giovedì 7 aprile 2022

Yogi Bhajan, maestro tantrico

Yogi Bhajan (1929- 2004)  nacque in un piccolo villaggio nel nord ovest dell’India, che ora è nell’attuale Pakistan.   E' stato il primogenito di una famiglia sikh molto benestante; suo padre era un medico e contribuì a risvegliare il suo interesse per la medicina, per lo yoga e per le terapie naturali. Fu inoltre introdotto allo studio comparato delle religioni e della musica devozionale e al rituale del sikhismo

Sotto la guida di Sant Hazara Singh, Maestro tantrico, a sette anni iniziò a praticare yoga. A sedici anni venne proclamato Maestro di Kundalini Yoga, diventando il più giovane praticante maestro. Nel 1947, all'indipendenza dell'India aiutò profughi sikh e hindu. Dopo aver preso una laurea in Economia continuò la sua formazione spirituale presso lo Sivananda Ashram con intensi studi sul Vedanta. A Delhi divenne Maestro di Hatha Yoga. Nel 1953 spo­sò Sardarni Inderjit Kaur, conosciuta come Bibiji. Diventò ufficiale della guardia di frontiera nel distretto di Amritsar dove si trova il “Tempio d’Oro”, il luogo sacro più importante per la religione sikh.
Nel 1964 un astrologo gli predisse che si sarebbe recato in Occidente per portare un insegnamento spirituale e religioso. Poco tempo dopo fu invitato ad insegnare hatha yoga in Canada , da qui si spostò negli USA dove nel periodo hippy, cominciò ad insegnare il  Kundalini Yoga senza iniziazione  (intorno al 1968).  Yogi Bhajan era consapevole che era giunto il momento di diffondere i segreti di questa antica scienza con l’avvicinarsi di un’era nuova, dominata dalla coscienza, dall’energia, l’Era dell’Acquario.

Nel 1969 tenne la sua prima conferenza negli USA ed asserì che il diritto di ogni essere umano è di essere “Sano, Felice e Santo” e diede vita alla fondazione 3HO, (in inglese Healthy, Happy, Holy) con rappresentanza alle Nazioni Unite, che si occupava della salvaguardia e diffusione delle pratiche e dei valori del Kundalini Yoga e del Tantra Bianco.
Dal 1971 divenne Maestro del Tantra Bianco, fondò il Kundalini Research Institute (K.R.I.), ricevette  il titolo di Siri Singh Sahib, o leader sikh nell’emisfero occidentale. In tale veste Yogi Bhajan ha collaborato  sul dialogo interreligioso con il Dalai Lama, l’Arcivescovo di Canterbury e il Papa Giovanni Paolo II.

Negli anni novanta ideò il “Peace Prayer Day”: una giornata di preghiera collettiva tra rappresentanti e devoti di tutte le religioni durante la quale viene premiata una persona o un ente di volontariato che si era distinto nella carità e nell’aiuto compassionevole dell’Umanità.
Yogi Bhajan ha creato un corso di formazione insegnanti di yoga gestito da un'associazione internazionale denominata I.K.Y.T.A. (International Kundalini Yoga Teachers Association).

Ha insegnato incessantemente per trentacinque anni il kundalini yoga. I suoi insegnamenti hanno trasformato la vita di tante persone permettendo loro di vivere in pace, felicità e consapevolezza.

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Alcuni link utili per saperne di più:

  • www.yogibhajan.org
  • www.kundaliniresearchinstitute.org
  • www.3ho.org 
  • http://www.leviedeldharma.it/maestri-contemporanei-yogi-bhajan/

Le 108 Upanishad e il Vedanta

 Upanishad significa restare seduti per terra ai piedi del maestro per ascoltare il suo insegnamento.

Le Upanishad costituiscono la parte filosofica dei Veda, il cui oggetto essenziale è la meditazione e la metafisica inseparabilmente legati nella spiritualità indiana. Sono dei testi per la ricerca della saggezza e della liberazione e trattano della natura dell’uomo e dell’universo, così come dell’unione dell’anima individuale (jiva) o Sè (Atman) con l’anima universale (Paramatman o Brahman).  Le Upanishad hanno avuto una grande influenza sul dibattito filosofico e religioso e secondo la cronologia si dividono in:

  • Le upanishad antiche. Le upanishad maggiori datano 500 anni a.c. e sono commentata da Ari Shankara il filosofo precursore dell’Advaita Vedanta.
  • Le upanishad medioevali che sono commentate da Narayana e Shankarananda.
  • Le upanishad recenti che datano  XIV - XVIII secolo.

Ci sono 5 Veda se prendiamo in considerazione separatamente le due versioni dello Yajur veda – lo Shukla e il Krishna Veda:

  •  Rig Veda – contiene 10 upanishad.
  • Shukla Yajur Veda –  contiene 19 upanishad.
  • Krishna Yajur Veda – contiene 32 upanishad.
  • Sama Veda –  contiene 16 upanishad.
  • Atharva Veda –  contiene 31 upanishad.

Ciascun veda è diviso in sezioni (saakas). Ciascuna saaka include una parte dove sono descritti i mantra e i brahmanas. I mantra nell'induismo, sono dei suoni che vengono ripetuti molte volte come pratica meditativa mentre i brahmanas sono trattati di codici liturgici, di iniziazione ai mantra, di meditazione (upasana) e integrano gli aranyakas (i trattati della vita nella foresta) a beneficio delle persone che sono sulla strada della ricerca spirituale. E’ nella foresta, al riparo dei rumori del mondo, che il maestro e i suoi discepoli (aranyakas, abitanti della foresta) studiano la Dottrina secreta e cercano di arrivare alla saggezza e alla liberazione.

E’ alla fine dei Veda, alla fine di ciascuna sezione che si trovano le upanishad. Il totale delle sezioni (saakas) dei 5 veda è 1180, se ad ogni sezione fosse associata una upanishad, le upanishad dovrebbero essere 1180 upanishad mentre invece sono soltanto 108.

E’ nel medioevo che appare una upanishad, la Muktika upanishad (una upanishad minore, appartenente al Shukla Yajur Veda) che riporta il numero 108, una cifra fortemente simbolica. E’ sempre questa upanishad che classifica le upanishad in minori e maggiori. 

Le 108 upanishad, la Bhagavad Gita, e i Brahma Sutra costituiscono il triplo canone del Vedanta.

Il Brahma sūtra, noto anche come Vedāntasūtra, Uttaramīmāṃsāsūtra o Śārīrakamīmāṃsāsūtra, è un testo religioso composto in lingua sanscrita posto a fondamento del darśana hindū indicato come Vedānta. L'opera è attribuita a Bādarāyaṇa (primi secoli della nostra èra) ed è formata, nel testo stabilito, e quindi commentato, da Śaṅkara (VI-VII secolo), di 555 aforismi suddivisi in 4 adhyāya, questi a loro volta divisi in 4 pāda. Da notare che lo stesso Bādarāyaṇa fa riferimento ad opere di altri autori, come Āśmarathya, Auḍulomi, Kaṛṣṇājini e Kāśakṛtsna

Nel Vedanta le upanishad sono i testi rivelati (la shruti), trascritti dai rishi sotto la dettatura del Brahman. Le upanishad si trovano tutte alla fine delle sezioni vediche e costituiscono la sorgente della metafisica del Vedanta.

La Bhagavad Gita e i Bhrama sutra sono la parte integrante della smriti, l’insieme dei testi religiosi trasmessi per memoria (anche se all’inizio sono stati rivelati).

Shankara (nato nel 686 d.c.) è il fondatore dell’Advaita Vedanta (Vedanta non duale), che è la parte filosofica più recente della filosofia indù (data il VII secolo d.c.) ed è la filosofia che ha influenzato l’occidente a partire dal XIX secolo. Upanishad per Shankara significa “conoscenza del Brahman attraverso la quale l’ignoranza è distrutta”. E’ dunque in ragione della loro complessità, della loro promessa di realizzazione del Divino, che le upanishad furono messe in conclusione dei Veda, e classificate come Vedanta o finalità ultime dei Veda. Le date in cui sono apparse le upanishad variano da un orientalista ad un altro, comunque le più antiche sono Chandogya e Brihadaranyaka.      Il canone Muktika ne consiglia un ordine di studio per arrivare alla liberazione, suddivide le upanishad in 10 maggiori e 98 minori e le classifica anche per ordine tematico.

Le 10 upanishad maggiori sono le seguenti:

Aitareya, Brihadaranyaka, Chandogya,  Isha, Katha, Kena, Mandukya, Mundaka, Prashna,           Taittirya. 

  1. Aiatareva: è una delle Upanishad più antiche. Vi si ritrovano i grandi temi della speculazione filosofica come l'identità di Atman e Brahman, unità originaria, la conoscenza come essenza dell'Assoluto, la creazione del mondo.    vedi link : https://www.gironi.it/testi-sacri/aitareya-upanishad.php#:~:text=Una%20delle%20Upanisha%20Vediche%20pi%C3%B9%20antiche%2C%20appartenente%20al%20ciclo%20del%20RgVeda.
  2. Brihadaranyaka: è una delle due più antiche ed è considerata una delle più importanti e recita così: Brahaman, Neti, Neti…. Quello che non si trova in questa upanishad non si trova in altre parti, quello che si trova altrove, si trova in questa upanishad.    vedi link
  3. Chandogya: è una raccolta di dialoghi teologici-filosofici ed è servita da riferimento al Brahma Sutra, il testo religioso composto in lingua sanscrita posto a fondamento del darśana hindū indicato come Vedānta. vedi link
  4. Isha: è breve e concisa e contiene l’essenza del Vedanta.
  5. Katha (storia, discussione): sottolinea che prima la liberazione si poteva otteneva col sacrificio, adesso anche con la conoscenza.
  6. Kena: sottolinea l'importanza del Jnana yoga lo yoga della conoscenza.
  7. Mandukya (la ranocchia): parla di un particolare tipo di yoga dove si resta immobili per sviluppare una forma speciale di meditazione. E' molto breve e si concentra sulla sillaba sacra AUM. rappresenta l’essenza di tutte le upanishad; studiarla e assimilarla è il solo modo per arrivare alla liberazione.
  8. Mundaka (testa rasata, testa tagliata): illustra un  percorso che port alla liberazione e che taglia le idee illusorie e inutili. Suddivide la conoscenza in inferiore e superiore.
  9. Prashna (domanda): questa upanishad contiene sei domande e le sei risposte fornite dal saggio Pippalada.   Le domande avevano per oggetto il prana, i deva, il mantra OM.
  10. Taittiriya: intercala inni, preghiere e mantra a supporto per la meditazione, presenta la prima elaborazione della teoria dei cinque corpi sottili: i kosha..

Molto importanti sono anche le seguenti upanishad:

  • la Karika redatta da Gaudapada che cerca di conciliare la filosofia vedanta con il buddhismo. 
  • la Yoga Tattva: appartenente al Krishna Yajur Veda che espone lo yoga delle otto membra. Parla delle anime individuali  jiva immerse nel mare dell’illusione maya.  vedi link

Commento delle Upanishad - Mauro Bergonzi

Evoluzione del pensiero filosofico religioso indiano nella tradizione vedica, lo yoga nella Bhagvad Gita, L’advaita vedanta di Shankara. - Presentazione di Mauro Bergonzi   https://sites.google.com/site/ilsorrisodellessere/satsang

Mauro Bergonzi è stato docente di “Religioni e Filosofie dell’India” presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e socio ordinario della International Association for Analytical Psychology (I.A.A.P.) e del Centro Italiano di Psicologia Analitica(C.I.P.A.). Ha pubblicato articoli e saggi sui processi meditativi nel buddhismo antico, sulla psicologia del misticismo, sul simbolismo religioso, sull’incontro tra Oriente religioso e Occidente contemporaneo e sul dialogo interculturale fra psicologie sapienziali orientali e psicologia occidentale.

Le Upanishad non hanno una dottrina unica ed esprimono un pensiero connesso alla matrice mistica, nel testo si usa spesso un tono apodittico: "te lo dico, non te lo devo dimostrare". Contengono i semi del pensiero indiano, la Katha upanishad parla dello yoga  (VIII secolo a.c.).  Lo yoga e il proto samkhya (un altro sentiero filosofico indiano) hanno lo stesso substrato metafisico. La ​Bṛhadāraṇyaka e la Chandogya sono le due Upanishad più antiche. 

I due principi filosofici alla base delle Upanishad sono:

  • identità di Atman (il proprio vero sé) e Bhraman (la sostanza dell’universo), Non si può staccare il sé dall’universo, l'obiettivo è scoprire l’assoluto guardando dentro o fuori di noi, il principio dell’Uno – Tutto
  • il principio del karma, trattato nella Bṛhadāraṇyaka (libro 1. capitolo 4. verso 7), qui si  parla anche di nome e forma,  il concetto di nama (nome) e rupa (forma) è trattato anche nel buddhismo antico.

Conoscendo il Sé si conosce l’universo, l’universo è un tutt’uno unico e indivisibile, io mi identifico con la coscienza, il mio sé.   "Chi sono io?"    Sono l’universo che si manifesta con il mio pensiero. Il discorso è fatto di parole, ma le parole e i nomi focalizzano solo una parte della realtà, mentre la realtà non è fatta di pezzi staccati. Il nome mette un confine alla realtà e si perde il tutto, come un punto sulla lavagna. Noi siamo le onde, ed il mare esiste anche senza le onde, l’onda nasce e muore, noi crediamo di vedere solo la forma, ma vediamo la realtà.

Il sé non è una forma, senza l’io non posso percepire il resto, l’io è un esserci cosciente.  La coscienza osserva tutto, ma non può essere osservata, ma è certo che esiste. L’universo è un sistema auto-osservante, una parte che osserva e una parte osservata, ed ogni osservazione è incompleta. La coscienza è vuota di nomi e forme, la vera coscienza non ce la dà il pensiero, non si può separare il vedere dall’essere cosciente.  I sensi ci mostrano in ogni momento che noi siamo il tutto, il vedere e il sentire sono attività della coscienza, e noi ci identifichiamo con le attività della coscienza. Il principio assoluto non può essere rappresentato in una forma particolare. 

Chi è "risvegliato" è più potente degli dei (perché anche gli dei sono una manifestazione del Tutto). La coscienza comprende mondo, mente e corpo. Nella veglia la coscienza attiva la percezione del mondo, la mente con i relativi pensieri, e le sensazioni fisiche del corpo. E poi piano, piano  si comincia a pensare che la mente stia dentro il corpo e il corpo stia dentro il mondo. Nessuna percezione può contenerne un’altra. Quando andiamo a dormire blocchiamo le percezioni, sparisce il mondo, il corpo sta fermo e sparisce, solo la mente agisce nello stato di sonno e a volte crea pensieri. Rimane la coscienza, senza oggetti. Nello stato di sonno profondo senza sogni (rem), la coscienza è invisibile, è un tuffo in un mondo di energia.

I confini del sé sono illusori, in quanto coincidono con il mondo. L’ego è un’illusione. L’egoista ama un falso sé idealizzato, se si presenta in un certo modo, mentre il vero sé autentico è disprezzato. L'amore dal punto di vista monista è espressione di unità e tende ad eliminare il dualismo.

"Con che cosa si potrà conoscere il conoscitore?" Non si può.  Posso avere coscienza di qualcosa soltanto se siamo in due, io e quel qualcosa. La coscienza ci porta a  dire “ io sono questo e non sono quello", in quel momento si è creata la dualità tra mente - corpo e mondo. 

"Io sono, ci sono", questa è un'evidenza innegabile, l’unica cosa che non posso mettere in discussione, quindi  "L'Io sono" è esistenza e consapevolezza. Si manifesta con il corpo e la mente,  e finisce con il corpo.  Ma c’è qualcosa che sa che ci siamo, è questo è il purusha. La ricerca della liberazione ha lo scopo di comprendere che il nostro corpo fa parte di qualcosa di più grande.

Il sogno è collegato al desiderio, nello stato di sonno profondo, si manifesta ananda: che è lo stato di unità e completezza, non c’è più la coscienza di ciò che è interno e ciò che è esterno, i desideri cessano, solo il sé esiste. 

Esistono due livelli di manifestazione: quello del corpo-mente,  dell'io sono, e quello della  consapevolezza pura, dove c'è l'uno senza secondo.

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Che cosa è il purusha? In sanscrito significa "uomo" e "anima". Nel Ṛgveda (X, 81) esso designa il divino uomo primigenio, da cui deriva tutto ciò che fu, è e sarà.
Secondo il sistema filosofico Samkhya, i  due principi eterni, sono il Purusha e la Prakriti.
Il primo, Purusha,  rappresenta l’Energia Cosmica Spirituale, la coscienza cosmica impassibile ed immutabile, di cui nel microcosmo ritroviamo il riflesso nella coscienza di un individuo non identificata nella materia e nell’ego.
Il secondo, Prakriti, è la materia inerte primordiale, l’essenza di tutta la natura materiale.
Tutta la creazione può essere ricondotta a questi due principi, che coesistono in un’eterna dualità, opponendosi ad ogni tentativo di risoluzione o di unione. Per questo il Samkhya viene considerato come una filosofia dualistica (dvaita).
Quando il Purusha e la Prakriti entrano in contatto fra loro si manifesta l’universo.

Video in inglese molto interessante che spiega bene Purusha e Prakriti, vedi link https://www.atuttoyoga.it/purusha-prakriti/

sabato 2 aprile 2022

L'anomalie - Hervè Le Tellier

Anomalie, il romanzo di Hervè Le Tellier è un'eccezionale esplorazione delle nostre parti nascoste che ci sfuggono.  Pubblicato nel 2020 ha vinto premio Gouncourt nello stesso anno ( è il secondo libro più venduto in Francia dopo L'amante di Marguerite Duras). L'autore ha scritto il romanzo partendo dall'idea del doppio. I personaggi del romanzo sono dei passeggeri che si trovano a confrontarsi con il loro doppio tre mesi dopo un incidente aereo, e ciò farà scatutire riflessioni, portare alla luce aspetti nascosti della personalità. Un aereo in volo da Parigi a New York incappa in una grande turbolenza prima di atterrare. Tre mesi dopo lo stesso aereo, con gli stessi passeggeri e un identico equipaggio, rivive la stessa turbolenza ed atterra allo stesso aeroporto di New York. L'inspiegabile duplicazione spinge CIA, FBI e gli alti comandi dell'esercito a portare  l'aereo e i passeggeri in una base militare. I passeggeri atterrati tre mesi prima vengono sequestrati e anche loro portati in questa base dove ci sarà il confronto con il loro doppio. Ma durante quei tre mesi fatali, le vite di alcuni di loro sono cambiate per sempre: Tutti credevano di avere una vita segreta. Nessuno immaginava fino a che punto fosse vero.

L'autore parte dall'ipotesi scientifica di Nick Bostrom, che noi potremmo vivere in una realtà simulata frutto di un programma informatico. Tra i temi affrontati c'è anche questo: ma se noi siamo una simulazione chi è il programmatore?

Vi riporto alcune frasi del libro:

"Personne ne vit assez longtemps pour savoir à quel point personne ne s'intéresse a personne"

"Il ne faut tout simplement pas aimer un etre qui vous aime si peu"

"Toute gloire ne saurait etre qu'une imposture, sauf peut-etre dans la course à pied. Mais je suspecte quiconque affirme la dédaigner d'enrager d'avoir seulment du y renoncer.

"L'espoir nous fait patienter sur le palier du bonheur. Obtenons ce que nous espérions, et nous entrons dans l'antichambre du malheur."

"Pensez vous que nous soyons tous dans une simulation? Je n'en sais rien; pour paraphraser Woody Allen, je dirais que si c'est le cas, J'espere que le programmeur a une excuse. Parce que le monde qu'ils ont cree est tout de meme une sacrée horreur".

 "Oggi le relazioni si riducono a semplici connessioni, in un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare e uscire, puri contatti senza impegno e responsabilità".  Fabio Guidi

 "Nessuno si interessa più degli altri senza un motivo, e alla fine siamo tutti soli".  Dal film Toglimi un dubbio di Carine Tardieu

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Hervé Le Tellier (1957 - ) è uno scrittore, poeta e linguista francese, membro dell'OuLiPo, il “Laboratorio di lettura potenziale” fondato nel 1960 da Raymond Queneau di cui Calvino stesso ha fatto parte.  Nato a Parigi, Le Tellier ha iniziato la sua carriera come giornalista scientifico, e si è unito Oulipo nel 1992. 

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Nick Bostrom è un filosofo svedese, noto per la sua teoria della realtà simulata che consiste  nell'asserisce che il nostro universo potrebbe essere solo un'illusione digitale. Il trilemma di Bostrom consiste in tre possibilità: la specie umana si estinguerà prima di raggiungere il livello postumano; la specie umana raggiungerà la postumanità, ma non avrà nessuna volontà di creare simulazioni digitali dell’universo;  i nostri discendenti non si estingueranno  e raggiungeranno un livello tecnologico post-umano che consentirà loro di creare simulazioni dei loro antenati indistinguibili, per le menti simulate, dalla vera realtà (Forse stiamo già vivendo in una simulazione computerizzata, forse facciamo tutti parte di un immenso videogioco e la nostra vita è solo un inganno ).
La fattibilità di questa terza via dipende dalle due premesse fornite da Nick Bostrom: in un futuro non si sa quanto distante sarà sicuramente possibile simulare la mente cosciente per via informatica; e avremo a disposizione la potenza di calcolo necessaria a simulare il mondo fin nei dettagli più microscopici, scendendo in alcuni casi anche al livello subatomico. Se non si accettano queste due premesse (che non sono affatto scontate), tutto il trilemma crolla.

Questa teoria pubblicata nel 2003, da diversi anni fa discutere i più noti pensatori di tutto il mondo; gli hanno anche dedicato una discussione di due ore durante l'Isaac Asimov Memorial Debate del 2016.

Il segreto dello zen (2) - Alan W. Watts

Nel testo  Lo zen. Un modo di vita, lavoro e arte in estremo Oriente, Alan Watts illustra il segreto dello zen. Lo zen asserisce che nessun Buddha può rivelare la verità a chi non sa vederla in se stesso. Uno dei principi importanti dello zen è che tutte le cose, anche le più semplici sono aspetti della natura-Buddha. L'uomo sul cammino spirituale non deve far altro che continuare la propria vita così come è. Se tutte le cose sono un aspetto della natura-Buddha o del Tao, perchè sforzarsi di raggiungere il Nirvana? (l'illuminazione). Hui Neng diceva: "la differenza tra un Buddha e un uomo sta nel fatto che il primo sa di essere un Buddha, l'altro non lo sa".  Nello zen è conosciuta la frase "Se incontri il Buddha uccidilo".

Lo zen spazzò via tutte le definizioni, le concezioni, i simboli e le rappresentazioni antropomorfiche del Buddha. Lo zen è un guardare dentro la propria natura senza nessuna dipendenza da concetti e parole. Anche qui troviamo una grande affinità con il taoismo: la vita quotidiana è il vero Tao, il Tao non può essere definito. La vita quotidiana, nella sua ripetizione monotona di eventi è qualcosa di inafferrabile e indefinibile. Più cerchiamo di afferrare il momento presente e più ci sfugge. Lo zen è un dimenticare l'io, un muoversi con la vita, vivere ai suoi ritmi,  senza cercare di interrompere il suo scorrere. La vita per lo zen e per il taoismo è un mutevole processo in continuo movimento. Verità e possesso sono illusori perchè si basano su qualcosa che non muta.  Il non attaccamento significa correre insieme alla vita.. 

Lo zen propone questa via del Buddha: "cessa di fare del male, impara a fare del bene, purifica il tuo cuore". Oltre che l'etica, indispensabile a vivere nella società, per praticare lo zen occorre una ferrea autodisciplina; per questo i maestri zen hanno sempre insistito su un severeo addestrramento preliminare alla pratica dello zen. 

La comprensione dello zen è rappresentata simbolicamente con 10 quadri che illustrano un uomo che cattura e pascola una mucca (che rappresenta simbolicamente la mente).

Lo spirito e la tecnica dello zen sono rimasti immutati nel corso del tempo, fino ad oggi. 
La tecnica zen è caratterizzata da due fattori inseparabili: il satori e il koan. Il satori è un'esperienza improvvisa, un rendersi conto della verità dello zen. Mentre il satori è la misura dello zen, il koan è la misura del satori. Koan letteralmente significa documento pubblico, ma in questo caso è un problema che non ammette una soluzione intellettuale. La risposta non ha nessun rapporto logico con la domanda, e la domanda è tale da mettere in imbarazzo l'intelletto.  Ogni koan  riflette il gigantesco koan della vita, per lo zen il problema della vita è superare le due alternative dell'affermazione e della negazione, che oscurano entrambe la verità. 
Nello zen lavorare sul koan è una forma di meditazione che richiede un grande sforzo mentale e spirituale. Il koan sembra così impenetrabile che il discepolo è stato paragonato ad una zanzara che cerchi di mordere un blocco di ferro. Bisogna dimenticare se stessi per fare il lavoro. In questo approccio si possono riscontrare delle somiglianze all'arrendersi dell'anima al Dio crisitiano o al Krishna indiano della Bhagavad Gita.
Per lo zen, e per tutte le religioni/filosofie orientali è essenziale acquistare il dominio della mente, e questo si consegue in primo luogo con l'esercizio del koan e con la meditazione Za-zen (che probabilmente deriva dallo yoga) per apprende a rilassare il corpo, non disperdere l'energia e dedicarsi alla risoluzione del koan. Lo scopo dello zen è quello di trasmettere ed insegnare saggezza e conoscenza a tutto il mondo, una volta che la si è appresa attraverso il ritiro e la solitaria meditazione.

La vita in una comunità zen (3) - Alan Watts

 In questo testo  Lo zen. Un modo di vita, lavoro e arte in estremo Oriente, Alan Watts illustra come si svolge la vita in una comunità zen.. 

Dopo l'illuminazione il Buddha formò il suo Ordine (sangha) di mendicanti senza dimora, che poi cominicarono a raccogliersi in comunità monastiche. Il monaco (bhikhu) aveva una elevata e importante funzione sociale che consisteva nel fare da guida, era un filosofo ed amico alla comunità. L'evoluzione della comunità zen come la vediamo oggi si deve al maestro Po-chang morto nel 814 dopo Cristo. In queste comunità non si viveva di elemosine, ma i monaci coltivavano riso ed altri vegetali per le necessità e l'autosufficienza del monastero. I lavori manuali non erano considerati degradanti e la vita era regolata da disciplina rigorosa, precisione e regolarità. 

Il cuore della vita di queste comunità era ed è la sala della meditazione (semmon dojo) decorata con l'altare del Buddha (butsudan) dove si svolge la pratica della meditazione za-zen. La durata della meditazione è regolata dalla durata di un bastoncino d'incenso, mentre i monaci meditano, due monaci sorvegliano gli altri, e quando notano qualcuno assonnato lo riportano alla coscienza colpendolo con un bastone chiamato keisaku. Durante il giorno il maestro del monastero incontra i monaci per vedere a che punto sono con i loro koan (quesiti senza una soluzione logica) e periodicamente vengono organizzate conferenze più formali (teisho) sul significato di testi zen e sulla recitazione di sutra (insegnamenti del Buddha). 

Lo zen cerca il valore religioso e l'illuminazione nelle faccende quotidiane mentre spesso gli uomini cercano la spiritualità al di fuori della vita quotidiana. Lo zen cerca di essere in armonia con la vita secondo la quale tutti gli esseri sono potenzialmente Buddha. Molti monaci dopo avere ottenuto la qualifica di maestro lasciano il monastero e ritornano alla consueta vita del mondo cercando di portare avanti il compito del Bodhisattva che è quello di aiutare gli esseri ad uscire dal samsara (il ciclo delle rinascite) e dalla sofferenza. Come dice il buddhismo: "non c'è luogo dove l'uomo possa sfuggire al proprio karma, Il karma dell'uomo viaggia con esso".

L'Oriente associa la saggezza alla conoscenza psichica e spirituale e non alla fisica come in Occidente; e questa saggezza viene tenuta segreta e trasmessa solo ai discepoli più fidati. Come conseguenza solo pochi individui potranno raggiungere l'illuminazione e la trasformazione sociale si avrà solo dopo parecchie migliaia di anni. I tre più famosi esponenti dello zen, Bodhidarma, Lin-chi e Te-shan, sono tutti caratterizzati da immuntabile equanimità, sconfinata pietà, vitalità ardente e in un certo senso spietata.  

Lo zen ha influenzato la civiltà dell'estremo Oriente in due direzioni: nell'estetica e nell'arte militare.  Da una parte ispirò la poetica, la cerimonia del té (cha-no-yu), l'arte del giardinaggio, la pittura, la poesia, e l'architettura giapponese, dall'altra produsse il ju-jutsu (judo), il kenjutsu (scherma) e il bushido (il codice cavalleresco dei samurai). Tutte queste forme espressive o discipline  erano caratterizzate dall'eliminazione degli elementi non essenziali e "dall'economia dello sforzo".  Anche qui ci sono delle affinità con il taoismo, e con il principio del wu-wei, che insegnava ad arrivare all'azione attraverso la non azione. Nel Tao Te Ching è riportato: "Un vento molto forte non dura tutto il mattino, uno scroscio di pioggia non dura tutto il giorno. Tale è il corso della natura, E se la natura stessa non può sostenere a lungo i suoi sforzi, quanto meno lo potrò l'uomo".   E ancora.  "l'abile viaggiatore non lascia traccia, l'abile parlatore non dice una parola di troppo". 

La pittura zen è famosa per il suo minimalismo, poche pennellate per rappresentare un soggetto, mare o prato, ecc. Per quanto riguarda la cerimonia del tè, essa veniva associata alla fuga temporanea dalle preoccupazioni e le dispersioni mentali, un momento di contemplazione della bellezza nella natura e nell'arte. La casa del tè (chaseki) si trovava in un angolo del giardino quasi nascosta, in armonia con la natura, con l'ingresso basso, dove tutti dovevano inchinarsi umilmente per entrare. 

Non bisogna però associare lo zen al solo puro sentimentalismo, perchè è stato la base anche del kenjutsu, l'arte della scherma e del bushido, la via del guerriero dei samurai, i quali visitavano spesso i maestri zen, per raccogliere le forze per andare avanti senza voltarsi a guardare. Lo zen insegnava loro come la vita e la morte fossero solo aspetti della medesima esistenza, e come si potesse dimenticare l'io nella sua unità con la vita.

Lo zen è un contatto immediato con la vita, un completo fondersi dell'io e della vita in una unità assoluta, è l'io che scorre con il flusso della vita e diventa un tutt'uno con esso. Quando l'uomo capisce che ciò che inseguiva era solo l'immagine irreale dell'unico vero Io, di ciò che sempre fu, è e sarà, ha trovato l'illuminazione.

venerdì 1 aprile 2022

Il Blog Lameditazione.com

Ho trovato molto interessante questo blog sulla meditazione e la spiritualità . Vedi link:  https://lameditazione.com/ 

L'autore, che si fa chiamare DharmaBlogger, condivide insegnamenti, libri e tecniche che ha trovato utili nel suo percorso spirituale. E' uno spazio aperto al  confronto, uno stimolo di riflessione e  di ispirazione.

Dopo un pò di anni trascorsi ad approfondire lo studio di queste “tradizioni orientali”, a leggere libri sulla spiritualità, a frequentare ritiri intensivi di meditazione, corsi e seminari, e scaldare cuscini per ore e ore, qualunque essere umano che abbia ancora del “sale in zucca” non può fare a meno di porsi questa domanda: "Masturbazioni spirituali o qualcosa di più? "    

Nel blog troverete la risposta a questa e ad altre domande, come ad esempio le seguenti:

  • -Si possono davvero coltivare con successo le qualità più nobili dell’essere umano – saggezza, consapevolezza, gentilezza – senza dover dedicare interamente la propria esistenza alla pratica spirituale o far ruotare attorno ad essa tutte le scelte fondamentali della nostra vita?
  • -Posso davvero sperare di veder accrescere le qualità migliori e più salutari della mente e del cuore – presenza mentale, comprensione e compassione – fintantochè continuo a vivere circondato dai modelli correnti (materialismo, consumismo, competizione…) imposti dal paesaggio culturale che ci circonda?

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...