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venerdì 1 agosto 2025

Alexandra David-Néel – Una vita straordinaria

Chi era davvero Alexandra David-Néel? Una cantante lirica? Una viaggiatrice instancabile? Una filosofa, una mistica, un'esploratrice o forse una pioniera dello spirito? La risposta è: tutte queste cose, e molto di più. In un'epoca in cui le donne avevano ruoli rigidamente stabiliti e la spiritualità orientale era ancora un mistero per l'Occidente, Alexandra infranse ogni barriera. Fu la prima donna europea a penetrare nel cuore segreto del Tibet, travestita da pellegrina mendicante, affrontando ghiacciai, deserti e pericoli mortali con una determinazione che ha dell'incredibile.          

Dotata di un'intelligenza vivace, uno spirito ribelle e una volontà di ferro, Alexandra scelse fin da giovane di sfuggire ai limiti imposti dalla società borghese per inseguire un ideale di libertà assoluta. Non accettò compromessi: abbandonò la carriera artistica, un matrimonio convenzionale e una vita comoda per esplorare mondi sconosciuti, incontrare lama, yogi e maestri spirituali, e diventare essa stessa una figura di riferimento nel buddhismo tibetano.

Il suo lungo viaggio, durato oltre quattordici anni, le permise non solo di penetrare in territori allora proibiti agli stranieri, ma anche di assimilare profondamente le filosofie orientali e riportarle in Europa con una competenza e una passione che ancora oggi affascinano studiosi e appassionati. La sua voce, attraverso i suoi numerosi scritti, continua a parlare di spiritualità, coraggio, autodisciplina e trasformazione interiore.  Questa è la storia di una donna fuori dal comune, di un destino scelto con fermezza, di un'anima in cammino verso la libertà, la saggezza e l'infinito.

Infanzia e primi anni. Alexandra David-Néel nasce il 24 ottobre 1868 a Saint-Mandé, vicino Parigi. Il padre, Louis David, è un insegnante e giornalista anticlericale, mentre la madre, belga e cattolica praticante, è molto severa. Fin dalla più tenera età Alexandra si distingue per un carattere ribelle e indipendente. A soli due anni compie la sua prima fuga, e a cinque anni scappa regolarmente di casa per raggiungere il Bois de Vincennes, dove racconta la sua infelicità agli alberi. Ricorderà sempre con amarezza l'assenza di tenerezza da parte della madre.

Durante l'infanzia, grazie al padre, incontra personaggi di spicco dell'ambiente letterario francese, tra cui Victor Hugo. Cresce tra Bruxelles e Parigi, divorando libri, in particolare i romanzi di Jules Verne, che alimentano la sua sete d'avventura. Da adolescente, inizia a leggere testi di filosofia, religione e spiritualità, spesso inadatti alla sua età, e manifesta una curiosità fuori dal comune.

A quindici anni, durante una vacanza in Olanda, fugge in Inghilterra. Cade in una profonda crisi esistenziale che la porta alla depressione, finché non incontra a 18 anni, in Belgio, il geografo anarchico Elisée Reclus, che la introduce al pensiero libertario, femminista e anarchico e la presenta ai membri della società teosofica. Questo incontro è decisivo: Alexandra comprende di voler vivere una vita libera, al di fuori delle convenzioni sociali.

Formazione e prime esperienze artistiche. Studia canto al Conservatorio di Bruxelles, dove ottiene un primo premio che le consente di intraprendere una carriera da cantante lirica. Viaggia in Europa per perfezionarsi: a Londra apprende l'inglese, e qui incontra Madame Morgan (facente parte della associazione Gnosi Suprema), che mette a disposizione di Alexandra libri sulla spiritualità, la filosofia zen. A Parigi studia il sanscrito presso la società teosofica. Frequenta gli ambienti intellettuali, la Società Teosofica e nel 1889, il Museo Guimet, appena inaugurato, che diventerà il suo vero tempio spirituale. Qui assiste a cerimonie buddhiste officiate da monaci asiatici e si avvicina al buddhismo Vajrayāna, la corrente esoterica che diventerà la sua principale via spirituale. Diventa una delle prime buddhiste di Parigi. Nel 1896 parte per la prima volta in l’India.

Nel 1900, a Tunisi, mentre si esibisce come cantante, incontra Philippe Néel, un ingegnere francese. Si sposano nel 1904, ma la loro relazione è anticonvenzionale: non ci sono grandi passioni, entrambi mantengono una vita indipendente. Alexandra inizia a viaggiare nel Nord Africa, mentre il marito (a cui ha dato il soprannome “mouchi”) ha altre relazioni. I due resteranno comunque legati per tutta la vita, continuando a scriversi per 37 anni. Philippe morirà nel 1941. Alexandra si domanderà molte volte se lo amava.

Il grande viaggio in Asia (1911–1925)- Nel 1911 pubblica un libro Le modernisme buddhique et le buddhisme du Buddha, poi, a 43 anni, Alexandra parte per un viaggio in Asia che durerà quattordici anni. Visita l'India del Sud, il Sikkim, il Giappone, la Corea, la Cina e infine il Tibet. Durante questo grande viaggio perfezionerà le sue conoscenze nel buddhismo e nell’induismo, Conosce illustri pensatori e rappresentanti religiosi. Il maharaja del Nepal la aiuta e gli mette a disposizione elefanti  e uomini. Con questa sete di conoscenza percorre regioni inesplorate a cavallo, o yak, portando con se una pistola che usa per respingere i briganti, scambia i suoi vestiti con vestiti locali, e durante questi viaggi si comporta come un vero capo usando a volte metodi rudi per esser e rispettata dai tibetani. Diventa a tal punto esperta del buddhismo tibetano che molti lama vengono a chiederle consigli. Diventa la prima donna Lama della storia. Aiuta il capo spirituale del Sikkim Sidkeong Tulku a riformare il buddhismo.  Incontra personalità religiose e politiche, tra cui il XIII Dalai Lama, con cui ha un incontro leggendario a Kalimpong nel 1912. È la prima donna occidentale a non prostrarsi davanti a lui, guadagnandosi la sua stima. Il Dalai Lama, colpito dalla sua preparazione, le fornisce un documento scritto con riflessioni su come comunicare il buddhismo agli occidentali, che verrà pubblicato sul Mercure de France.

Durante il viaggio approfondisce la filosofia buddhista e induista, impara la lingua tibetana e viene iniziata alle pratiche meditative più segrete, tra cui il Tummo, una tecnica di riscaldamento interiore. Vive per due anni in un eremo a 4.000 metri d'altezza nel Sikkim, dove riceve insegnamenti dal maestro del monastero di Lachen, che la ribattezza con il nome spirituale Yishe Tömé (Lampada di Saggezza).  Trascorre il periodo 1914-1916 come eremita, apprende la lingua tibetana e fu iniziata a tecniche particolari.

Nel 1914 incontra, presso il maestro Sidkeog, un ragazzo di 14 anni, Aphur Yongden, che diventerà il suo servitore, traduttore, segretario, confidente, compagno di viaggio e, infine, figlio adottivo. Lo adotterà ufficialmente nel 1929. Insieme scriveranno molte opere sul Tibet e condivideranno le più difficili avventure.

Incontra il panchen-lama a Tashilumpo nel 1916, e fu espulsa dal Sikhim dagli inglesi perché non aveva l’autorizzazione necessaria. Dopo un lungo pellegrinaggio in vari paesi dell’Asia, ritorna in Tibet passando per la Cina, e soggiornò al monastero di Kum-Bum. Da qui partì nel 1921 per andare a Lhassa.  I libri che scrive al suo ritorno fecero conoscere il Tibet meglio di qualsiasi altro specialista europeo

 Ritorno in Europa e ultimi viaggi.   Tornata in Europa nel 1925, Alexandra inizia a pubblicare numerosi libri che faranno conoscere il Tibet all'Occidente meglio di qualsiasi altro esploratore. Torna in Asia dal 1937 al 1946, ma a causa della Seconda Guerra Mondiale non può viaggiare liberamente. Rientra definitivamente in Francia a 77 anni e si stabilisce a Digne, nella casa chiamata Samten Dzong (fortezza della meditazione), oggi trasformata in museo.

Nel 1955 Yongden muore improvvisamente all'età di 56 anni, lasciando Alexandra devastata. Nonostante il dolore, continua a scrivere, studiare e ricevere visite fino all'ultimo.

Eredita e riconoscimenti.  Nel giugno 1959, a 91 anni a Aix-en-Provence, conosce Marie-Madeleine Peyronnet (aveva 28 anni e la famiglia era di origine algerine), che diventerà sua collaboratrice per dieci anni. Alexandra la chiama affettuosamente "la tartaruga". Peyronnet sarà la custode della sua memoria e contribuirà a conservare Samten Dzong come museo consacrato alla vita di Alexandra David-Neel.  Adesso a 86 anni, ancora continua a fare da guida e raccontare aneddoti su Alexandra,  lei che non era dotata per gli studi e non sopportava la vista di una penna è diventata donna di lettere, elevata a rango di “cavaliere delle arti e dei mestieri”.  Trova centinaia di lettere della corrispondenza (durante 37 anni) con il marito (14 chili di lettere)  e ne fa delle pubblicazioni postume che avranno un enorme successo editoriale.

Nel 1969, a 100 anni, Alexandra David-Néel viene insignita,  in presenza della sua segretaria Marie-Madeleine Peyronnet,  del titolo di “Commandeur de la Légion d'honneur”. Continua a leggere testi di tutti i tipi.   Muore l'8 settembre dello stesso anno, a 101 anni. 

Alexandra David-Néel è considerata la più grande esploratrice del XX secolo, una pioniera del dialogo tra Oriente e Occidente, iniziata al buddhismo esoterico e prima donna lama della storia. Il buddhismo per lei non era solo una religione, ma una scienza interiore che porta alla trasformazione di sé. «Chi non medita non può definirsi buddhista», affermava.   Secondo Matthieu Ricard, monaco buddhista e filosofo: «La meditazione buddhista è uno strumento per conoscersi e trasformarsi interiormente, per rispondere alle grandi domande dell’esistenza e trovare la vera felicità».

Alexandra David-Néel ha vissuto pienamente questa trasformazione, incarnando il coraggio, la determinazione e la sete di conoscenza.

Fumetti su Alexandra David-Neel    -  autori  Fred Campoy   - Matthieu Blanchot, 2016,  Bamboo Edition 

Alexandra David-Neel

Testo tratto da Fred Campoy, ispirato al libro di Marie-Madeleine Peyronnet   Dix ans avec Alexandra David-Neel 

Alexandra David-Néel muore l’8 settembre a Digne. Le sue ceneri, insieme a quelle del suo compagno di viaggio Yongden, vengono spedite in India, presso la Maha Bodhi Society di Calcutta. Marie-Madeleine Peyronnet, sua fedele collaboratrice, si reca a Benares per assistere alla cerimonia e disperdere le ceneri nel Gange (1973).

All'età di dieci anni, Alexandra lascia il pensionato protestante per trasferirsi in un convento cattolico. I genitori non andranno mai a trovarla, alimentando in lei un profondo senso di solitudine. Il suo orgoglio diventa così un rifugio. Diceva:  “I miei genitori, anche se non più cattivi di altri, mi hanno fatto più male di un nemico.

Riflettendo sulle religioni, Alexandra osservava la differenza tra Cristianesimo e Buddhismo: “Il Cristianesimo dice: ‘Rassegnati e accetta’. Il Buddhismo dice: ‘Combatti la sofferenza. Cessa di essere vittima della tua stessa ignoranza. Impara a conoscere la natura delle cose, conosci te stesso: la conoscenza ti renderà libero e felice’.

Fin da ragazza si appassiona alla filosofia buddhista e si promette che un giorno partirà per l’Asia, seguendo le orme del Buddha. Nel 1894, a 26 anni, si reca a Colombo, poi a Madurai, dove incontra il suo primo maestro indiano, Swami Bhaskarananda. Successivamente visita Sarnath e infine ritorna in Europa.   Nel 1911, a 43 anni, torna a Colombo per la seconda volta. Qui partecipa a dibattiti filosofici e religiosi. L’India rappresenta per lei una tappa fondamentale nel percorso spirituale, un luogo in cui si rende conto della futilità e dell’insignificanza dell’esistenza umana. L'anno successivo parte per Darjeeling e da lì per l'Himalaya, alla ricerca del Buddhismo autentico. “Himalaya” significa “dimora delle nevi”: Hima (neve) e Alaya (dimora).

Alexandra diventa scrittrice. Tra i suoi lavori vi è Le Grand Art, un manoscritto di 800 pagine sul canto, mai pubblicato. Collabora con diverse riviste femministe, tra cui La Fronde, fondata da Marguerite Duras. Sotto lo pseudonimo di Alexandra Myrial, viaggia in Francia, Europa e Indocina, esibendosi come cantante nei teatri per raggiungere l’indipendenza economica e l’emancipazione personale.

Nel 1900, a Tunisi, mentre si esibisce come cantante, incontra Philippe Néel, un ingegnere francese. Si sposano nel 1904, ma la loro relazione è anticonvenzionale: non ci sono grandi passioni, entrambi mantengono una vita indipendente. I due resteranno comunque legati per tutta la vita, continuando a scriversi per 37 anni. Philippe morirà nel 1941. Alexandra si domanderà molte volte se lo amava.

A Gangtok, in Sikkim, incontra Sidkeong Tulku, figlio del Maharaja del Sikkim. Grazie a lui, Alexandra entra in contatto con grandi eruditi del tempo e con il XIII Dalai Lama. Collabora con Sidkeong per introdurre riforme in Sikkim. In segno di riconoscenza, lui le dona una antica statuetta del Buddha che, dopo la sua morte, avrebbe dovuto essere restituita al monastero di Phodang.

Nel 1914 incontra, presso il maestro Sidkeog, un ragazzo di 14 anni, Aphur Yongden, che diventerà il suo servitore, traduttore, segretario, confidente, compagno di viaggio e, infine, figlio adottivo. Continua con Yongden le sue esplorazioni sull’Himalaya, dove incontra Gonchen di Lachen, un importante yogi che ha raggiunto un alto livello spirituale. Dopo vari tentativi, riesce a essere accettata come discepola, nonostante fosse donna e straniera. Si ritira con Yongden per due anni in un eremo a 4.000 metri d’altitudine, dove pratica la meditazione profonda.  

Durante una di queste sessioni, sperimenta il samadhi: uno stato di beatitudine e si sente parte dell’universo, libera dalla sofferenza, pura energia, puro amore. È consapevole, nel profondo, che ciò che è non può cessare di essere.

Il 5 dicembre 1914, Sidkeong Tulku muore. Nel 1916, dopo essere stata chiamata “Lampada di saggezza”, lascia l’eremo per diffondere il Dharma a beneficio di tutti gli esseri senzienti. Da una lettera risulta che venne espulsa dal governo britannico e fu costretta a lasciare Rangpo per Darjeeling.

Dopo il Sikkim, si reca in Cina, nel grande centro di studi buddhisti di Kumbum, che ospita una vasta biblioteca di testi sacri tibetani. Qui approfondisce la pratica dei “tulpa”,  le manifestazioni mentali. 

Nel 1921 riparte da Kumbum, attraversa la Cina settentrionale e, nell’ottobre del 1923, decide di tentare nuovamente di entrare in Tibet. Raggiunge Lhasa nel 1924.

Nel 1925, dopo 14 anni trascorsi in Asia, fa ritorno a Parigi. Pubblica Viaggio di una parigina a Lhassa e inizia a tenere conferenze insieme a Yongden. Vivono a Marsiglia: lei ha 57 anni, lui 43.

Nel maggio 1928 acquista una casa a Digne-les-Bains che trasforma e ribattezza Samten Dzong, “Fortezza della Meditazione”. Qui, con l’aiuto di Yongden, inizia a scrivere e a tradurre testi sacri.

Nel 1937, a 69 anni, parte nuovamente per l’Asia con l’intento di approfondire il Taoismo e altre vie spirituali. Nel gennaio arriva a Pechino e visita le montagne sacre di Wutai Shan. In Cina infuria la guerra civile, e Alexandra cerca un luogo sicuro. Nel febbraio 1941 apprende della morte del marito Philippe Néel, che considerava il suo miglior amico. Alexandra ha 73 anni e ormai può contare solo su sé stessa.

Nel luglio 1946 fa ritorno a Digne e si dedica al lavoro di orientalista. Insieme a Yongden traduce numerosi testi tibetani. In dieci anni scrive nove libri.

A 82 anni si reca al lago d’Allos (2.228 metri) in pieno inverno per rivivere l’atmosfera dell’Himalaya. Nel 1955 Yongden muore, lasciandola sola.

Nel 1982, in occasione del suo primo viaggio in Francia, il XIV Dalai Lama visita Digne per inaugurare una stele commemorativa in onore di Alexandra. È una vera consacrazione postuma. Il Dalai Lama le rende omaggio a nome del popolo tibetano: “Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta soltanto.

Citazione dalla Bhagavad Gītā:   “Ciò che è stato, non può cessare di essere.

Nel 1986, il Dalai Lama compie una seconda visita a Digne.

sabato 17 agosto 2024

Annick de Souzenelle

"Dico, con l'autorità della Bibbia, che non moriamo ma che mutiamo. Si tratta semplicemente di liberare la nostra tunica di pelle per liberare il soffio dello Spirito, che rimane e muta il nostro Essere" - Annick de Souzenelle nella sua "Meditazione sulla morte" del 2023.

Annick du Réau de La Gaignonnière, conosciuta come Annick de Souzenelle, è nata a  Meaulle (in Bretagna)  le 4 novembre 1922 ed è morta a 101 anni l'11 agosto 2024 ( è entrata in quello che lei stessa ha definito il grande concerto della divinizzazione umana). E' stata una scrittrice, una teologa  e una guida spirituale.

Annick de Souzenelle durante la sua infanzia,  si rivolge al mondo interiore che diventa per lei ancora più reale di quello esteriore. Come allieva  frequenta l'Istituto cattolico di Notre Dame des Champs di Parigi. Dopo la seconda guerra mondiale, ha lavorato per molti anni come infermiera anestesista e poi come psicoterapeuta. Confrontandosi con la sofferenza, dice di aver imparato molto dai pazienti e dalla psicologia. Inizialmente cattolica, nel 1958 incontra padre Eugraph Kovalevski - fondatore della Chiesa ortodossa di Francia - che diventerà il suo maestro spirituale.  Si convertirà alla religione ortodossa prima di seguire un percorso spirituale giudaico-cristiano, aperto ad altre tradizioni. Nello stesso periodo trascorre due anni a studiare l'ebraico con Emmanuel Lévyne, un cabalista. Questi due insegnamenti, la teologia cristiana ortodossa e l'ebraico, hanno trasformato la sua vita e la sua visione del mondo. In seguito si è confrontata con la psicologia del profondo di Carl Gustav Jung e con la medicina psicosomatica del dottor Roger Vittoz.

Autrice di numerose opere di spiritualità, si è specializzata nello studio della tradizione ebraica e della Bibbia. Nel 2016 ha creato l'associazione Arigah ( vedi: https://www.arigah.com/ ) per garantire la trasmissione del suo lavoro, per riunire coloro che seguono il suo insegnamento e per gestire l'Istituto di Antropologia Spirituale creato insieme a Agnès Desanges a Angers nel 2010.   L'Istituto contribuisce alla nascita di una nuova antropologia, risvegliando l'uomo, tempio dello Spirito, alla sua dinamica spirituale, permettendogli di rispondere all'appello biblico di "Andare a Te" (Gn12, 1). Quando scopriamo il nostro io interiore, scopriamo anche il filo di luce che lega tutte le grandi tradizioni dell'umanità da migliaia di anni. 

È autrice di una ventina di libri che testimoniano la sua ricerca e il suo lavoro e ci portano nei nostri testi sacri e nei nostri miti fondanti attraverso il cammino interiore. Il suo bestseller è senza dubbio "La symbolique du corps humain" (Il simbolismo del corpo umano) scritto nel 1974.  Il corpo umano ha un linguaggio attraverso il quale esprime il suo piacere e la sua sofferenza, ma è anche un linguaggio in sé, un "libro di carne". Imparare a leggere il corpo significa ascoltare ciò che i grandi miti dell'umanità ci dicono sulla natura e sulla sottile funzione di ogni organo; Significa anche riscoprire l'Albero dei cabalisti, perché se l'uomo è "creato a immagine di Dio", l'immagine del suo corpo deve essere letta come il suo riflesso terreno.

Un altro importante testo è Una meditazione sulla morte (scritto nel 2023) dove l'autrice medita sull'avventura ultima della morte e sulla mutazione che avviene durante questo processo. Un'intervista sulla coscienza conclude questo libro sorprendente.

domenica 7 luglio 2024

Antonia Tronti - Studiosa - Docente di yoga

Antonia Tronti (nata nel 1971) è insegnante di yoga, particolarmente interessata ai possibili intrecci tra spiritualità indiana e tradizione cristiana. Insegna a Roma dove ha un centro, il Kurma dama - La casa della tartaruga, e in Umbria e tiene seminari di "yoga e preghiera cristiana" in tutta Italia e in particolare nei monasteri di Valledacqua, Montegiove, Fonte Avellana, Camaldoli, Ss. Felice e Mauro in Valnerina. Collabora con le comunità camaldolesi e con altre realtà fondate sul dialogo e sull'approfondimento dell'esperienza spirituale.

Formatasi alla scuola della Federazione Italiana Yoga quando era diretta da Antonio Nuzzo e diplomatasi all'ISFIY nel 1997, ha poi proseguito nella sperimentazione, nella ricerca e nell'insegnamento.

Determinante nel suo percorso è stato l'incontro con l'esperienza monastica camaldolese e con il Saccidananda Ashram di Shantivanam, in Tamil Nadu, con le figure dei suoi fondatori, Henri Le Saux (Swami Abhishiktananda), Jules Monchanin e Bede Griffiths e con John Martin Kuvarapu (Swami Sahajananda).

Ha pubblicato due libri:  E rimanendo lasciati trasformare e Impara da... Un itinerario tra yoga e preghiera cristiana.  Scrive e collabora con le riviste Appunti di Viaggio, Oreundici, Messaggero Cappuccino, Vita monastica. Un altro lavoro è il libro-DVD La danza della vita scritto con Filippo Carli e Mauro Bergonzi.    Vedi siti: 

  •  https://sites.google.com/view/kurmantonia/home-page?authuser=0 
  • https://www.scuolayoga.com/insegnante/antonia-tronti/

lunedì 29 gennaio 2024

Lynn Gottlieb - l'ebraismo nonviolento

L'ebraismo non violento della Rabbina Lynn Gottlieb: cessare il fuoco e avviare "azioni riparatrici"
Scritto da  Roberto Fantini  e pubblicato su FlipNews Free Lance International Press   

Di fronte al nostro mondo insanguinato che, giorno dopo giorno, ci appare sempre più infernale, ci ritroviamo ad  interrogarci sovente (pur nella consapevolezza che tutto quello che potremmo fare noi, umili donne di lettere e di intelletto, inciderà sempre  ben poco sul  divenire doloroso degli eventi)  in merito a  come contrastare le quotidiane celebrazioni della violenza nelle sue varie declinazioni, prime fra tutte quelle di carattere bellico.   

Una cosa indubbiamente preziosa (forse soltanto consolatoria, certo, ma  forse anche pedagogicamente terapeutica) potrebbe risultare il cercare di rivolgere lo sguardo mentale verso chi si adopera, ignorato dalle luci dei palcoscenici mediatici, nel continuare a seminare parole di saggezza e di fiducia nelle possibilità umane di ribellarsi alla tirannia delle armi e della prepotenza politica.

Perché, per le nostre anime ferite, può costituire una fonte salutare e vivificante il sapere che, in ciascuna nazione flagellata dai conflitti, all’interno di ogni schieramento, esistono e lavorano (spesso osteggiate, minacciate, emarginate, censurate e represse) persone pronte a rischiare la propria vita per non smettere di chiedere, di cercare e di costruire Giustizia e Pace.

 Perché ci comunica una forza immensa, carica di operosa speranza, il sapere che esistano (tanti!) giornalisti, intellettuali, religiosi, obiettori di coscienza, ecc. che, nonostante tutto, non intendono rassegnarsi, tacere, obbedire, ma che continuano a difendere e soccorrere le vittime, a denunciare i crimini, a rifiutare  la faziosità che occulta il vero e nobilita i boia, che continuano, soprattutto, ad impedire alla propria ragione di abdicare e di arrendersi, proseguendo nel proprio lavoro di riflessione, di onesta informazione,  di discussione critica, e, soprattutto, di ben ragionati irenici insegnamenti ed esortazioni.

E più di tutte, credo,  meritano attenzione e immenso rispetto le voci nonviolente che non cessano di ammonirci e di provare a guidarci verso una più corretta visione dei fatti e verso possibili (più o meno utopiche) soluzioni alternative.

Una di queste voci è rappresentata, ad esempio, da Rabbi Lynn Gottlieb, la prima donna ordinata rabbino nel movimento del Rinnovamento ebraico  (1981). In un suo articolo recentemente apparso su Azione Nonviolenta*, viene da lei sottolineato come a giocare un ruolo fondamentale nelle vicende politiche dello stato israeliano sia stato  sfortunatamente il sionismo ebraico, “irrevocabilmente legato alla visione del mondo dei coloni bianchi, suprematisti, profondamente antisemiti, islamofobici e coloniali”, e basato sulla convinzione che, per gli ebrei, fosse indispensabile possedere “il potere di uno stato nazionale completamente militarizzato”.

 

 A suo avviso, nell’attuale catastrofico momento, si sta realizzando, all’interno di “una campagna di uccisioni di massa senza alcun riguardo per la vita civile”, una spaventosa espulsione  di centinaia di migliaia di palestinesi che si riallaccia con forza alla Nakba del 1948.
    La Gottlieb, poi, denuncia con grande amarezza il brutale tradimento subìto in tanti anni, ad opera della comunità internazionale e  degli Stati americani ed europei, dalle migliaia di palestinesi che hanno lottato in modo nonviolento per porre fine all’occupazione militare.
    E denuncia anche il fatto che, all’interno delle comunità ebraiche statunitensi, chiunque cerchi di proporre soluzioni politiche eque, miranti allo smantellamento dell’occupazione e dell’apartheid, istituendo anche il diritto al ritorno, venga ignorato e zittito con il marchio infamante dell’ “antisemitismo”.
    Accusa, inoltre, la società israeliana di aver coltivato per 75 anni la cosiddetta  “arroganza del privilegio”, ovverosia  uno stato d’animo basato sulla negazione dell’umanità dell’altro e producendo, così, una visione della realtà tanto distorta quanto pericolosa, e, ancora peggio, provocando un progressivo indurimento di cuore di fronte alle condizioni di sofferenza palestinese.

La gente dell’Olocausto - arriva a dire Lynn Gottlieb - sta usando il linguaggio dell’olocausto per giustificare atti di carneficina genocida.”

    Ed ai leader della comunità ebraica viene rimproverato di essersi rifiutati di prendere posizione contro l’oppressione palestinese per paura di “ essere licenziati, di dividere le loro comunità o di perdere i finanziamenti”, contribuendo, in tal modo, ad alimentare l’impunità israeliana e la repressione del popolo palestinese, sottoposto ad una “punizione collettiva, alla negazione dei bisogni fondamentali come alloggio, cibo, acqua e libertà di movimento e alla continua umiliazione e aggressione”.
    Ma - sottolinea con vigore questa tenace donna rabbino - la tesi del diritto di Israele a difendersi anche commettendo atrocità contro un’intera popolazione, fondata sulla convinzione che la “sicurezza ebraica” debba essere conseguita con l’applicazione sistematica della “politica del  ‘con ogni mezzo necessario’  non è accettata da tutti i sopravvissuti all’Olocausto, tanto meno da tutti gli ebrei.”
    A questo proposito, riferisce le splendide parole pronunciate da Anna Columba (sopravvissuta all’Olocausto) durante una manifestazione di protesta con le Donne in Nero, in Piazza Zion a Gerusalemme: “Ho perso tutta la mia famiglia nell’Olocausto. I nazisti erano assassini. Non voglio che siamo come loro. Meglio essere tra i perseguitati che tra i persecutori,  perché almeno abbiamo ancora la nostra anima umana.”

    L’ebraismo da lei abbracciato e praticato (Shomeret Shalom), plasmato sulla base delle tradizioni e delle eredità ebraiche nonviolente in correlazione con gli attivisti praticanti nonviolenti contemporanei, la spinge a sostenere iniziative di concreta “riparazione dei peccati del sionismo”, miranti al conseguimento dell’immediato “cessate il fuoco” e al via libera agli aiuti umanitari, nonché a costruire un movimento di solidarietà con il popolo palestinese, in modo da sostenere  forze operanti all’interno della società israeliana, come le organizzazioni  Zochrot** e B’Tselem***, che lavorano per  “l’equità, la dignità e il diritto palestinese a ritornare a un’unica comunità di ebrei e palestinesi, come cittadini con uguali diritti davanti alla legge.”
    La Gottlieb, dopo aver dichiarato “fallito” il sionismo, definendolo anche “muktseh”, ovvero inaccettabile all’interno dello stesso ebraismo, afferma che l’unica strategia adottabile per il raggiungimento di un mondo sicuro per palestinesi ed ebrei sarà quella della “solidarietà verso una giustizia amorevole” .
    “Scelgo - dice - di riporre la mia fede nell’idea che la nostra liberazione come esseri umani è interdipendente. Tutti o nessuno di noi. Per il bene dei nostri figli.
    Concludendo che, in quanto rabbina impegnata nella pratica della nonviolenza ebraica, sorretta dalla volontà di alleviare e curare la sofferenza prodotta, la sola strada percorribile dovrà essere rappresentata da quella delle “azioni riparatrici”.

Una strada, questa, certamente lunga e indubbiamente difficilissima, addirittura impensabile agli occhi di molti (dentro e fuori Israele), ma che meriterebbe di essere attentamente ponderata e che, attuando una epocale rivoluzione ideologica e strategica, andrebbe abbracciata ed intrapresa con ragionata consapevolezza e con fermissima determinazione, nonché fortemente incoraggiata e convintamente e concretamente sostenuta  dall’intera comunità internazionale, soprattutto dalle tante nazioni che tanto volentieri gareggiano nel dichiararsi “amiche di Israele”, desiderose di una pace reale e duratura.

 Vedi  link all'articolo:  https://www.flipnews.org/index.php/life-styles-3/health-3/item/3755-l-ebraismo-nonviolento-della-rabbina-lynn-gottlieb-cessare-il-fuoco-e-avviare-azioni-riparatrici.html
NOTE. 

  • *Rivista fondata da Aldo Capitini nel 1964, bimestrale del Movimento Nonviolento (www.azionenonviolenta.it).
  • ** Organizzazione no-profit israeliana avente lo scopo di promuovere la consapevolezza della Nakba palestinese (il catastrofico esodo forzato della popolazione araba palestinese, durante la guerra arabo-israeliana del 1948).
  • ***ONG israeliana avente l’obiettivo di raccogliere informazioni in merito alla situazione dei diritti umani nei territori occupati.

Il Diario di Etty Hillesum

"Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo".    

"E' sicuro che il minimo atomo di odio che noi aggiungiamo a questo mondo ce lo renderà più inospitabile di quello che è già"

Il Diario di Etty Hillesum è un percorso di di speranza e un dono all’umanità intera. E’ un atto di amore e tolleranza, meriterebbe di essere insegnato nelle scuole e università. E' un libro sempre attuale e un’opera senza tempo che può aiutare tutti noi a vedere la vita con occhi diversi. 

Etty Hillesum è nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg (Paesi Bassi). Suo padre è professore, poi direttore del liceo, sua madre, di origine russa; dei suoi due fratelli uno diverrà medico, l’altro Mischa, sarà un pianista geniale. Etty, studentessa molto dotata, intraprende gli studi di diritto e psicologia ad Amsterdam nel 1932. Nel 1940 l’occupazione dei Paesi Bassi da parte dei nazisti determina il destino dei centoquarantamila ebrei del paese. Etty non si rassegna alle umiliazioni quotidiane che l’occupante infligge a un’intera popolazione: divieto d’usare i mezzi pubblici, di frequentare i parchi, i negozi di verdura fresca “a salvaguardia della salute degli ariani”, e via dicendo.  La giovane donna ebrea olandese perse la vita all’età di 29 anni nel campo di sterminio di Auschwitz, dove era stata deportata insieme ai genitori e al fratello Misha. Era il il 30 novembre 1943. Quel giorno la barbarie nazista segnò la fine di una grande donna e di una grande scrittrice.

Basta leggere queste citazioni tratte dal Diario, scritto tra il 1941 e 1943, per capire quanta forza spirituale e quanta energia esistenziale ci sia stata in Etty Hillesum.  

 "E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio.

Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei... Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati, oppressi, col nostro odio e la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così".

"Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore".   "La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e lavorare su sé stessi non è proprio una forma di individualismo malaticcio".

Altre frasi prese dal suo Diario:

  • Voglio essere un cuore pensante. Quando pensi che l’altro non ti consideri abbastanza, significa che gli sei legato e, per via di questo legame, non sei indipendente. Quanto meno ti aspetti, tanto più ricevi.
  • La vita si svolge interiormente e lo scenario esteriore ha sempre meno importanza.
  • Bisogna combatterle come le pulci, le tante piccole preoccupazioni per il futuro che divorano le nostre migliori forze creative.
  • Molti di coloro che oggi s’indignano per certe ingiustizie, a ben guardare s’indignano solo perché quelle ingiustizie toccano proprio a loro: quindi non è un’indignazione veramente radicata e profonda.
  • Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi.
  • Quello che otteniamo spontaneamente da noi stessi ha basi più solide e durature di quello che realizziamo per forza.
  • L’odio indiscriminato è una malattia dell’anima, odiare non è nel mio carattere.
  • Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui.
  • Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati – non potrebbe essere questa l’idea?
  • Lasciar completamente libera una persona che si ama, lasciarla del tutto libera di fare la sua vita, è la cosa più difficile che ci sia.
  • Se si prega per qualcuno, gli si manda un po’ della propria forza.
  • Quando abbiamo dell’avversione per gli altri le ragioni dobbiamo cercarle nel disgusto che sentiamo per noi stessi: ama il prossimo tuo come te stesso.
  • Se tu affermi di credere in Dio devi anche essere coerente, devi abbandonarti completamente e devi avere fiducia. E non devi neppure preoccuparti per l’indomani.
  • Non devo volere le cose, devo lasciare che le cose si compiano in me.

Yahne Le Toumelin

Yahne Le Toumelin, nata il 27 luglio 1923 a Parigi e deceduta l'8 maggio 2023 a Tursac in Dordogna, è stata una monaca buddhista e pittrice francese, associata al surrealismo e all'arte astratta dalla fine degli anni '50. E madre di uno dei monaci buddhisti più conosciuti in Occidente: Matthieu Ricard.  

Cresce a Croisic, in Loira Atlantica, insieme al fratello Jacques-Yves Le Toumelin che è uno dei primi navigatori in solitaria su barca a vela. A 10 anni inizia a disegnare e realizza i suoi primi dipinti ad olio.

Ammessa alle Belle Arti di Parigi nel 1940, preferisce unirsi all'Accademia della Grande Chaumière. Dopo tre anni trascorsi all'accademia, entra nello studio di André Lhote, dove incontra Henri Cartier-Bresson.  Nel 1942, incontra il sufi Georges Gurdjieff e si avvicina alla spiritualità. Fa la conoscenza con vari scrittori come René Daumal (poeta, scrittore e filosofo francese), Luc Dietrich (uno scrittore francese che ebbe una vita breve e tormentata) e Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto conosciuto come apostolo della nonviolenza in Occidente. Lanza del Vasto è stato anche poeta ed artista, filosofo e scrittore, credente rispettoso delle altre religioni, fondatore di comunità, precursore dei più attuali cambiamenti della società.

Incaricata da Pierre Schaeffer e Jacques Copeau di realizzare presentazioni radiofoniche di opere artistiche allo Studio d'essai della RTF, Yahne  incontra Jean-François Ricard (che poi prenderà il cognome di Revel), uno dei filosofi francesi più conosciuti che le chiede di sposarlo nell'estate del 1945. Nel 1946 nasce Matthieu Ricard.

Insieme a Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Boris Vian, Orson Welles, Jean Cocteau e Juliette Gréco, appare nel 1947 in "Le Désordre à vingt ans" di Jacques Baratier, che ritrae la fauna eterogenea di Saint-Germain-des-Prés dopo la guerra.

Dal 1947 al 1948, la coppia si trasferisce a Tlemcen in Algeria, dove Jean-François Revel è nominato professore. Nel 1948 nasce Ève Ricard. Dal 1950 al 1952, Yahne segue il marito a Città del Messico, dove è nominato professore all'Istituto francese dell'America Latina (IFAL).

A Città del Messico, diventa amica di Leonora Carrington, che diventa la sua "complice di sempre" e intraprende anch'essa un percorso completamente fuori dagli schemi. Nel 1951, realizza un murale geometrico di 60 m2 per l'Istituto francese dell'America Latina e dipinge manifesti cinematografici per il primo cineclub del Messico, frequentato da Benjamin Péret, Luis Buñuel, Frida Kahlo, Diego Rivera e Mario Vargas Llosa.

Nel 1952, con la nomina di Jean-François Revel all'Institut français de Florence, Yahne incontra Jacob Bean e André Fermigier.

Nel 1952, Yahne Le Toumelin e Jean-François Revel si separano.

Nel 1955, André Breton, uno dei principali surrealisti francesi,  presenta Yahne Le Toumelin nella sua galleria "À l'Étoile scellée". Tornata a Parigi nel 1956, incontra l'artista Georges Mathieu e diventa amica di Pierre Soulages e Zao Wou-Ki. Nel 1957 espone oltre 100 quadri alla galleria Orsay e partecipa all'edizione del catalogo prefato da André Breton.  André Breton rende omaggio alla sua opera in "Le Surréalisme et la Peinture", pubblicato da Gallimard nel 1965.

Dal 1957 al 1959, Yahne espone al Salon Comparaison al Musée d’art moderne de la Ville de Paris e, nel 1958, al Salon Grand et Jeunes d’aujourd’hui al Grand Palais. Installatasi al Château de Fromonville, Yahne fa la conoscenza di diverse personalità, tra cui Jean Cocteau, Savitri Nair, Philippe Lavastine, George Adie e Arnaud Desjardin che è stato uno dei primi praticanti di alto profilo della spiritualità orientale in Francia.

Nel 1959, Yahne Le Toumelin entra nella galleria René Drouin e nel 1961 espone in una selezione intitolata "Essai pour la peinture de demain" presentata da Drouin e Ileana Sonnabend alla galleria Marcelle Dupuis. 

 Dal 1961 al 1967, partecipa al Salon des Surindépendants al Musée d’art moderne de la Ville de Paris. Pierre Soulages incoraggia l'artista a "dipingere in grande" e la invita a esporre alla Galerie de France. In questo periodo, nel 1965, André Breton pubblica "Le Surréalisme et la Peinture", Gallimard.

Nel 1966, espone alle Rencontres d’Octobre del Musée des Beaux-Arts di Nantes e partecipa al Salon des Artistes Français del 1967 e al Salon d’Art Sacré del 1966 e del 1969.

Nel 1967, Yahne Le Toumelin apre il "Centre d’Expression", una galleria a Parigi presentata da André Fermigier in una recensione intitolata "Trois raisons pour". 

Poco dopo, parte per l'India, si converte al buddhismo tibetano e prende i voti di monaca al monastero di Rumtek, nello Sikkim, con Rangjung Rigpe Dorje, il 16° karmapa.

Nel maggio 1968 organizza una dimostrazione intitolata "La Révolution du cœur". Nel 1969, Maurice Béjart chiede a Yahne Le Toumelin di comporre un murale di 300 m2 e i costumi per "Les Vainqueurs".

Installatasi a Darjeeling in India, smette di dipingere dal 1969 al 1975. 

Nel 1985, l'artista si trasferisce in Dordogna e intraprende un ritiro buddhista tradizionale di tre anni, tre mesi e tre giorni al Centro di Chanteloube a Saint-Léon-sur-Vézère.

Nel 1989, Yahne Le Toumelin realizza il "Voile du Radeau de la Méduse" per i decori di "Hommage à la Révolution" di Maurice Béjart al Grand Palais di Parigi.

1999 – Esposizione al Linden Museum, Stoccarda.

A partire dal 2000, dipinge nel suo studio in Dordogna.

Nel 2016 e 2023  una sua retrospettiva


Vedi sito:  http://yahneletoumelin.fr/biographie/

lunedì 30 ottobre 2023

Premio Nobel per la Pace 2023 all’attivista iraniana Narges Mohammadi

Donna, vita, libertà”. “Donna, vita, libertà”.  Questo slogan  è diventato il simbolo della lotta delle iraniane dopo la morte di Mahsa Amini, uccisa mentre era in custodia della polizia perché non indossava correttamente il velo.            

Il Premio Nobel per la Pace 2023 è stato assegnato dall'Accademia di Oslo alla giornalista e attivista iraniana per i diritti delle donne Narges Mohammadi (nata nel 1972,)  ripetutamente incarcerata e torturata. Attualmente è ancora detenuta nel carcere di massima sicurezza di Evin a Teheran e non può avere contatti con l’esterno. 

L’Accademia di Svezia ha deciso di premiare Mohammadi, l’attivista e giornalista 51enne per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua battaglia per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti. Il premio è un riconoscimento “alla sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran”, che ha portato avanti “a fronte di un’enorme sofferenza“. Ma è anche “un riconoscimento alle centinaia di migliaia di persone che hanno protestato contro le politiche di discriminazione e oppressione contro le donne del regime teocratico”.

Quest’anno Mohammadi ha vinto anche il PEN/Barbey Freedom to Write Award 2023, conferito ogni anno a uno scrittore incarcerato per onorare la sua libertà d’espressione.

Narges Mohammadi giornalista professionista, scrittrice e attivista è anche la vicedirettrice del Defenders of Human Rights Center (DHRC) e le sue prime battaglie erano contro la pena di morte. Fu condannata per la prima volta a un anno di carcere nel 1998 per le sue posizioni contro il governo. Da quel momento Mohammadi è ripetutamente entrata e uscita di prigione, perdendo la propria libertà, la propria famiglia, dedicando la propria vita a una lotta per il proprio Paese.
Secondo Amnesty International a Narges Mohammadi sono state negate persino le più elementari cure mediche ed è stata frustata e torturata. Oltre a tutto ciò non si contano le ferite psicologiche inflitte dall’isolamento prolungato e dai continui interrogatori.

Nonostante tutto Mohammadi non si è mai arresa, anche tra le mura claustrofobiche del carcere ha continuato a scrivere, sostenere le sue idee a favore delle proteste e a ribellarsi. Nei suoi scritti Narges Muhammadi non ha mai smesso di sottolineare anche gli abusi subiti dai compagni di detenzione costretti, come lei, dietro le sbarre.
Sta ancora lottando con tutte le sue forze per cambiare l’Iran, afferma il marito Taghi Rahmani (anche lui dissidente e giornalista che vive esiliato a Parigi insieme ai figli)  che negli ultimi mesi ha anche denunciato le sue gravi condizioni di salute che l’hanno costretta a un ricovero d’urgenza lo scorso giugno.
La presidente del Comitato del Nobel Berit Reiss-Andersen spera che il governo iraniano “faccia la cosa giusta”, cioè rilasci Mohammadi assieme a tutti gli altri prigionieri politici.

Soltanto nell’ultimo anno di proteste cominciate dopo la morte di Mahsa Amini mentre era in custodia della polizia religiosa, secondo i dati delle Nazioni Unite sono stati arrestati ventimila manifestanti.

Alla difficile esperienza dell'isolamento carcerario Mohammadi ha dedicato anche un libro “White Torture”, letteralmente la “tortura bianca”.  Nel volume sono raccolte le interviste a dodici donne iraniane tenute prigioniere, oltre che la sua testimonianza.  Queste donne, che sono giornaliste, attiviste politiche, oppure appartengono a minoranze religiose: tutte, nessuna esclusa, vengono ogni giorno torturate con il sistema infido della white torture, ovvero con l’isolamento prolungato, le minacce ai membri della propria famiglia, le lunghe ore di interrogatorio.  La tortura bianca, afferma Narges Mohammadi, è molto peggio della tortura fisica perché tende a minacciare l’identità stessa del prigioniero, la sua coscienza, a influenzare il pensiero che ha di sé stesso. Le donne iraniane sono infatti custodite in una cella completamente bianca per periodi di tempo molto lunghi, con lo scopo di portarle a una totale deprivazione sensoriale attraverso l’isolamento. L’aspetto più inquietante del libro di denuncia di Mohammadi è che nessuna delle donne prigioniere ha commesso un crimine: tutte sono state arrestate con lo scopo di estorcere loro confessioni o costringerle a collaborare con il governo. 

lunedì 12 giugno 2023

Una così lunga lettera - Mariama Ba

Una così lunga lettera è una dei capolavori della letteratura africana, e attraverso questo libro del 1981, l'autrice Mariama Basvela con assoluta precisione le iniquità della poligamia vigente in Senegal.

Mariama Bâ nasce nella città di Dakar. Rimasta orfana, la educano i nonni materni secondo canoni tradizionali che non prevedono obbligo di proseguire negli studi scolastici. Ma, così straordinaria è la sua intelligenza che, spronata dai suoi professori, ottiene la Laurea in Pedagogia. Amica del poeta Senghor, partecipa da protagonista al riscatto culturale del Senegal che si è liberato dal colonialismo francese. Madre di nove figli, prende dolorosamente coscienza dello stato di subordinazione in cui è tenuta la donna nel suo paese dove la poligamia è praticata all’eccesso e l’uomo può avere fino a quattro mogli. Mariama capisce che senza l’emancipazione delle donne non c’è futuro per l’Africa perché: “Dove soffre una donna, soffre l’intera umanità.” Mariama è attiva nelle associazioni femministe ma è con i suoi due romanzi che riscatta completamente la condizione femminile. Dopo il grande successo editoriale di “Una così lunga Lettera” nel 1981 fu pubblicato, postumo, il libro “LA sposa bianca di Ousmane”. Mariama Bâ è scomparsa nel 1980, appena cinquantenne. Oggi, in Senegal, i suoi scritti sono libri di testo nelle scuole.

Un romanzo epistolare che è lo scambio di pensieri tra due amiche; l'educazione dei figli, i pregiudizi, le usanze rinnegate, la dignità femminile, i rapporti tra uomo e donna, l'amore.
La grande scrittrice senegalese affronta temi quotidiani, osservandoli da un'angolatura differente, rispetto a quella che potrebbe essere la nostra visione, di fronte ad argomenti così "rilevanti".
Un nuovo modo di intendere le cose, di viverle... il tentativo, ben riuscito, di far comprendere a noi occidentali che esistono svariati modi di vivere..


Enciclopedia delle donne

Enciclopediadelledonne.it, è un sito che raccoglie schede biografiche dedicate a donne di tutti i tempi e di tutti i paesi, firmate da una vasta schiera di autrici e autori che aumentano di giorno in giorno, e anche da gruppi di lavoro (NOE - Nuclei Operativi dell’Enciclopedia). https://www.enciclopediadelledonne.it/
Racconta i contesti e le relazioni, la complessità di percorsi di vita illustri e non illustri e propone saggi, ricerche, documenti. Il progetto che è senza pubblicità e consultato da oltre 100mila utenti mensili.  


L’Enciclopedia delle donne  divulga l’idea della libertà e permette la conoscenza delle donne in carne e ossa del passato e del presente, al pari della loro vocazione, intelligenza, desideri.

Vandana Shiva

 Vandana Shiva (1952 - ) è un'attivista e ambientalista indiana che si è battuta per cambiare pratiche e paradigmi nell'agricoltura e nell'alimentazione e contro la globalizzazione. Tra le sue battaglie vi sono quelle contro OGM, colture intensive, desertificazione, ingegneria genetica, biotecnologie e biopirateria. S. inoltre ha condotto numerose campagne per la difesa dei diritti della proprietà intellettuale. Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award ed è tra i principali leader dell’International Forum on Globalization, nonché vicepresidente di Slow Food Internazionale.

«Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per le sue avidità" (Mahatma Gandhi)
«Vivere con meno è il nostro risarcimento» (Vandana Shiva).

Vandana Shiva, fisica quantistica ed economista militante ambientalista, è considerata la teorica più nota dell’ecologia sociale. È conosciuta grazie al successo di Monocolture della mente (1995), un best-seller in tutto il mondo, e in Italia anche grazie al documentario del 2009 di Ermanno Olmi, Terra Madre, che mostra la raccolta del riso, nei pressi della fattoria Navdanya nell'India del Nord-est, dove sono custoditi i semi delle varietà locali di riso, tramandati di generazione in generazione. La famiglia è “progressista”, impegnata nella lotta gandiana per il superamento delle caste nell’India.
L’infanzia di Vandana non è solo cultura, ma anche contatto diretto con la terra; trascorre la sua infanzia in piena natura tra le foreste del Rajahstan e la fattoria gestita dalla madre. Studia all'estero e in Canada consegue la laurea in filosofia della scienza, e poi un dottorato sui concetti filosofici della meccanica quantistica nel 1979.
Vandana torna in patria, a Bangalore, come ricercatrice in politiche agricole ed ambientali all’Indian Institute of Sciences, e all’Indian Institute of Management.
Nel 1982 Vandana torna a Dehra Dun dove crea la Fondazione per la scienza, la tecnologia e l’ecologia, un istituto indipendente di ricerca, proprio mentre nella valle si diffonde il movimento Chipko, delle donne contro la distruzione delle foreste da cui traggono sostentamento. Nell’Uttar Pradesh, sono evidenti le conseguenze della “rivoluzione verde”, dei fertilizzanti e delle varietà selezionate di semi: la resa è aumentata insieme alle estensioni coltivate a monocoltura, al degrado del suolo e delle acque, alle espropriazioni “facili” (la riforma agraria promessa da Nehru nel giorno dell’Indipendenza non è ancora iniziata). Ne sono vittime prima di tutto le donne, senza diritti men che meno di proprietà, le cui antiche pratiche sono meno produttive ma più rispettose degli ecosistemi, scrive in Staying Alive (1988). È il primo di oltre venti saggi, seguito sullo stesso tema nel 1990 dal rapporto sulle contadine indiane per conto della FAO, e da Eco-feminismo con Maria Mies, in cui scrivono: «Le donne non riproducono solo se stesse, ma formano un sistema sociale e dalla loro creatività proviene quello che io chiamo eco femminismo. Le donne sono le depositarie di un sapere originario, derivato da secoli di familiarità con la terra, un sapere che la scienza moderna baconiana e maschilista ha condannato a morte».
Nel 1991 Vandan Shiva fonda Navdanya (in hindi “nove semi”), il movimento che con altri sorti in tutto il mondo è presente al vertice di Rio de Janeiro nel 1992 dal quale nascono i primi accordi internazionali per la protezione della biodiversità. Da quel momento la difesa dei semi autoctoni contro le multinazionali che cercano di rivendicare come loro “proprietà intellettuale” varietà agricole selezionate nei secoli da comunità locali, diventa il maggior impegno di Vandana Shiva.
Quei “nove semi” rappresentano le nove coltivazioni da cui dipendono la sicurezza e l’autonomia alimentare dell’India. Il nome, dice Vandana Shiva, le è venuto in mente osservando un contadino che in un unico pezzo di terreno aveva piantato nove tipi di semi diversi. Oggi Navdanya conta circa 70 mila membri, donne per lo più, che praticano l’agricoltura organica in 16 stati del paese, una rete di 65 “banche dei semi” che conservano circa 6.000 varietà autoctone, e la Bija Vidyapeeth o Scuola del Seme che insegna a “vivere in modo sostenibile”.
Durante le riprese del documentario Terra Madre sopra citato, Maurizio Zaccaro ha realizzato un film documentario dal titolo Nove semi dove la stessa Vandana Shiva racconta l’esperienza della sua fondazione.
Ma Navdanya non è l’unico impegno di Vandana, che interviene nelle conferenze internazionali, viaggia in Africa, in Europa, in America Latina e in altri paesi asiatici, e dal 1996 partecipa in tutto il mondo alle lotte contro gli organismi geneticamente modificati, la crescita ad ogni costo, l’ingiusta ripartizione delle risorse e altri mali della globalizzazione. «Il cosiddetto sviluppo economico – scrive – anziché risolvere i problemi, rispondendo ai bisogni essenziali del mondo e della popolazione, minaccia la sopravvivenza del pianeta e degli esseri viventi che lo abitano. Questa apparente crescita economica, infatti, non ha creato nient’altro che disastri ambientali ed ha provocato un forte indebitamento dei paesi in via di sviluppo che, per creare delle basi adeguate per la loro crescita, tolgono risorse alla scuola e alla salute pubblica».
Consulente per le politiche agricole di numerosi governi, in Asia e in Europa (anche della regione Toscana), membro di decine di direttivi in altrettanti organismi internazionali, premiata più volte all’anno dal 1993, vive in parte nell’ambiente cosmopolita delle Nazione Unite e in parte nel mondo rurale indiano.
Le battaglie più notevoli vinte da Vandana, sono state contro le multinazionali che avevano ottenuto i brevetti del neem, del riso Basmati e del frumento Hap Nal. Questi ultimi due sono anche prodotti d’esportazione e paradossalmente, se i brevetti non fossero stati revocati, gli agricoltori indiani avrebbero dovuto pagare royalties alle società americane RiceTec e Monsanto, su ogni partita venduta all’estero.
«Oggi siamo testimoni di una concentrazione senza precedenti del controllo del sistema agroalimentare internazionale in cui convergono essenzialmente tre aspetti: il controllo dei semi, il controllo dell’industria chimica, il controllo delle innovazioni biotecnologiche attraverso il sistema dei brevetti. Il diritto al cibo, la libertà di disporre del cibo è una libertà per la quale la gente dovrà lottare come ha lottato per il diritto al voto. Solo che non vivi o muori sulla base del diritto al voto, ma vivi o muori sulla base del rifiuto del diritto di disporre di cibo».
Nel settembre 2011 l’India ha denunciato la Monsanto per bioterrorismo.
Naturalmente, le posizioni politiche di Vandana Shiva non trovano concorde la comunità scientifica ed ecologica. Inoltre, molte ambientaliste indiane sono preoccupate dalle manifestazioni religiose induiste organizzate da Navdanya e dalla recente insistenza di Vandana Shiva sul ritorno alla tradizione vedica in un periodo di forti tensioni con la minoranza musulmana. Giovani agronome hanno lasciato Navdanya, per raggiungere o fondare movimenti simili, ma non confessionali.
Collabora anche con «La Nuova Ecologia», la rivista di Legambiente.

Dal sito: https://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/vandana-shiva/   Fonti, risorse, siti:

  • Terra Madre. Sopravvivere allo Sviluppo, UTET 2002
  • Monoculture della mente. Biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica, 1995
  • Biopirateria. Il saccheggio della natura e dei saperi indigeni, 1999
  • Vacche sacre e mucche pazze. Il furto delle riserve alimentari globali, DeriveApprodi 2001
  • Campi di battaglia. Biodiversità e agricoltura industriale, Edizioni Ambiente, 2001
  • Il mondo sotto brevetto, 2002
  • Le guerre dell'acqua, Feltrinelli 2004
  • Le nuove guerre della globalizzazione, UTET 2005
  • Il bene comune della terra, Feltrinelli 2006
  • Dalla parte degli ultimi. Una vita per i diritti dei contadini, Slow Food 2008
  • India spezzata, Milano, il Saggiatore 2008
  • Ritorno alla terra, Fazi Editore 2009
  • Campi di battaglia, Edizioni Ambiente 2009

Filmografia.

  • L’economia della felicità, di Helena Norberg-Hodge, Steven Gorelick, John Page. Con Vandana Shiva. 2011.
  • Terra Madre, di Ermanno Olmi. Con Vandana Shiva. Documentario, durata 78 min. - Italia, 2009
  • Nove Semi (L’India di Vandana Shiva), di Maurizio Zaccaro, Documentario, Italia, 2009
  • Il mondo secondo Monsanto, di Marie-Monique Robin.  2008

sabato 11 febbraio 2023

 Helena Blavatsky, la viaggiatrice in cerca delle fonti della sapienza millenaria

La biografia di  Helena Blavatsky presa dal sito https://www.teosofica.org/it/societa-teosofica/origine-e-storia/biografia-di-helena-petrovna-blavatsky/,28

H. P. Blavatsky (1831-1891), è stata una delle figure più straordinarie del XIX secolo. L’influenza della sua vita, dei suoi scritti ed insegnamenti è stata importante ed ha sicuramente influito sullo ”spirito” del nostro tempo.  Le tre citazioni che seguono, tratte da opere di studiosi accademici non iscritti alla Società Teosofica, possono senz’altro fornire un’idea della vastità dell’influenza di Madame Blavatsky al pensiero spirituale del tempo.
“…M.me Blavatsky… si eleva come la sorgente del pensiero occulto moderno; essa fu sia l’iniziatore che il divulgatore della maggioranza dei termini e delle idee che si sono riunite un secolo dopo nel movimento New Age. La Società Teosofica, di cui fu la cofondatrice, è stata la maggiore sostenitrice della filosofia occulta in occidente e la sola più importante strada dell’insegnamento orientale all’occidente”. (J. Gordon Melton, New Age Almanac, Detroit, Michigan, Gale Research Inc. 1991, pag. 16).
“La teosofia occupa un posto centrale nella storia dei nuovi movimenti spirituali. Attraverso le opere della Blavatsky ed alcuni dei suoi seguaci ha avuto una grande influenza al di fuori della sua organizzazione… L’importanza della Teosofia nella storia moderna non dovrebbe essere sottostimata. Le opere della Blavatsky ed altri non solo hanno ispirato parecchie generazioni di occultisti ma il movimento ha avuto un ruolo rimarchevole nella restituzione ai popoli delle colonie in Asia del 19° secolo, della loro eredità spirituale” (Robert S. Ellvood, “Religions and Spiritual Groups in modern America”, ’89 p. 63).
“Helena Petrovna Blavatsky… è sicuramente fra le menti più originali e percettive del suo tempo. Sepolte nella massa disordinata delle sue due maggiori opere giacciono in forma rudimentale la prima filosofia dell’evoluzione psichica e spirituale apparse nel mondo moderno. Con tutta la critica scagliatasi contro di lei, H.P.B. emerge come un talento riproduttivo del nostro tempo… Dopo tutto essa è fra gli ardenti trascinatori moderni dell’idea irreale (visionaria). Nello stesso momento storico in cui Freud, Pavlov e James hanno iniziato a formulare la secolarizzata e materialista teoria della mente, che ha così velocemente dominato il pensiero moderno occidentale, H.P.B. ed i suoi compagni Teosofi liberavano dalle tradizioni occulte delle religioni esotiche una dimenticata psicologia del superconscio e dell’extrasensoriale. Madame Blavatsky potrebbe essere accreditata per aver posto le basi dello stile di una moderna letteratura occulta”. (Theodore Roszak, “The Unfinished Animal: The Aquarian Frontier and The Evolution of Consciousness, N.Y. Harper and Row, 1975, pag. 118 e seg.).

La vita di H.P.B., come essa preferiva chiamarsi, fu molto avventurosa. Finora sono state pubblicate varie sue biografie. Fra tutte merita una citazione quella di Sylvia Cranston, dal titolo di: “Helena Blavatsky – La straordinaria vita ed il pensiero della fondatrice del movimento teosofico moderno”, pubblicata in Italia da Armenia. Questa biografia brilla per il suo approccio di tipo scientifico e per la neutralità, che finiscono per dare il giusto risalto all’eccezionalità della figura di H.P.B..
Negli archivi della Società Teosofica ad Adyar esiste il passaporto di H.P.B. che documenta, anche se parzialmente, le date ed i paesi da lei visitati; inoltre sono state raccolte varie testimonianze di persone che ebbero l’opportunità di incontrarla nei vari periodi della sua esistenza. Da tutti questi elementi si può ricostruire la biografia della "sfinge del XIX secolo”, come fu definita a suo tempo da un giornalista americano.
Helena Petrovna von Hahn, nacque di sette mesi in Ukraina nel sud della Russia, ad Jekaterinoslav (attuale Dniepropetrovsk), importante porto fluviale sulle rive del Dniepr, il 12 agosto 1831 alle ore 1 e 42 minuti o, secondo il calendario ortodosso allora in uso, nella notte tra il 30 e il 31 luglio.
Era la primogenita del colonnello comandante dell’artiglieria imperiale russa Peter Hahn von Rottenstern, discendente di antica nobiltà prussiana di Meclemburgo emigrata in Russia. La madre, Helena Andreevna, nata Fadeeva, celebre romanziera soprannominata “la George Sand russa” era a sua volta discendente dalla nobile famiglia ugonotta Bandre du Plessy, emigrata dalla Francia a causa delle persecuzioni religiose. Ai suoi otto anni la famiglia di Helena si trasferì a Saratov sul Volga dove il nonno Fadeev era Governatore della Provincia. Il 6 luglio 1842, a 28 anni, la madre di Helena morì di tubercolosi, lasciando tre orfani: Helena, Vera e Leonida. Da allora la loro educazione fu affidata alla nonna materna, Principessa Helena Paulovna Dolgorukova Fadeeva, discendente della più antica nobiltà russa. Helena Fadeeva era nota per la sua grande erudizione e per le sue diverse pubblicazioni sulle scienze naturali, botanica, archeologia, numismatica; era, inoltre, socia corrispondente della Società Geografica Britannica.
A sua volta il nonno era un noto cultore di discipline occulte e possedeva una vasta biblioteca di opere rare su magia, alchimia e scienze occulte in generale. A tal proposito H.P.B. scrisse: “Prima dei miei 15 anni lessi tutti questi libri con il più intenso interesse e tutte le diavolerie medievali trovarono rifugio nella mia testa”.
Helena era una bambina eccezionale e già in tenera età era consapevole d’essere diversa da coloro che la circondavano. Il suo possesso di certi poteri psichici sconcertava la sua famiglia ed i suoi amici. Allo stesso tempo insofferente verso qualunque autorità e profondamente sensibile, essa era dotata in molti campi: in quello linguistico, in quello musicale (era infatti una pianista di talento), in quello artistico; essa era, inoltre, un’impavida cavallerizza e fu sempre in stretto contatto con la natura. In età giovanile Helena sentì che era in qualche modo destinata ad una vita di servizio ed era consapevole di possedere una guida ed una protezione speciale.
Quasi diciottenne sposò un uomo di mezz’età, Nikifor von Blavatsky, Vice Governatore della Provincia di Yerivan, con uno stato d’animo ribelle di indipendenza e, forse, con un piano per liberarsi del suo ambiente.
Il matrimonio siffatto non significò nulla per lei e non fu mai consumato. Dopo pochi mesi essa fuggì e viaggiò in lungo e in largo, in Turchia, Egitto e Grecia, con il denaro fornitole da suo padre.
Nel suo ventesimo compleanno, nel 1851, trovandosi a Londra, incontrò l’individuo che essa aveva conosciuto nelle sue visioni psico-spirituali di bambina. Un Iniziato orientale originario di Rajput, il Mahatma Morya o “M”, come esso fu conosciuto negli anni seguenti tra i teosofi.
Questi le indicò una parte del compito che ad essa era riservato e da quel momento Helena accettò pienamente la sua Guida.
Più tardi, lo stesso anno, Helena s’imbarcò per il Canada e, dopo avventurosi viaggi in varie parti degli Stati Uniti, Messico, Sud America e Indie occidentali, giunse via Città del Capo e Ceylon in India, nel 1852. Il suo primo tentativo di entrare in Tibet fallì. Essa, quindi, ritornò in Inghilterra via Java nel 1853.
Nell’estate del 1854, si recò nuovamente in America, attraversando le Montagne Rocciose.
Alla fine del 1855 partì per l’India via Giappone e gli stretti. In questo viaggio, riuscì ad entrare in Tibet attraverso il Kashmir e il Laddak.
Nel 1858 Helena fu in Francia e in Germania, quindi ritornò in Russia nel tardo autunno dello stesso anno, dove restò per un breve soggiorno presso sua sorella Vera a Pskov.
Dal 1860 al 1865 visse e viaggiò attraverso il Caucaso; nel mentre soffrì di una grave crisi psico-fisica che le consentì di prendere piena coscienza del proprio psichismo.
Lasciò nuovamente la Russia nell’autunno del 1865 e viaggiò ampiamente attraverso i Balcani, la Grecia, la Siria, l’Egitto e l’Italia.
Nel 1868 raggiunse il Tibet via India. In questo viaggio Helena Petrovna Blavatsky incontrò il Maestro Koot Hoomi “K.H.” e per la prima volta soggiornò nella sua casa nel Piccolo Tibet.
Alla fine del 1870 tornò a Cipro ed in Grecia. Imbarcatasi per l’Egitto, naufragò vicino l’isola di Spetsai il 4 Luglio 1871. Salvata dall’annegamento andò al Cairo dove cercò di formare una Società dello Spirito che però presto fallì. Dopo ulteriori viaggi attraverso il Medio Oriente, tornò per un breve periodo dai suoi parenti a Odessa, in Russia, nel Luglio del 1872. Nella primavera del 1873 ad Helena venne indicato di andare a Parigi prima ed a New York dopo; sbarcò il 7 Luglio 1873.
H.P. Blavatsky aveva 42 anni.
Ad avviso dei Mahatma essa era il migliore strumento disponibile per il lavoro che essi avevano in mente, vale a dire offrire al mondo una nuova rappresentazione, sebbene solo in un breve profilo, dell’antica Theosophia “La saggezza accumulata nel corso delle Ere, provata e verificata da generazioni di profeti”, quel corpo di verità del quale religioni grandi e piccole sono nient’altro che rami di un unico albero. Il suo obiettivo era sfidare da una parte le fortificate credenze ed il dogmatismo tipico di alcuni ambienti religiosi occidentali e, dall’altra, le vedute, ugualmente dogmatiche, della scienza dei suoi giorni. Una spaccatura, tuttavia, era apparsa recentemente nella duplice struttura di quelle “fortificazioni” mentali. Fu causata dallo spiritualismo a quel tempo in auge in America.
Per citare le parole di H.P.B.: “Io sono stata mandata per fornire la prova dei fenomeni e della loro realtà e per mostrare la fallacia della teoria spiritualistica dello spirito”.

Nell'ottobre del 1874 H.P.B. fu messa in contatto con il colonnello Henry Steel Olcott, un uomo di genuino valore che aveva acquistato considerevole fama durante la guerra civile; aveva servito il Governo U.S.A. con distinzione ed era, allo stesso tempo, praticante avvocato a New York. Incontrò anche William Quan Judge, un giovane avvocato irlandese che avrebbe pure giocato un ruolo nel futuro lavoro teosofico. Il 7 settembre 1875, insieme con alcune altre eminenti figure, fondò una società che essi scelsero di chiamare "La Società Teosofica", istituita per diffondere gli antichi insegnamenti della Teosofia, ovvero la saggezza concernente il Divino, che è stata la base spirituale di altri grandi movimenti del passato quali il Neo-Platonismo, lo Gnosticismo e le scuole Misteriche del mondo classico. Il discorso inaugurale del Presidente-fondatore Colonnello Olcott, fu pronunciato il 17 Novembre 1875, una data che viene considerata quella ufficiale della fondazione della Società. Partendo da una generalizzata esposizione degli obiettivi, vale a dire Riordinare e diffondere lo scibile delle leggi che governano "l'Universo", i fondatori presto li espressero più specificatamente, dopo alcuni cambiamenti di second'ordine, nella formulazione di quegli obiettivi base da perseguire: 1) Formare un nucleo di fratellanza universale dell'Umanità, senza distinzione di razza, credo, sesso, casta o colore. 2) Incoraggiare lo studio comparato di religioni, filosofie e scienze. 3) Investigare le leggi inesplicate della natura e i poteri latenti nellメuomo. 

La Società Teosofica ha per motto: “Non vi è religione superiore alla Verità”. Ogni religione, ogni filosofia, ogni scienza, ogni attività trae quanto possiede di bellezza e di verità dalla Divina Sapienza, ma nessuna può dichiararsene esclusiva proprietaria contro tutte le altre.
La Teosofia non appartiene alla Società Teosofica, bensì la Società Teosofica alla Teosofia.  

Nel settembre 1877 si ebbe un potente impatto sui lettori e sull'opinione pubblica per la pubblicazione della prima opera monumentale di H.P. Blavatsky: "Iside svelata" che venne distribuita da J.W. Bouton nella città di New York. Le mille copie della prima edizione furono vendute in 10 giorni. Il New York Herald Tribune considerò l'opera come una delle più "rimarchevoli produzioni del secolo". Molti altri giornali e riviste si espressero in termini simili. "Iside svelata" descrive a grandi linee la storia, lo scopo e lo sviluppo delle scienze occulte; la natura e le origini della magia, le radici della cristianità, gli errori del dogmatismo cristiano e le errate credenze della enunciata scienza ortodossa, contro lo sfondo dei segreti insegnamenti che scorrono, come un filo d'oro attraverso i secoli passati emergendo, di quando in quando, nei vari movimenti mistici degli ultimi 2000 anni. L'8 luglio 1878, H.P. Blavatsky venne naturalizzata cittadino statunitense; un evento che fu pubblicato su vari quotidiani. Nel dicembre dello stesso anno H.P.B. e il Colonnello Olcott partirono per l'India via Inghilterra. Arrivati a Bombay nel febbraio 1879, stabilirono il loro Quartier Generale Teosofico in quella città. Subito dopo il loro sbarco furono contattati da Alfred Percy Sinnett, successivamente Editore del giornale governativo "The Pioneer" di Allahabad. Questo contatto presto si dimostrò di estrema importanza. Dopo un viaggio nell'India nord-occidentale, i fondatori ritornarono a Bombay dove diedero vita, nell'ottobre del 1879, ad una rivista strettamente teosofica,denominata "The Theosophist" (ancor oggi pubblicato), con H.P.B. come editore. La Società Teosofica ebbe poi un rapido sviluppo ed attrasse alcune persone straordinarie sia in India che altrove.

Nel 1880 i fondatori soggiornarono a Ceylon (Sri Lanka) dove il Colonnello Olcott pose le fondamenta del suo successivo compito: stimolare la rinascita del Buddhismo. I due fondatori divennero, nel contempo, ufficialmente buddisti. Nel settembre ed ottobre 1880 H.P.B. ed il Colonnello Olcott fecero visita ad A.P. Sinnett ed a sua moglie Patience a Simla nel nord dell'India. Il serio interesse di Sinnett per gli insegnamenti e per il lavoro svolto dalla Società Teosofica indussero H.P. Blavatsky a stabilire un contatto epistolare fra Sinnett ed i due Adepti che avevano patrocinato la Società, i Mahatma K.H. ed "M". Sulla base di questa corrispondenza Sinnett scrisse "Il Mondo Occulto" (1881) e "Buddismo Esoterico" (1883) che ebbero entrambi un'enorme influenza, contribuendo notevolmente a generare un pubblico interesse nei riguardi della teosofia. Le repliche e le spiegazioni fornite dai Mahatma sulle domande poste da Sinnett vennero incorporate nelle loro lettere scritte nel periodo tra il 1880 e il 1885. Queste furono pubblicate nel 1923 con il titolo "Lettere dei Mahatma ad A.P. Sinnett". Le lettere originali dei due Maestri sono conservate a Londra nella British Library, dove possono essere vedute previa concessione di un permesso speciale rilasciato dal Dipartimento dei Manoscritti Rari. Nel maggio 1882 fu acquistato un vasto podere ad Adyar (nel sud dell'India vicino a Madras) dove, alla fine dell'anno, fu trasferita la Sede Centrale della Società Teosofica. Questo centro divenne presto il punto irradiante di un'attività teosofica di ampiezza mondiale. Madame Blavatsky ed il Colonnello Olcott si impegnarono in viaggi verso lontane regioni, fondarono sedi e gruppi, ricevettero visitatori, mantennero un'enorme corrispondenza con tutti coloro che richiedevano informazioni ed arricchirono il loro giornale con argomenti estremamente eruditi, il cui scopo principale fu di rivitalizzare gli interessi sopiti di una parte dell'India nei confronti del valore spirituale delle proprie antiche scritture. Il Colonnello Olcott nel febbraio 1884 partì per Londra per presentare una petizione al governo britannico in favore del Buddismo di Ceylon. H.P.B. che allora non godeva di buona salute andò con lui in Europa.

Dopo un soggiorno di quasi 5 mesi a Parigi ed a Londra, H.P.B. andò a far visita alla famiglia Gebhard ad Elberfeld, in Germania, durante la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno del 1884 e fu attivamente impegnata a scrivere la sua seconda opera "La Dottrina Segreta". Nel frattempo le fu lanciato un attacco diffamatorio da parte di Alexis ed Emma Coulomb (due membri del suo staff ad Adyar). La Blavatsky rientrò ad Adyar il 21 dicembre 1884, per conoscere i dettagli della situazione. Essa voleva citare in giudizio la coppia, già cacciata da Adyar per le sue rozze diffamazioni su di lei concernenti la supposta fraudolenta produzione di fenomeni psichici. H.P.B., a seguito anche di alcune incomprensioni con alcuni dirigenti della Società Teosofica, rassegnò le dimissioni da Segretario incaricato della corrispondenza della Società. Il 31 marzo 1885 partì per l'Europa per non far più ritorno sul suolo indiano. L'attacco dei Coulomb, come è stato successivamente ed ufficialmente provato, non aveva il benché minimo solido fondamento. Nel frattempo, la S.P.R. (Società di Ricerche Psichiche) di Londra aveva designato una speciale commissione per indagare in merito ai reclami di Madame Blavatsky. Successivamente, nel dicembre 1884, Richard Hodgson, un membro della Commissione di inchiesta della Società di Ricerca dei fenomeni psichici, si recò in India per indagare sul caso e riferire riguardo alle affermazione dei Coulomb. Basandosi sulle conclusioni di Hodgson la Commissione S.P.R., nel suo rapporto finale del dicembre 1885, bollò Madame Blavatsky come "uno dei più istruiti, ingegnosi ed interessanti impostori della storia". Tale rapporto è stato la base della maggior parte dei successivi attacchi contro Helena Petrovna Blavatsky. Va altresì rilevato che recentemente la stessa Società di Ricerche Psichiche ha stabilito l'inattendibilità di tale rapporto, rivalutando quindi pienamente H.P.B. che certo non ne aveva bisogno ma che comunque, seppure ex post, vede riconosciuta la sua forza ed il suo valore. Del resto, già nel 1963, Adlai Waterman (pseudonimo di Walter A. Carrithers Jr.), nel suo lavoro definitivo intitolato "Necrologio: Il rapporto Hodgson su M.me Blavatsky", analizzò e confutò gli assunti di Hodgson contro Madame Blavatsky. Una più recente confutazione dei capi d'accusa rivolti contro H.P.B. è offerta dal libro di Vernon Harrison intitolato H.P. Blavatsky e l'S.P.R.: un esame del rapporto Hodgson del 1885. H.P.B., dopo aver lasciato l'India per l'Europa soggiornò inizialmente in Italia e poi, nell'agosto 1885, a Wurzburg in Germania, dove lavorò su "La Dottrina Segreta". Nel luglio 1886 si trasferì ad Ostenda in Belgio e nel maggio 1887, in seguito all'invito dei teosofi inglesi, si trasferì in una piccola casa ad Upper Norwood, Londra. Dopo il suo arrivo in Inghilterra le attività teosofiche si misero rapidamente in moto. La Loggia Blavatsky aveva formulato ed avviato le idee teosofiche rendendole pubbliche. H.P.B. fondò nel settembre 1887 "Lucifer", una rivista mensile progettata, come affermato sul suo frontespizio, "per illuminare le cose misteriose celate dalle tenebre". Nello stesso mese H.P.B. si trasferì al 17 di Lonsdowne Road, Holland Park, Londra.

H.P.B. continuò a scrivere la sua grande opera, che aveva finalmente completata e pubblicata in due grossi volumi nell' ottobre/dicembre 1888. Fra i suoi infaticabili collaboratori per la trascrizione e pubblicazione dei manoscritti furono Bertram e Archibal Keightly il cui sostegno finanziario fu anche di grande aiuto. "La Dottrina Segreta" fu il coronamento dell'opera letteraria di H.P. Blavatsky. Il primo volume riguarda principalmente l'evoluzione dell'Universo. L'ossatura di questo volume è costituita da sette stanze, tradotte dal libro di Dzyan, con commentario e spiegazione di H.P.B. In questo volume vi è pure un'estesa delucidazione dei simboli fondamentali contenuti nelle grandi religioni e mitologie del mondo. Il secondo volume contiene una ulteriore serie di stanze da "Il libro di Dzyan" che descrive l'evoluzione dell'Umanità. Nell'ottobre del 1888, Madame Blavatsky costituì la Sezione Esoterica (o scuola) della Società Teosofica per un più profondo studio della Teosofia affrontato da studenti consacrati e scrisse per loro "Tre E.S. istruzioni". Nel 1889 H.P.B. pubblicò "La chiave della Teosofia", una chiara esposizione sotto forma di domande e risposte riguardo l'etica, la scienza, la filosofia e sullo studio del fine per cui la Società Teosofica è stata fondata; nonché la gemma mistico-devozionale chiamata "La Voce del Silenzio" contenente brani estratti e tradotti da un testo sacro orientale: "Il libro dei precetti d'oro" che essa aveva imparato a memoria durante il suo addestramento in Oriente. Nel luglio 1890, H.P.B. stabilì il Quartier Generale Europeo della Società Teosofica al n° 19 di Avenue Road, St. John's Wood, London dove morì l'8 maggio 1891 a causa di una violenta influenza epidemica scoppiata in Inghilterra. I suoi resti furono cremati nel Surrey. Per il bagaglio culturale dei suoi scritti ed insegnamenti, la sua vita ed il forte carattere, la sua missione e lo straordinario psichismo, H.P. Blavatsky è destinata ad essere riconosciuta nel tempo in tutto il suo valore e originalità, come una sincera e grande divulgatrice dei principi e del sapere della Fratellanza degli Adepti Trans-Himalaiana. Potremmo concludere dicendo di H.P.B.: "una persona autentica e sincera e totalmente al Servizio dell'Unità della Vita e della Fratellanza Universale senza distinzioni".

 

Altro articolo su  Helena Blavatsky, la viaggiatrice in cerca delle fonti della sapienza millenaria che non ha mai smesso di fermarsi.   https://www.elle.com/it/magazine/storie-di-donne/a28361500/helena-blavatsky-viaggi-libri/

Ciò che interessava a Helena Blavatsky era la libertà di esplorare le fonti del mistero per raggiungere la verità. E per farlo ha percorso il mondo intero. Da molti fu considerata una illuminata, da altrettanti una ciarlatana. Ma nel corso della sua vita Helena Blavatsky andò avanti nelle sue ricerche delle fonti sapienziali incurante dei giudizi degli altri, pronta a mettersi in discussione, aperta a tutte le credenze, contraria a ogni dogmatismo. Le sue ricerche hanno influenzato profondamente le dottrine esoteriche occidentali, fino a influire sulla nascita del movimento New Age del XX secolo. Come diceva, “la conoscenza aumenta in proporzione all’uso che ne viene fatto, il che vuol dire che più si insegna, più si impara.”.

lunedì 29 agosto 2022

Josephine Baker

Joséphine Baker (1906 - 1975) è stata una cantante e danzatrice statunitense naturalizzata francese. Di origine creola afroamericana, è considerata come la prima celebrità nera e tra le più acclamate vedette di Parigi. 

Joséphine Baker si è battuta ed impegnata per l'emancipazione femminile, contro la segregazione razziale, per i diritti dei neri, contro il nazismo, per una società multietnica. E’ la prima donna nera a ricevere la più alta onorificenza francese,  il titolo di Cavaliere della Legione d’onore..
Nata a St. Louis in Missouri, viene abbandonata dal padre alla nascita. Trascorre gli anni della gioventù nella povertà e nella segregazione. Nonostante tutto è una bambina allegra  che cresce in un quartiere del ghetto, a ritmo di blues. Messa a servizio domestico nelle case di famiglie bianche e benestanti, abbandona la scuola. A 13 anni il primo matrimonio con Willie Wells (durata del matrimonio un anno - 1919). Successivamente si unisce a una compagnia di artisti di strada e nel 1921 sposa Willie Baker (durata del matrimonio dal 1921 al 1925), di cui  manterrà il nome anche dopo la separazione. E' proprio in quegli anni che inizia a ballare e ad esibirsi in piccoli numeri, dimostrando un carattere determinato ma al contempo positivo e solare. Approda a Broadway a New York, dove il “Rinascimento di Harlem” consente la messa in scena di spettacoli interpretati da artisti di colore e a soli sedici anni si fa coreografa e interprete del suo primo show, Shuffle Along.
Assieme alla sua bravura, maturano anche la fama e il successo, tanto che le sue performance vengono richieste oltre oceano: nel 1925 arriva a Parigi con Sidney Bechet, dove la segregazione razziale non esiste ma i neri subiscono il peso di rigidi stereotipi, retaggio della politica coloniale protratta per molti decenni.
Decisa ed esplosiva Josephine non si lascia intimidire e diventa la star della “Revue Nègre” al Théâtre des Champs-Elysées. Qui, in breve tempo conquista il ruolo di prima ballerina e diventa una celebrità a Parigi. La sua danza, un infuocato charleston eseguito in un’ambientazione esotica che unisce il gusto piccante e ricercato del varietà francese al folklore della musica africana, lascia il pubblico a bocca aperta. Nel 1927, alle Folies Bergères, Josephine Baker si spinge ancora oltre nello sfruttare le fantasie coloniali dell’epoca esibendosi vestita soltanto di una cintura di banane, accompagnata da una pantera. La prima canzone che esegue nel 1930 al Casino de Paris, “J’ai deux amours, mon pays et Paris”, la consacra definitivamente come diva. 
I suoi balli moderni, arditi, mai volgari, in cui “la musica sembra sgorgare dal suo corpo” verranno accolti e apprezzati con entusiasmo e i mitici anni Venti e l’età del Jazz non sarebbero stati gli stessi se Josephine Baker non fosse stata a Parigi a scaldare le trasgressive notti francesi con la sua sensuale danse sauvage.
Il suo successo è straordinario, balla davanti ai reali d’Europa, Le Corbusier crea un balletto per lei, Pirandello desidera dedicarle una commedia, riceve migliaia di proposte di matrimonio, ha contendenti del calibro di Ernest Hemingway, George Simenon, Picasso e Jean Cocteau. 
Nel 1937 ottiene la cittadinanza francese attraverso il matrimonio con Jean Lion (durata del matrimonio  dal 1937 al 1940). Il matrimonio dura un paio d’anni. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale l’ideale razzista riemerge con tutta la sua forza in Europa e Josephine lo sperimenta sulla sua pelle.  Josephine rappresenta tutto ciò che il nazismo aborrisce e nel 1940 la “Venere nera” si mette al servizio della Resistenza del suo paese d’adozione ed entra nel controspionaggio francese.
L’invasione della Francia, la costringe a trasferirsi nel sud del paese, dove si impegna ad accogliere e nascondere gli oppositori del Nazismo. Fa ritorno a Parigi solo dopo la liberazione, indossando l’uniforme e accolta da migliaia di persone che lanciano fiori al suo passaggio. Per il suo impegno civile e militare le vengono conferiti la Croix de Guerre, la Rosette de la Resistance e il titolo di Cavaliere della Legione d’onore nel 1957 da Charles De Gaulle. Ma la sua sete di giustizia è inarrestabile. Nel 1947, insieme al suo quarto marito, Jo Bouillon (durata del matrimonio dal 1947-1961), direttore d’orchestra, adotta dodici bambini, tutti di nazionalità diverse, grazie ai quali riesce a dimostrare che “i bambini di etnie differenti possono amarsi come fratelli”.

Gli anni Cinquanta vedono Josephine profondamente impegnata nel movimento per i diritti civili degli afroamericani, tanto che si rifiuta di danzare di fronte ad un pubblico di soli bianchi, boicottando teatri e diventando una delle prime artiste ad esibirsi per un pubblico misto e nel 1963 partecipa e arringa la folla durante la Marcia su Washington al fianco di Martin Luther King. Si esibisce per il suo ultimo spettacolo a Parigi nel 1975: il teatro si dimostra troppo piccolo per accogliere la miriade di spettatori ansiosi di assistere alla performance. Tra le file si accomodano per renderle omaggio anche Mick Jagger, Sophia Loren, Liza Minnelli e molti altri personaggi dello spettacolo.

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