venerdì 29 settembre 2023

Sequenza di posizioni yoga - Facile

 Sequenza proposta all'ashram di Krishnamacharia.  Leggera difficoltà.

 
 
 

La puissance de la joie (1) - Frédéric Lenoir

L'effet de la sagesse, c'est une joie continue. -  Seneca.     La gioia è una potenza, coltivatela. - Il Dalai Lama.            

Frédéric Lenoir è filosofo e sociologo e coproduttore dell'emissione " les racines du ciel" su France Culture. È autore di numerosi opere, saggi e romanzi che sono delle riflessioni sulla saggezza e l'arte di vivere, e tradotti in una ventina di lingue. In questo testo ci parla della gioia sotto vari aspetti. 


La gioia è un'emozione più profonda del piacere, più concreta del benessere, un'emozione che coinvolge tutto l'essere e che diventa, attraverso mille sfumature, il sentimento supremo desiderabile.  La gioia porta in essa una potenza che ci va vacillare, ci invade, ci fa gustare la pienezza dell'essere. È una affermazione della vita e una manifestazione della nostra potenza vitale, è il mezzo che abbiamo a disposizione per toccare questa forza di esistere, di gustarla. Filosofi come Bergson, Spinoza e Nietzsche hanno messo la gioia al cuore del loro pensiero.

"Bisogna andare oltre il piacere effimero, e andare verso la felicità, più durevole e globale". Pierre Rabhi.

La felicita è continuare a desiderare ciò che già  possediamo.  L'ideale di saggezza si riassume in una parola: aurarkeia, l'autonomia ossia la libertà interiore che non fa più dipendere la nostra felicità o il nostro malessere dalle circostanze esterne. Reagiamo solo di fronte a quello che dipende da noi, a quello che possiamo cambiare. Oltre la felicità e il piacere c'è la gioia, un'emozione, un sentimento che i due psichiatri Christophe André  e Francois Lelord, descrivono come un'esperienza mentale e fisica intensa, in reazione a un avvenimento di durata limitata. Per Spinoza la gioia permanente, la beatitudine si raggiunge quando ci siamo liberati dalla schiavitù delle passioni, è l'obiettivo ricercata dai grandi saggi. L'amore può essere una gioia passiva (una passione) quando è fondato su un falso pensiero, su una non conoscenza dell'altro, quando creiamo dei legami con una persona che abbiamo idealizzato e sulla quale abbiamo proiettato delle attese infantili, che procureranno tristezza piuttosto che gioia. Nietzsche come Spinoza giunge alle conclusioni che la gioia è la potenza della vita sulla quale appoggiarsi. Critica ferocemente le religioni che definisce la teologia della tristezza, che predicano una morale della repressione dall'istinto, del corpo, del desidero e riducono le possibilità della gioia.  Per Bergson la gioia è legata alla creazione, alla riuscita nella vita. Un atto di creazione, un'opera d'arte, una nascita, ecc, procurano gioia.  

Ci sono una serie di attitudini che possono creare un clima favorevole alla gioia. La prima è l'attenzione, occorre essere qui e adesso per vivere pienamente le esperienze sensoriali che portano alla gioia. Inoltre, occorre riapprendere a sentire interiormente, a non tagliarci dalle nostre emozioni. L'attenzione ci educa alla presenza, ma la presenza va oltre il semplice fatto di essere attento. Consiste nell'accogliere con generosità il reale, l'altro, il mondo. La presenza è sentire una qualità dell'essere, sentire profondamente l'altro, essere presente all'altro con uno sguardo, con un sorriso, una carezza. Una vita riuscita non sarà in funzione del numero di esperienze fatte, ma dalla qualità di queste esperienze. Gli occidentali quando viaggiano cercano il circuito più completo, si fermano sul posto, giusto il tempo di fare un selfie,  e ripartono; senza nemmeno provare a comunicare con le persone o  conoscere la storia del Paese. 

Una delle esperienze che ci possono educare all'attenzione e alla presenza è la meditazione. La mindfulness o piena attenzione (preferibile a piena coscienza) ci permette di accogliere tutto quello che emerge in noi, accettare di vivere con una certa vulnerabilità, di connetterci alle nostre emozioni profonde che possono procurare gioia e a volte tristezza. Spesso preferiamo proteggerci e blindare le nostre emozioni, relegarle nel nostro sub-conscio, proteggere il nostro cuore per non soffrire. Ma in questo modo ci proteggiamo dalla tristezza e dal dolore, ma ci precludiamo l'accesso alle gioie dell'amore. Per aprire il nostro cuore bisogna aver fiducia nella vita, e questo dipende dai nostri genitori e dai primi anni di esistenza. Quando la gioia busserà alla nostra porta, dobbiamo essere pronti ad accoglierla, per questo è importante essere predisposti all'apertura e all'incontro.

Per i buddhisti, la gioia è il frutto di un amore altruista, che consiste nel gioire del benessere altrui. Questo amore e la gioia che l'accompagna hanno origine dalla benevolenza, maitri, che i praticanti provano verso ogni essere vivente. Questo è il miglior rimedio contro l'invidia che la maggior parte delle persone provano nei confronti di chi ha successo e chi è felice. Tutte le nostre attività sono intraprese per avere in cambio denaro,  riconoscenza o successo sociale e raramente sono mosse dalla gratuità. Dobbiamo avere gratitudine per quello che abbiamo, ringraziare di essere là, per avere una buona salute, avere la possibilità di fare ciò che amiamo. Spesso non apprezziamo quello che abbiamo, e spesso come scrive Jacques Prevert: "ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha prodotto lasciandomi". Bisognerebbe ringraziare la vita ogni mattino, e avere voglia di vivere la giornata. La sera prima di addormentarci dovremmo ricordarci di cinque bei momenti della giornata passata.

Spesso una grande gioia è il frutto di una grande perseveranza, come tenere una conferenza in inglese in America, dopo avere studiato per sei mesi. Confucio ci dice che per essere felici, bisogna essere virtuosi, e imitare l'ordine cosmico. Tutto è prevedibile e rassicurante, mentre per i taoista dobbiamo lasciarci andare al flusso della vita. E accettare anche che, a volte, ci allontaniamo dagli obiettivi che ci siamo prefissati. Utilizziamo le contrarietà e le difficoltà per far emergere del positivo e la gioia.

La puissance de la joie (2). Frédéric Lenoir

Frédéric Lenoir è filosofo e sociologo e coproduttore dell'emissione " les racines du ciel" su France Culture. È autore di numerosi opere, saggi e romanzi che sono delle riflessioni sulla saggezza e l'arte di vivere, e tradotti in una ventina di lingue. In questo testo ci parla della gioia sotto vari aspetti.            

Divenire se stessi. "Il più ignorante degli uomini è colui che rinuncia a quello che conosce di sé stesso per adottare l'opinione di altri". Ahmad Ibn Ata Allah, un maestro sufi.     

Spinoza si domandava se esiste un cammino da percorrere che ci permetterebbe di rendere la gioia più costante, o permanente anche se di più debole intensità, meno soggetta a eventi esterni.
- Il primo cammino consiste nell'andare verso se stessi, è la gioia della liberazione;  - Il secondo consiste ad andare verso gli altri ed essere in armonia con il mondo, e la gioia della comunione.
Il primo percorso consiste nel diventare pienamente se stessi, con un lavoro di introspezione si elimina ciò che ci è stato imposto dall'esterno e si cerca di sviluppare aspetti che sono stati soffocati. Questo processo di individuazione, come lo definisce Jung, comincia verso i 35 anni, quando abbiamo preso coscienza, confrontandoci con l'esperienza, della nostra vera natura e delle nostre aspirazioni reali. Importante è mantenere i legami con la comunità, la famiglia e avere dei valori. Spinoza direbbe: "osserva quello che ti porta della gioia e quello che ti rende triste". 
È impossibile vivere nella gioia se siamo in permanenza dipendenti della critica o del giudizio degli altri.       

Come sottolinea Spinoza: "non si nasce liberi lo si diventa", e fino a quando non abbiamo fatto questo lavoro interiore di conoscenza di sè e di lucidità, siamo condizionati dalle nostre emozioni, desideri, passioni,  credenze, immaginazione, opinioni. 

Quello che noi pensiamo di compiere liberamente è il risultato dei nostri condizionamenti. Essere liberi è agire secondo la nostra natura e non secondo i nostri condizionamenti. Dobbiamo liberarci dallo sguardo degli altri  e in modo particolare dallo sguardo dei genitori; ma soprattutto dalla nostra schiavitù  interiore che porta spesso al vittimismo. Spinoza è stato il filosofo che ha annunciato il secolo delle Lumieres reclamando una repubblica  laica che rispetti le libertà di coscienza e d'espressione, e nello stesso tempo è il grande pensatore della libertà interiore. La schiavitù dell'uomo è dovuta al cattivo orientamento dei desideri, dobbiamo orientarci verso oggetti che ci elevano utilizzando il discernimento razionale. Potremo allora gustare la gioia piena e costante di un nostro desiderio, regolato in modo adeguato.

 Una volta che l'essere umano è diventato perfettamente autonomo, è molto più utile agli altri e capace di amare in maniera giusta. Corrisponde a quello che dice Gandhi: "solo cambiando se stessi  si cambierà il mondo". La rivoluzione è interiore.

"Essere capaci di trovare la propria gioia nella gioia dell'altro: ecco il segreto della felicità". - Bernanos.  Nessun essere umano può vivere e restare senza amore, senza legami affettivi con gli altri e il mondo. Nell'etica a Nicomaque, Aristotele usa la parola philia per descrivere l'amore è l'amicizia. Philia è un amore profondo che unisce sia degli amici che delle coppie, il fondamento di tutte le relazioni umane autentiche: si sceglie una persona per condividere un progetto, o condivisione di scambi, di piaceri e di conoscenze. E' fondata sulla reciprocità, con una persona con la quale ci incoraggiamo mutualmente, ci aiutiamo reciprocamente a svilupparci, a essere pienamente noi stessi. 

Philia comporta una dimensione senza la quale nessun amore può essere vero: la gioia di poter essere pienamente se stesso e di aiutare l'altro a essere, anche lui, pienamente se stesso. A volte c'è un amore incondizionato verso l'altro, a volte questo amore è condizionato (genitori cha amano i figli se riescono negli studi, il partner che ama il compagno/a se mantiene una certa forma fisica, ecc).  Un esempio di forte amicizia è quello tra Montaigne e La Boétie che si incontrarono nel 1558 al parlamento di Bordeaux.

Il vero amore non consiste nel possedere una persona, ma nel volere la sua autonomia. Nella sua forma più autentica, l'amore unisce due esseri autonomi, indipendenti, e deve sempre esserci uno spazio tra di loro, come ha ben descritto il poeta Khalil Gilbran. Spesso la fusione nell'amore è l'indicatore di mancanza di sicurezza interiore. La dipendenza assoluta tra due persone è la manifestazione di qualche forma di perversione, la voglia di possedere l'altro è una forma di perversione che inquina l'amore. 

Se un amore finisce  non è dovuto al fatto, che grazie alla libertà e autonomia, la persona ha incontrato un altro, ma perché è semplicemente triste con noi. Quando in una relazione non c'è più gioia  domandiamoci se è buono per noi, se è una relazione tossica, e se  vediamo che un processo di ricreare una relazione sana è impossibile, troviamo qualcuno che ci permette di sbocciare e fiorire. Sono le relazioni giuste che ci permettono di evolvere.

Esiste un altro tipo di relazione d'amore, l'amore dono. Si ama senza attendere niente in cambio. Quando aiutiamo qualcuno in maniera disinteressata. È l'amore-compassione (karuna) del buddhismo che si distingue dalla semplice benevolenza (maitri) del buddhismo primitivo. Corrisponde alla agape del nuovo testamento, e questo amore dono qualifica sia l'amore divino che l'amore gratuito per l'altro. Una frase di Gesù è la seguente: "c'è più gioia a dare che a ricevere". I greci evocavano l'idea di accordarsi al mondo in maniera armoniosa. Ossia entrare in risonanza con i nostri simili, la natura, il cosmo. L'obiettivo è condurre una vita eticamente giusta, sentirsi in armonia con tutto quello che ci circonda. Contemplare un'opera d'arte che ci emoziona, fermarsi davanti alla perfezione della natura ci permette di collegarci a qualcosa di trascendente, far emergere la parte più  nobile di noi. Rispettando la natura e la vita, l'essere umano si accorda al mondo, ha un'attitudine etica giusta.

La filosofia è la psicologia dell'India, ben sintetizzata nel XX secolo da swami Prajnanpad, il cui insegnamento è stato diffuso in Occidente da Arnaud Desjardins: "la nostra personalità si struttura intorno a due istanze: l'ego e il mentale". 

L'ego permette di avere delle percezioni gradevoli o spiacevoli, che l'educazione ci permette di gestire. È anche il supporto delle nostre emozioni: paura, collera,  tristezza  gioia che contribuiscono alla costruzione della nostra personalità. Una volta che la nostra personalità è costruita siamo completamente identificati al nostro ego.   L'altra istanza è il mentale, che ci aiuta a razionalizzare gli avvenimenti e a sopravvivere.  Farci accettare il reale anche se a volte non è facile. Per Freud la più grande invenzione del mentale è Dio o la provvidenza. Il mentale è l'ego hanno costruito un filtro tra noi e il reale. Ci impediscono di vedere il mondo così come è veramente. Per questo bisogna trascendere l'ego e abbandonare la bussola del mentale è arrivare a percepire il nostro vero Sé. Questo potrebbe essere comparato all'esperienza del risveglio del Buddha che si basa sulla presa di coscienza dell'illusione dell'ego. Attraverso questo processo accediamo alla conoscenza intuitiva. Il saggio percepisce di fare parte di un Tutto. C'è una similitudine tra la filosofia delle Upanishad e quella di Spinoza: "Dio non esiste fuori dal mondo  il mondo e Lui sono la stessa sostanza, tutto è in Dio, come Dio è in tutto". Il saggio esce dalla dualità e diventa un essere liberato (jivan mikta) che vive in piena felicità della pura coscienza (sat chit ananda). Romain Rolland ha trovato l'espressione "sentimento oceanico" per descrivere questo sentimento di unità con l'universo, con quello che è più grande di noi stessi. Anche le arti ( ad esempio la musica) possono provocare  un'esperienza cosmica o mistica. Ci aiuta a uscire dal nostro ego, del nostro sentimento di individualità e ad andare verso l'universale.

Spesso le scelte di una vita monastica e spirituale  si basano sulla trappola della ferita narcisistica, e il bisogno di riconoscimento che ne deriva e ciò fa si che si cerca di elevarsi, di diventare un eroe spirituale, senza riconoscere la profonda fragilità da cui questa aspirazione scaturisce (Jean Vanier, il fondatore della comunità l'Arche).  Lenoir ha passato quasi tre anni a un monastero e stava per prendere i voti, e ha cambiato idea quando ha ascoltato una conferenza di Jean Vanier. Ha anche accennato alle molte persone, buddhisti o cristiani, che ha incontrato nei suoi ritiri e che avevano delle personalità psicotiche. Oggi non si può intraprendere un percorso spirituale senza un lavoro psicologico, un vero lavoro di conoscenza di sé e delle nostre motivazioni. Spesso occorre conoscere le nostre zone d'ombra e fare un lavoro di ristrutturazione dell'ego, per non rimanere vincolati dai giudizi di approvazione. Occorre anche amore e riconoscenza sociale.

La vera gioia, arriva quando nasciamo ed è la gioia di vivere, che è la gioia perfetta secondo il filosofo Clément Rosset La gioia di vivere è ricevere la vita come un regalo e approfittarne in tutte le sfumature. Il Dalai Lama sorride tutto il tempo anche se ha sulle spalle il pesante fardello delle condizioni in cui vivono i tibetani. Dominique Lapierre ha scritto sulla situazioni delle bidonville di Calcutta nel libro La città della gioia : "malgrado le condizioni materiali, questa bidonville era una cattedrale di gioia  di vitalità, di speranza".  Ci sono popoli che vivono in estrema semplicità ma pieni di gioia (vedi emissione "Rendez-vous en terre inconnue" di Frederic Lopez su France 2). Noi vorremmo vivere di più  e speriamo di diventare immortali, invece dovremmo apprendere a vivere meglio e toccare l'eternità in ogni istante pienamente vissuto. 

Solo l'accettazione del dolore, degli ostacoli, della vita nella sua interezza apre le porte della gioia. 

Esistono due tipi di saggezza che hanno come scopo di portare ad un benessere profondo e durabilità. 

  • -La prima mira all'atarassia, all'assenza di problemi e alla serenità, con diminuzione dei piaceri e dell'affettività.    Epicuriani, stoici e buddhisti, anche se non esprimevano i piaceri, vivevano una vita ascetica, sobria e moderata.
  • -La seconda aspira alla gioia perfetta, prima che all'assenza di problemi o alla serenità. Meno portata sulla repressione delle passioni, appplica una sorta di distacco, senza essere succubi dei piaceri mondani e dei beni materiali. Altra soluzione è quella di accettare pienamente la ricchezza e l'intensità di una vita affettiva, accettando la sofferenza come corollario (La via dei taoista, di Montaigne e Spinoza). 

Per esempio,  se amo una persona, la amo pienamente senza spirito possessivo, né  attaccamento passionale, ma assumendo il rischio di una separazione. E se un giorno succederà, soffrirò, piangerò, il mio cuore sarà ferito, ma il mio amore per questa persona non sarà indebolito, nè il mio amore per la vita. La mia gioia di vivere sarà sempre presente e potrò cercare di superare questa prova. Questo amore, nella misura che è vero, ha raggiunto una forma di pienezza che gli conferisce un carattere eterno: più niente e nessuno potrà farlo sparire, o far sparire la gioia vissuta durante questo rapporto. Tutti gli esseri che abbiamo amato, anche se la loro assenza ci è dolorosa, continuano a vivere in noi.  Percepiamo ancora questa gioia nata dall'amore. Quando amiamo veramente una persona, questo amore se è vero, è eterno, e non può scomparire o trasformarsi in rabbia. Si vive una gioia, la gioia di sentire il nostro amore, quello di più puro e vero è ancora là.

La saggezza della gioia ci incita anche a vivere nel cuore del mondo, per sposare le contraddizioni e impegnarsi per trasformarlo. Si deve avere come obiettivo il pieno sviluppo, per tutti gli esseri viventi. La gioia di vivere è empatica, invita alla compassione e alla condivisione. La gioia di vivere ci rende più coraggiosi, più aperti, più audaci, più tolleranti di fronte ai problemi degli altri.  La gioia di vivere non porta nessuna risposta teorica al male. Ma apporta una piccola pietra per la costruzione di un mondo migliore: non rispondere con violenza alla violenza, aiutando le persone vicine, provando a inquinare meno, consumare meno, impegnarsi nella comunità e nel volontariato. Il movimento Colibrì è uno dei tanti movimenti che cercano di dare il loro contributo per cambiare il mondo ed è stato fondato da Pierre Rabhi. Come emblema è stato scelto il colibrì che cerca di spegnere l'incendio nella foresta trasportando una piccola goccia d'acqua nel becco. Cerchiamo di fare la nostra parte in questa opera immensa che è di guarire il mondo dalle piaghe che le nostre cattive passioni gli infliggono:  desiderio di dominazione, cupidigia, gelosia, invidia, orgoglio e paura.

Con la saggezza della gioia trasformiamo noi stessi e convertiamo le nostre passioni in azioni.

Eloge de la faiblesse - Alexandre Jollien

Il filosofo e sociologo Alexandre Jollien (1975-) è nato con un grave handicap cerebrale-motorio per un parziale strangolamento causatogli dal cordone ombelicale. Ha passato molti anni (17 anni), fino all'universita in un centro di riabilitazione. In questo libro, attraverso in dialogo simulato con Socrate, racconta la sua permanenza al centro, la sua debolezza, il suo percorso, le sue difficoltà a trovare un equilibrio, una dimensione nella società. Questo libro, Elogio della debolezza, ripercorre un itinerario interiore, una specie di conversione alla filosofia, I suoi tentativi di essere indipendente.             

Esiste una dipendenza obbligata: dal mio fornaio, dal calzolaio, dal mio professore di filosofia, la nostra società è organizzata con la condivisione dei compiti;  Poi esiste la dipendenza psicologica e emotiva che  genera tensione, la paura di perderla, la paura di ferire, di essere rifiutato dall'amico. L'altro viene strumentalizzato, lo si riduce al rango di un mezzo per colmare un vuoto, la solitudine.  Ci attacchiamo, andiamo verso l'altro per fuggire da noi stessi. Sartre descrive lo sguardo dell'altro come uno strumento per valorizzarci. Visto che l'altro mi valorizza, farò di tutto per piacergli, per ricevere la sua amicizia e approvazione.

Le difficoltà incontrate posso diventare formatrici,  e un uomo dotato di buon senso ne trarrà benefici.  La difficoltà stimola  perchè ci obbliga a trovare delle soluzioni. Spesso un ambiente iperprotettivo è contro producente , si vedono madri che non si allontanano di un pollice dal loro bambino, e in questo caso,  l'amore può costituire un ostacolo allo sviluppo personale, allo stesso modo che il disprezzo. La fiducia è vitale per lo sviluppo della personalità. Nietzsche parla spesso di trarre profitto dalle prove, e va fino a consigliare di trarre profitto anche dall'ingiustizia.

Le prove formano più che le perfette dimostrazioni di eminenti scientifici o pedagogisti che illustrano i loro schemi. Occorre trarre profitto da tutte le situazioni, anche le più terribili.  Le prove sono inevitabili, bisogna trovare il modo di eliminare la sofferenza, e se non fosse possibile dargli un senso. Bisogna trovare l'equilibrio tra la dimensione spirituale e il corpo, cercare l'armonia tra queste due dimensioni, e saperla gestire, è questo "Il cuore dell'umano".  Essere saggio significa conoscere le nostre debolezze e le nostre potenzialità e gestire la propria realtà. Si può usare la filosofia per cercare di comprendere quello che succede e trarne profitto.

Alexandre racconta nel suo libro che da adolescente, non vedeva nessuna limitazione alla sua libertà, davanti alla mancanza totale di alternative, semplicemente si rassegnava, infatti non si può desiderare ciò che non si conosce. Le difficoltà vissute al collegio sono state un peso per lui durante l'adolescenza, ma all'università queste difficoltà divennero una ricchezza. Cosciente di non poter restare solo, andò spontaneamente verso l'altro e delle sane relazioni si crearono. 

Aristotele parla di diversi gradi di amicizia, al più alto livello situa l'amicizia che unisce due persone uguali. I due amici devono arricchirsi reciprocamente senza sfruttarsi.  Racconta:  "all'università, i miei compagni mi aiutavo a prendere appunti durante le lezioni, nella mia debolezza ho potuto apprezzare il regalo della presenza dell'altro, e a mia volta, provavo a offrire ai miei compagni la mia umile e fragile presenza". Mettere in pratica questo atteggiamento e assumere fino in fondo la propria debolezza non è facile. "Assumere fino in fondo la mia anormalità  non è stato facile, e il nemico da combattere è stato la mancanza di fiducia in me stesso e l'incomprensione. La filosofia, in quanto lotta contro i cliché, mi ha aiutato molto a opporre la ragione a questo fardello di pregiudizi e di sentimenti negativi, a lottare contro la paura  l'irruzione, la crudeltà".

"La distinzione normale-anormale ha caratterizzato tutta la mia vita, esistono due effetti della normalità: la normalità può costituire uno stimolo per la persona che se ne sente escluso, suscita in lei il desiderio di diventare sempre migliore  di ridurre la distanza che lo separa dagli altri. La normalità può anche creare marginalità ed esclusione".

Tre minutes de philosophie pour redevenir humain. - Fabrice Midal

"Essere umani  significa essenzialmente che non si ricerca la perfezione". - George Orwell.          

In questo testo Trois minutes de philosophie pour redevenir humain,  Fabrice Midal ci parla dei benefici della filosofia nel nostro vivere quotidiano.      Fabrice Midal è Dottore in filosofia e anche insegnante buddhista, dirige l’associazione buddhista “Prajna e Philia”      

La filosofia ci sveglia e ci illumina, oggi è molto più importante in quanto è agli antipodi del dogmatismo attuale, del discorso degli esperti, di quelli che hanno tutto compreso. Socrate, il padre di tutti i filosofi, insiste sul fatto che lui, al contrario, non è esperto in niente. Non è nemmeno un saggio, qualità che è riservata solo agli dei. La filosofia ci invita a scoprire la nostra umanità e ad avere un pensiero autonomo  a liberarci della dittatura del profitto disumanizzante che riduce tutto, donne  uomini, alberi, fiumi in risorse da sfruttare.

Da secoli una corrente di pensiero ci invita a uno stato di perfezione... identificato con una specie di distacco, o di controllo della ragione sul nostro essere,  sostenendo che l'essere perfetti ci porti a essere più felici. Ma non è così.  I grandi maestri vasai giapponesi, una volta realizzato un vaso, aggiungevano una imperfezione per sottolineare la loro fragilità e modestia.

Di seguito ho riportato alcuni passi del libro che mi hanno particolarmente colpito. 

"In mezzo all'inverno, ho scoperto in me un'invincibile estate". -  Albert Camus. Con questa frase Camus ci invita a aprirci a un'altra prospettiva, scoprire che non esistono eventi felici o tristi in sé, ma che esiste in ciascuno di essi, in ogni istante della nostra vita, una dimensione più profonda, positiva.

"Prenditi cura di te". - Socrate.   Prenditi cura di te non significa tagliare i legami con il mondo, ma cercare di capirsi, per meglio impegnarsi nel mondo. Purtroppo oggi, sempre di più si cerca di collegare la scuola al mondo del lavoro e l'educazione deve produrre dei lavoratori efficaci, non persone che pensano autonomamente.

"L'attenzione, miracolo alla portata di tutti, a ogni istante". - Simone Weil.  Con questa frase Simone Weil ci invita alla presenza con l'altro; Per ascoltare quello che l'altro ha da dirci, occorre che io non sappia in anticipo cosa vuole dirmi. Solo in questo modo posso entrare in una relazione profonda.

"La vita sorride a quelli che la vivono". - Maya Angelou.  La poetessa ci manda il messaggio di cercare di fare in modo di non morire senza aver compiuto qualcosa di meraviglioso per l'umanità. Non bisogna mai rinchiudersi nel ruolo della vittima e lamentarsi della nostra condizione, e auto giustificarsi.

"La stupidaggine consiste nel voler concludere". - Gustave Flaubert.  Spesso il dialogo, anche con il proprio compagno, amico, interlocutore sfocia in rabbia e violenza. Si proietta sul mondo e sull'altro la nostra comprensione costruita sui nostri pregiudizi, nostra impazienza e la nostra cecità. Spesso ci cerca di dimostrare che l'altro ha torto senza cercare di capire le sue aspirazioni profonde, e ciò porta a conflitti religiosi, politici e sociali e a guerre.

"L'amore non muore mai di morte naturale, muore perché non siamo capaci di ritornare alla sua sorgente". - Anais Nin.   Esiste una obsolescenza programmata dell'amore in funzione dell'abitudine e del tempo?  L'amore non è una gioia reciproca e immediata, e a torto l'abbiamo identificato al piacere.  L'amore è una prova, una prova difficile, un lavoro che impegna tutta la nostra esistenza. Questo lavoro ci rende profondamente felici.  Lavorare per amare significa non smettere di avere uno sguardo aperto verso il nostro amore, ritrovare la nostra tenerezza, solo così si può ritornare alla sorgente dell'amore. Non seguiamo questa strada perché pensiamo che amare sia un atto spontaneo e non un atto volontario.

Una piccola introduzione al pensiero di Michel Onfray

Il filosofo, oggi, è oberato di compiti, fra questi ve n'è uno particolarmente insidioso: dimostrare che un'etica, malgrado l'inconsistenza dei sistemi metafisici, è ancora possibile, e che il 'senso di responsabilità' non risiede nel mondo delle idee.   

Michel Onfray, un pensatore contemporaneo non molto conosciuto in Italia, afferma che: ''La risposta al nichilismo non consiste in una restaurazione: alcuni, prendendo atto del declino cristiano, concludono che è necessario lavorare alla sua rinascita, in una forma tradizionale, oppure riformandolo con i soliti compromessi.'' (...) ''La morale non è un affare teologico tra gli uomini e Dio, ma una storia immanente che concerne i rapporti tra gli uomini, senza nessun altro testimone''.

La morale va sì riformata, ma non partendo da seducenti presupposti teologici o metafisici, bensì partendo dagli uomini. Ciò promesso, bisogna chiedersi: cosa desiderano questi uomini? Per fondare un'etica sulla intersoggettività occorre individuare un principio in grado di connettere ciascun soggetto all'altro.   Per Onfray l'elemento che accomuna tutti gli uomini è il piacere.

Scriveva Lorenzo Valla (un umanista, filologo classico) seicento anni fa: ''Le leggi che regolano le città sono state fatte per l'utilità, che genera il piacere, ed ogni governo è diretto allo stesso fine. Le arti liberali (medicina, giurisprudenza, poesia, oratoria hanno tutte per fine il piacere o almeno l'utilità che conduce al piacere). La virtù non è altro che la scelta dei piaceri; si comporta bene colui che antepone il maggior vantaggio al minore e il minor svantaggio al maggiore.'' Il piacere è la costante. 

In un mondo ormai deprivato di ogni velleità metafisica, ''bene'' e ''male'', ''giustizia'' e ''ingiustizia'' sono criteri obsoleti. Non bene è ciò che attrae, ma ciò che attrae è bene. L'uomo occidentale non può più riproporre forme transitorie e malferme di moralismo, deve modellare la propria vita su criteri non più oggettivi, astratti e ontologici, ma biologici, neurologici e universali. 

Ecco che Onfray propone allora un'intersoggettività edonista: ciò che noi tutti cerchiamo è un'esistenza gioiosa, quieta e felice. È il piacere - il fondamento positivo, fisico, contrattuale da cui far derivare ogni sorta di codice etico. Occorre sensibilizzare i futuri cittadini al piacere etico sin dalla più tenera infanzia. E in che modo? Non più ricattandoli con la storia del paradiso e dell'inferno, ma insegnando loro che la vita è tutta qui ed è breve; Se la vita è un transito, il proprio e l'altrui bene non può che coincidere con il piacere-di-viverla. 

Bisogna, insomma, scolpire nella mente dei futuri cittadini che non esiste altro valore al di là del piacere, mostrando loro che è il fine ultimo di tutte le discipline ed azioni (e non azioni) umane.  Onfray sostiene che la base di una simile società debba essere per forza contrattuale: poiché l'edonismo si configura e definisce non solo come ''ricerca del piacere'', ma anche come ''evitamento del dispiacere'', i delinquenti relazionali, ossia coloro che infrangono il patto edonico, vanno allontanati. Chi semplicemente diffonde dispiacere va allontanato.  In una intersoggettività edonista i filosofi metterebbero a disposizione la propria saggezza per decretare quali piaceri andrebbero perseguiti e quali evitati.

Se tale progetto vi pare utopistico, non preoccupatevi: lo è anche per Onfray. In effetti l'idea di un contratto radicalmente basato sul piacere risulta piuttosto inverosimile e il rischio di una deriva soggettivistica sarebbe facilmente pronosticabile. 

Taluni potrebbero azzardare che un sistema del genere esiste già e opera sotto le mentite spoglie delle democrazie liberali. Se ciò fosse vero, se il piacere fosse davvero considerato l'unico termine di riferimento valido e gli fossimo così fedeli come nella intersoggettività edonista, non vi sarebbero chiese né regimi, né guerre né politiche suprematiste, né le principali potenze planetarie si sognerebbero mai di misurarsi con le armi nucleari, o anche soltanto di misurarsi (se non in attività meramente agonistiche).

Frasi


When people label you by saying that you have attitude 

Just tell them that  you have a personality        

which is unshakable and unaffected  by what people say about you. 

___________

Life is like a camera...

Focus on what's important,  Capture the good times, 

Develop from negatives, and if things don't work out,  Take another shot.

__________

Il più grande atto di coraggio è il perdono.   

Il mio viaggio in Islanda

Viaggio in Islanda   (30 agosto 2023 - 11 settembre 2023). Il cerchio d'oro.        

  • 1 giorno Keflavik (aeroporto),
  • 2 giorno Pingvellir  - parco nazionale , fossa tettonica formatasi dalla separazione di due placche che stanno avvicinandosi, cascata di Gullfoss
  • 3 giorno Seljalandfoss, cascata di Skogafoss
  • 4 giorno Skaftafell, parco nazionale e  ghiacciao Vatnajokull, laguna di Svinafellsjokull dove flottano degli icebergs
  • 5 giorno Egilsstaoir, fiordo dell'est
  • 6 giorno Myvatn,  lago e cratere, piscina con acque calde
  • 7 giorno Siglufjordur,  cascata di Goaofoss,  villaggio,  città di Akureyri
  • 8 giorno Havammstangi,  parte Ovest, rocce vulcaniche di Hvitserkur e foche
  • 9 giorno Snaefellsne, parco nazionale di  Snaefellsjokull,  Arnastapi
  • 10 giorno Borgarfjorour, fiordi,
  • 11 giorno arrivo a Reykjavik, chiesa, Perlam museo, vecchio porto,
  • 12 Reykjavik, chiesa, Perlam museo, vecchio porto,  
  • 13 giorno ritorno a casa.             Km percorsi 2500.

Curiosità sull'Islanda:

  • in Islanda c'è una eruzione vulcanica ogni 4 anni in media;
  • la birra è illegale dal 1989;
  • la settimana lavorativa è di 43,5 ore a settimana (la più lunga in Europa);
  • I bambini sono lasciati fuori a dormire;
  • Non c'è cognome in Islanda, si usa aggiungere al nome il nome dle padre, madre ecc, aggiungendo figlia o figlio;
  • il 65% della popolazione vive a Reykiavik;
  • L'Islanda ha il primo Ministro donna apertamente gay e democraticamente eletto;
  • Il consumo di coca-cola è il più alto in Europa;
  • Non ci sono ristoranti MacDonald;
  • Nel 2010 sono stati vietati gli Strip clubs;
  • L'85% dell'energia è prodotta da fonti rinnovabili, di cui la metà da fonti geotermiche;
  • E' uno degli ultimi Paesi ad essere abitato; 
  • Gli islandesi vedono il maggior numero di film in Europa;
  • Lo sport nazionale è la palla a mano;
  • Non hanno un esercito, una marina militare, nè un'aviazione militare;
  • Le zanzare non esistono in Islanda;
  •  La polizia non è armata;
  • Il 10% della popolazione ha pubblicato un libro e hanno il più alto numero di libri procapite ; 
  • Il 97% della popolazione ha una connessione Internet;
  • Il 10% dell'Islanda è coperta da ghiacciai, i più grandi ghiacciai sono situati nel centro - sud;
  • Intorno al 1000 d.C. gli islandesi adottarono la cristianità e la sua cultura;
  • A Pingvellir fù istituito Albingi, il più antico parlamento del mondo.

E' morto il sociologo Domenico De Masi

Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma” è il motto di Paul Valery che il professore aveva scelto per descriversi. Una rondine, cioè un uccello determinato “ma senza spocchia”

Professore emerito di "Sociologia del lavoro", presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" di Roma, Domenico De Masi è scomparso a causa di "una improvvisa e micidiale malattia" il 09/09/2023. Il professore, anche già preside della facoltà di Scienze della comunicazione, è stato un appassionato studioso, insegnante, ricercatore e consulente. Il suo interesse era rivolto principalmente alla sociologia del lavoro e alle organizzazioni, alla società postindustriale, allo sviluppo e al sottosviluppo, ai sistemi urbani, alla creatività, al tempo libero, ai metodi e alle tecniche della ricerca sociale con particolare riguardo alle indagini previsionali. Masi ha pubblicando decine di libri.  

Nato a Molisano di Rotello, un paesino di appena mille anime in provincia di Campobasso, lasciato per frequentare prima il liceo classico a Caserta, poi l'Università a Perugia, dove si laureò in Giurisprudenza con una tesi sulla Storia del diritto. 

Poliedrico e cosmopolita, il sociologo aveva studiato a Parigi alla vigilia del ’68, dove aveva preso il dottorato in “Sociologia del Lavoro” studiando con Alain Touraine, direttore di ricerca all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, tra i massimi esponenti della sociologia contemporanea. Insieme al direttore Touraine, Masi entra in quella dimensione che non lascerà più: la sociologia applicata ai processi reali.

Ma è sempre stata la sociologia al centro della sua attività, sin dai tempi di ricercatore e di collaboratore della rivista Nord e Sud. A Milano, lavora alla Cmf del gruppo Iri e ottiene un riconoscimento dall'allora Cee, la Comunità Economica Europea, che precederà l'odierna Ue. Da docente, insegna Sociologia prima all'Università Federico II di Napoli, poi a Sassari, all'Orientale sempre nel capoluogo partenopeo e infine alla Sapienza di Roma, dove diventa preside della facoltà di Scienze della comunicazione.

Negli ultimi venti anni, Masi in Brasile viene considerato un intellettuale di riferimento, dove diventa figura molto ascoltata dal Partito dei lavoratori e dallo stesso Lula. Masi in Brasile è attratto dalla figura di Oscar Niemeyer, architetto di Brasilia, figura che paragona a Olivetti, e di cui teneva una celebre frase nel proprio studio: “Ciò che conta non è l’architettura, ma è la vita, gli amici e questo mondo ingiusto che dobbiamo modificare”. Ciò che De Masi, con il proprio lavoro, la propria vitalità intellettuale e la propria ricerca ha contribuito a fare.

Ha sviluppato e diffuso uno dei paradigmi post-industriali, basato sull'idea che, a partire dalla metà Novecento, l'insieme di azioni quali: il progresso tecnologico, lo sviluppo organizzativo, la globalizzazione e la scolarizzazione di massa, abbia prodotto una nuova società incentrata sulla produzione di informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Questo processo, secondo il professore, ha determinato nuovi assetti economici, nuove forme di lavoro e di tempo libero, nuovi valori, nuovi soggetti sociali e nuove forme di convivenza.

E' stato uno degli ispiratore della necessità del lavoro agile e del reddito di cittadinanza.
In relazione alla pandemia provocata dal Covid, convinto sostenitore di un progressivo allargamento della platea dello smart working ovvero del cosiddetto "lavoro agile", dedicando al tema la sua ultima pubblicazione, dal titolo La rivoluzione del lavoro intelligente.

E' morto il filosofo Gianni Vattimo

Gianni Vattimo (1936-2023), il filosofo del pensiero debole e del postmoderno aveva 87 anni quando è morto il 19/09/2023 a Torino. Antidogmatico, tra i più citati all’estero, ha influenzato gli studi su Nietzsche e Heidegger.

Vattimo deve la sua fama a livello internazionale per aver teorizzato e sviluppato il concetto di “pensiero debole“, una critica alla metafisica tradizionale. Professore di filosofia all’Università degli studi di Torino, è stato anche politico e membro del Parlamento europeo.

Tra i più noti filosofi italiani e tra i massimi esponenti della filosofia ermeneutica a livello mondiale, tradotto in varie lingue, studioso e originale prosecutore del pensiero di Martin Heidegger, Gianni Vattimo ha teorizzato l’abbandono delle pretese di fondazione della metafisica e la relativizzazione di ogni prospettiva filosofica, diventando così appunto il maestro del “pensiero debole” a livello internazionale. 

Il "pensiero debole" trovava il nucleo ispirativo più significativo nel cristianesimo, il cui Dio si incarna nell'uomo, si fa debole per offrire un messaggio di verità e carità. Dal cristianesimo, frutto di una fede giovanile via via sempre più ripresa e ravvivata nella matura età, trasse le domande esistenziali della sua ricerca filosofica e, se non le risposte ultime, i significati e gli interrogativi che arricchivano il suo pensare. Benché negli anni Ottanta qualsiasi riferimento diretto al cristianesimo resti pressoché assente dai suoi scritti, nel 1996, con il libretto-confessione Credere di credere, Vattimo esplicitamente fece professione di fede cristiana, indicandone nell'incarnazione di Dio, il messaggio principale.

È stato allievo di Luigi Pareyson, assieme a Umberto Eco con cui ha condiviso amicizia e interessi, laureandosi in filosofia nel 1959 all’Università di Torino. Oltre alla giovanile militanza nell’Azione Cattolica, Vattimo fu con Eco anche tra i pionieri della televisione italiana: nel 1954 insieme parteciparono e vinsero un concorso della Rai per l’assunzione di nuovi funzionari. Abbandonarono l’ente televisivo alla fine degli anni Cinquanta.

Ha insegnato negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi atenei del mondo. Era editorialista per vari quotidiani e ha ricevuto lauree honoris causa dalle Università di La Plata, Palermo, Madrid e dalla Universidad Nacional Mayor de San Marcos di Lima.

Vattimo è stato non solo un filosofo ma anche un intellettuale militante di spicco della sinistra, dichiaratamente omosessuale e al tempo stesso rivendicando la sua fede cattolica, svolgendo attività politica in diverse formazioni politiche.   Il suo assistente e compagno Simone Caminada ha comunicato ai media la notizia del decesso.

sabato 23 settembre 2023

The Why Cafè - John P. Strelecky

Se qualcuno oggi ti chiedesse se sei soddisfatto della tua vita, cosa risponderesti? A volte nella vita quello che sembrava un fastidioso imprevisto può rivelarsi una scorciatoia verso la felicità. È ciò che accade a John, il protagonista di questo libro, un uomo che va sempre di fretta ma che un giorno, per colpa del traffico, è costretto a rallentare e imboccare un cammino secondario, reale e metaforico, ignaro che quello che sta per incontrare - un misterioso caffè in mezzo al nulla - lo cambierà per sempre. Sì, perché il caffè alla fine del mondo esiste ed è dentro di noi, è il luogo dove tutte le nostre domande trovano risposta, dove i nostri desideri appaiono nitidi e raggiungibili, e dove finalmente troveremo il coraggio di cambiare. Un libro, per non scordarci mai che affrontare noi stessi è l'unica via verso la felicità.   

Le tre domande che si trovano nel libro sono :  Perchè siete qui? Avete paura della morte? Siete pienamente soddisfatti?   Porsi la prima domanda aprirà una specie di porta, lo spirito  della persona o la sua anima vorrà cercare la risposta.

La domanda crea lo slancio necessario per trovare la risposta. Appena una persona conosce il perchè è qui, perchè vive, quale è la sua ragione di esistere, vorrà realizzare questa ragione di essere (RDE). Ci sono delle persone che non si sono mai poste la domanda nella vita. E' la persona che decide se prendere in considerazione la domanda o meno, è una scelta puramente personale.  

Perchè sei qui? Perchè le persone esistono. E' una domanda difficile a cui rispondere e le persone si interrogano in momenti diversi della loro vita per trovare la loro ragione di essere (RDE). Alcune  la risolvono quando sono giovani, altre quando sono vecchi, e alcune non rispondono mai alla domanda.  Ma poi cosa fanno dopo che si sono posti la domanda o dopo che hanno trovato la risposta?  Se per esempio, il mio scopo è aiutare le persone, l'obiettivo si può raggiungere diventando medico, volontario della Croce Rossa, costruendo rifugi nelle regioni defavorevoli, diventare contabile e aiutare le persone a calcolare le loro imposte, ecc..  Molto spesso, invece,  si prende una via nella vita seguendo i consigli della famiglia, la pressione culturale, l'opinione della gente.

Una volta veramente trovata la nostra ragione di essere (RDE), occorre apprendere quello che ci permetterà di realizzarla. Spesso siamo noi stessi che ci imponiamo delle limitazioni, piuttosto che dei veri limiti esterni ce lo impediscono.  Bisogna aggiustare le nostre scelte all'ambiente, come fanno le tartarughe che aggiustano i loro movimenti seguendo la corrente dell'acqua.  Spesso le persone che ignorano la loro ragione di essere passano il loro tempo a fare tante cose, una dopo l'altra. In questo modo le energie si disperdono e quando l'occassione di fare veramente quello che vogliomo si presenta, è possibile che non abbiano più abbastanza energie. Nella vita quotidiana, molte attività, cose, e persone si presentano davanti alle persone cercando di catturare la loro attenzione, distogliendole dalla loro vera ragione di essere.

E' simpatica la storia dell'uomo d'affari che per scappare dalla pressione del quotidiano va in vacanza in una piccola isola tropicale, dove incontra un pescatore, costui durante la giornata va a pescare il necessario per la famiglia, e quando il pescato è eccessivo, rimette i pesci in acqua. L'uomo di affari gli disse "ma perchè non peschi tutta la giornata e non vendi il pesce eccessivo?".  Per quale motivo gli risponde il pescatore, L'uomo d'affari risponde "Per avere del denaro con cui poi puoi fare quello che vuoi",  Il pescatore sorrise all'uomo d'affari. L'uomo d'affari insiste: "una volta guadagnato il denaro ti ritirerai e farai quello che vuoi", Il pescatore risponde: "mi metterei a pescare", "passerei mia serata con mia moglie sulla spiaggia ad ammirare il tramonto"  (che era quello che stava facendo attualemente), serrò la mano all'uomo d'affari e gli sorrise di nuovo.

Molte persone lavorano per andare in pensione e poi poter, infine, fare quello che vorrebbero. Si mettono a guadagnare del denaro e entrano in una specie di routine.  Ma perchè queste persone passano tanto tempo a prepararsi per il giorno in cui potranno fare quello che vorranno al posto di fare semplicemente adesso quello che vogliono?

In parte è l'influenza della società dei consumi, che ci propone prodotti immaginari per migliorare la vita e combattere le nostre paure.  Anzi si arriva a far credere che il non possesso di determinati prodotti comprometterebbe addirittura la nostra soddisfazione e la nostra realizzazione.  Spesso le persone svolgono un lavoro non interamente soddisfacente, che non corrisponde alle loro aspirazioni e allora per compensare acquistano sempre più cose.

La sfida è determinare che cosa veramente ci soddisfa e ci realizza, il determinarlo individualmente e non perchè qualcun altro ce lo ha detto.   All'inizio occorre prendere un po' più tempo per noi stessi;  ogni settimana, ogni giorno, e fare quello che si vuole veramente.

Spesso sono proprio queste persone,  che non si sono messe in cammino per realizzare la loro missione di vita facendo quello che vogliono fare,  che hanno paura della morte. 

Avete incontrato delle persone che erano totalmente appassionate da quello che fanno ogni giorno? Delle persone che passano il loro tempo a fare qualcosa che amano veramente?  Dalla mia esperienza non ce ne sono molte.

Vi siete mai posti queste domande? Come sarebbe la mia vita se facessi solo le attività che mi piacciono? Se impiegassi il mio tempo a fare quello che mi appassiona?

Perchè attendere di fare quello che si vuole fare  se si può farlo da adesso?  Spesso c'è l'illusione che il denaro riuscirà a soddisfare il nostro bisogno di realizzazione acquistando cose e prodotti vari. Molte delle cose che possiediamo ci permettono di evadere momentaneamente. 

Ma se facessi sempre quello che desideravo, allora avrei meno bisogno di evadere e vivrei senza dubbio con meno stress.  Se mi consacrassi alle attività che soddisferebbero la mia ragione di esistere, allora sarei probabilmente meno preoccupato dal denaro.  Spesso avvenimenti inattesi sopravvengono proprio al momento in cui ne abbiamo  bisogno.

Perchè le persone non seguono la loro ragione di esistere? Che cosa le ritiene?   Non è così facile seguire la propria strada, spesso queste persone credono di non avere il diritto di seguirla e realizzare la loro ragione di esistere.  E' una sfida arrivare a realizzare che ciascuno di noi ha il controllo sul proprio destino e sul grado di realizzazione.  Nessuno può impedirci di realizzare quello che vogliamo nella vita. Siamo noi che controlliamo il nostro destino. 

Bisogna trovare da soli la risposta del perchè si è su questa terra, e le persone lo fanno in modalità diverse. Ascoltano musica, si ritirano nella natura, altri parlano con i propri amici, altri si lasciano guidare da idee e storie lette sui libri.  Noi siamo i soli a poter trovare la nostra risposta.  E' importante allontanarsi dal rumore esteriore al fine di concentrarsi su che cosa riflettere. Le nuove esperienze e le nuove idee permettono alle persone di scoprire delle nuove risonanze in loro.

Quando si resta seduti di fronte all'incredibile bellezza e maestosità della natura, si realizza che la nostra vita non è che una porzione infinitamente piccola di qualcosa di molto più grande. Spesso in questo caso ci poniamo le seguenti domande: Quale è il senso della vita? Per quale ragione esisto? Perchè sono qui?  La vita è una storia formidabile, soltanto le persone non realizzano che ne sono gli autori e la possono scrivere come vogliono. 

Quando si arriva a valutare due scelte, una è quella di vivere una vita che realizzerà la nostra ragione di esistere e l'altra che è quella di vivere semplicemente, si potrebbe pensare che la scelta è facile.  Ma non è così.  La maggior parte delle persone mettono fine alla loro ricerca, guardano da un buco della porta e vedono chiaramente la vita che vorrebbero avere, ma per una serie di ragioni, non aprono quella porta e non avanzano mai verso quella vita desiderata.  Le persone si trovano di fronte a questo bivio in differenti momenti della loro vita, quando sono giovani, altre più tardi. La scelta comunque non può essere brusca o imposta.

Spesso di fronte agli spettacoli della natura, di fronte a ghiacciai, di fronte a montagne, di fronte agli oceani, ci rendiamo conto che dal punto di vista universale, i nostri stress, le nostre ansietà, le nostre vittorie e sconfitte contano veramente poco.  Ma è proprio davanti alla nostra apparente insignificanza che troviamo il senso della vita. 

______Riferimenti: il sito: www.whycafe.com   e    il sito www.johnstrelecky.com

John e sua moglie hanno intrapreso un viaggio con lo zaino intorno al mondo; durante nove mesi hanno percorso più di 100000 km (tre volte la circonferenza delal terra) utilizzando mezzi di trasporto più disparati, tra cui il cavallo, l'elefante, la bicicletta e il battello, ecc.

Samsara. S.S. Il Dalai Lama (1)

 "Cercate di aiutare gli altri. Se non ne siete capaci , non fate del male agli altri" - Sua Santità il Dalai Lama riassume in questa frase l'essenza del Buddhismo.    

"Dobbiamo abbandonare il nostro egoismo, o almeno cerchiamo di essere egoisti in modo intelligente".

Nel primi due capitoli del libro Samsara, Liberarsi dalla sofferenza, combattere l'intolleranza attraverso la non-violenza, il Dalai Lama parla dell'invasione del Tibet da parte della Cina fino ad oggi  e dell'esperienza del suo esilio.

Il suo predecessore, il tredicesimo Dalai Lama Thupten Gyatso aveva indicato chiaramente il pericolo che veniva dalla Cina e aveva chiesto più volte a Buthan e Nepal di creare un'armata comune, ma questa proposta fu ignorata.  L’invasione del Tibet ebbe inizio nell’ottobre del 1950, dopo la fine della guerra civile cinese che vide il Kuomintang (il Partito Nazionalista Cinese, KMT) e il Partito Comunista Cinese (PCC) guidato da Mao Zedong contendersi il potere dal 1927 al 1949. Un anno dopo la vittoria del PCC e la conseguente fondazione della Repubblica Popolare il 1° ottobre 1949, ebbe inizio l’invasione del Tibet, regione fino ad allora indipendente dal governo di Pechino. Tra il 6 ed il 7 ottobre 1950, l’esercito cinese (People Liberation Army, PLA) – sotto l’influenza del futuro leader Deng Xiaoping, – circondò la città tibetana di Chamdo, che cadde sotto il comando cinese il 19 ottobre. La sconfitta dell’esercito tibetano a Chamdo diede inizio alle trattative per l’annessione cinese del Tibet che si conclusero un anno dopo con l’Accordo dei Diciassette Punti, con cui il governo tibetano e il Dalai Lama accettavano la presenza del PLA e la sovranità cinese sul suolo tibetano.

Negli anni 1954 il Dalai Lama fu invitato varie volte in Cina  e fu accolto dal Primo ministro Chou En-Lai e dal vice ministro Chu Teh, e per la prima volta, in quell'occasione, vide Mao e scrive di lui che aveva una grande forza magnetica, cordiale e spontaneo. E sempre in questo libricino il Dalai Lama rivela di essere stato attirato dal comunismo, il solo difetto che vedeva nel comunismo era quello di occuparsi dell'aspetto puramente materiale dell'esistenza.  Mao nel 1955 durante una conversazione gli disse "La religione è un veleno, frena il progresso". 

In questo periodo il Dalai Lama incontra anche Nehru in India, che gli fece comprendere chiaramente che l'India non avrebbe potuto aiutare il Tibet.  Gli consigliò di riprendere gli accordi con i cinesi. 

Dal 1949 al 1959 il Dalai Lama restò il capo politico e capo spirituale del suo popolo cercando di stabilire delle relazioni pacifiche tra le due nazioni: Cina e Tibet. La resistenza popolare contro la Cina comunista durò in Tibet fino al 1959, culminando in una giornata di insurrezione generale quando il 10 marzo 1959 300mila tibetani si riunirono ai piedi del Potala, residenza del Dalai Lama, per proteggerlo dalle proteste scoppiate nella capitale Lhasa. Il Dalai Lama chiese ancora una volta consiglio all'oracolo che quella sera gridò "vai via, vai via immediatamente", In seguito, il Dalai Lama dopo essersi recato al santuario di Mahakala, la sua divinità protettrice e avergli fatto l'offerta di una kata (sciarpa di seta bianca) lasciò il Paese per rifugiarsi in India, dove vive ancor oggi da esiliato. Nello stesso anno, l’Accordo dei Diciassette Punti venne ripudiato sia dal governo cinese che da quello tibetano e il Tibet venne ufficialmente annesso ai territori della Repubblica Popolare Cinese come regione autonoma.

Attualmente la popolazione autoctona, nel Tibet, conta 6 milioni di persone mentre la popolazione cinese arriva a 7,5 milioni di persone, ed è una questione veramente grave.  Ogni situazione deve essere considerata nella sua singolarità, ma il fatto di perdonare o di mostrarsi pazienti non significa che i tibetani debbano accettare tutto da chiunque. 

Il periodo attuale si inscrive tra i più difficili per il popolo tibetano, il Dalai Lama non cessa di sperare che il popolo tibetano, la sua cultura e la sua fede sopravviveranno e conosceranno di nuovo la prosperità.  Pensa che la sua presenza nel mondo libero, all'esterno del Tibet, possa essere più utile alla causa tibetana che  ritornare in Tibet.

La giornata della vita del Dalai Lama.   Si sveglia alle 4,00 per recitare il mantra Ngak-djinlap, è una preghiera attraverso la quale  dedica tutti i pensieri, le azioni, le parole come un'offerta agli altri. Guarda il cielo e prende coscienza della nostra insignificanza nel cosmo, e  dell'impermanenza. Fa colazione ascoltando le notizie della BBC.  Dalle 6,00 alle 9,00 medita; attraverso la meditazione cerca di sviluppare la giusta motivazione: compassione, perdono e tolleranza. Medita 6 o 7 volte al giorno.  Dalle 9,00 alle 12,00 legge e studia le scritture. Alle 12,30 prende il pranzo, in generale non vegetariano. Il promeriggio è dedicato agli incontri ufficiali. Alle 18,00 prende il thè, essendo monaco  non cena.  La sera vede le serie della BBC sulla civilizzazione occidentale e documentari sulla natura. 

Obbedisce ai voti di povertà e non ha alcun oggetto personale.  In Thailandia, Sri Lanka e Birmania i monaci sono autenticamente impegnati nella pratica della disciplina monastica, e a differenza dei monaci tibetani, hanno conservato l'abitudine di mendicare il loro cibo, come duemila anni fa, all'epoca del Buddha e dei suoi discepoli.  Spesso i tibetani sono conosciuti per la loro allegria, e questo è dovuto forse all'identificazione con un ideale di compassione.

L'assegnazione del premio Nobel per la pace al Dalai Lama nel 1989 ha permesso all'opinione pubblica di scoprire il problema tibetano. Il Dalai Lama  cominciato ad interagire con vari capi di Stato europei che spesso per problemi diplomatici lo hanno ricevuto in forma privata.  Di questo esilio il Dalai Lama ne ha preso l'aspetto positivo che è quello di scoprire il resto del mondo, incontrare altri popoli, di conoscere altre tradizioni. Auspica che il prossimo governo tibetano sia eletto democraticamente. 

Nel terzo capitolo parla del mondo di oggi.    "Constato che i dirigenti del mondo attuale hanno un grande coraggio, il coraggio di compiere il male"  - Il Dalai Lama.

Dobbiamo già affrontare la morte, la vecchiaia, le catastrofi naturali... tante sofferenze che ci lasciano impotenti, Non sono sufficienti?   Dobbiamo anche affrontare le guerre e la stupidaggine umana?

La sola cosa che valga la pena di fare da parte di un essere umano è provare a sviluppare i pensieri positivi, aumentare il loro potere o la loro forza, e ridurre il modo di pensare negativo. Creare delle comunità e ridurre le disuguaglianze e il fossato tra Nord-Sud del mondo dovrebbe essere l'obiettivo principale dell'Occidente. Oggi la nostra generazione, tutti i membri della nostra famiglia umana, vasta e diversificata, devono malgrado tutto apprendere a vivere insieme e dare vita a una comunità universale.  Quello che colpisce il Dalai Lama è il manicheismo degli occidentali che hanno l'abitudine di pensare in maniera dicotomica, in termini di opposizione nero/bianco, per/contro, dimenticando l'interdipendenza e la relatività dei fatti, e l'esistenza di una zona grigia che esiste tra i due punti di vista. Con questo modo di ragionare si creano distinzioni e frontiere a partire dal colore della pelle, dal luogo geografico, o da fatti storici maturando il sentimento di essere diversi. E' così che nascono critiche, conflitti e guerre.  In questi capitoli, accenna al problema della sovrapopolazione, e si dichiara favorevole al controllo delle nascite e fa presente che le vecchie interdizioni religiose non aiutano.  Per dare prosperità e giustizia ai quasi 8 miliardi di persone che popolano il pianeta è evidente che dovremmo evitare che aumentino di numero. Un'altra necessità è quello di educare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.  

Ribadisce comunque di difendere tutte le forme di vita, anche quella degli animali. Dal punto di vista buddhista, tutti gli esseri sensibili, gli esseri dotati di sentimento, di esperienze e sensazioni, sono considerati uguali.

Quando l'uomo neglige di coltivare la sua dimendione interiore, diventa l'ingranaggio di una macchina e diventa schiavo delle cose, allora non ha di umano che il nome.   In Occidente, lo sviluppo tecnologico dovrebbe garantire un benessere permanente; ma non è così. Sotto l'apparenza essite del malessere, dell'insoddisfazione mentale e agitazione. Questo mostra che il solo progresso materiale non è la risposta completa all'aspirazione dell'essere umano. In Occidente, si vie in una tensione, in una competizione e una paura incessanti.

I media propongono solo violenza e sesso che portano guadagni e soldi. E' compito dello spettatore contrastare questa tendenza.  Ciascun individuo ha la responsabilità di ridurre la negatività della situazione nella quale si trova confrontato. Se volete cambiare il mondo, provate prima di migliorarvi e trasformarvi.     Siamo in un periodo storico in cui dobbiamo cercare di sostituire i dogmi estremisti con valori spirituali e umani.

Samsara. S.S. Il Dalai Lama (2)

"Senza le qualità umane fondamentali: amore, compassione, bontà, non potremo sopravvivere. La notra propria pace e stabilità mentale dipendono da queste qualità" -  Il Dalai Lama  

Nella seconda parte del libro Samsara, Liberarsi dalla sofferenza, combattere l'intolleranza attraverso la non-violenza, il Dalai Lama parla della fede, della scienza e della religione.


Il buddhismo non cerca di convertire; il buddhismo è un'esperienza personale. Uno degli insegnamenti principali del Buddha è il seguente: "Devi aspettarti tutto da te stesso".

Il buddhismo non accetta la teoria di un Dio o di un creatore. Da un certo punto di vista è una religione, da un altro punto di vista è una scienza della mente. mettendo da parte l'idea di un Dio creatore e giudice, entriamo nel campo di un  "religione umana", ossia nata dalla riflessione umana per rispondere a un bisogno umano.  Il buddhismo non fa nessuna discriminazione tra i sessi, lo scopo ultimo è identico, così come le capacità di arrivare al nirvana. Nella società tibetana presa nel suo insieme, non esiste differenza di status o rango tra uomini e donne ( c'è una grande differenza con India e Cina).

I buddhisti e non buddhisti si distinguono per il fatto che prendano o meno rifugio nel Triplice gioiello, e nell'accettazione dei Quattro sigilli attestando che la dottrina è la parola di Buddha. Il Triplice gioiello è costituito dal Buddha,il dharma (l'insegnamento) e il sangha (la comunità spirituale). I Quattro sigilli attestanti che una dottrina è la parola del Buddha sono; 1- tutte le cose composte sono impermanenti, 2- l'esistenza condizionata è essenzialmente sofferenza, 3- tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza in sè, e 4- il nirvana è pace. 

La dottrina del Buddha può essere riassunta in due frasi: "Aiuta gli altri" e "nel caso non puoi farlo , non nuocere agli altri". Questa dottrina è radicata nel terreno dell'amore e della compassione. 

L'etica è la nostra difesa, e la nostra principale arma di attacco è la saggezza, per questo sono necessarie stabilità mentale e concentrazione. La perfezione dell'etica è raggiunta quando avrete sviluppato fino al punto supremo l'idea di non danneggiare gli altri e non compiere le dieci azioni negative. Questo porta all'estinzione del fuoco dell'attaccamento, della collera e della rabbia.

Le azioni si compiono attraverso tre porte: il corpo, la parola e la mente; le dieci azioni negative sono: l'omicidio, il furto e condotta sessuale inappropriata, la menzogna, l'incomprensione, la parola che ferisce e il pettegolezzo, la lussuria, la malizia, il punto di vista scorretto o perverso.  I quattro antidoti sono il potere del  rimpianto, il potere della purificazione, la forza della determinazione, la forza suprema della meditazione.  

La principale tecnica per arrivare alla pace della mente è la meditazione. La nostra vera natura è calma, per questo il Buddha ci raccomanda di cercare profondamente in noi stessi, in noi stessi troveremo il desiderio di pace.   L'etica è il fattore principale per una rinascita favorevole.

Dopo l'illuminazione, il Buddha girò più volte la ruota della legge prima del aprinirvana, che è la legge cosmica rivelata dal Buddha, l'insegnamento religioso che impedisce di entrare nel ciclo della sofferenza del samsara. L'essenziale resta l'analisi attraverso la logica e la ragione. Se certe cose non si accordano con la ragione e la realtà non dovete mai accettarle. L'uomo che ha la comprensione del Dharma considera uguali i tesori del mondo e la goccia della rugiada sospesa sulla punta di un filo d'erba.   Le grandi scritture, tradotte in tibetano sotto il nome di kangyur, ricoprono l'insieme degli insegnamenti del Buddha. La vera pratica consiste nell'applicazione immediata di quello che apprendiamo.

Non dobbiamo dimenticare che in tutti gli esseri umani esiste un seme di amore e di compassione che farà di lui, un giorno, un Buddha.

Nel capitolo cinque parla della vita. Nel buddhismo si dice che ciascuno è il maestro di se stesso. Il potenziale è identico per ogni essere umano. Se avete la volontà potete fare quello che volete. Se non alleniamo la nostra mente e non riflettiamo, ci è impossibile ottenere la felicità. La felicità non può coesistere con l'aggressività.  

I nostri maestri più preziosi sono i nostri nemici.  Il Dalai Lama consiglia di essere prudenti nello sposarsi, una famiglia felice è un passo verso un mondo felice. La base di tutti gli insegnamenti morali dovrebbe essere la non risposta agli attacchi.  L'ideale sarebbe di spendere il 50% del tempo e dell'energia a occuparsi degli affari correnti e il 50% a coltivarsi interiormente.  Tutti insieme si dovrebbe cercare di sviluppare una spiritualità nuova, parallelamente alle religioni, in modo tale che tutte le persone di buona volontà possano aderire. Un concetto nuovo, una spiritualità laica. 

Tutto quello che è nostro è soggetto all'impermanenza, niente di quello che comunemente crediamo essere reale è permanente. A torto crediamo che il corpo e la mente possiedono una specie di "io". La vacuità corrisponde al vuoto, all'assenza totale di esistenza intrinseca, La vacuità è paragonabile a uno zero, uno zero in se stesso non è niente, ma senza lo zero non è possibile contare. Di conseguenza lo zero è qualcosa anche essendo niente. Lo stesso è per il vuoto; il vuoto è vuoto, ma allo stesso tempo la base di tutto.   La forma è il vuoto, il vuoto è la forma. La materia di cui siamo composti è vuota, tuttavia questo non vuol dire "il nulla", e a torto molti commentatori hanno accusato il buddhismo di nichilismo. Secondo i buddhisti il mondo è una fluidità, una corrente di stati, tutte le cose dipendono da altre cose. Niente esiste separatamente. le cose appaiono, esistono e scompaiono, e appaiono di nuovo. Ma non esistono mai per loro stesse. La forma dunque è vuoto, non separata, non indipendente. Questa forma dipende da una moltitudine di altri fattori. Il vuoto è forma perchè tutte le forme si sviluppano in questo vuoto, in questa assenza di esistenza indipendente. Il vuoto è là per condurre alla forma.

Sull'origine dell'universo, i buddhisti dicono che il secolo in cui viviamo è la conseguenza dei secoli precedenti, e così via fino all'origine dei tempi, 20 o 25 miliardi di anni fa.     Ma come il Big Bang si è prodotto? Ci sono due risposte che i buddhisti non accettano, la prima che non c'è nessuna causa, ma qualcosa è successo.  La seconda risposta è la soluzione divina: Dio ha deciso di creare il mondo.  Secondo le scritture buddhiste delle particelle particolari esistevano nello spazio prima della creazione dell'universo.   Queste particelle spirituali sono ancora là, costituiscono gli esseri, e hanno dato via al Big bang. 

Nel buddhsimo, come in altre tradizioni c'è una via diretta al risveglio costituita da yoga, misticismo, certe forme di meditazione e di estasi. Questo approccio diretta che può condurci per esperienza all'origine del mondo è estremamente difficile. Presuppone che la nostra mente si sia sviluppata e affinata fino alle sua più alta qualità di coscienza sottile, che la sottrae ai cicli temporali. Poche persone arrivano a questi livelli. Quando si arriva a questi livelli di coscienza sottile e di estasi si può con piacere contemplare l'assenza di esistenza in sè, la vacuità e il vuoto. 

Per quanto riguarda la coscienza, benchè ne facciamo esperienza da secoli, non sappiamo cosa sia veramente. Dobbiamo dedicare parte dei nostri sforzi (oltre che alla scienza) alla ricerca interiore, nel campo della mente restano degli immensi spazi da esplorare.  Molti scienzati hanno compreso che il buddhismo non è una religione rigida, e si sono resi conto che è anche una scienza e come tutte le scienze si basa sull'esperienza.  La natura umana è provvisoriamente contaminata, attraverso un processo di purificazione, di risveglio, la nostra mente può raggiungere quella alta qualità che si chiama Nirvana. Lo spirito (la mente) si trova allora trasformato in saggezza e non si è più sottomessi al ciclo delle esistenze. 

Quando la fine è prossima, dobbiamo volgere i nostri pensieri verso la pratica, dobbiamo studiare il processo della morte e familiarizzare con esso attraverso la meditazione, e vivere le otto fasi della dissoluzione del corpo. 1- Il processo comincia con la dissoluzione dell'aggregato delle forme: l'elemento terra si indebolisce, il morente ha l'impressione di finire sotto terra e la sua vista indebolisce, 2- l'elemento acqua perde consistenza e prevale il fuoco, la bocca diventa secca, 3- nella fase seguente l'elemento aria diventa predominante, il morente non riconosce più i suoi cari, interiormente vede come delle lucciole. 4-, l'elemento vento si indebolisce, il sintomo esterno è l'arresto della respirazione, internamente il morente vede una fiamma rossastra. In questo stadio un medico dichiara la persona morta. Ma secondo il buddhismo, il processo non è ancora terminato, la coscienza della persona è ancora presente, ma ciò non significa che si può ritornare indietro.  Ci sono ancora altri quattro stadi, 5-  la percezione di una visione bianca e di energia all'interno, nessun segno esteriore. 6- Poi la percezione di un luce rossa, 7- poi la coscienza di un nero e oscurità profonda, si entra in una specie di incoscienza.  8- Quando la percezione del nero e dell'energia motrice si dissolvono, si manifesta la percezione più sottile di tutte: la chiara luce della morte.  E' allora che la vita si arresta veramente. In questo momento per lo yogi è venuto il momento di mettere alla prova la sua pratica, prima che le cellule degenerino.  Conosce in quel momento il livello più sottile: la coscienza della luce chiara.  La coscienza è divisa in tre livelli di coscienza sottile: lo stato di veglia ( a livello grossolano della coscienza), lo stato di sogno (che è più sottile), e lo stato di sonno profondo (senza sogni e che si rivela ancora più sottile), di una modalità simile, le tre tappe della nascita, della morte fisica, e dello stato intermediario del bardo che procede la rinascita,  sono stati classificati secondo la sottigliezza dello stato di coscienza.  Durante il processo di morte, l'essere penetra nel più profondo della sua coscienza sottile. Ma dopo la morte, durante il bardo, la sua coscienza si prepara e diventa più grossolana, e continua durante il processo della rinascita e della reincarnazione. 

Lo yoga può contribuire al benessere generale, ma il mezzo principale per purificare la mente, è la mente. Attraverso la saggezza si perviene alla verità profonda, o ultima della vacuità, questa saggezza che percepisce l'assenza dell'io, può essere diretta o indiretta.

Yoga e meditazione all'eremo di Camaldoli con Alex Bayer

Oggi è chiamata in causa non una particolare forma di religione; ma la religione in se stessa e solo il movimento ecumenico tra le religioni e lo sforzo di ciascuna ad accettare e apprezzare la verità e santità che si trova nelle altre religioni, può rispondere al bisogno di religiosità dell’uomo moderno.” (Bede Griffiths: Matrimonio tra Oriente e Occidente, p.30, anni '80).

Axel Bayer è nato nel 1970 a Stoccarda (Germania), è monaco benedettino del Sacro Eremo di Camaldoli (AR). È laureato in lingue, lettere e teologia, pratica yoga e meditazione da 20 anni ed è insegnante dell' Himalayan Yoga Institute, fondato da Swami Rama. Dopo essersi diplomato, ha trascorso un periodo di approfondimento e di pratica intensa a Rishikesh in India. Da molti anni propone corsi di meditazione e iniziative che mettono in dialogo la tradizione cristiana con la sapienza dell'Oriente.

Insegna metodi di meditazione cristiana nel master ‘Meditazione e neuroscienze cognitive’ all’università di Udine. Ha scritto la sua tesi di laurea in teologia sulla preghiera pura di Evagrio Pontico ed è autore del libro: ‘Meditazione – dalla preghiera pura di Evagrio Pontico al raja-yoga di Patanjali’.  Evagrio Pontico è uno dei Padri del deserto che ha maggiormente contribuito allo sviluppo di una via meditativa nella tradizione cristiana. Questo testo ricco e prezioso che ci riporta all’essenza della meditazione che, come fa osservare l’Autore, non è patrimonio esclusivo dell’Oriente o dell’Occidente, ma è una risposta trasversale alla ricerca, propria della natura umana, di strumenti che possano metterci in contatto con il Divino. Nel libro viene ripercorsa la storia della via meditativa nella tradizione cristiana, sottolineandone i punti di contatto con quella orientale. Axel Bayer non si limita, però, solo all’aspetto teorico, ma ci offre molte «indicazioni sulla pratica, sul rilassamento, sulla concentrazione, sul ruolo del maestro, sull’importanza della condivisione e, soprattutto, sulla centralità dell’abbandono. Alex spiega le motivazioni e le difficoltà nell'intraprendere una ricerca spirituale oggi; incoraggia comunque a provarci e a mettersi in cammino».

L’anelito alla meditazione silenziosa è trasversale alle diverse tradizioni religiose, ed Alex esplora il modo in cui questi cammini si illuminano reciprocamente gettando luce anche sul personale cammino spirituale. 

Propone una  pratica yoga e meditativa con condivisione. Intende lo yoga, come un metodo che aiuta il praticante in un processo di svuotamento e di abbandono che porta ad una calma mentale, aperta all’incontro con l’altro, e in questo modo lo yoga diventa un prezioso strumento per approfondire l'esperienza religiosa, la preghiera e la comprensione di noi stessi.  Prendendo spunto dalla ricca tradizione spirituale che proviene dalle religioni orientali, Alex vuole portare avanti il dialogo iniziato dai padri fondatori dell'ashram in India: Jules Monchanin, Henry Le Saux e Bede Griffiths.

Amare il Dio invisibile significa aprire passivamente il cuore davanti a Dio e attendere l’attiva rivelazione di Lui, in modo che nel cuore scenda l’energia dell’amore divino.”  - Pavel Florenskij.

Riferimenti: 

  • https://www.camaldoli.it/yoga-e-meditazione/
  • https://www.youtube.com/watch?v=YfS6Gc_oatk&ab_channel=AxelBayer
  • https://www.youtube.com/watch?v=yI9XchIhcaY&ab_channel=AxelBayer

Risorse per la meditazione

 The Lighthouse  -  Youtube meditations, documentaries and talk: https://www.youtube.com/@thelighthouseworld/featured

App: https://www.thelighthouse.world/downloadapp     

Choose from the many resources offered by the Global Retreat Centre

https://www.globalretreatcentre.org/discover-more/

 

Il canone buddhista

I testi sacri del Buddhismo sono attualmente raccolti in tre canoni: il Canone pāli, il Canone cinese e il Canone tibetano così denominati in base alla lingua degli scritti.



Il Canone pāli (letteralmente “Tre canestri” in sanscrito Tripitaka) è la più antica collezione di testi canonici buddhisti pervenutaci integralmente. Secondo la tradizione della scuola Theravāda il loro contenuto fu fissato in forma orale durante il primo concilio buddhista a Rājagaha subito dopo la morte del Buddha e furono messi per iscritto in Sri Lanka nel I secolo a.C. da parte della comunità del monastero Mahāvihāra, anche se l’edizione del Canone pāli di cui disponiamo oggi risale al V secolo d.C. (quando la versione attribuita al periodo del re Vaṭṭagāmaṇī (30 a.C.) fu rivista dai monaci del Mahāvihāra.).

I Tre Canestri. Questi scritti si possono dividere in tre categorie, i cui fogli dei primi manoscritti, originariamente consistenti in foglie di palma, erano conservati in canestri, donde il nome collettivo (tipiṭaka, pāli, da ti, tre, e piṭaka, cesto o canestro, tripitaka in sanscrito). 

  • Il primo “canestro”, il Vinaya Piṭaka, è la disciplina monastica, contenente le regole dell’ordine e le procedure da seguirsi in caso di infrazione da parte di un monaco, insieme al resoconto delle circostanze che hanno portato alla promulgazione di ciascuna regola;
  • Il secondo “canestro”, il Sutta Piṭaka, contiene resoconti della vita e degli insegnamenti del Buddha. Il Sutta Piṭaka è a sua volta suddiviso nei cinque Nikāya.
  • Il terzo “canestro” è l’Abhidhamma Piṭaka ed è una raccolta di testi che elaborano ulteriormente diversi concetti e tesi della dottrina presentati nel Sutta Pitaka, giungendo ad una loro trattazione filosofico-metafisica.

In genere le raccolte in cui è diviso contengono testi sia antichi e probabilmente testimoni delle autentiche vicende delle prime comunità monastiche e dell’insegnamento del Maestro, che testi più recenti e successivi. Ad esempio, nel Majjhima Nikāya si confronta il sistema sociale castale indiano con quello greco privo di caste, il che porta a datare questo testo a non prima del III secolo. Il Sutta Piṭaka sembra il prodotto di una comunità unita, che non ha ancora vissuto eventi scismatici. Studiosi osservano che il Canone pali potrebbe non riportare direttamente l’autentico insegnamento del Buddha Shakyamuni. Da fonti esterne si può evincere come tutti i cinque Nikāya del Sutta Piṭaka abbiano preso la loro forma attuale prima della composizione del Milinda Pañha, composto nel I secolo d.C. Studi accademici considerano l'Abhidhamma Piṭaka risalente al III secolo a.C.

L’editto di Bhāru dell’imperatore Aśoka dimostra come almeno parte dei primi quattro Nikāya abbiano preso una forma definitiva durante il III secolo a.C..   Alcuni testi dei cinque Nikāya possono essere datati prima del II secolo a.C..  Alcuni studi di gran lunga più recenti ritengono però che la versione del canone pāli che ci è giunta per opera della comunità monastica del Mahāvihāra di Anurādhapura, Sri Lanka, sia stato redatto per fornire alla comunità di questo monastero «una base istituzionalizzata per la crescita e lo sviluppo continuo della tradizione Theravāda.

Il Canone buddhista cinese rappresenta la versione del Tripitaka buddhista in cinese in tutte le sue recensioni storiche diffuse e accettate in Cina, Giappone, Corea e Vietnam in epoche diverse. Da questo Canone derivano anche i Canoni buddhisti manciù e tangut.

La versione più antica del Dàzàng Jīng (letteralmente: “Grande tesoro delle scritture”), di cui rimane solo il catalogo delle opere che conteneva, risale al 515 ed era riprodotta su rotoli di carta e di seta. La prima edizione a stampa risale invece al 972 (dinastia Song Settentrionali), quando l’imperatore Tàizǔ decise di avviare l’incisione dell’intero Canone. La prima incisione del Canone su blocchi di legno terminò nel 983, quando oltre 5 000 manoscritti che contenevano 1076 testi furono riprodotti su 130 000 blocchi, l’insieme dei quali costituisce la versione del Canone cinese denominata Kāibǎo.

Questa versione xilografica fu poi portata in Corea dove, nel 1030, fu completata l’opera di una edizione analoga sempre su blocchi di legno (Canone coreano), edizione andata poi perduta a causa delle invasioni dei Mongoli nel XIII secolo.   Dopo l’edizione Kāibǎo ne seguirono delle altre, sempre a blocchi, denominate in base al luogo di realizzazione, spesso dei monasteri.

Anche in Giappone si realizzarono diverse edizioni complete del Canone cinese, prima su blocchi lignei e poi a stampa tra il 1640-1680.  Poi il  Canone di Tokyo XIX sec. ; l’ultima edizione, in 85 volumi di stile occidentale è divenuta lo standard di riferimento nei paesi di antica influenza cinese.

Il Canone tibetano è l’opera che raccoglie i sutra, i tantra e in generale le scritture buddhiste ritenute importanti per la tradizione del Buddhismo Vajrayana in Tibet.  Il canone fu composto dal monaco Butön (Bu ston) (1290 – 1364) ed è diviso in due parti: Kangyur e Tengyur. Nella prima sono raccolte le opere espressione diretta degli insegnamenti dei Buddha o dei Bodhisattva, nella seconda i commenti e gli scritti delle varie scuole e lignaggi del Buddhismo tibetano.
Giacché Butön aveva escluso dal canone gli insegnamenti Nyingmapa questi furono raccolti da Ratna Lingpa (1403 – 1478) in un’opera intitolata Nyngma gyubdun.

Il Canone tibetano fu dato alle stampe in tibetano la prima volta a Pechino nel 1411 e solo nel 1742 in Tibet in 333 volumi.
Lo sforzo cui tendeva il canone fu quello di accettare nel Kangyur i testi di cui si possedesse l’originale sanscrito o pali, cassando i testi di cui esisteva oramai la sola traduzione tibetana o cinese. Così solo pochi sutra del Buddhismo dei Nikaya trovarono posto nel canone rispetto ai sutra del Mahayana. Il Vinaya stesso, il codice di regole monastiche, è quello sanscrito dei Mulasarvastivadin. Dato che ormai l’India era sotto il controllo islamico e tutte le università buddhiste e monasteri erano stati distrutti il canone tibetano rappresenta l’estremo tentativo di salvare la tradizione indiana del Buddhismo.


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