media e i social network  e dove è prioritario "Partecipare ad eventi sociali, condividere su Facebook, cercare su Internet, localizzarsi e localizzare altri con lo smart-phone, allungare la lista delle amicizie, accumulare "Like", cliccare, cliccare… (...). 
Una gigantesca giostra che gira gira gira e ad ogni giro nasconde sempre di più la stessa domanda: come mai in questa montagna di relazioni non riesce a partorire il singolo topolino di un vero contatto con gli altri? Un contatto vero: come mai non si riesce a coprire la distanza che ci separa dall’incontrarci, dal conoscerci? Selfie dopo Selfie, post dopo post, quello che se ne va è tutto ed ogni cosa. Messaggi, email, sms, WhatApps, faccine, links. Un torrente inarrestabile che non fa che rendere più evidente, se sai guardarci dentro, lo scoramento che pervade un’intera civiltà, la nostra.

Noi occidentali cerchiamo semplicemente a sopravvivere, tentando di soffocare l’angoscia esistenziale in un mare di rumori, divertimenti, impegni e distrazioni di ogni genere per evitare di rimanere soli con noi stessi. Siamo terrorizzati dal vuoto e dal silenzio. Giocando con le emozioni più potenti (rabbia, paura, desiderio, ignoranza ...) possiamo arrivare a procurarci un mare di problemi supplementari e arrivare a danneggiare il nostro corpo o addirittura distruggere se stessi. Finiamo per temere talmente la morte da avere paura di vivere!  Anche le parole diventano spesso delle etichette inutili, ne siamo talmente ricoperti da non accorgerci più di questa spessa coltre che copre la realtà delle cose.

  
Casa Yog è uno spazio protetto dalle assurdità del mondo che accoglie gli esseri umani in cerca del loro silenzio. "Dopo qualche tempo di pratica la fatica principale consiste nell’uscire dall'ashram e addentrarsi nel mondo. Lo Yog ti permette di trovare la personale soluzione ai vari problemi. Una fatica nello Yog è quella di sforzarsi di non guardare il risultato, con lo Yog gli esercizi portano sempre allo stesso punto: al nulla". Parlando della propria esperienza Angelo si racconta: "Nei primi mesi di pratica delle asana, percepivo lo Yog a portata di mano, ad un solo palmo di distanza: potevo quasi toccarlo, tanto era vicino: Dopo sei mesi, avevo coperto quella distanza, ma a quel punto lo Yog si trovava cento metri più avanti. Impiegai un anno a percorrere quei cento metri, e subito mi accorsi che lo Yog era in realtà a dieci chilometri. Dopo anni, con fatica, errori, ingenuità e ripetizioni, sono riuscito a percorrere quei 10 chilometri. Adesso, ho timore ad alzare lo sguardo".
A differenza dello yoga vannamarchizzato che si concentra esclusivamente sull’esercizio fisico, la pratica dello Yog incorpora diverse pratiche che non toccano direttamente il corpo, quanto piuttosto l’equilibrio della mente che hanno come obiettivo di: calmare il flusso incessante di pensieri, preoccupazioni, affanni e raggiungere un livello superiore di armonia, pace, quiete. Oltre l’alfabeto delle asana ci sono i kirtan, i mantra  ossia pratiche che tendono ad agire sull’equilibrio psicofisico.

Lo Yog non è un impegno in agenda, ma un luogo fuori dal mondo. Lo Yog è un riscoprire che l'agire sul corpo, in sintonia con esso, è un modo diretto, semplice ed intuitivo per arrivare al silenzio interiore. L'obiettivo è cercare di fare sempre di meno, diventare più sensibili, meno violenti nel e con il corpo (e, di conseguenza, anche con il prossimo!), più aperti all’ascolto della propria quiete. Yog quindi come unione con il silenzio, lentezza, delicatezza, cautela, rispetto che sono i veri e propri frammenti del DNA dello Yog.  Nello Yog bisogna imparare a gestire le emozioni, gestire meglio il corpo e la mente in una realtà relativa sempre più complicata. Attraverso lo yoga si intuisce come mente/determinazione influeinzino ogni nostra esperienza. L'obiettivo dello Yog è ritrovare il nostro stato naturale, la nostra reale identità che è SAT CIT ANANDA (esistenza, verità coscienza, consapevolezza e beatitudine ).

 Molte persone con sofferenze psichiche o fisiche si avvicinano a Gyanander. Il dolore, per l’essere umano, è come Google, un motore di ricerca. Senza il dolore, in questo mondo l’uomo non cercherebbe nulla. Qualcuno ricerca per intelligenza, ma sono pochi. La maggior parte ricerca per sofferenza: in genere chi si avvicina allo yoga è perché sta male, fisicamente o psichicamente ed ha grandi difficoltà ad ascoltarsi. Pochi iniziano a praticare per cercare un significato diverso della vita. Lo Yog ti aiuta a capire che il dolore è importante, serve per ascoltarti, per sentirti.

Quale è la differenza tra lo yoga vannamarchizzato e lo Yog?

  •  Nel primo caso gli allievi e istruttore sono caratterizzati da differenze minime nel loro livello di esperienza e qualità delle vibrazioni (la differenza è che il primo ha seguito un corso di formazione di un mese in India). L’avere degli allievi consente all'istruttore di trovare la benzina per continuare, lui avanza e gli altri spingono. Un insegnante di yoga per quanto bravo non è un Maestro, e non tutti i maestri sono uguali, o adatti a qualunque persona. Non possiamo affidare il nostro corpo a qualsiasi persona.
  •  Nel secondo caso, quello dello Yog, Maestro e discepoli sono separati da una distanza siderale, Maestro e discepoli cercano di incontrarsi, sperimentando questa distanza che forse un giorno si colmerà. Il Maestro è un costante richiamo a ciò che l’essere umano può diventare. Lo Yog è una speciale vibrazione che si espande nel tempo e nello spazio rendendoli più armonici, sollevando il mondo dal caos.  Purtroppo la parola Maestro non è molto amata dagli occidentali e purtroppo lo Yog, è un contesto in cui la logica abnorme del consumismo non funziona, e se ti va bene non concludi niente di significativo. Per avanzare nello Yog bisogna trovare una buona relazione con un Maestro autentico, basata sulla fiducia.

 Lo stile dì insegnamento di Gyanander è quello di dare solamente delle indicazioni a voce sulle posture da tenere, istruzioni minime, lasciando a ciascuna persona la libertà di muovere il proprio corpo secondo ciò che si sente. Corregge raramente una posizione sbagliata, questa scelta crea un enorme spazio che ciascuno può occupare, non c’è un giusto o sbagliato, ma solo un corretto per te. Il corpo è un dono. Proteggilo. Abbine cura.

Poi Angelo descrive la cerimonia del kirtan che si celebra mensilmente a Casa  Yog: "Quando ho partecipato per la prima volta al kirtan, entrando nella sala ho trovato una trentina di persone sedute che cantavano mantra all’unisono mobilitando una massa di energia impressionante, semplicemente accompagnati dal suono di un semplice tamburo. In una mente razionale il primo pensiero che emerge è la paura, che ripetere in maniera ossessiva questi mantra si rischia di lasciarsi ipnotizzare, questo però ti porta inevitabilmente ai margini dell’esperienza, a starne fuori, e quindi  pur rimanendone affascinato, ad essere spettatore".  Il kirtan, che si basa sul canto di veri mantra, è il momento di liberazione delle emozioni, o d’incontro con un lato nascosto del proprio sé. La modalità tradizionale praticata a Casa Yog è fatta con l’ausilio della cimta (uno strumento musicale che assomiglia alle molle del camino con piccoli piattini metallici) e il pakhawaj (un tamburo orizzontale con due facce contrapposte che si suona sia con la mano destra, che con la sinistra).  Il kirtan è un’estensione di ciò che avviene all’inizio o alla fine di ogni lezione di asana ossia il cantare per tre volte l’AUM ( o OM ) che è il cuore dello Yog, la sillaba sacra.

Poi l'autore sottolinea il Non senso della vita in questo periodo storico: "Per le aziende, le persone l’avidità è eletta a principio regolatore, per mantenere questa curva esponenziale non rimane che concedere al drago il pianeta e le sue risorse".  Sottolinea inoltre, l'ignoranza e la confusione totale che regna in Occidente, mangio pesce e sono vegano, ho già l’iniziazione e il mantar. 

Inoltre, in Occidente c’è la ricerca ossessiva di diplomi e certificazioni invece di ricercare una strada per ottenere la pace e per uscire dal caos. "Oggi il karam di tutto il mondo è peggiorato, aumentano le malattie, l’alimentazione è inquinata…, in questo periodo di kali yuga, dove tutto è inquinato, anche mentalmente, ognuno deve cercare di migliorare se stesso. Lo Yog è una perla preziosa: dire Yog è dire vita perchè può curare il mondo, la società, e, alla fine, ognuno di noi. Ma se siamo noi, la società, il mondo, a vannamarchizzare lo yoga, allora lo Yog non diventa altro che una perla si, ma da sbriciolare sotto i denti e sputare sul marciapiedi".

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Appendice.   

Il Gayatri Mantra noto come Savitri mantra, dedicato a Savitri: il Sole: OM Bhr bhuva svah Tàt savitur vàre(i)yam,  Bhargo devasya dhmahi Dhiyo yo na prachodayt.                                                        La traduzione di Swami Vivekananda è la seguente: “Meditiamo sulla gloria di colui che ha creato questo universo; che Lui possa illuminare le nostre menti".

OM TAT SAT, queste tre parole, designano il Brahman. Il pravana, la sillaba sacra OM è il suono primordiale della creazione, l’eco inesauribile del Brahman, il principio assoluto, TAT si traduce con il pronome dimostrativo quello, il disvelato, SAT è il participio presente del verbo essere ed indica “Ciò che è”.  

Karlfried Graf Dürckheim

Karlfried Graf Dürckheim (1896 - 1988) rimane una delle più grandi guide spirituali del cammino iniziatico. Avendo raggiunto l'unità interiore estatica attraverso la pratica e l'esperienza meditativa dello zen, la adattò alla mente occidentale, permettendo a molte persone di scoprire la presenza divina nel loro essere più profondo.

Chi era veramente Dürckheim?  Da non confondere con David Émile Durkheim (1858-1917),  un sociologo francese considerato come uno dei fondatori della sociologia moderna.

 
Nato a Monaco, nella patria dei grandi mistici renani, Karlfried divenne professore di filosofia e psicologia all'Università di Lipsia e Kiel. Influenzato da Lao-tzu e dal maestro Eckhart, che risvegliò in lui l'attrazione della profondità, si iniziò alla meditazione. Durante un lungo soggiorno in Giappone, incontrò dei maestri Zen e praticò degli esercizi che permettevano l'espressione di quello che lui chiamava "l'Essere essenziale: l'identità sacra immanente ad ogni essere umano". Questa esperienza rivelatrice fece di lui il testimone vivente di un'altra realtà al di là dello spazio e del tempo, il testimone e profeta di una vera religiosità basata sull'esperienza personale del contatto con se stessi.

Per Dürckheim, un tale contatto diventa possibile, in particolare, attraverso la meditazione, che permette di lasciare che il vuoto si depositi in se stessi e così "lasciarsi accogliere da qualcosa del Tutto Altro". Questo contatto è possibile anche grazie al radicamento nella vita concreta. Ed è senza dubbio qui che si trova l'originalità e la profondità dell'insegnamento del maestro: "Il fine dell'esistenza è proprio quello di cercare in ogni occasione l'unificazione tra il nostro Essere esistenziale o sociale, dipendente dallo spazio, dal tempo e dalla materia, e il nostro Essere essenziale senza limiti".  Che potrebbe essere tradotto come cercare di conciliare l'immanenza con la trascendenza.

 Quando tornò in Germania nel 1947, Dürckheim incontrò la sua ex studentessa e futura moglie, Maria Hippius. Insieme a lei, fondò un centro di formazione in psicologia esistenziale, che sarebbe diventato una Scuola di Terapia Iniziatica. Ogni giorno, Dürckheim consultava, guidava e curava, proponendo esercizi sul corpo volti al rilassamento dell'essere, preliminare essenziale all'espressione dell'Essere profondo. Ma soprattutto, promuoveva la vita quotidiana nella sua forma più salutare. "Tutte le nostre attività," dice, "tutte le situazioni della nostra vita possono diventare esercizi sul cammino non appena coltiviamo l'arte di vivere nel momento presente".

 Ciò che è importante, dice, è testimoniare ciò che siamo, "accordarci come uno strumento in modo che il suono dell'Essere risuoni in noi". Questo, dunque, è il cammino della maturità spirituale: ristabilire qui e ora il contatto con la nostra fonte divina. È questa intima comunione dell'Io e del Sé che eleva la coscienza e le permette di sentire il senso della vita, delle prove, della sofferenza, della morte...  È questa comunione che libera in noi un'incommensurabile energia d'Amore che ci fa gustare la non dualità e il desiderio dell'evoluzione perpetua. 

Riscoprendo la vera identità, Karlfried Dürckheim è riuscito a dare un nuovo significato alla parola "spiritualità", termine ad oggi molto abusato in Occidente.

Nel libro Meditare perchè e come: verso la via iniziatica, Dürckheim  presenta la somma delle sue conoscenze ed esperienze e il testo è un'introduzione approfondita della meditazione. Con la meditazione, possiamo capire e praticare diverse cose. Ma qui, nella prima parte del testo, la meditazione di cui parla l'autore è intesa come esercizio iniziatico che tende alla scoperta dell''Essere essenziale e ad assumere una forma nel mondo. Nella seconda parte si considerano le condizioni e gli esercizi preparatori, seguiti dall'esercizio stesso della meditazione, in tre modi:

  • esercizi piuttosto passivi (zazen);
  • esercizi più attivi che servono per l'allenamento e per la realizzazione di un'attività utile al progresso nel cammino interiore (disegno, pittura, danza, musica, tiro con l'arco, scherma, ecc;)
  • prendere la vita quotidiana come esercizio.

giovedì 15 luglio 2021

Come diventare Buddha in cinque settimane

Stavo leggendo un libretto Come diventare buddha in cinque settimane, dove l'autore tra l’ironico ed il serio propone una strada per arrivare al benessere interiore e ho pensato di riproporre alcune frasi, che potrebbero portare ad una riflessione: 

  • Il disagio e malessere che proviamo di fronte a determinate situazioni (o se vuoi il suo opposto, la serenità) non dipende dalle situazioni o dalle circostanze ma dalla nostra reazione ad esse.
  • Non sono gli altri che creano la nostra sofferenza ma la nostra reazione alle loro azioni.
  • Il pensiero che produce sofferenza o disagio NON è volontario, è prodotto dal nostro inconscio.
  • Insicurezze ed ansie sono incise nella memoria e i pensieri le riproducono.
  • Noi siamo dominati da tutto quello con cui ci identifichiamo.
  • Possiamo raggiungere uno stato di tranquillità interiore solo con l’osservazione distaccata dei pensieri e mettendo sotto controllo la mente (eliminando i pensieri negativi e costruendo pensieri positivi) aiutandoci con la tecnica del controllo del respiro. 
  • Non arrecare sofferenza agli altri è un imperativo categorico che non può essere scisso dall’impegno di non generare sofferenza dentro di sé. 
  • Il voler eliminare la sofferenza degli altri (o voler aiutare gli altri) a tutti i costi o il farsi carico delle sofferenze degli altri non è positivo (è nevrotico).
  • Occorre dare priorità al cercare di togliere la sofferenza dentro di noi. 
  • Non dobbiamo farci carico di tutti i problemi del mondo. 
  • Se qualcuno chiede aiuto aiutiamolo ma non bisogna diventare schiavi del complesso del boy scout.
  • Gli altri hanno il diritto di essere come sono, indipendentemente dalle nostre aspettative.
  • Spesso le paure sono immaginarie, create da noi stessi. 
  • Non sono gli altri che creano la tua sofferenza ma la tua reazione alle loro azioni.
  • Spesso diamo all’altro la colpa della nostra sofferenza. 
  • Se una persona scappa, è dovuto spesso al fatto che non erano fatti l’uno per l’altra.  
  • Se qualcuno chiede aiuto daglielo.
Poi, nel libretto sono riportati in modo sintetico i principi fondamentali del buddhismo che sono sintetizzati nel modo seguente.

 Le quattro nobili verità nel buddhismo sono:

  • L’esistenza della sofferenza (l’assenza di ciò che si ama, il desiderio)
  • La causa della sofferenza (disagio) è l’attaccamento (alle cose o persone)
  • La sofferenza può estinguersi con l’estinzione della causa della sofferenza stessa che è l’attaccamento.
  • La via che conduce all’estinzione della sofferenza è l’ottuplice sentiero

Il nobile ottuplice sentiero è composto da:

  1. Retta comprensione (illuminazione, retta conoscenza, la realtà è un continuo divenire ed è impermanente).
  2. Retto pensiero (né confusione, né ira, né desiderio, né libidine). Pensiero positivo.
  3. Retta parola.
  4. Retta azione.
  5. Retti mezzi di sussistenza (esercitare una professione che non procuri sofferenza a noi e agli altri), condurre una vita NON contraria alla morale nella quale si è educati. 
  6. Retto sforzo consiste nella volontà di attuare la retta concentrazione e osservazione dei pensieri
  7. Retta presenza mentale (consapevolezza), portare la presenza nella realtà, vivere il qui e ora.
  8. Retta concentrazione (osservazione distaccata dei pensieri)

Gli obiettivi del nobile ottuplice sentiero sono lo sviluppo dei seguenti poteri:

Controllo della mente.  Il pensiero è usato volontariamente per risolvere problemi pratici, il KOAN zen serve a far capire all’allievo che il pensiero è inutile e a far rivolgere l’attenzione alla realtà. Occorre distinguere il mondo della mente dal mondo della realtà. Un monaco zen ti chiederebbe “Mostrami la mano dove tieni la sofferenza”.

Forse questa è una delle distinzioni tra Yoga e Buddismo, Per lo Yoga il pensiero è più reale della realtà che ci circonda, ha una forza, una forma, una autonomia, ed influenza la realtà.

Presenza nella realtà. Consapevolezza del cambiamento (è l’illuminazione). Tutto è in continua trasformazione, tutte le cose sono interdipendenti. Avere aspettative è causa di sofferenza. Un individuo dovrebbe riuscire a fare a meno di punti di riferimento. La sofferenza ha tre cause immediate:le aspettative, le paure e i sensi di colpa.  

Non attaccamento. Ci sono due tipi di attaccamento: materiale ed affettivo. Non occorre avere una pretesa di possesso, volere essere amati, non pretendere ciò che non c’è, ma apprezzare e godere di ciò che c’è. La consapevolezza della precarietà della vita ti fa apprezzare di più le cose.

Amore universale (compassione e dedizione). Compassione significa provare la stessa passione, la stessa sofferenza. Solo quando avrai imparato ad accettarti e a perdonarti avrai imparato ad amarti e potrai amare veramente gli altri. Amore è vedere noi stessi nell’altro, identificarci con l’universo che ci circonda, è un'accettazione incondizionata.  Senza l’amore universale l''individuo sarebbe autocentrato e desideroso di approfittare di ogni situazione, ma sostanzialmente isolato dagli altri, privo di quelle capacità di comunicare con gli altri esseri, privo di serenità.   Solo con la messa in atto dell’amore universale si completa lo stato di buddhità.

Indicazioni per eseguire una sequenza di Yoga - Dal testo gli Yoga sutra

Dal testo gli Yoga sutra di Patanjali (uno dei testi fondamentali dello yoga)

  • Yoga è vigilanza e rilassamento, concentrazione e calma -  Pada (capitolo)  I,  paragrafo 2 
  • Nell'eseguire le posizioni occorre il giusto sforzo e il rilassamento delle tensioni inutili -  Pada II, 47
  • Occorre essere concentrati sull'inspirazione ed espirazione - Pada II, 50
  • Durante il mantenimento delle posizioni ci deve essere stabilità (sthira) e benessere (sukha) - Pada II, 46 Mentre facciamo yoga occorre lasciare in pace i rumori interiori.
  • Attraverso le  Posizioni (Asana) bisogna entrare in contatto con noi stessi, per cercare di trovare lo stato in cui la mente sperimenta uno stato di benessere  - Pada II. 46 e 47,
  • Nell'assumere una posizione bisogna adottare il giusto sforzo, Se il corpo trema significa che stiamo andando oltre il limite - bisogna cambiare la posizione;  Non bisogna nemmeno stare sotto il limite.
  • Come apprendiamo? Questa è la sequenza indicata da Patanjali: Apprendiamo tramite percezione diretta, la riflessione, attraverso i testi oppure tramite un  insegnante - Pada I. 7 
  • Respiro e movimento devono avere la stessa lunghezza, Respiro e il movimento devono essere uniformi - Pada II.  49 e 50,  Se l’inspiro è più lungo dell’espiro si creano tensioni,  questo è scritto nel testo Yoga Sutra. 
 Altre indicazioni (Non incluse negli Yoga sutra)
  • Nel praticare il Pranayama occorre cercare  di  allungare progressivamente il tempo della respirazione, il respiro deve essere uniforme e sottile, Occorre essere capaci di osservare il respiro.
  • Occorre rilassare le tensioni inutili, più si espira, più ci si dovrebbe tranquillizzare.
  • La qualità del respiro porta alla qualità della mente, mente  e respiro si influenzano reciprocamente.
  • Il pranayama aumenta la qualità della concentrazione, favorisce uno stato mentale diverso (in cui si riscontra una maggiore tranquillità).  Se non funziona  dobbiamo cambiare tipo di pranayama.
  • Il rapporto tra inspirazione ed espirazione è il seguente: inspiri  per 3 secondi - espiri il doppio  6; se applichi la ritenzione del respiro: inspiri 3,  trattieni il respiro 12,  espiri 6.
  • Durante la respirazione occorre sentire il sollevamento e abbassamento dell’addome con le mani, la sensazione più è esterna e più è percepibile. Poi, provare a sentire il respiro della pancia senza le mani, mantenendo le mani sulle ginocchia, e  quando si perde il contatto con il respiro, si riparte dall'inizio. 
  • Per stimolare l’apprendimento l'insegnante deve creare una buona relazione con l’allievo. 
  • Durante la pratica più siamo centrati – meno saremo soggetti alle influenze negative.
  • Occorre proporre dalla sequenza più statica alla sequenza più dinamica. Le sequenze più statiche sono adatte a persona adulte mentre le sequenze più dinamiche sono più adatte a persone giovani. Ad allievi iperattivi occorre proporre la sequenza del saluto al sole.
  • Nella sequenza delle posizioni, ci sono delle posizioni (asana) di preparazione, c’è una asana che occupa la posizione centrale (quella più impegnativa) e c’è una asana di compensazione.  Molto importante è anche rispettare questo ordine: posizione iniziale, cuore della sequenza, posizione finale.
  • La posizione migliore per il rilassamento è la posizione distesa, schiena a terra, con le gambe sollevate da terra che appoggiano su qualcosa. 
  • Se praticate regolarmente yoga farete quello che dovete fare nella quotidianità  meglio e in minor tempo, avrete una migliore percezione di voi stessi, una maggior consapevolezza, più fiducia. 
  • Spesso si  pretende una risposta immediata ad una azione, e questo è un grosso errore
  • All'inizio e alla fine della lezione si dovrebbe pronunciare il mantra AUM.  A è la prima lettera dell’alfabeto indiano, U l’ultima lettera dell’alfabeto, M la lettera centrale. A rappresenta  Bhrama,   U rappresenta Vishnu  e la M rappresenta Shiva.

Alla fine della sequenza si termina con un breve rilassamento del corpo:

  • Mi concentro sulle sensazioni della gamba sinistra, invio un sorriso alla gamba sinistra,
  • Mi concentro sulle sensazioni della gamba destra, invio un sorriso alla gamba destra,
  • Mi concentro sulle sensazioni del braccio sinistro, invio un sorriso alla braccio sinistro,
  • Mi concentro sulle sensazioni del braccio destro, invio un sorriso al braccio destro,
  • Mi concentro sulle sensazioni dell'addome, invio un sorriso all'addome,
  • Mi concentro sulle sensazioni del torace, invio un sorriso al torace,
  • Mi concentro sulle sensazioni delle clavicole, invio un sorriso alle clavicole,
  • Mi concentro sulle sensazioni della testa, invio un sorriso alla testa,
  • Mi concentro su tutto il corpo, invio un sorriso a tutto il corpo.

Nello Yoga, Dio viene sostituito con Iswara (lo splendente, il forte e il vittorioso) e rappresenta l'Energia suprema. ed è l’Entità che ha reso manifesto il cosmo. Il divino non ha una forma unica: ognuno vive il sacro in maniera differente ed è proprio ciò che contraddistingue la spirititualità dalla religione. Per un amante della natura il sacro risiede nella Madre Terra, oppure può manifestarsi in un suono, in un’opera d’arte. Isvara Pranidhara è anche tradotto come l’offerta di ogni frutto delle nostre azioni al divino. Se impariamo a vivere ogni azione, come un atto di devozione, ogni nostro gesto sarà allora accompagnato da uno stato d’animo gioiso.

Riferimenti.  Seminario di Yoga tenuto da Mario Cistulli. Mario.cistulli@fastwebnet.it    Cistulli si ispira alla tradizione di Krishnamacharya.

Libri consigliati. 

  • T.K.V. Desikachar (è il figlio di T. Krishnamacharya) “Il cuore dello Yoga”,
  • A.G. Mohan “Lo yoga del corpo, del respiro e della mente",
  • Frans Moors “Patanjali, Yoga Sutra”,
  • Le cahiers de presence de l’esprit,  www.epyoga.fr
  • Thich Nhat Hanh « L’unica nostra arma è la pace »,
  • Kausthub Desikachar “Yoga pour les jeunes”. 

Imparare a vivere con le nostre emozioni

Articolo scritto dal mio amico Dominique Bordet che ha preso spunto dal capitolo 3
Imparare a vivere con le nostre emozioni  del testo 
 Tre amici in cerca di saggezza - scritto da Christophe André, Alexandre Jollien, Matthieu Ricard

Propongo di seguito altre note di lettura su questo bellissimo libro, di tre autori che ammiro profondamente. Vi ricordo che Christophe André è uno psichiatra che lavora all'ospedale Sainte Anne di Parigi. Ha introdotto le pratiche terapeutiche della meditazione mindfulness in Francia e si occupa di psicologia positiva e pratiche cognitivo-comportamentali. Matthieu Ricard è un monaco buddista che ha accompagnato e tradotto il Dalai Lama in Francia, e Alexandre Jollien, un filosofo, che testimonia la sua vita di malato di paralisi cerebrale pieno di intelligenza e altruismo. Tutti e tre hanno scritto numerosi libri e sono molto presenti nei media.

Mi piace questo libro perché il suo approccio è molto concreto. Propone pratiche quotidiane che costituiscono un percorso spirituale per soffrire meno, per essere felici, pratiche semplici che ci avvicinano agli altri. Questo libro ci aiuta a capire cosa succede dentro di noi, utilizzando le conoscenze avanzate delle neuroscienze. Ci aiuta a non rimanere in atteggiamenti di vita o pensieri più o meno utili, o più o meno dannosi. Ci impedisce di pensare troppo, di pensare nel modo sbagliato o di ruminare, e ci aiuta ad agire per trasformare il nostro rapporto con noi stessi e con il mondo.

Come molte persone, sono arrivato allo yoga perché avevo male alla schiena. Naturalmente cercavo confusamente più armonia interiore, più serenità per affrontare una vita stressante. Ma ero ben lontano dal sospettare che grazie ad un buon maestro (Mahazosoa), stavo iniziando un vero e proprio percorso di conoscenza e controllo profondo, non solo del mio corpo, attraverso le asana, ma ancor più delle mie emozioni e dei miei pensieri. In questo senso, questo libro è un supporto meraviglioso in questo processo di autoconoscenza.

Quello che ci dice questo terzo capitolo, uno dei più ricchi del libro, è che il più delle volte viviamo in uno stato di incoscienza di ciò che i nostri sensi ci fanno sentire, e quindi, delle emozioni che queste sensazioni generano. Tuttavia, le nostre emozioni hanno un impatto straordinario sui nostri pensieri e la nostra idea delle cose, la nostra rappresentazione del mondo. Questo capitolo ci aiuta a capire quanto poco controllo abbiamo su ciò che pensiamo. Ci vediamo come esseri dotati di ragione, e la nostra cultura occidentale (Cartesio, "penso dunque sono") ci porta a credere che quando pensiamo siamo esseri superiori. Beh no, questo non è vero. La vita in società, il trambusto quotidiano, lo stress, la necessità di agire per guadagnarsi da vivere, le ansie e le paure della vita, e a maggior ragione il consumismo esacerbato, la ricerca frenetica di piaceri sensuali, tutto questo ci isola gli uni dagli altri, ci proietta fuori di noi e ci fa vedere le cose come non sono. Tanto che i piaceri possono diventare una fonte di sofferenza. Matthieu Ricard spiega qui la differenza tra felicità e piacere. "Siamo intermittenti di felicità", dice Christophe André, essere felici è uno stato instabile. È importante creare in noi le condizioni per rendere sostenibile la felicità, "sentirsi sempre in connessione armoniosa con il mondo", che sarebbe la mia definizione di felicità.

"L'emozione è come il fuoco che cova sotto i miei pensieri" dice Christophe André. Aggiunge che le emozioni non sono necessariamente forti o esplosive, possiamo sperimentare emozioni "di basso profilo", stati d'animo di fondo che ci trattengono per tutta la vita e che influenzano tutte le nostre idee e rappresentazioni, a volte molto negativamente; per esempio, provare per tutta la vita un risentimento per un tradimento o un atto inadeguato di un membro della famiglia, di vergogna o di colpa per le nostre stesse azioni, avrà un impatto molto negativo sulla nostra vita.

È quindi molto importante, ci dicono i nostri tre amici, conoscere le nostre emozioni e la loro provenienza per non esserne più vittime inconsapevoli. Sono prima di tutto il risultato del modo in cui usiamo i nostri sensi e di come riattiviamo in modo ricorrente sensazioni provenienti da abitudini di vita, o anche da dipendenze acquisite il più delle volte inconsciamente. Sono quindi anche il risultato della nostra storia, della nostra esperienza personale nel contesto sociale e familiare in cui siamo cresciuti. Quindi la priorità è diventare consapevoli di tutto questo. Se non siamo consapevoli di questa esperienza, ci condanniamo a riprodurla ad vitam aeternam, e ci tagliamo fuori da una relazione più aperta, libera ed elevata con la vita reale. Le nostre emozioni inconsce sono una fonte di sofferenza e di squilibrio psichico.

Come possiamo diventare consapevoli di queste emozioni? Christophe André e Matthieu Ricard propongono delle tecniche, a partire dalla meditazione, che comprende l'osservazione delle proprie emozioni senza giudizio. Conosci te stesso e conoscerai il mondo. Non si tratta di reprimere le proprie emozioni, ma di portarle alla superficie della coscienza. Mi piace la dignità delle forme di controllo emotivo che si trovano in certe culture, soprattutto orientali (ma anche negli inglesi e nel loro "stiff upper lip"). Ma spesso questo controllo è accompagnato da una repressione emotiva. L'idea non è quella di reprimere le proprie emozioni ma di conoscerle, per non esserne vittima. Una persona che reprime troppo le sue emozioni sarà facilmente vista come insincera, perché tutto ciò che non è permesso di mostrarsi si esprimerà in gesti e atteggiamenti inconsci che appariranno contraddittori alle persone che la circondano.

Matthieu Ricard dice che i neurologi considerano i circuiti neurali dell'emozione molto vicini a quelli della conoscenza; "la distinzione tra l'emotivo e il cognitivo è tutt'altro che chiara. Ciò che prendiamo per conoscenza necessaria e utile è spesso solo la cristallizzazione di sensazioni ed emozioni che ci invadono. Facciamo presto a credere che ciò che un momento di emozione ci ha fatto credere sia la verità. Il che mi fa pensare che per essere felici bisogna pensare meno. Simone Weil dice che l'intelligenza non ha bisogno di accumulare conoscenze, basta ordinare ed eliminare le conoscenze inutili. In queste condizioni, credere di poter pensare in modo corretto e rappresentare noi stessi, gli altri e il mondo come sono, è un'illusione.

L'illusione o "Maya" nel linguaggio buddhista è un concetto che mi ha incuriosito, ma che capisco meglio dopo aver letto questo libro. Ho pensato: perché dovremmo credere che i nostri sensi non ci dicono la verità? È grazie a loro che noi apprendiamo il mondo e siamo vivi... Ora capisco che non è tanto che ci ingannano, è che ci agitano, ci agitano, ci fanno reagire il più delle volte senza tener conto di ciò che siamo veramente, nel profondo. I nostri sensi e le nostre emozioni possono letteralmente "prenderci alla sprovvista". Ci danno solo una visione molto parziale della realtà. Finché non mi è chiara questa sequenza "sensazioni-emozioni-pensiero", finché non capisco come tutto ciò che credo di essere, tutto ciò che professo è una costruzione fragile ed egoista, spesso basata su sensazioni ed emozioni fugaci, destinate a scomparire, e che sono io a solidificarli e cristallizzarli, per molte ragioni (piaceri e paure, desiderio di riprodurre o fuggire ciò che abbiamo già sperimentato), sono condannato a chiudermi in una visione ristretta e a riprodurre all'infinito ciò che ho già sperimentato, bene o male, piacere o dolore, gioia o tristezza ecc.

È chiaro che quando il pensiero è invaso da emozioni soggettive e idee preconfezionate, la relazione con gli altri e la comprensione del mondo diventano difficili, persino fonte di sofferenza. "Tra quello che penso, quello che voglio dire, quello che penso di dire, quello che dico, quello che vuoi sentire, quello che senti, quello che vuoi capire, quello che capisci, ci sono dieci possibilità che abbiamo difficoltà a comunicare. Ma proviamoci lo stesso “(Bernard Weber, il corso di psicobiologia di mia figlia quando era al secondo anno di medicina). È così difficile ascoltarsi l'un l'altro, non aggiungiamo delle difficoltà gettando i nostri stati emotivi come barriere tra di noi. Ma l'ascolto è il soggetto di un altro bellissimo capitolo di questo libro... di cui parlerò anche.

Una nota aggiuntiva per coloro che hanno familiarità con le "otto membra dello yoga" come definite nello Yoga Sutra di Patanjali: mi sembra che le spiegazioni dei nostri tre amici in questo capitolo siano la migliore spiegazione dell'importanza del Pratyahara per accedere alla conoscenza di sé e, infine, a una maggiore felicità, se non al Samadhi. Pratyahara, o "ritiro dai sensi", consiste nel praticare l'astrazione da ciò che nutre i nostri sensi. Pratyahara può essere visto come una pratica di non attaccamento alle distrazioni sensoriali, che ha l'effetto di recidere il legame tra mente e sensi. Non funzionando più nel loro modo abituale, i nostri sensi non si spengono, ma si acuiscono, e invece di essere i nostri padroni diventano i nostri servitori. La maggior parte dei nostri squilibri emotivi sono una nostra creazione. Una persona che è eccessivamente influenzata da eventi e sentimenti esterni non può raggiungere la pace interiore e la tranquillità. Lui o lei sprecherà molta energia mentale e fisica per sopprimere sensazioni indesiderabili e intensificare quelle piacevoli. Questo porterà alla fine a uno squilibrio fisico o mentale e infine alla malattia. Patanjali dice che questo processo è alla radice della sofferenza umana. Quando le persone guardano allo Yoga per quella pace interiore inafferrabile, scoprono che è sempre stata loro. In un certo senso, lo Yoga non è altro che un processo che ci permette di fermarci a guardare i processi della nostra stessa mente; solo in questo modo possiamo capire la natura della felicità e dell'infelicità, e quindi trascenderle entrambe (The Eight Limbs , The Core of Yoga, William J.D. Doran).

Le note che seguono sono un copia e incolla degli estratti del libro che mi toccano di più.

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Christophe André. Le persone vengono da me per emozioni dolorose che sono difficili da controllare, per la paura che scivola nell'ansia, o per la tristezza e la vergogna che portano alla depressione. Gli psicologi che praticano la psicologia positiva sanno che dopo aver alleviato le emozioni negative devono verificare che i loro pazienti possano accogliere le emozioni positive.
Più forte è l'emozione, più forte è la cognizione. L'emozione è come il fuoco che cova sotto i miei pensieri, e più forte è l'emozione, più ci sono pensieri negativi e più vi aderisco. Nelle terapie che utilizzano la meditazione mindfulness, ci rendiamo conto che l'attenzione è un modo estremamente potente di regolare le emozioni.

Matthieu Ricard. I circuiti neurali che portano le emozioni sono intimamente legati ai circuiti che portano la cognizione. Ciò significa che la distinzione tra l'emotivo e il cognitivo è tutt'altro che chiara.

La distinzione tra emozioni piacevoli e spiacevoli (piuttosto che positive e negative) mi sembra problematica dal punto di vista della felicità sostenibile, perché mantiene la confusione tra felicità e piacere. Il piacere generato da stimoli sensoriali, estetici o intellettuali è instabile e può trasformarsi rapidamente in indifferenza, dispiacere o disgusto. La vera felicità, nel senso buddhista, è uno stato interiore che non è soggetto alle circostanze. È un modo di essere e un profondo equilibrio interiore, legato alla giusta comprensione del funzionamento della mente.

CA. Tutte le emozioni, positive o negative, piacevoli o spiacevoli, ci sono utili, a condizione che non raggiungano intensità troppo forti, che non durino troppo a lungo e che non perdiamo di vista il loro scopo.

Non ci sono solo emozioni esplosive e incontrollabili come la paura o la rabbia, ci sono stati emotivi di bassa intensità, "stati d'animo" o "stati mentali", che sono importanti da riconoscere perché costituiscono l'essenza dei nostri sentimenti emotivi. È importante identificare questi stati discreti ma influenti; essi rappresentano il terreno da cui germineranno emozioni più forti, un sistema di pensiero e una visione del mondo. Essere permanentemente in preda a emozioni di risentimento o di fastidio verso gli altri determinerà la mia visione del mondo e il mio comportamento sociale. È importante prestare attenzione a queste emozioni sottili, soprattutto per prevenire le ricadute, per imparare l'arte del benessere e dell'equilibrio interiore.
Come possiamo diventare consapevoli di questi stati emotivi? Attraverso la contemplazione e la meditazione, ma anche attraverso altre forme di lavoro su se stessi, come il journaling, la terapia cognitiva che ci incoraggia a fare una connessione tra ciò che sperimentiamo, le emozioni che proviamo, i pensieri che emergono e i comportamenti che sono la conseguenza di tutta questa catena di causalità.

MR: Come possiamo diventare consapevoli degli stati emotivi che sorgono in noi, spesso a nostra insaputa? Se li lasciamo accumulare, diventano ingestibili e non abbiamo altra scelta che aspettare che si plachino. Ma se osserviamo i loro effetti su di noi, vediamo che durante la tempesta che hanno scatenato, la nostra percezione degli altri e della situazione non corrispondeva alla realtà. Ripetendo questa esperienza diventiamo gradualmente capaci di vedere le emozioni che vengono da più lontano. Possiamo quindi applicare l'antidoto appropriato in modo preventivo, con l'idea che è più facile spegnere una scintilla che un incendio nella foresta. Affinando la nostra comprensione e il controllo della nostra mente, possiamo gestire le emozioni quando si presentano. Quando questo processo diventa così abituale che le emozioni che prima ci disturbavano si dissolvono al loro sorgere, non possono più disturbare la nostra mente. Né possono essere tradotti in azioni e parole che danneggiano noi stessi e gli altri. Questo metodo richiede pratica, poiché non siamo abituati a trattare i pensieri in questo modo.

Possiamo liberarci dalle emozioni negative? Si ''perché sono contrarie alla natura della mente'' (...) Secondo il buddihsmo, questa qualità della mente chiamata ''luminosa'' è uno spazio incondizionato dove le emozioni si manifestano come nuvole nel cielo, momentaneamente, sotto l'effetto di condizioni transitorie. (...) Il primo passo essenziale è imparare a riconoscere le emozioni negative e poi neutralizzarle con l'antidoto più appropriato. Il buddhismo insegna una varietà di metodi, tra i quali l'allenamento alla benevolenza è il più diretto e ovvio. Altri sono più sottili, come rimanere pienamente consapevoli delle proprie emozioni senza identificarsi con esse. Per esempio, la consapevolezza dell'ansia non è ansia.

CA. Gli approcci comportamentali e cognitivi sono abbastanza simili a quello che lei descrive. Per noi, le emozioni hanno sempre una causa, sia essa esterna (un evento che ci irrita o ci fa piacere), o legata a una causa biologica (stanchezza, mancanza di sonno), o legata a rappresentazioni mentali. Le emozioni sono una modalità preverbale di risposta alle situazioni: appaiono anche prima che i nostri pensieri raggiungano la nostra mente, per esempio quando siamo arrabbiati o impauriti, il nostro corpo si irrigidisce e reagisce prima di iniziare a mentalizzare ciò che ci fa arrabbiare o preoccupare. (...) le emozioni arrivano alla nostra mente sia come sensazione corporea che attraverso i pensieri o un cambiamento nella nostra visione del mondo. Tutte le emozioni portano a quelli che sono chiamati programmi di tendenza all'azione: la rabbia porta ad azioni aggressive o violente, la paura alla fuga, la tristezza al ritiro, la vergogna al nascondersi, ecc. Quindi cosa dovrei fare quando sto soffrendo, in preda a emozioni dolorose e distruttive? Non aspettare l'ultimo momento.

È molto più facile lavorare sui nostri piccoli fastidi, le nostre piccole tristezze, preoccupazioni, vergogne, che sulle grandi esplosioni di queste stesse emozioni. In questa prospettiva, incoraggio l'auto-osservazione e consiglio di tenere un diario, dove si stabilisce il legame tra gli eventi della vita, il loro impatto emotivo su di noi, e i pensieri e i comportamenti che generano. Dare parole alle nostre emozioni, analizzare il loro percorso, le loro cause è molto più complicato di quanto sembri. Passare attraverso la parola scritta rende evidente che è un vero sforzo per capire! Questo appiattimento è un'esigenza, fa parte dell'igiene della vita interiore. Un secondo approccio è, ogni volta che sorge un'emozione, di prendersi il tempo per fermarsi ed esplorarla in piena consapevolezza. (...) La pratica regolare della mindfulness porta a una migliore regolazione emotiva. (...) Terzo tipo di strategia: sviluppare emozioni positive; più faccio questo, meno spazio ci sarà per le emozioni dolorose, distruttive e negative.

Esiste una dipendenza dalle emozioni dolorose?

Alexandre Jollien: Paradosso delle persone che sentono una mancanza quando l'emozione dolorosa scompare.

MR. Una sensazione piacevole ci fa cercare continuamente la cosa che l'ha prodotta. Ma poiché è nella natura delle sensazioni piacevoli diventare opache man mano che vengono sperimentate, la sensazione diventa gradualmente neutra e persino sgradevole. Eppure continuiamo a desiderarlo. Le neuroscienze hanno dimostrato che le reti cerebrali associate al piacere non sono le stesse di quelle associate al desiderio. Ciò significa che, a forza di ripetere, possiamo rafforzare la rete associata al desiderio, fino a desiderare ciò che ha cessato di essere piacevole, e che ci provoca persino dolore. Questa è più o meno la definizione di dipendenza. Eckhart Tolle dice che quando l'ego fallisce nei suoi sforzi narcisistici, per continuare ad esistere, ricade in un piano B costruendo un "corpo di sofferenza", una strategia per rinforzare la sua identità nel registro della vittimizzazione, facendo pietà di se stesso. Il corpo sofferente è un drogato di infelicità, dice Tolle. Si nutre di pensieri negativi e di melodrammi interiori, ma digerisce male i pensieri positivi. Si mantiene in vita rimuginando costantemente sul passato e anticipando ansiosamente il futuro. Non può vivere nell'aria pura del momento presente che è libero dalle fabbricazioni mentali.

CA. Perché si arriva a far soffrire se stessi? Spesso è perché non si sa come fare altrimenti. Abbiamo perso l'abitudine all'inazione e all'introspezione, abbiamo perso la capacità di interrogare il significato dei nostri desideri, confondiamo un piacere con un altro - ho fame o voglio mangiare? C'è una mancanza di consapevolezza, un'assenza di sé. Facciamo errori, ci facciamo soffrire sapendo che lo stiamo facendo, perché non siamo attenti alle nostre vere necessità.

MR. Liberarsi dalla dipendenza è una sfida per tre motivi. 1) Non basta consigliare al tossicodipendente di visualizzare il suo oggetto come repellente. Spesso ne sono già disgustati, ma non possono fare a meno di desiderarlo. 2) Liberarsi da una dipendenza richiede un grande sforzo di volontà. La dipendenza indebolisce le aree del cervello legate alla volizione. 3) Richiede un allenamento per controllare il desiderio impulsivo associato alla dipendenza. La dipendenza indebolisce l'ippocampo, la regione del cervello che traduce l'allenamento in cambiamenti funzionali e strutturali nel cervello, noti come plasticità neurale.

AJ. Il cammino verso la felicità richiede un attento disimparare, e un vigoroso decluttering interiore. Nella mistica cristiana come nello Zen, siamo invitati a morire a noi stessi, a lasciare tutto: le nostre convinzioni, le nostre abitudini, i nostri desideri, le nostre illusioni. Si tratta di liberarsi, di spogliarsi. I Padri del deserto credevano che più ci preoccupiamo di noi stessi, più soffriamo. La sfida è assumere questo paradosso; prendersi cura di noi stessi, rispettare il nostro ritmo, mentre ci liberiamo di questo piccolo Io che ci fa impazzire.

Come coltivare la benevolenza

MR. Nel buddhismo come nella psicologia positiva, l'assenza di stati mentali negativi non porta necessariamente a stati mentali positivi. In terapia, quando qualcuno guarisce dalla depressione, gli si deve insegnare ad accettare o costruire meglio le emozioni positive. Per vivere in modo ottimale e realizzare il proprio potenziale, bisogna coltivare la benevolenza e la compassione.

CA. Credo in una contaminazione di amore, gentilezza, dolcezza e intelligenza. Ogni volta che compiamo un atto di tenerezza, affetto, amore, ogni volta che illuminiamo qualcuno dandogli un consiglio, cambiamo il futuro dell'umanità un po' nella giusta direzione. Ogni volta che diciamo una cosa brutta, ogni volta che facciamo una cosa brutta, perdiamo tempo per il progresso umano.

MR. Coloro che hanno un'immagine negativa di se stessi, che hanno sofferto molto e non credono di essere fatti per la felicità, devono imparare ad essere tolleranti e gentili con se stessi, e prendere coscienza che tutti cerchiamo di essere liberi dalla sofferenza e di essere felici. Riconoscere questa aspirazione alla felicità in se stessi, e poi riconoscere che è comune a tutti, ci fa sentire più vicini agli altri, diamo valore alle loro aspirazioni, ci preoccupiamo del loro destino. Infine, dobbiamo allenarci ad essere benevoli. All'inizio è più facile farlo per qualcuno a cui si tiene. È bello lasciarsi travolgere da questa sensazione. Poi esercitatevi su cerchi sempre più ampi fino ad includere coloro che fanno del male e feriscono tutti. Augurando loro la libertà dal loro odio, dalla loro avidità, dalla loro crudeltà.

Felicità, gioia

CA. Essendo un introverso tranquillo, ho diffidato della gioia per molto tempo, perché pensavo che potesse portarti troppo lontano, che fosse troppo vicina all'eccitazione e all'euforia. La felicità, invece, mi sembrava un'emozione positiva altrettanto piacevole, ma con due vantaggi rispetto alla gioia: in generale, non porta all'agitazione, ed è discreta; essendo più interiorizzata, non può offendere gli altri. Da allora ho rivisto questa classificazione e vedo che la gioia, per il suo lato contagioso, spontaneo, quasi animale, ha notevoli virtù per gli altri; ci lasciamo facilmente contaminare dalle persone gioiose.

AJ. La gioia è molto più semplice e accessibile della felicità. L'ingiunzione "essere felici a tutti i costi" lascia molte persone in disparte. Spinoza: "La gioia è il passaggio da una perfezione minore a una maggiore". Christian Bobin (Dal testo L'ottavo giorno della settimana) parla di "una gioia elementare dell'universo, che oscuriamo ogni volta che pretendiamo di essere qualcuno, o di sapere qualcosa".

MR. Il buddhismo descrive una felicità profonda, sukha, uno stato di saggezza libera dai veleni mentali e la percezione della natura delle cose. Ananda, la gioia, è lo splendore di sukha.

CA. Tutte le emozioni positive, la gioia, la felicità, si verificano quando ci si sente armoniosamente connessi con il mondo. La mia convinzione è che questi sono stati labili, che non ci è permesso di sentire in modo sostenibile. Ci sono, e questo è normale, intermittenze di felicità, di gioia, di amore. Ecco perché dobbiamo sforzarci di riportarli regolarmente nella nostra vita. Mi sembra che quando sono felice, sono riconciliato con il mio passato e il mio futuro. La gioia mi àncora vigorosamente al presente, e mi dà la piena misura della grazia che ho per essere vivo in questo momento.

AJ. La nozione di impermanenza guarisce molti tormenti. Sapere di essere un intermittente di felicità è profondamente rilassante. Per coloro che soffrono nella loro vita quotidiana, è incoraggiante sapere che né la debolezza, né la malattia, né la fatica, né la disabilità, in una parola, l'imperfezione del mondo, vietano la gioia. Tutto è effimero, anche il disagio. Spinoza ha detto: "Fai bene e sii gioioso".

I nostri consigli per un buon uso delle emozioni (conclusione del capitolo 3)

MR. * Affina la tua attenzione per diventare consapevole delle emozioni negative quando si presentano. Una scintilla si spegne meglio di un incendio nella foresta.

* Imparare ad essere più consapevole delle proprie emozioni. Discernere quelle che contribuiscono al nostro benessere da quelli che lo distruggono.

* Quando le conseguenze negative delle emozioni negative diventano chiare, familiarizzate con il loro antidoto, le emozioni positive.

* Coltivare le emozioni positive fino a farle diventare un tutt'uno con noi.

CA. *Lascia che li amiamo tutti. Tutte le emozioni sono segnali dei nostri bisogni. Quelli positivi ci dicono che i nostri bisogni sono soddisfatti, quelli negativi che non lo sono.

* Coltiviamo emozioni piacevoli.

* Non scoraggiamoci; è uno dei grandi affari della nostra vita lavorare sul nostro equilibrio emotivo. Rimanete sul cammino, ci saranno delle ricadute.

AJ. * Lascia perdere. Lo Zen ci invita a non considerare l'emozione come un avversario. Non salite sul treno delle emozioni dirompenti, ma guardate le macchine che passano.

* Pratica quotidiana.

* Disordinare il tempio della nostra mente. La felicità non dipende dalla conquista ma dalla perdita, dall'abbandono. Sbarazziamoci di tutto ciò che ci appesantisce.

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...