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martedì 27 agosto 2024

Oltre la rabbia e l’orgoglio: Il sultano e San Francesco - La risposta di Tiziano Terzani a Oriana Fallaci

In seguito agli attacchi alle Torri Gemelle, Oriana Fallaci ruppe un silenzio durato dieci anni. Il 29 settembre 2001, la giornalista fiorentina lanciò la sua invettiva contro il fondamentalismo islamico e l’Occidente troppo tollerante dalle colonne del Corriere della Sera. Seguì una trilogia: La rabbia e l’orgoglio (2001), La forza della ragione (2004), Oriana Fallaci intervista sé stessa (2004).


La giornalista, “arrabbiata d’una rabbia fredda, lucida, razionale”, si lasciò andare a pensieri dirompenti, che divisero l’opinione pubblica italiana. Si scagliò contro il multiculturalismo, mettendo in guardia di fronte alla “fandonia dell’Islam moderato”. Descrisse i musulmani come una civiltà “che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate”. Bollò il Corano come un libro in cui, in qualunque edizione lo si legga, rimangono “la poligamia, la sottomissione, anzi, la schiavizzazione della donna.    

Oggi, purtroppo, dopo l'invasione di Putin dell'Ucraina il 7 febbraio 2022 e dopo la vendetta di Israele, in seguito alla strage di civili perpetrata il 7 ottobre 2023 da combattenti di Hamas, la RABBIA e la GUERRA sono di nuovo di estrema attualità.  

Tuttavia, prese di posizione come “Rabbia e orgoglio” non ci aiuteranno a sconfiggere il terrorismo, nè a trovare soluzioni di problemi ancestrali come in Ucraina e Palestina. Solo con il dialogo e la comprensione dell'altro punto di vista si può cercare di arrivare a una soluzione accettabile, vedi il caso del SUD AFRICA. Dopo decenni di violenza e repressione, morti e vendette, la situazione venne affrontata dal presidente Frederik Willem De Klerk, leader afrikan del National Party, che il 2 febbraio 1990 riabilitò tutti i gruppi politici di opposizione al regime, compreso l'ANC. Nelson Mandela venne liberato l'11 febbraio 1990 e si arrivò ad una riconciliazione nazionale.

Questo era anche il pensiero di Tiziano Terzani in “Il Sultano e San Francesco”, una lunga lettera aperta indirizzata alla Fallaci nell’ottobre 2001 (l’8 ottobre venne pubblicata sul Corriere della Sera).  Terzani usò espressioni dure nei confronti di Oriana, scrivendo: “Nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana – la ragione; il meglio del cuore – la compassione”.

A detta del giornalista e scrittore, la collega si era comportata in maniera irresponsabile: grazie alla sua notorietà, la sua “brillante lezione di intolleranza” era arrivata dritta nelle scuole, influenzando tanti giovani e servendo a “risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto”.

Terzani chiese inoltre alla giornalista fiorentina se non le sembrasse di esagerare indicando “le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi”. E le rimproverò: “Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio se imparassero a lezione di religione anche cosa è l’Islam?”

Terzani criticò poi la Fallaci perché completamente disinteressata a capire le ragioni dei terroristi. “A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece… I kamikaze mi interessano perché vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio e cosa potrebbe fermarli”, scrisse Terzani.

Scrisse: “Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire; perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi ma eliminando le ragioni che li rendono tali”. Come il richiamo alla guerra della Fallaci, anche il messaggio di pace e tolleranza di Terzani provocò profonde divisioni nell’opinione pubblica. Tuttavia, le misure che verranno prese per arginare la minaccia terroristica non potranno non seguire il suo invito a “rifiutare il semplicismo intollerante”. Altrimenti, le tensioni non si assopiranno e la violenza terroristica tornerà a esplodere.

Gandhi diceva: "Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficle che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me".  Ci vorrebbe un San Francesco ai tempi delle crociate. Il suo interesse era per gli "altri" per quelli contro i quali combattevano i crociati. Durante la quinta crociata, amareggiato dal comportamento dei crociati, sconvolto dalla vista dei morti sul campo di battaglia attraversò le linee del fronte. Fu catturato, torturato e portato al cospetto del sultano, era il 1219, peccato che non ci fosse ancora la CNN, perchè sarebbe interessantissimo rivedere quell'incontro. Dopo una chiacchierata che durò tutta la notte, al mattino il sultano lasciò che Francesco tornasse, incolume, all'accampamento dei crociati. San Francesco parlò di Cristo, il sultano lesse parti del Corano e alla fine si trovarono d'accordo sul messaggio "Ama il prossimo tuo come te stesso".  Mi diverte immaginare, che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia.   Ma non possiamo rinunciare alla speranza. Anche Einstein divenne sempre più convinto della necessità del pacifismo. 

Chalmers Johnson, un vecchio accademico della Berkeley University, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse, dà di questa storia una interpretazione completamente diversa: «Gli assassini suicidi dell’ 11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana» ( scrisse  nel numero di The Nation uscito in ottobre 2001).

«Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate», scriveva in quei giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice di Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata e odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato la discussione mondiale su Osama bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi a un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide, responsabile dell’esplosione che nel 1984, nella fabbrica chimica di Bhopal, in India, fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse sì. Il terrorista che ora ci viene additato come il «nemico» da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamico fanatico, che in nome di Allah uccide sé stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo a una folla.
Dobbiamo però accettare che per altri il «terrorista» possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione e inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso la gente muore di fame? Questo non è relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare a una definizione comune del nemico da debellare.

Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso, così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. «Dateci qualcosa di più carino del capitalismo», diceva il cartello di un dimostrante in Germania. «Un mondo giusto non è mai NATO», c’era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo «più giusto» è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere.
Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità e ispirato ad un po’ più di moralità.
La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perché ora tornano comodi, è solo l’ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi.
Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo, e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche.

Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perché i musulmani si attendano in piazza del Duomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. È così perché anche Firenze s’è «globalizzata», perché non ha resistito all’assalto di quella forza che, fino a ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato.

Per questo sto, anch’io ritirato, in una sorta di baita nell’Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto nell’universo. La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. 

Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di Trovare pace. Perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.

sabato 17 agosto 2024

Lettere contro la guerra - Tiziano Terzani

 Tiziano Terzani dopo la tragedia dell'11 settembre 2001 (la distruzione delle torri gemelle a New York)  scrive il libro Lettere contro la guerra, diventando, dopo trentanni di corrisponente di guerra, corrispondente di pace.  In queste lettere asserisce che la guerra va condannata, ma va anche compresa. Se vogliamo capire il mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista occidentale. Il che in pratica voleva dire che non si poteva guardare quel bombardamento sull'America senza guardare tutti i bombardamenti fatti dall'America nei Paesi islamici.  E una volta capito questo, occorre una profonda azione su noi stessi, un cambiamento, una rivoluzione.  L'unica reazione sensata alla tragedia dell'11 settembre sarebbe dovuta essere la pace.

Sarebbe sensato esaminare queste tragedie da una prospettiva diametralmente opposta a quella dei media occidentali, una prospettiva di pace e di un mondo culturale più ampio.  I media occidentali portano avanti una guerra di civiltà che difenda i valori occidentali da una non-cultura, quella islamica, che meriterebbe solo disprezzo. Terzani scrive una serie di lettere, da varie parti del mondo, che raccolgono le voci dell'Altro. Bisogna contrapporre alla vendetta l'ascolto, alla distruzione la conoscenza, alla rabbia la comprensione, all'orgoglio il riconoscimento delle colpe occidentali.

Il ruolo dell'intellettuale, soprattutto oggi,  dovrebbe essere quello di essere un granello di sabbia nelle ruote del potere, e riportando le parole di  Edward Said "creare dei campi di comprensione, invece che campi di battaglia". Forse può sembrare utopico, ma purtroppo oggi la maggior parte degli intellettuali occidentali non "intelligono" non capiscono o fanno finta di non capire. Chi dovrebbe vedere, è cieco, e parla non contro il potere, ma assecondandolo nel suo desiderio di vendetta e nelle sue folli rappresaglie.

Le due tragedie attuali, la guerra in Ucraina e la guerra in Palestina, dovrebbero essere viste nella prospettiva più ampia proposta da Terzani. L'invasione dell'Ucraina 24 febbraio 2022 andava non solo condannata, ma pure spiegata, magari guardando l'oggettivo imperialismo della NATO e il suo sviluppo fino ai confini della Russia o l'invasione di vari Stati da parte degli americani.  L'eccidio di Hamas del 7 ottobre 2023 andava non solo condannato, ma anche spiegato, magari guardando la risoluzione 181 dell'ONU del 1947 sulla creazione dei due Stati mai attuata, o la segregazione violenta del popolo palestinese.

Chi prova a guardare gli eventi in una prospettiva di pace e più ampia, viene purtroppo visto come filo Putiniano o antisemita.  Anche lo stesso Papa Francesco è stato sottoposto a un linciaggio mediatico, con commenti duri e sprezzanti quando ha provato a lanciare proposte di pace.  Il vincitore del Nobel per la letteratura Romain Rolland, alla vigilia della Grande Guerra denunciava che "i latrati di  odio dei giornali fanno orrore e pietà. Che opera credono di compiere? Vogliono punire dei delitti , e sono, essi stessi dei delitti: perchè le parole omicidie sono la semente degli omicidi". Per questo fu trattato da traditore della pace e dell'Occidente.

La nostra cecità ci porta a legittimizzare la supremazia occidentale sull'umanità. Dopo la seconda guerra mondiale l'Occidente è il custode dell'ordine internazionale, e chiunque minacci gli interessi dell'Occidente è un nemico, è un cattivo, è il Male.  La retorica è sempre la stessa;  Quando i nostri affari occidentali ( che sono associati alla nostra civiltà) sono in pericolo, dobbiamo reagire con la guerra, militarizzare le nostre società, produrre nuove armi, spendere più soldi per la difesa. E allora trasformiamo questa guerra, con in gioco interessi economici immensi, in uno scontro tra civiltà.

In questi periodi così oscuri, dovrebbe emergere quel "pensiero critico" incluso tra i valori occidentali  e proporre quindi di difendere questi valori, non con le armi, ma rinegoziandoli, cambiarli, aprirli a una visione multilaterale.  Dovremmo forse cominciare ad opporci a chi appoggia e sostiene la politica di un mondo monopolare dominato dall'Occidente. "Questo mostro a cento teste si chiama imperialismo, un orgoglio e una volontà di dominio che vuole assorbire, sottomettere o distruggere tutto, che non tollera alcuna libera grandezza al di fuori di sè stesso" - Romain Rolland. 

Rabindranath Tagore il grande poeta indiano giudicava la civiltà occidentale in questo modo: "essa consuma i popoli che invade; stermina e annienta le stirpi che ostacolano la sua marcia di conquista. Una civiltà di cannibali. Opprime i deboli e si arrichisce a loro spese. Col pretesto del patriottismo essa tradisce la parola data, tende senza vergogna i suoi tranelli di menzogne, erige idoli mostruosi nei templi dedicati al Guadagno, il dio ch'essa adotta. Ebbene noi profetizziamo che tutto ciò non durerà per sempre".

Terzani ci dice che la radice della guerra è la stessa del violento dominio maschile sulle donne e della devastazione dell'ambiente. l'istinto di possesso e di comando.  Citando Gandhi, egli torna a ripeterci: "finchè l'uomo non si metterà di sua volontà all'ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sarà per lui alcuna salvezza".


Sintesi dell'Introduzione di Tomaso Montanari al libro di Tiziano Terzani Lettere contro la guerra.  Tomaso Montanari è uno storico dell'arte e saggista italiano, rettore dell'Università per stranieri di Siena dal 2021. E' il presidente dell’associazione di cultura politica Libertà e Giustizia. Ha dedicato un piccolo libro all’impegno civile degli intellettuali: Cassandra muta.

lunedì 29 gennaio 2024

Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto - servitore di pace

Lanza del Vasto (1901-1981), poeta, pellegrino, patriarca, profeta, sembra aver vissuto molte vite in una sola.  La sua vita, così come il suo pensiero, comprende e unisce fra di loro universi molto differenti: poesia, metafisica, scultura, musica medievale, vita comunitaria, lavoro manuale, azione non-violenta.     Nato in una famiglia aristocratica dell’Italia meridionale, Lanza studia a Parigi, poi a Firenze e a Pisa dove, nel 1928, consegue la Laurea in Filosofia. Dotato di notevoli capacità intellettuali, ma anche di intenso gusto per la vita, esita fra dedicarsi alla carriera universitaria o dedicarsi all’arte. Frequenta scrittori ed artisti del suo tempo, instaura una forte amicizia con Luc Dietrich (un giovane scrittore francese che ebbe una vita breve e tormentata).         

Gli  anni centrali della sua vita sono difficili da riassumere per la ricchezza di incontri e di viaggi che racchiude. Da solo e a piedi egli percorre l’Italia e la Grecia, va in pellegrinaggio fino a Gerusalemme, soggiorna a Firenze, Berlino, Roma, Parigi, Marsiglia.
Sempre perseguendo il suo progetto di sistema filosofico, egli continua a elaborarlo e ne parla con alcuni noti intellettuali : Gabriel Marcel, Maurice de Gaudillac, Simone Weil…

Ben presto il desiderio di “guardare il mondo negli occhi” lo induce però a lanciarsi verso altri e più distanti orizzonti. In India, che percorre da Ceylon all’Himalaya, il poeta filosofo diventa vagabondo e Pellegrino. Lanza va in India per imparare a “divenire migliore cristiano”, non per esotismo orientale, e la non-violenza gli appare come la traduzione sociale e politica delle Beatitudini.

Il punto centrale del viaggio è rappresentato dal suo incontro decisivo con Gandhi nel 1937, il quale gli dona un nuovo nome: Shantidas, servitore di pace. Da quel momento in poi tutta la sua vita sarà segnata dalla non-violenza, non quale semplice ideale morale, ma come leva per una trasformazione spirituale e sociale. Sulle pendici dell’Himalaya egli sente una  chiamata a far conoscere questo messaggio in Occidente.

Di ritorno in Francia, nel 1938, egli si trova avvolto dalla barbarie della Guerra e scrive “Le Pèlerinage aux Sources" (Pellegrinaggio alle Sorgenti), diario del suo viaggio, che viene pubblicato nel 1943, rendendolo famoso. Nel 1944 alcune persone cominciano a riunirsi in rue Saint-Paul, a Parigi, per ascoltarlo commentare i Vangeli. 

Il suo grande progetto è quello di fondare un “Ordine gandhiano d’Occidente” di ispirazione cristiana, aperto ad ogni uomo di buona volontà. Ma gli anni della guerra lo costringono ad avere pazienza. Nel 1948 fonda la “Comunità dell’Arca”, alla quale dedicherà i suoi successivi trentatre anni di vita, portando nel mondo intero un messaggio di saggezza e di pace. Muore in Spagna il 5 gennaio 1981, nel suo ottantesimo anno...

https://www.lanzadelvasto.com/it/  Libri:   Che cosa è la nonviolenza;  Pellegrinaggio alle sorgenti; L'arca aveva una vigna per vela.

Lynn Gottlieb - l'ebraismo nonviolento

L'ebraismo non violento della Rabbina Lynn Gottlieb: cessare il fuoco e avviare "azioni riparatrici"
Scritto da  Roberto Fantini  e pubblicato su FlipNews Free Lance International Press   

Di fronte al nostro mondo insanguinato che, giorno dopo giorno, ci appare sempre più infernale, ci ritroviamo ad  interrogarci sovente (pur nella consapevolezza che tutto quello che potremmo fare noi, umili donne di lettere e di intelletto, inciderà sempre  ben poco sul  divenire doloroso degli eventi)  in merito a  come contrastare le quotidiane celebrazioni della violenza nelle sue varie declinazioni, prime fra tutte quelle di carattere bellico.   

Una cosa indubbiamente preziosa (forse soltanto consolatoria, certo, ma  forse anche pedagogicamente terapeutica) potrebbe risultare il cercare di rivolgere lo sguardo mentale verso chi si adopera, ignorato dalle luci dei palcoscenici mediatici, nel continuare a seminare parole di saggezza e di fiducia nelle possibilità umane di ribellarsi alla tirannia delle armi e della prepotenza politica.

Perché, per le nostre anime ferite, può costituire una fonte salutare e vivificante il sapere che, in ciascuna nazione flagellata dai conflitti, all’interno di ogni schieramento, esistono e lavorano (spesso osteggiate, minacciate, emarginate, censurate e represse) persone pronte a rischiare la propria vita per non smettere di chiedere, di cercare e di costruire Giustizia e Pace.

 Perché ci comunica una forza immensa, carica di operosa speranza, il sapere che esistano (tanti!) giornalisti, intellettuali, religiosi, obiettori di coscienza, ecc. che, nonostante tutto, non intendono rassegnarsi, tacere, obbedire, ma che continuano a difendere e soccorrere le vittime, a denunciare i crimini, a rifiutare  la faziosità che occulta il vero e nobilita i boia, che continuano, soprattutto, ad impedire alla propria ragione di abdicare e di arrendersi, proseguendo nel proprio lavoro di riflessione, di onesta informazione,  di discussione critica, e, soprattutto, di ben ragionati irenici insegnamenti ed esortazioni.

E più di tutte, credo,  meritano attenzione e immenso rispetto le voci nonviolente che non cessano di ammonirci e di provare a guidarci verso una più corretta visione dei fatti e verso possibili (più o meno utopiche) soluzioni alternative.

Una di queste voci è rappresentata, ad esempio, da Rabbi Lynn Gottlieb, la prima donna ordinata rabbino nel movimento del Rinnovamento ebraico  (1981). In un suo articolo recentemente apparso su Azione Nonviolenta*, viene da lei sottolineato come a giocare un ruolo fondamentale nelle vicende politiche dello stato israeliano sia stato  sfortunatamente il sionismo ebraico, “irrevocabilmente legato alla visione del mondo dei coloni bianchi, suprematisti, profondamente antisemiti, islamofobici e coloniali”, e basato sulla convinzione che, per gli ebrei, fosse indispensabile possedere “il potere di uno stato nazionale completamente militarizzato”.

 

 A suo avviso, nell’attuale catastrofico momento, si sta realizzando, all’interno di “una campagna di uccisioni di massa senza alcun riguardo per la vita civile”, una spaventosa espulsione  di centinaia di migliaia di palestinesi che si riallaccia con forza alla Nakba del 1948.
    La Gottlieb, poi, denuncia con grande amarezza il brutale tradimento subìto in tanti anni, ad opera della comunità internazionale e  degli Stati americani ed europei, dalle migliaia di palestinesi che hanno lottato in modo nonviolento per porre fine all’occupazione militare.
    E denuncia anche il fatto che, all’interno delle comunità ebraiche statunitensi, chiunque cerchi di proporre soluzioni politiche eque, miranti allo smantellamento dell’occupazione e dell’apartheid, istituendo anche il diritto al ritorno, venga ignorato e zittito con il marchio infamante dell’ “antisemitismo”.
    Accusa, inoltre, la società israeliana di aver coltivato per 75 anni la cosiddetta  “arroganza del privilegio”, ovverosia  uno stato d’animo basato sulla negazione dell’umanità dell’altro e producendo, così, una visione della realtà tanto distorta quanto pericolosa, e, ancora peggio, provocando un progressivo indurimento di cuore di fronte alle condizioni di sofferenza palestinese.

La gente dell’Olocausto - arriva a dire Lynn Gottlieb - sta usando il linguaggio dell’olocausto per giustificare atti di carneficina genocida.”

    Ed ai leader della comunità ebraica viene rimproverato di essersi rifiutati di prendere posizione contro l’oppressione palestinese per paura di “ essere licenziati, di dividere le loro comunità o di perdere i finanziamenti”, contribuendo, in tal modo, ad alimentare l’impunità israeliana e la repressione del popolo palestinese, sottoposto ad una “punizione collettiva, alla negazione dei bisogni fondamentali come alloggio, cibo, acqua e libertà di movimento e alla continua umiliazione e aggressione”.
    Ma - sottolinea con vigore questa tenace donna rabbino - la tesi del diritto di Israele a difendersi anche commettendo atrocità contro un’intera popolazione, fondata sulla convinzione che la “sicurezza ebraica” debba essere conseguita con l’applicazione sistematica della “politica del  ‘con ogni mezzo necessario’  non è accettata da tutti i sopravvissuti all’Olocausto, tanto meno da tutti gli ebrei.”
    A questo proposito, riferisce le splendide parole pronunciate da Anna Columba (sopravvissuta all’Olocausto) durante una manifestazione di protesta con le Donne in Nero, in Piazza Zion a Gerusalemme: “Ho perso tutta la mia famiglia nell’Olocausto. I nazisti erano assassini. Non voglio che siamo come loro. Meglio essere tra i perseguitati che tra i persecutori,  perché almeno abbiamo ancora la nostra anima umana.”

    L’ebraismo da lei abbracciato e praticato (Shomeret Shalom), plasmato sulla base delle tradizioni e delle eredità ebraiche nonviolente in correlazione con gli attivisti praticanti nonviolenti contemporanei, la spinge a sostenere iniziative di concreta “riparazione dei peccati del sionismo”, miranti al conseguimento dell’immediato “cessate il fuoco” e al via libera agli aiuti umanitari, nonché a costruire un movimento di solidarietà con il popolo palestinese, in modo da sostenere  forze operanti all’interno della società israeliana, come le organizzazioni  Zochrot** e B’Tselem***, che lavorano per  “l’equità, la dignità e il diritto palestinese a ritornare a un’unica comunità di ebrei e palestinesi, come cittadini con uguali diritti davanti alla legge.”
    La Gottlieb, dopo aver dichiarato “fallito” il sionismo, definendolo anche “muktseh”, ovvero inaccettabile all’interno dello stesso ebraismo, afferma che l’unica strategia adottabile per il raggiungimento di un mondo sicuro per palestinesi ed ebrei sarà quella della “solidarietà verso una giustizia amorevole” .
    “Scelgo - dice - di riporre la mia fede nell’idea che la nostra liberazione come esseri umani è interdipendente. Tutti o nessuno di noi. Per il bene dei nostri figli.
    Concludendo che, in quanto rabbina impegnata nella pratica della nonviolenza ebraica, sorretta dalla volontà di alleviare e curare la sofferenza prodotta, la sola strada percorribile dovrà essere rappresentata da quella delle “azioni riparatrici”.

Una strada, questa, certamente lunga e indubbiamente difficilissima, addirittura impensabile agli occhi di molti (dentro e fuori Israele), ma che meriterebbe di essere attentamente ponderata e che, attuando una epocale rivoluzione ideologica e strategica, andrebbe abbracciata ed intrapresa con ragionata consapevolezza e con fermissima determinazione, nonché fortemente incoraggiata e convintamente e concretamente sostenuta  dall’intera comunità internazionale, soprattutto dalle tante nazioni che tanto volentieri gareggiano nel dichiararsi “amiche di Israele”, desiderose di una pace reale e duratura.

 Vedi  link all'articolo:  https://www.flipnews.org/index.php/life-styles-3/health-3/item/3755-l-ebraismo-nonviolento-della-rabbina-lynn-gottlieb-cessare-il-fuoco-e-avviare-azioni-riparatrici.html
NOTE. 

  • *Rivista fondata da Aldo Capitini nel 1964, bimestrale del Movimento Nonviolento (www.azionenonviolenta.it).
  • ** Organizzazione no-profit israeliana avente lo scopo di promuovere la consapevolezza della Nakba palestinese (il catastrofico esodo forzato della popolazione araba palestinese, durante la guerra arabo-israeliana del 1948).
  • ***ONG israeliana avente l’obiettivo di raccogliere informazioni in merito alla situazione dei diritti umani nei territori occupati.

Il Diario di Etty Hillesum

"Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo".    

"E' sicuro che il minimo atomo di odio che noi aggiungiamo a questo mondo ce lo renderà più inospitabile di quello che è già"

Il Diario di Etty Hillesum è un percorso di di speranza e un dono all’umanità intera. E’ un atto di amore e tolleranza, meriterebbe di essere insegnato nelle scuole e università. E' un libro sempre attuale e un’opera senza tempo che può aiutare tutti noi a vedere la vita con occhi diversi. 

Etty Hillesum è nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg (Paesi Bassi). Suo padre è professore, poi direttore del liceo, sua madre, di origine russa; dei suoi due fratelli uno diverrà medico, l’altro Mischa, sarà un pianista geniale. Etty, studentessa molto dotata, intraprende gli studi di diritto e psicologia ad Amsterdam nel 1932. Nel 1940 l’occupazione dei Paesi Bassi da parte dei nazisti determina il destino dei centoquarantamila ebrei del paese. Etty non si rassegna alle umiliazioni quotidiane che l’occupante infligge a un’intera popolazione: divieto d’usare i mezzi pubblici, di frequentare i parchi, i negozi di verdura fresca “a salvaguardia della salute degli ariani”, e via dicendo.  La giovane donna ebrea olandese perse la vita all’età di 29 anni nel campo di sterminio di Auschwitz, dove era stata deportata insieme ai genitori e al fratello Misha. Era il il 30 novembre 1943. Quel giorno la barbarie nazista segnò la fine di una grande donna e di una grande scrittrice.

Basta leggere queste citazioni tratte dal Diario, scritto tra il 1941 e 1943, per capire quanta forza spirituale e quanta energia esistenziale ci sia stata in Etty Hillesum.  

 "E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio.

Per umiliare qualcuno si deve essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei... Possono renderci la vita un po’ spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po’ di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori con il nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati, oppressi, col nostro odio e la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può essere tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così".

"Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore".   "La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e lavorare su sé stessi non è proprio una forma di individualismo malaticcio".

Altre frasi prese dal suo Diario:

  • Voglio essere un cuore pensante. Quando pensi che l’altro non ti consideri abbastanza, significa che gli sei legato e, per via di questo legame, non sei indipendente. Quanto meno ti aspetti, tanto più ricevi.
  • La vita si svolge interiormente e lo scenario esteriore ha sempre meno importanza.
  • Bisogna combatterle come le pulci, le tante piccole preoccupazioni per il futuro che divorano le nostre migliori forze creative.
  • Molti di coloro che oggi s’indignano per certe ingiustizie, a ben guardare s’indignano solo perché quelle ingiustizie toccano proprio a loro: quindi non è un’indignazione veramente radicata e profonda.
  • Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi.
  • Quello che otteniamo spontaneamente da noi stessi ha basi più solide e durature di quello che realizziamo per forza.
  • L’odio indiscriminato è una malattia dell’anima, odiare non è nel mio carattere.
  • Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui.
  • Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati – non potrebbe essere questa l’idea?
  • Lasciar completamente libera una persona che si ama, lasciarla del tutto libera di fare la sua vita, è la cosa più difficile che ci sia.
  • Se si prega per qualcuno, gli si manda un po’ della propria forza.
  • Quando abbiamo dell’avversione per gli altri le ragioni dobbiamo cercarle nel disgusto che sentiamo per noi stessi: ama il prossimo tuo come te stesso.
  • Se tu affermi di credere in Dio devi anche essere coerente, devi abbandonarti completamente e devi avere fiducia. E non devi neppure preoccuparti per l’indomani.
  • Non devo volere le cose, devo lasciare che le cose si compiano in me.

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono ci...