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mercoledì 13 marzo 2024

Ricerca sul Buddhismo in Italia

Promossa dall’Unione Buddhista Italiana e realizzata in collaborazione con un gruppo di ricercatori delle Università di Padova e Torino, la ricerca "Il buddhismo in Italia" offre una riflessione sui cambiamenti all’interno del campo delle religioni contemporanee. I risultati della ricerca sono stati presentati il 12 marzo 2024. https://unionebuddhistaitaliana.it/comunicati-stampa/buddhismo-in-italia-ricerca-ubi/    Rapporto completo: https://unionebuddhistaitaliana.it/wp-content/uploads/2024/03/RAPPORTO-FINALE-UBI-2023.pdf


Perché si diventa buddhisti in Italia? Qual è la percezione che i praticanti buddhisti in Italia hanno di sé e della propria tradizione in Italia? Chi sono i buddhisti oggi? Cosa conoscono gli italiani del Buddhismo e come vedono coloro che si definiscono buddhisti?

Le domande che hanno guidato le varie tappe dell’indagine hanno restituito un’immagine a tutto tondo non solo dell’identità, delle pratiche e delle credenze dei partecipanti dei 64 centri UBI, ma hanno approfondito anche le percezioni e le rappresentazioni che gli italiani che non si identificano con questa religione hanno dei praticanti buddhisti in Italia, assieme alle opinioni dei buddhisti italiani che non afferiscono ai centri UBI (Unione Buddhista Italiana).

Secondo l’ultimo rapporto realizzato da CESNUR (2022) i praticanti di tradizione buddhista in Italia sono 342mila, pari allo 0,6% della popolazione residente. L'indagine è riuscita a combinare metodi qualitativi e quantitativi coinvolgendo più di 300 persone con interviste in profondità e a raccogliere più di 500 questionari di persone frequentanti i centri dell’Unione Buddhista Italiana in un contesto italiano caratterizzato da una forte presenza del cattolicesimo. La raccolta dei dati tramite strumenti qualitativi ha previsto la predisposizione di tre tracce di intervista a seconda che gli intervistati fossero buddhisti partecipanti alle attività dei centri UBI (137 interviste raccolte), buddhisti non afferenti all’UBI (51 interviste) oppure non buddhisti (130 interviste, tra le quali 30 con testimoni privilegiati).

“Questa ricerca rappresenta un unicum a livello italiano ed Europeo per tracciare i molteplici volti del Buddhismo in Italia” – sottolinea Filippo Scianna, Presidente dell’Unione Buddhista Italiana. “Il Buddhismo si inserisce in una società che, nella sua maggioranza, buddhista non è. Diventa quindi molto interessante capire come viene percepito internamente, da chi frequenta i centri UBI e dai buddhisti o centri che non afferiscono all’UBI, ed esternamente, dai non buddhisti. Dalla ricerca emerge come il Buddhismo offra la possibilità di dare risposte molto flessibili alle sfide della contemporaneità oltre a una straordinaria capacità di interpretare le istanze più diverse del contesto socioculturale in cui viviamo”.

Dall’indagine emerge come ad essere preponderante sia la componente femminile (58%) dei praticanti, e una presenza abbastanza consistente di over 60 (33%) rispetto a quella degli under 35 (26%). Dal punto di vista sociodemografico è possibile delineare un identikit del buddhista medio: donna di mezza età, con un profilo socioeconomico e culturale mediamente alto. La ricerca ha cercato di comprendere a quali categorie viene principalmente associato il Buddhismo. Il 36,3% degli intervistati lo considera una filosofia di vita, il 18,7% una religione, il 13,5% lo associa all’amore universale e alla compassione, e il 13,1% ad una scienza della mente.
Per la maggior parte degli intervistati la conoscenza del Buddhismo è avvenuta in modo autonomo tramite le reti familiari (6,6%), il partner (4,3%) o gli amici (13,9%).

L’adesione al Buddhismo è dettata principalmente da necessità individuali, spirituali e personali. Tra i principali motivi che hanno determinato l’avvicinamento alla pratica buddhista vi sono i benefici spirituali che questa potrebbe portare, la visione del Buddhismo come una via di salvezza alla sofferenza, la ricerca di risposte alle proprie domande e la convinzione che la morale buddhista possa davvero aiutare l’umanità a progredire. È interessante notare come il Buddhismo sia capace di evidenziare alcuni dei nodi rilevanti del cambiamento sociale e culturale che caratterizza le società contemporanee in Occidente. L’attenzione all’ambiente, la difesa dei diritti umani e una particolare sensibilità per le questioni di genere e le disuguaglianze sono alcuni degli elementi che conferiscono al Buddhismo una connotazione attraente per i non praticanti. Il Buddhismo impegnato sembra essere uno degli asset più importanti del capitale simbolico del Buddhismo in Italia.

Considerando ad esempio il tema della parità di genere gli intervistati mostrano un elevato grado di accordo (6.83/7) rispetto alla leadership religiosa femminile. Nella realtà dei fatti all’interno dei centri aderenti all’UBI ci sono 17 responsabili su 57 di genere femminile (pari al 30% del totale). Questo risultato si discosta in positivo dai dati che riguardano la maggioranza di altre organizzazioni laiche o religiose. 

Perché si diventa buddhisti in Italia? Sicuramente la ricerca spirituale e le sofferenze esistenziali giocano un ruolo preponderante nel far avvicinare le persone al Buddhismo. Tra le interviste raccolte emerge da parte delle persone un’insoddisfazione nei confronti dei valori dominanti della società accanto a una domanda di senso che fatica a trovare risposta. Il Buddhismo viene quindi scelto perché al suo interno si respira una più grande libertà nel ricercare un senso per la propria esistenza, una libertà che non preclude la possibilità di riscoprire le proprie radici cristiane e cattoliche ma in una luce diversa e con una prospettiva più inclusiva. Per il 58% degli intervistati l’apertura al pluralismo e la diversità religiosa sono verità importanti da trovare in tutte le religioni. L’adesione al Buddhismo per 7 intervistati su 10 non va letta in termini di conversione. Per molti, essere buddhista, non significa tagliare di netto con il passato quanto più intraprendere un percorso capace di allargare le proprie prospettive. 

Il buddhismo, a detta di chi lo pratica, sembra avere una capacità maggiore, rispetto al cattolicesimo, di rispondere alle esigenze della modernità, soprattutto sul versante del dialogo con la scienza e della fiducia nelle possibilità della mente dell’uomo. Le pratiche della meditazione e dello yoga, in questa prospettiva, vengono inserite in una cornice di autonomia del soggetto alla ricerca del benessere personale e della propria autorealizzazione.

La ricerca ha sottolineato che il Buddhismo in Italia suscita una curiosità dettata dal fascino dell’esotico, spesso le conoscenze sono del tutto approssimative tanto da arrivare a confondere il Buddhismo con l’induismo. A costruire l’immaginario collettivo, oltre alle figure di leader religiosi come il Dalai Lama, sono anche i film, la letteratura e la musica. A tutti sarà capitato di leggere Siddharta o di vedere al cinema sette anni in Tibet. Si tratta di suggestioni che consentono ai non praticanti di farsi un’idea di massima su questa religione. Tra le persone il Buddhismo è percepito come pacifico, non autoritario e poco interessato a fare proselitismo ed è guardato in modo favorevole perché portatore di valori che non mettono al centro la frenesia dell’efficienza, ma al contrario rispettano i ritmi della natura e i bisogni profondi degli individui.

Sintetizzando quanto raccontato dagli intervistati, nell’immaginario degli italiani il buddhismo sembra configurarsi secondo quattro tipologie: un buddhismo di matrice religiosa praticato da pochi; un buddhismo di moda legato a pratiche molto diffuse come lo yoga o la mindfulness; un buddhismo privatizzato e spirituale che risponde alla ricerca di senso individuale, slegato dai dogmi delle tradizioni religiose; un buddhismo terapeutico, legato al benessere psicofisico personale.

L'indagine è stata allargata anche ai non praticanti buddhisti e grazie a questo ampio sguardo è possibile comprendere la straordinaria capacità del Buddhismo di interpretare le istanze più diverse della nostra società offrendo risposte flessibili o comunque non dogmatiche alle sfide della contemporaneità”.

Di centri, associazioni e gruppi che in maniera più o meno stringente si ricollegano al buddhismo, ne sono stati individuati 478. Le più rilevanti organizzazioni buddhiste mappate sono il Buddhismo della Via di Diamante, la Soka Gakkai, l’Ordine dell’Interessere e Essere Pace.

venerdì 8 marzo 2024

Gautama Buddha

Gautama Buddha visse nel VI secolo a.C., un'epoca di straordinario fermento intellettuale e spirituale in tutto il mondo antico. All'incirca negli stessi anni in Cina due giganti del pensiero e della coscienza, Lao-Tze e Confucio, danno forma a quelle che resteranno nel corso dei millenni le caratteristiche fondamentali della riflessione filosofica, della cultura, dell'arte e della religione cinese.  In Grecia i filosofi presocratici gettano le basi del pensiero filosofico e scientifico di tutto l'Occidente.  In India ferve una ricerca filosofica e spirituale intensa, con grandi centri di sapere, innumerevoli scuole e accesi dibattiti, e nascono più o meno contemporaneamente in questi anni il buddismo e il jainismo.   

A partire più o meno dal 1000 a.C., accanto alla tradizione vedica e braminica, si è andata sviluppando un'importante corrente spirituale, che trova espressione nei testi delle Upanishad.  Ed è a questo mondo culturale, in particolare al mondo dei 'saggi della foresta', che appartengono i concetti fondamentali di cui Buddha si serve nel suo insegnamento.  In questo senso si può dire che egli sia stato non tanto portatore di una nuova visione, quanto di un approccio esperienziale dotato di una nuova freschezza e universalità, un approccio rivolto a tutti coloro che erano disposti a metterlo in pratica anziché a una ristretta cerchia di asceti e di mistici.  

La vita del Buddha è ampiamente circondata di leggende.  Ma abbiamo ragione di ritenere che queste leggende contengano un nocciolo di verità e alludano a una personalità storica relativamente ben individuata. La figura storica è quella del principe Siddhartha Gautama, nato nel 563 a.C., figlio del sovrano del piccolo regno del clan Shakya, ai piedi dell'Himalaya, nella regione che è oggi al confine fra l'India e il Nepal.  Era a quei tempi una regione prospera, a cavallo delle vie commerciali di accesso alla valle del Gange, che doveva quindi conoscere un notevole sviluppo urbano.
Buddha perciò crebbe in un ambiente ricco e raffinato, a contatto con quanto di meglio la cultura dei suoi tempi poteva offrire. Da questo mondo si staccò per diventare un 'monaco mendicante' (bhikkhu) e trascorse la seconda parte della propria vita in estrema semplicità, viaggiando per l’India e insegnando il cammino dei risveglio (Buddha è un appellativo che significa appunto 'risvegliato') a tutti coloro che si raccoglievano intorno a lui.  Morì verso il 483 a.C.

Intorno a questi dati fioriscono suggestive leggende del suo insegnamento. Una di queste, è la storia secondo cui il giovane principe sarebbe stato tenuto accuratamente al riparo da ogni contatto con tutto ciò che nella vita umana costituisce debolezza, infermità, bruttezza, sofferenza.  Per anni fu tenuto lontano da ogni esperienza riguardante la malattia o la morte.  Ma un giorno egli convinse il suo auriga a portarlo a fare un giro fuori dalle mura del palazzo.  In questa gita si imbatté prima in un malato, poi in una vecchia, poi in un cadavere.  Questi incontri furono per lui una specie di rivelazione.  Questa era dunque la realtà sottostante alle dorate apparenze della sua vita di svaghi e di piaceri.  Il quarto incontro fu con un bhikkhu immerso in meditazione. L’immagine di quell'uomo restò impressa nella memoria del principe Siddhartha e fu come un presentimento del cammino che lui stesso avrebbe più tardi intrapreso.

Un'altra storia suggestiva riguarda l'illuminazione, il momento del risveglio.  Lasciata la casa paterna, Siddhartha visse per anni nelle foreste, praticando forme estreme di ascetismo.  Era questa una nobile e antica tradizione di ricerca spirituale: per ottenere la liberazione dalla ruota karmica, che ci tiene vincolati all'esistenza condizionata, e prigionieri della sofferenza, occorre andare al di là di ogni attaccamento, e questo era appunto il senso delle pratiche ascetiche degli eremiti della foresta.  Siddhartha, si dedicò dunque con estremo rigore a queste pratiche, digiunando, dormendo sulla nuda terra, meditando incessantemente, fino a ridursi allo stremo delle forze e a un soffio dalla morte.  Invano, malgrado tutti i suoi sforzi, la porta della liberazione restava ostinatamente chiusa.  Finché giunse a perdere ogni speranza.  Capace appena di trascinarsi, si sedette ai piedi di un albero.  Tutto era vano.  Cessato ogni sforzo, caduto anche il desiderio della liberazione, si abbandonò semplicemente al puro 'esserci'.  Senza più cercare nulla, senza più sperare nulla, senza più desiderare nulla, Siddhartha semplicemente restò seduto ai piedi dell'albero. Era la notte della prima luna piena di primavera.  Una giovane contadina, scambiando quella figura per un dio, gli portò delle offerte di cibo.  Poiché il suo digiuno non aveva più ragione di essere, Siddhartha mangiò e in quell'abbandono una pace sconosciuta lo avvolse.  La sua coscienza divenne un lago limpido e immobile, uno specchio vuoto.  E quando la stella del mattino sorse sopra l'orizzonte egli non c'era più.  La fiamma dell'esistenza separata si era spenta in lui.  Ciò che pulsava in lui era il cuore dell'esistenza stessa. 1 suoi occhi erano diventati finestre sull'infinito.  Non c'era più in lui alcuna resistenza all'infinita danza della vita/morte/vita.  Nulla che si ponesse come separato rispetto al tutto.  Non c'era più un io, ma solo una presenza, Buddha, 'il risvegliato'.

Secondo una leggenda sarebbe stato il dio creatore stesso, Brahma, a convincere Gautama Buddha a prendere la via dell'insegnamento, a cercare di indicare agli esseri umani il cammino della liberazione che egli aveva trovato.  Questo divino intervento allude a una certa paradossale situazione in cui Buddha, come i mistici di ogni luogo e di ogni tempo, venne a trovarsi.  All'esperienza sublime che trascende ogni esperienza, si accompagna la chiara realizzazione che questa perfetta beatitudine è la natura intrinseca di tutti gli esseri.  Ogni essere umano, ogni essere senziente, è potenzialmente un Buddha. É un Buddha addormentato, un Buddha in attesa di svegliarsi.  Il passo che conduce dalla sofferenza alla gioia è brevissimo, anzi, non è nemmeno un passo.  E la beatitudine del Buddha è tanto grande, che vuole essere condivisa, trabocca, si riversa naturalmente verso tutti gli esseri viventi.  Come non condividere con tutti questo destino sublime che appartiene loro di diritto?
Eppure, nello stesso tempo, e qui sta il paradosso, come condividerlo?  Come comunicare un'esperienza che sta del tutto al di fuori della mente, una realtà che può solo essere sperimentata in uno spazio di non-mente?  Con quali parole esprimere l'inesprimibile, quando la mente a cui il linguaggio appartiene è l'ostacolo stesso all'esperienza che si vuole comunicare?  Ogni illuminato, a quanto pare, si trova di fronte a questo dilemma.  Il grande mistico cinese Lao-Tze inizia il suo libro, il Tao Te Ching, dicendo: «Il Tao di cui si può parlare non è l'eterno Tao».
Bisogna perciò, secondo la leggenda, che sia un dio a spingere Buddha a tentare l'impossibile, a comunicare l'incomunicabile, a fare del suo stesso essere un invito, un dito che indica la luna.  Il dito non è la luna e molti si attaccheranno al dito senza vedere la luna.  Ma alcuni che hanno occhi per vedere, vedranno.  E se anche un solo essere dovesse accogliere l'invito al risveglio, questo basterebbe a giustificare tutta una vita spesa a 'far girare la ruota del dharma', a parlare della legge eterna, dell'eterno essere-così delle cose.

Dhammapada, Il libro più amato dal Canone Buddista

Il Dhammapada, il 'cammino dei dharma', è una traccia dell'insegnamento del Buddha.  Nell'intero vastissimo canone delle scritture buddiste, non abbiamo nulla che possiamo indicare con certezza come testuali parole del Buddha.  Ma non c'è dubbio che questi testi, consegnati alla scrittura parecchio tempo dopo la morte dei maestro, riflettono lo sforzo devoto dei discepoli diretti e di quelli delle generazioni successive, di tramandare il più fedelmente possibile le parole del Buddha.  Significativamente certi testi cominciano con le parole:    «Così ho udito ... » É una locuzione che esprime insieme lo sforzo di fedeltà e l'umiltà di chi riferisce.  Non 'così ha detto Buddha', ma 'così ho udito'.  Fra il messaggio che viene dalla dimensione al di là della mente e quello che la mente è in grado di ricevere e di capire c'è uno iato: «Così ho udito ... ».



Il Dhammapada è una raccolta, compilata parecchi anni dopo la morte di Buddha (probabilmente fra uno e quattro secoli), di aforismi tramandati e ricordati come parole del maestro.  Non contiene nulla delle elaborate discussioni e narrazioni che caratterizzano i testi più estesi, Qui troviamo solo lapidarie e spesso poetiche affermazioni ed esortazioni, raccolte per temi (la consapevolezza, la mente, la gioia, il piacere, l’ira, eccetera).  Questi 'temi' sono a volte solo metafore ricorrenti (i fiori, le migliaia, l'elefante); a volte è solo la presenza di una certa parola a giustificare la collocazione di un aforisma entro un certo tema.  Non si può dire dunque che si tratti di una raccolta veramente organica.  A volte, inoltre, è lecito supporre che strati di interpretazioni successive si siano sovrapposti a ciò che 'è stato detto'.
Ciononostante questa piccola raccolta contiene un tesoro inestimabile, ci comunica qualcosa del sapore dell'insegnamento di quest'uomo straordinario.  In essa forse più che in ogni altro testo abbiamo la sensazione che Buddha stia parlando a noi direttamente, per 'ammonirci, guidarci, distoglierci dall'errore'.  Ed è probabilmente questa qualità che ha fatto di questo libricino forse il più amato e il più letto dell'intero canone buddista.

Il primo e fondamentale dei concetti trattati è proprio quello di risveglio, bodhi, illuminazione o liberazione.  'Risveglio' presuppone un sonno: il sonno, di cui qui si tratta, non è altro che lo stato della nostra coscienza ordinaria.  La concezione sottostante, è che la nostra ordinaria percezione di noi stessi e del mondo sia fondamentalmente 'illusione'.  Viviamo in un mondo di miraggi e di fantasmi, agiamo tutto un nostro teatro interno di sogni e di proiezioni.
Al centro di questo mondo c'è un'illusione o errore fondamentale: l'illusione dell'esistenza di un 'sé', l'illusione che ci fa credere di esistere come qualcosa di individuato e separato dal tutto. É un po' come se un'onda credesse di esistere separatamente dal mare.  Le onde si raccolgono, si frangono, si rimescolano nel mare.  L’acqua stessa che le forma non è mai la stessa. L’onda è solo un disegno che emerge e si dissolve nel caleidoscopico movimento complessivo dell'acqua.  Ma, se l'onda si identifica con la propria esistenza separata, essa viene a trovarsi inevitabilmente in una lotta disperata con la realtà della propria impermanenza.  Il sé, che si illude di esistere non può che attaccarsi a tutto ciò che nutre la sua esistenza separata e cercare di respingere tutto ciò che avvicina la sua dissoluzione nel tutto. L’illusione primaria dell'esistenza di un sé, è perciò immediatamente seguita da due movimenti della coscienza: attrazione e repulsione, desiderio e avversione, odio, paura.  L’illusione primaria è il nocciolo di quella che i buddisti caratterizzano come 'ignoranza': uno stato di offuscamento in cui non siamo in grado di percepire la realtà delle cose.  E questa terna, ignoranza, desiderio, avversione, si trova al centro della ruota della vita e della morte, un curioso mandala circolare che descrive simbolicamente il fatale avvicendarsi di nascita, crescita, invecchiamento, morte e rinascita.  Perduti in questo ciclo del samsara, dell'esistenza illusoria, gli esseri si trascinano di vita in vita, inseguendo un sogno impossibile, eternamente prigionieri della disillusione, della sofferenza e della morte.
La più lapidaria enunciazione di questo stato di cose è costituita dalle cosiddette 'quattro nobili verità, di Buddha.  Esse sono: l'esistenza è sofferenza; questa sofferenza ha un'origine; essa ha anche una fine; il cammino che conduce al risveglio porta alla fine della sofferenza.  Cioè: l'illusione di esistere separatamente, ci pone in conflitto con l'effettivo essere-così delle cose e ci pone perciò in una situazione cronica di sofferenza.  Questa sofferenza ha la sua origine nell'ignoranza, nel desiderio e nell'avversione.  Perciò chi va al di là di ogni desiderio e di ogni avversione, chi si risveglia dal sonno dell'ignoranza, trascende ogni sofferenza.  Non è più identificato con il proprio corpo e, anche se il corpo muore, la sua coscienza vive in tutto l'universo.  Ma, la sua coscienza, non è più questo frammento che si è illuso di esistere separatamente e che ha viaggiato di corpo in corpo: essa è semplicemente 'la' coscienza, la coscienza dell'universo, la coscienza del tutto.

L’idea sottostante almconcetto di reincarnazione è quella di karma, secondo cui ogni azione lascia delle tracce sottili nella coscienza di chi la compie, tracce, che a loro volta facilitano il prodursi di certe azioni e di certe circostanze nella vita della persona. Il pensiero orientale assume che questo rapporto di consequenzialità non si limiti all'ambito di una sola vita, ma si estenda anche al di là della morte, in un ciclo di trasmigrazioni che il sé illusorio percorre, sospinto dalla molla del desiderio e dell'avversione e condizionato dalle tracce delle proprie passate azioni ed esperienze.
Non è necessario condividere questo presupposto per cogliere l'essenza del discorso di Buddha.  Dal punto di vista di Buddha, il ciclo delle reincarnazioni, è solo la metafora con cui la mente orientale si rappresenta l'esistenza di un sé separato, mentre il pensiero occidentale, se la rappresenta con la metafora di un'unica vita seguita da un aldilà o dal nulla eterno, secondo le credenze.  Né l'una né l'altra vanno prese sul serio: entrambe descrivono qualcosa che ha comunque un'esistenza soltanto illusoria.  E interessante notare che questo non è soltanto il punto di vista di Buddha, ma anche quello delle più raffinate conoscenze sulla materia di cui disponiamo oggi.  Dal punto di vista della fisica per esempio, l'idea dell'esistenza autonoma di un corpo è del tutto astratta e formale, nel contesto di quel viluppo indivisibile di campi interagenti che è l'immagine della realtà fornita dalle teorie più recenti.
Più vicina alla nostra esperienza diretta, è forse una semplice interpretazione psicologica dell'idea di reincarnazione.  La vita del nostro corpo e della nostra coscienza è un flusso costante: in un certo senso moriamo e rinasciamo ogni momento.  E ogni momento rinasciamo portando con noi le tracce del nostro passato, il nostro karma istante per istante.  In questo senso il Dhammapada è un invito a concentrare tutta la nostra attenzione, tutta la nostra energia, tutta la nostra consapevolezza, tutta la nostra capacità di risveglio in ogni attimo di vita.  Ogni attimo di luce si lascia dietro una scia di luce.  Se in questo istante sei sveglio, attento, cosciente, è più facile che tu sia sveglio, attento cosciente nel prossimo istante.  

A volte può sembrare che il Dhammapada abbia toni di negazione della vita nei suoi aspetti concretamente sensibili.  Un enunciato come 'l'esistenza è sofferenza' o l'invito a trascendere ogni desiderio, possono essere letti come negazione della gioia e della bellezza, di questo miracoloso divino caleidoscopio di illusioni in cui viviamo.  E non c'è dubbio che in una parte notevole dell'ortodossia buddista, come del resto di quella cristiana, tutta una dottrina e una pratica sono condizionate da questo approccio anti-vitale.  Ma, fortunatamente, nel buddismo sopravvivono anche tradizioni che leggono il messaggio di Buddha in maniera diversa.  Secondo queste letture l'invito non è a 'rinunciare al mondo', a minimizzare il godimento del corpo e l'esperienza sensibile, a rifugiarsi nell'ascesi, anche se questo può essere un passo utile in una certa fase del cammino.  Non dimentichiamo che Buddha raggiunse la liberazione quando si spinse al di là anche delle sue pratiche ascetiche.

Nel buddismo Zen c'è una curiosa serie di dieci immagini, detta 'i dieci tori Zen', che descrive il cammino verso l'illuminazione. Nell'ultima di queste immagini il protagonista, raggiunta l'illuminazione, ritorna verso la piazza del mercato con un recipiente di vino in mano.  Se c'è una rinuncia cruciale nel cammino verso la liberazione, essa non è la rinuncia al mondo, ma la rinuncia al punto di vista dell'io separato, al sofferente egoismo con cui cerchiamo di realizzare i 'nostri' fini.  Ogni altra rinuncia, ogni altra pratica ascetica, come vari aforismi del Dhammapada suggeriscono, è un'arma a doppio taglio: nel sonno dell'io essa può trasformarsi in un nuovo attaccamento, in ambizione spirituale, in un modo per sotterrare conflitti e dubbi.  Il più sottile attaccamento, l'ultimo ostacolo, sembra essere proprio il desiderio dell'illuminazione.  Perciò, dice l'ultimo capitolo del Dhammapada, il bramino 'non desidera nulla, né in questo né nell'altro mondo'.    

giovedì 7 marzo 2024

Il buddhismo Giapponese

Il buddhismo ha svolto un ruolo fondamentale nella storia giapponese. Oltre a essere una delle
due principali religioni del Paese (l’altra è lo shintoismo), è stato anche il mezzo con cui sono
arrivati in Giappone tantissimi elementi culturali dal continente.


Lo scopo del buddhismo è superare la sofferenza che deriva dall’attaccamento e dal desiderio, liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni e raggiungere la condizione di nirvana. Non è importante definire una divinità da adorare o dei dogmi: ciò che conta è aiutare gli individui a liberarsi. In questa prospettiva, il buddhismo non è un fine. È un “veicolo” che traghetta i fedeli dalla sofferenza alla saggezza. In generale, possiamo dividerlo in tre correnti:

  • Theravāda: i suoi praticanti dichiarano di aderire più strettamente alle dottrine originali del Buddha storico. Per loro, l’illuminazione può essere raggiunta solo da chi abbandona la vita secolare per dedicarsi alla disciplina buddhista. È la corrente dominante nel sud-est asiatico.
  • Mahāyāna (o “del grande veicolo”): secondo questa corrente, chiunque può raggiungere la salvezza. Sono importanti le figure dei bodhisattva, cioè i praticanti che hanno già raggiunto l’illuminazione, ma scelgono di continuare a reincarnarsi per aiutare le persone a raggiungere il nirvana. La corrente Mahāyāna è la più seguita in Cina e in Giappone. Jizo in Giappone è uno dei bodhisattva più venerati, protettore di bambini e viaggiatori
  • Vajrayāna: buddhismo tantrico o esoterico, sviluppatosi a partire dal Mahayana. È seguito soprattutto in Tibet. Il termine “tantrico” si riferisce all’importanza data alla ripetizione di formule sacre (mantra), alla meditazione con l’uso dei mandala, alle visualizzazioni e ai gesti rituali per comunicare lo stato di buddha e raggiungerlo. Tutto questo può solo essere appreso con un maestro, rendendo queste dottrine “esoteriche”, cioè per iniziati. La figura centrale di questo tipo di buddhismo in Giappone è Dainichi Nyorai, il primo buddha ad averlo predicato.

Il buddhismo, nato in India intorno al V secolo a.C., giunse in Giappone solo nel VI secolo d.C., dopo un viaggio di oltre 1.000 anni e 5.000 chilometri. Attraversando secoli e civiltà, assorbì elementi delle culture con cui entrò in contatto e venne interpretato in modi diversi, portando alla formazione di più “scuole”. Quando sbarcò in Giappone, l’aristocrazia lo vide soprattutto come uno strumento per governare il paese, per compiere riti protettivi e per partecipare alla più ampia e sofisticata scena culturale del continente.

Fin dagli inizi il buddhismo, che arrivava già permeato da secoli di convivenza con confucianesimo e taoismo, si mescolò anche con lo shintoismo. Le due religioni, non essendo “esclusiviste” come i grandi monoteismi mediorientali, vissero in simbiosi fino a fine Ottocento. In particolare, come aveva già fatto con le divinità induiste (Un Nio, guardiano dei templi è un esempio di divinità induista incorporata nel buddhismo), il buddhismo integrò i kami shintoisti nella propria sfera. Inizialmente questi erano visti come creature soggette alla reincarnazione, e che quindi andavano liberate. In seguito vennero considerati manifestazioni di buddha o bodhisattva.

Già il principe Shōtoku, nel VII secolo, aveva cercato di amalgamare shintoismo, confucianesimo e buddhismo definendoli rispettivamente le radici, il tronco e i fiori del sistema religioso giapponese.
La fusione tra buddhismo e shintoismo venne messa in crisi a fine Ottocento, quando il governo ordinò la separazione dei due culti. Ne seguì un movimento a volte anche violento di discriminazione, espropriazione e chiusura dei templi. Questa politica, però, fu perseguita solo parzialmente.

Ai giorni nostri, anche se templi buddhisti e santuari shintoisti sono distinti, le pratiche religiose dei giapponesi mescolano varie tradizioni. Molti si definiscono “atei” proprio perché l’idea di “religione” è occidentale. Evoca riti strutturati e coerenti, mentre per un giapponese è normalissimo andare a un tempio shintoista a Capodanno o prima di un esame e visitare le tombe dei propri cari in un cimitero buddhista. Le usanze e credenze quotidiane hanno attinto da tutte le religioni disponibili (buddhismo, shintoismo, confucianesimo, taoismo) e non sono più identificate in nessuna di queste singolarmente.  

C'è il Buddhismo basato sul jiriki. Per le scuole di questo gruppo, la salvezza si può raggiungere con le proprie forze, grazie ad autodisciplina e meditazione.
Poi ci sono le scuole esoteriche/tantriche. Infatti in un primo periodo il buddhismo si legò principalmente alla corte, dove si diede maggiore enfasi ai riti e alle formule magiche.

Nel periodo Heian (794-1185) nacquero due scuole importanti, che ebbero un ruolo fondamentale nell’armonizzare shintoismo e buddhismo:

  • La scuola Tendai: si basa sul Sutra del Loto e sull’idea che tutto e tutti siano illuminati in potenza, perché ogni cosa ha una natura di Buddha. In questo senso è il connubio perfetto per l’animismo dello shintoismo. La scuola Tendai cerca di arrivare a una sintesi delle correnti buddhiste capendo l’unità che le accomuna. Nell’Enryaku-ji, il monastero sede del movimento, si insegnavano elementi di venerazione di Amida (tipici della scuola Jōdō), meditazione, pratiche esoteriche e precetti dei bodhisattva. Il tempio, situato sul monte Heian, vicino a Kyoto, divenne uno dei centri di formazione buddhista più importanti dell’epoca: lì studiarono i fondatori di molte delle principali correnti buddhiste successive.
  • La scuola Shingon (“Vera Parola”): venne introdotto da Kūkai, anche noto come Kōbō Daishi. È una scuola più prettamente esoterica che mescola a componenti native elementi magici indiani e dell’Asia Centrale. Uno di questi è il rituale del goma, un fuoco sacro in cui vengono bruciate le offerte e che ha radici negli antichi riti vedici indiani. Il tempio Kongobuji è il tempio principale della corrente Shingon.

Lo zen. Zen è la traslitterazione abbreviata del sanscrito dhyāna, che significa “meditazione”. Anche il buddhismo zen è arrivato in Giappone dalla Cina, dove era noto come Chán ed era stato introdotto nel VI secolo d.C. dal leggendario monaco Bodhidharma. In Cina questa dottrina si stabilizzò e, come sempre succede, assimilò alcuni elementi locali, in particolare taoisti.
Questa scuola arrivò in Giappone solo nel XII secolo, e i suoi rami principali (Rinzai e Sōtō) sono stati fondati da ex monaci Tendai.
Secondo il buddhismo zen, siamo tutti buddha in potenza, dobbiamo “solo” accorgercene risvegliandoci.
La verità, però, non si può insegnare o comunicare a parole: va vissuta personalmente e direttamente. Il risveglio (satori) non è una questione di studio o di ragionamento, ma un’intuizione. Lo strumento principale di cui ci si serve è lo zazen (meditazione da seduti). Nella scuola Rinzai, a questo si affiancano anche i kōan, delle specie di indovinelli che non possono essere risolti con la logica (“Che rumore fa una mano che applaude da sola?”).

Come abbiamo visto, lo zen, come tutto il buddhismo in Giappone, è stato un vascello che ha fatto arrivare nel Paese molti elementi estetici e artistici dalla Cina. Anche se la religione ha avuto un ruolo determinante nella loro introduzione e diffusione, è molto riduttivo ritenerli una sua emanazione o un suo prodotto.  Il ruolo centrale dello zen nell’arte (comprese le arti marziali), nelle discipline e nelle anime dei giapponesi è in buona parte un’interpretazione nata all’inizio del Novecento. In Occidente Suzuki Daisetsu è stato il più famoso promotore di queste idee.

Buddhismo basato sul tariki.
È il gruppo di cui fanno parte le scuole più seguite in Giappone. Per le dottrine di questo gruppo, la salvezza si raggiunge solo con la fede, affidandosi alla benevolenza e al potere di un Buddha (solitamente Amida).
Per capire le motivazioni di questa scuola bisogna guardare il periodo storico: dopo anni in cui i monaci buddhisti erano coinvolti in episodi di corruzione e complotti politici, nel XII secolo si era aperta un’epoca di guerre, calamità e carestie. Sembrava, insomma, che fosse giunta l’era del Mappō, o della degenerazione della legge del Buddha, in cui il mondo diventa così corrotto che la gente non può più mettere in pratica gli insegnamenti buddhisti e non può salvarsi con le proprie forze. In tempi così infausti, l’unica speranza era affidarsi ad Amida.

Questo fu anche il periodo in cui il buddhismo si diffuse alla popolazione: erano quindi necessari approcci più semplici, invece di riti e dottrine complicate. Come abbiamo visto, una delle soluzioni che si svilupparono fu lo zen, basato sul jiriki.

Tra le principali scuole basate sul tariki, invece, troviamo:

  • - Jōdō-shū (Scuola della Terra Pura): fondata in India intorno al I-II secolo d.C., in Giappone faceva originariamente parte della scuola Tendai, da cui si separò nel periodo Kamakura (XII secolo). Il nome si riferisce al “Paradiso Occidentale” in cui i credenti rinascono dopo la morte. Lì, ad aspettarli, ci sarà il Buddha Amida (l’ex monaco indiano Dharmakara) che li aiuterà a raggiungere il nirvana. L’obiettivo, quindi, attraverso la fede e le buone azioni, non è raggiungere direttamente il nirvana, ma rinascere in questo paradiso. Non è importante studiare i sutra o meditare, quanto piuttosto dimostrare la propria devozione con il nembutsu, cioè evocando il nome del Buddha Amida.
  • - Jōdō Shinshū (Vera Scuola della Terra Pura): è una versione più “radicale” della precedente. Rifiuta tutti i sutra a parte quello della Terra Pura e toglie ogni valore ai “meriti” individuali per rinascere nel paradiso. Le pratiche e le azioni sono inutili perché denotano una mancanza di totale affidamento e non sono accessibili a tutti. L’unico modo per salvarsi è la fede assoluta, l’abbandono ad Amida.  Il Grande Buddha di Kamakura (una città giapponese sul mare a sud di Tokyo) rappresenta Amida, la figura principale del buddhismo della Terra Pura.  Il Buddhismo della Terra Pura, la cui corrente principale, maggioritaria e diffusa è nota anche come amidismo, è un ramo del buddhismo Mahāyāna, che enfatizza i rituali e le pratiche devozionali, ed è attualmente una delle scuole di buddhismo dominanti nell'Asia orientale, dove divide la scena con lo zen.

Poi c'è la scuola di Nichiren: questa scuola prende il nome dal suo fondatore, anche lui formatosi nella scuola Tendai. Rappresenta una via di mezzo tra l’approccio jiriki e quello tariki. Secondo Nichiren, che si considerava un bodhisattva, il Sutra del Loto era l’insegnamento supremo e l’unica via per la salvezza. In questo era intransigente, e denunciò le altre correnti buddhiste per avere travisato la verità.  Le due pratiche religiose principali sono la contemplazione di una specie di mandala da lui concepito (honzon) e la ripetizione, sia vocale che nei gesti, della lode al Sutra del Loto (Namu Myōhō renge kyō). Da questa scuola hanno avuto origine molte “nuove religioni” giapponesi, tra cui la controversa Soka Gakkai, un movimento nato nel 1930 che dichiara di avere 12 milioni di fedeli nel mondo. È centrata anch’essa sul Sutra del Loto, e fino al 1991 era il braccio laico della scuola Nichiren Shōshū. Nel 1964 alcuni suoi membri hanno fondato un partito politico, il Kōmeitō, che è il terzo partito del Giappone.

Dal sito:  https://volcanohub.com/ 

lunedì 4 marzo 2024

La meditazione per Matthieu Ricard

" La nostra mente può essere "la nostra migliore amica o il nostro peggior nemico", 

E' la nostra mente che fa l'esperienza del mondo e la traduce in sofferenza o benessere”. Se noi trasformiamo il modo di percepire le cose, noi trasformiamo la qualità della nostra vita, e questo cambiamento è il risultato dell’allenamento della mente che si chiama meditazione”.  

Nel libro L’arte della meditazione, successivamente trasformato in video, Matthieu Ricard ci conduce attraverso un'esplorazione di cosa sia la meditazione e come praticarla.
Cominciamo con la domanda: "Perché meditare?"  La meditazione è il mezzo per migliorare noi stessi e, di conseguenza, trasformare il mondo. Trasformando la nostra percezione del mondo, trasformiamo la qualità della nostra vita. La meditazione è una pratica per sviluppare le qualità umane fondamentali, coltivare una visione corretta del mondo e ridurre il malessere diffuso.
Quando troviamo il nostro equilibrio interiore e il benessere, la nostra visione si allarga e includiamo gli altri. L'egocentrismo è la fonte del nostro malessere; all'opposto l'amore per gli altri e la benevolenza sono i pilastri del nostro benessere autentico.                                                  
La meditazione ha benefici sulla salute, riduce lo stress, la collera e le malattie cardiache, rafforza il sistema immunitario, la vigilanza e la concentrazione.
Una vita appagante non è fatta di una sequenza di sensazioni piacevoli, ma della nostra comprensione e gestione delle varie fasi dell'esistenza. “Dobbiamo acquisire una percezione più vera della vita che ci permetta di affrontare gli alti e i bassi dell’esistenza”.
Su cosa meditare? L'oggetto della meditazione è la mente, condizionata da automatismi. L'obiettivo è “renderla chiara, libera e equilibrata”. La mente non è un'entità, ma un flusso di esperienze. "Possiamo considerarla come il nostro miglior alleato o il nostro peggior nemico; il nostro compito è liberarla da confusione, egocentrismo e turbamenti".
Spesso cerchiamo il benessere dove non esiste. Il buddhismo ci invita ad abbandonare le cause della sofferenza: ignoranza, avidità, malevolenza, arroganza, ira, gelosia e attaccamento. Dobbiamo riflettere sul nostro comportamento, sulle nostre reazioni e guardare nel profondo di noi stessi. Siamo esseri interdipendenti, legati agli altri, e dobbiamo lavorare per alleviare la sofferenza altrui e aiutarli a trovare il benessere.
Dove e come meditare? Se non abbiamo la fortuna di trovare un maestro spirituale autentico, è importante trovare almeno un istruttore qualificato che segua una tradizione affidabile. È essenziale trovare un luogo e un momento propizio per la meditazione, così come stabilire condizioni favorevoli, specialmente se siamo principianti.
 Matthieu afferma: “Non si apprende la meditazione in piena tempesta. La mente è come una lampada ad olio esposta al vento, solo se la proteggiamo dal vento, la fiamma potrà diventare stabile”.  Durante la pratica, è importante mantenere una postura fisica adeguata, la respirazione e l'attenzione sul momento presente.
Ci vuole continuità e perseveranza  per riuscire a calmare la mente che va di pensiero in pensiero ed è paragonata ad una scimmia che salta di ramo in ramo.  Per aumentare la concentrazione, possiamo utilizzare tecniche come il conteggio dei cicli respiratori, la piena coscienza del respiro, la ripetizione di mantra o la concentrazione su un oggetto ordinario.
La meditazione non è un'attività egoistica o una fuga dalla realtà; al contrario, ci avvicina alla realtà e ci aiuta a coltivare qualità umane fondamentali per servire la società. Durante la meditazione si deve cercare di pensare  a soggetti di riflessione come  il valore della vita umana, la sua fragilità e la sua natura transitoria. Gestire le emozioni e mantenere la concentrazione sono parte integrante della pratica meditativa. 

Gli ostacoli alla meditazione sono: pigrizia, torpore, agitazione, noia, distrazione, sforzi eccessivi, mancanza di motivazione. Dobbiamo stabilire una gerarchia delle nostre priorità, rendere la mente flessibile e maneggevole, applicare la vigilanza, e riportare la meditazione sul suo oggetto, più prendiamo coscienza delle nostre distrazioni più facciamo progressi nella meditazione
Nel buddhismo ci sono due principali tecniche meditative: Śamatha che è la coltivazione della calma e della tranquillità per mezzo della concentrazione mentale e l'obiettivo è arrivare ad avere una mente limpida, poi, attraverso Vipasyana, si cerca di avere una visione profonda e penetrante dei fenomeni. In  questo modo si possono smascherare le emozioni. 

Per arrivare a calmare la mente  e  meditare in piena coscienza, occorre restare pienamente attenti  e vigili al nostro respiro che va e viene, portare l'attenzione sul momento in cui il respiro è sospeso tra l'inspirazione e l'espirazione e viceversa, sul momento in cui il respiro si ferma. Respirazione dopo respirazione, la coscienza del respiro diventa limpida e serena.
Si possono verificare veramente i risultati della meditazione solo di fronte alle avversità.
 Matthieu dice: “E' facile essere un buon meditante seduto al sole e la pancia piena, ma solo quando ci si trova ad affrontare delle condizioni avverse, si può valutare il proprio grado di realizzazione. Si valuta la diminuzione del nostro egoismo e delle nostre emozioni perturbatrici nello stesso tempo dello sviluppo della nostra serenità, della nostra libertà interiore, della nostra resilienza di fronte ai rischi e alle perturbazioni dell'esistenza”.
Infine, è importante ricordare che la meditazione richiede costanza e impegno; non si tratta di ottenere risultati immediati, ma di perseverare nella pratica per raggiungere una mente stabile e lucida. Pretendere un risultato immediato è un capriccio. Il Dalai Lama dice che “in Occidente le persone sono troppo frettolose, vorrebbero avere l'illuminazione facilmente e rapidamente e se possibile a poco prezzo”. La costanza è indispensabile alla pratica della meditazione, mentre la mancanza di perseveranza diminuisce gli effetti della meditazione. Per praticare o fare qualcosa bisogna vederne i vantaggi, se si riesce a gustare qualche vantaggio nella meditazione, questo nutrirà la nostra perseveranza. Per ottenere qualche risultato, occorre mantenere la continuità della meditazione per almeno 20 minuti al giorno e per una ventina di giorni.  La meditazione è come una pianta che va annaffiata tutti i giorni, e porta, passo dopo passo, all'appagamento interiore.  Solo dopo diverso tempo che si pratica, si può vedere se siamo cambiati in modo durabile e profondo.

Per meditare occorre: 

 - Un luogo propizio alla meditazione,
- Una postura fisica appropriata ed equilibrata. Se la colonna è dritta, la vostra mente è chiara ed equilibrata. Assumere la posizione del loto se possibile, in cui c'è un equilibrio tra destra e sinistra, oppure sedersi su una sedia,
- Le mani posate sulle ginocchia, in grembo, mano sinistra sotto, i pollici si toccano, equilibrio tra destra e sinistra, tra caldo e freddo,
- La colonna vertebrale ben dritta,
- Il mento leggermente all'indietro,
- Le spalle equilibrate, né avanti, né indietro,
- La lingua deve toccare il palato,
- Gli occhi chiusi portano al torpore, quindi occorre cercare di tenere gli occhi aperti o semi-aperti, guardare nella prolungazione del naso. I tibetani meditano con gli occhi aperti.
Se si tende al torpore, occorre raddrizzare la postura, se si è agitati, occorre rilasciare un po' la posizione e tendere a guardare in basso. 

 La postura più utilizzata nella meditazione è la postura adamantina o postura del loto: appoggiare il piede destro sulla coscia sinistra, poi il piede sinistro sulla coscia destra,  oppure la posizione sukasana, la gamba destra sotto la gamba sinistra e la gamba sinistra sotto la coscia destra, la mano destra sulla mano sinistra, i pollici si toccano, oppure le mani sulle ginocchia, palmi verso il basso, assumendo il gesto dell'equanimità (mano destra sopra la mano sinistra). Se sentiamo dolore durante la meditazione cerchiamo di accogliere questa sensazione e tenerla nella piena coscienza del momento presente. Sono preferibili corte meditazioni tutti i giorni piuttosto che lunghe meditazioni sporadiche. 

Si può alternare la meditazione seduta alla marcia contemplativa. Ci sono varie tecniche come la meditazione sul suono e la marcia consapevole. Nel primo caso ci limitiamo a portare l'attenzione sull'esperienza di ascoltare un suono, poniamo semplicemente l'attenzione sul processo di ascoltare, e tutto il resto va lasciato andare. Nel secondo caso, iniziamo una marcia attenta, ad ogni passo portiamo la coscienza sull'equilibrio, come poggiamo un piede, come l'altro si alza dal suolo; cerchiamo inoltre di combinare la marcia attenta con la piena coscienza di quello che vediamo. Dobbiamo convincerci a marciare per il solo piacere di camminare. Mentre marciamo consapevolmente guardiamo intorno a noi e vediamo gli alberi, gli uccelli, le nubi bianche nel cielo blu e come la vita sia  bella in tutte queste manifestazioni.
 Per migliorare e riuscire ad attivare la nostra concentrazione Matthieu Ricard propone le seguenti tecniche: 

  • - Contare i cicli di respirazione completa (inspiro e espiro); 
  • - Contare da 1 a 10 durante linspirazione  e fare lo stesso durante l'espirazione;
  • - Ripetere il mantra so ham durante i cicli, contare fino a 10 e ricominciare; 
  • - Concentrarsi sul va e vieni dei polmoni,  e del torace; 
  • -Inspirando e pensando “possano tutti gli esseri essere felici”, espirando “che tutte le loro sofferenze spariscano”; 
  • -Inspirando pronunciare Om, espirando Mani Padme, nella pausa pronunciare Hum. Oṃ Maṇi Padme Hūṃ è uno tra i più noti mantra facenti parte del patrimonio religioso del buddhismo Mahāyāna, in particolar modo del buddhismo tibetano. Il suo significato letterale è "O Gioiello del Loto!" riferendosi al Boddhisatva della compassione, Avalokiteśvara.
  • - concentrarsi su un oggetto o su un'immagine ( ad esempio del Buddha Sakyamuni), e poi cercare di visualizzarla in tutti i dettagli il più netto possibile (per arrivare a concludere che tutti i fenomeni sono sprovvisti di esistenza intrinseca,  visone profonda vipashyana.

Poi, dà dei suggerimenti per la meditazione:

  • - Riflettere sulla nostra situazione attuale, Quali comportamenti e reazioni abituali meriterebbero di essere migliorati? Cerchiamo di guardare in profondità dentro di noi per trovare un potenziale di cambiamento e sviluppare le nostre qualità latenti. Cerchiamo di cambiare, non solo per noi ma anche per essere capaci di dissipare la sofferenza degli altri.
  • - Cercare di rendersi conto del valore della vita umana, utilizziamo l'intelligenza umana per eliminare la sofferenza e scoprire la felicità autentica. Ogni istante che passa vale la pena di essere vissuto e occorre arrivare senza rimpianti alla morte. 
  • - Pensiamo ai cambiamenti a cui gli esseri umani sono soggetti, consideriamo nel profondo di me stesso quello che conta veramente nell'esistenza, e che utilizzo il tempo che mi resta da vivere nel modo più fruttuoso possibile, per il mio bene e quello degli altri.
  • - Cerchiamo di osservare quello che si presenta alla nostra coscienza: un fiore, i suoni, gli odori, ecc.  Cerchiamo di essere pienamente presenti a quello che facciamo, sia se camminiamo, sia se siamo seduti, sia se prendiamo un thé, ecc.  La piena coscienza non dipende da ciò che si fa, ma dal modo in cui lo si fa, siamo semplicemente attenti, lucidi, coscienti di ogni percezione o sensazione e sentiamo la freschezza del momento presente.  

I testi di meditazione insegnano nove metodi per coltivare l'attenzione, stabilizzare la mente nell'equanimità e renderla più stabile.

  • concentrare la mente su un oggetto,
  • porre la mente continuatamente su questo oggetto
  • porre la mente in modo ripetuto, verificando a intervalli se dimora sull'oggetto e riportarcela in caso di idstrazione,
  • porre  la mente con cura,
  • controllare la mente quando la concentrazione arriva a stabilizzarsi,
  • pacificare la mente e renderla chiara e limpida,
  • pacificare completamente la mente abbandonando ogni attaccamento alle esperienze meditative,
  • conservare l'attenzione concentrata su un punto per tutta la seduta di meditazione, dopo aver eliminato il torpore e l'agitazione mentale, 
  • riposare in uno stato di perfetto equilibrio, dopo che la mente ha familiarizzato con la concentrazione in un solo punto, riposa in un o stato di equanimità che diventa spontanea e si perpetua senza sforzo.

Meditazione sull'amore altruista. Cominciamo a manifestare un potente amore altruista nei confronti di una persona che ha manifestato una grande benevolenza nei nostri confronti, poi lo estendiamo a persona malate, poveri, ecc che soffrono. Poi includiamo anche persone antipatiche. Espirando inviamo a loro tutto il nostro benessere, la nostra vitalità, sotto la forma di un nettare bianco ( o immaginiamo di essere una sfera luminosa che invia raggi di luce bianca), inspirando prendiamo su di noi sotto forma nerastra tutte le loro malattie e sofferenze. Possiamo applicare questa tecnica anche a noi stessi quando soffriamo. Un dolore può essere intenso senza pertanto distruggere la nostra visione positiva della vita. Se prendiamo il dolore come oggetto di meditazione, diventa un mezzo per accrescere la chiarezza della nostra mente, domandandoci quale è la sua forma, il suo colore o altre caratteristiche (nel libro viene riportato l'esempio di Francisco Varela che malato terminale di tumore, riusciva nelle ultime settimane di vita a restare per molto tempo in piena coscienza senza assumere analgesici).

Meditazione sull'impermanenza. Immaginiamo una rosa, noi siamo un insetto che si posa sopra, immaginiamo di esser eun atomo, oi un caledoiscopio di particelle, sono oggetti solidi? sono degli eventi, probabilità, energia,; l'energia è un'entità? O un potenziale di manifestazione che non è né veramente esistente, né non esistente. Cosa resta della rosa? La vacuità che è la sua vera natura. sprovvista di esistenza propria, autonoma e permanente.  Soffermiamoci su questa unione indissolubile delle apparenze e della vacuità, della forma e del vuoto.

La meditazione è un processo di formazione e di trasformazione. Per avere un senso, deve riflettersi su ogni aspetto della nostra maniera di essere, in ciascuna delle nostre azioni e attitudini. Altrimenti è una perdita di tempo. Grazie alla meditazione potremo arrivare ad una trasformazione personale autentica che ci permetterà di agire meglio nel mondo nel quale viviamo e di contribuire alla costruzione di una società più saggia e altruista.

 

Teosofia e buddhismo. - H. P. Blavatsky

In questo articolo (Les Cahiers Theosophiques N. 111 ) H. P. Blavatsky asserisce che il Buddhismo e la Società Teosofica hanno delle dottrine identiche, uno stesso scopo, e si rifanno a una sorgente comune. Questa sorgente che è orientale, è pienamente messa in luce dalle ricerche dei sapienti e dalla pubblicazione di testi originali. https://www.theosophie.fr/cahiers-theosophiques/                              https://www.theosophie.fr/cahiers-theosophiques-66-a-125/

La prima parte dell’articolo è consacrata alla biografia del principe Sakyamuni, a una corta esposizione e a un riassunto storico del buddhismo fino all’era cristiana. Parla del Nirvana asserendo che non vuole dire annichilazione e che l’idea del nulla è assolutamente estranea all’India, che l’obiettivo del Buddha fu di sottrarre l’umanità alle miserie della vita terrestre e ai suoi ritorni alterni. La parola Nirvana vuole dire estinzione, per esempio di una lampada sulla quale si soffia, ma vuole anche dire assenza di vento.
Presso i bramani, il prete è il mediatore tra l’uomo e la divinità, trasmette a Dio l’offerta e l’adorazione dei fedeli; Dio in ritorno concede le sue grazie e i suoi aiuti nella vita; nel giorno della morte, Dio riceve i fedeli tra gli eletti. Per far si che questo scambio sia possibile, è necessario che Dio sia concepito come un essere individuale, come una persona, in qualche modo come il re dell’universo, distribuendo il suoi favori secondo la sua volontà, senza dubbio anche secondo giustizia  … niente di simile c’è nel Buddhismo.  Dato che non c’è un Dio personale, non ci sono santi-sacrifici, non ci sono intermediari …                Questo Buddha non è un dio che si implora; fu un uomo  che arrivò al grado supremo di saggezza e virtù Quanto alla natura del principio  assoluto delle cose, che le altre religioni nominano Dio, la metafisica buddhista la concepisce in un’altra maniera e non ne fa un essere separato dall’universo …  In secondo luogo, il Buddha aprì la sua chiesa a tutti gli uomini, senza distinzione di origini, di casta, di patria, di colore, di sesso: “la mia legge, diceva, è una legge di grazia per tutti”. Era la prima volta che appariva nel mondo una religione universale.  Fino a quel tempo, ogni Paese aveva la propria, da dove gli stranieri erano esclusi. Si può sostenere che nei primi anni della sua predicazione, il riformatore non ebbe in vista la distruzione delle caste, ma l’uguaglianza degli uomini fu una delle basi della sua dottrina; i libri buddhisti sono pieni di dissertazioni, di recite e di parabole il cui scopo è di dimostrala. La libertà ne era la conseguenza.  Non si nasceva buddhista, lo si diventava per scelta volontaria e dopo una specie di stage che il richiedente doveva seguire. Una volta membro della Comunità, non si distingueva più dagli altri fratelli; l’unica superiorità che si poteva acquisire era quella della scienza e della virtù … Questo amore reciproco, questa fraternità, si estendeva alle donne e faceva della Comunità una sorta di famiglia.  Comparando la vita di Cristo con quella di Buddha, si vede che le loro biografie si dividono in due parti, la leggenda ideale e i fatti reali. La parte leggendaria è identica nelle due. E' soltanto al concilio di Nizza che il Cristianesimo rompe ufficialmente con il buddhismo; tuttavia è durante il concilio che prende piede la formula; “ Buddha, Dharma, Sangha".
 I manichei  e i cristiani derivano la loro dottrina dal Buddhismo, di conseguenza una lotta mortale si creò tra di loro, quando la chiesa cristiana prese corpo e pretese di possedere sola ed esclusivamente la verità.   La persecuzione fu terribile nei confronti del manicheismo e ci furono degli attacchi anche nei confronti dei teosofi. Nessuna società è stata più ferocemente calunniata e perseguitata dall’odio teologico, che l’associazione teosofica e i suoi fondatori, dopo che le chiese cristiane si sono ridotte a non impiegare altre armi che il linguaggio. E "L’elemento buddhista del cristianesimo è rimasto velato”.
Uno dei fenomeni più interessanti, se non tra i più inattesi, è il tentativo fatto di costituire nel mondo una società nuova, appoggiata sugli stessi fondamenti del buddhismo.
Benchè agli inizi, la sua crescita non fu rapida, si diffuse senza rumore e senza violenza. Non  aveva nemmeno un nome definitivo, suoi membri si raggruppavano sotto nomi orientali, messi nelle testate delle loro pubblicazioni: Isis, Lotus, Sfinx, Lucifero. Il nome comune che prevalse fu quello di Società Teosofica.
Questa società fu fondata nel 1875, a New York, da un piccolo gruppo di persone, inquiete della rapida decadenza delle idee morali nell'era presente. Questo gruppo si chiamò: “Società teosofica ariana di New York”,  L’epiteto di ariano indicava che la Società si separava dal mondo semita, e soprattutto dai dogmi ebrei. Uno dei principi della società era la neutralità in materia di sette, e la libertà dello sforzo personale verso la scienza e la virtù.
La società non ha né finanziamenti, né padroni, agisce con le sole risorse eventuali. Non ha niente di mondano, non ha alcun spirito settario, non ha nessun interesse, Si è data un ideale morale molto elevato, combattere il vizio e l’egoismo. Tende all’unificazione delle religioni, che considera come identiche nella loro origine filosofica, ma riconosce la supremazia della verità. Il Lotus, la rivista mensile che pubblicva a Parigi ha preso per epigrafe il motto sanscrito del Maharaja di Benares: “Satya nasti paro dharmah, non c’è religione più elevata della verità”.
Con questi principi e nel tempo in cui nacque, la società non poteva imporsi delle più cattive condizioni di esistenza. Tuttavia si è sviluppata con una stupefacente rapidità. In America le varie anime della società si sono federate intorno a una di esse, la sezione di Cincinnati.
Visto il secondo oggetto che si propone l’associazione è lo studio delle letterature, delle religioni, delle scienze ariane e orientali, e che una parte dei suoi membri persegue l’interpretazione degli antichi dogmi mistici e delle leggi inesplicabili della natura, si potrebbe vedere in essa una specie di accademia ermeneutica. Una dichiarazione pubblicata nelle rivista Lucife recitava:  “Non è teosofo chi non pratica l’altruismo; chi non è preparato a condividere il suo ultimo pezzo di pane con il più debole o più povero di lui, chi neglige di aiutare l’uomo, suo fratello, quale che sia la sua razza, sua nazione e la sua credenza, in qualche luogo o qualche tempo  dove lo vede sofferente, e fa le orecchie sorde al grido della miseria umana, chi sente calunnaire un innocente, teosofo o no, senza prendere la sua difesa, come lo farebbe per lui stesso”. 

Questa dichiarazione è puramente buddhista, le pubblicazioni pratiche della società sono dei libri buddhisti tradotti o delle opere originarie ispirate dall’insegnamento del Buddha. La Società ha dunque un carattere buddhista. Il buddhismo vero e originale non è una setta o una religione, è piuttosto una riforma morale e intellettuale, che non esclude nessuna credenza, ma non ne adotta nessuna. E’ quello che fa la Società Teosofica.
Il buddhismo primitivo è questa magnifica fioritura di virtù, di purezza e di amore di cui il Buddha getta le semenze sul suolo dell’India. Il codice di morale stabilito dal Buddha è il più grande tesoro che sia stato donato all’umanità, questa religione, o piuttosto questa filosofia, si avvicina alla verità o scienza segreta, molto di più che qualsiasi altra forma o credenza esoterica. Noi non possiamo proporre un ideale morale più elevato che questi nobili principi di fraternità, di tolleranza e di distacco, e la morale buddhista rappresenta quasi la morale teosofica. In una parola, non potremmo che onorarci chiamandoci buddhisti, se noi non avessimo l’onore di essere teosofi.

Ma la società Teosofica si difende seriamente, e non soltanto per la forma, dal fatto di essere stata creata “per propagare i dogmi del Buddha”.  La nostra missione non è di propagare il buddhismo; noi siamo indipendenti da qualsiasi formula, da qualsiasi rituale, da qualsiasi esoterismo. I presidenti della Società si sono dichiararsi personalmente buddhisti, e questo glielo abbiamo abbastanza rimproverato, uno di essi ha consacrato la vita alla rigenerazione di questa religione nella sua terra di origine. Ma questo non impegna il corpo teosofico come tale, nei confronti del buddhismo.

Il Buddhismo attuale ha bisogno di essere rigenerato, sbarazzato di tutte le superstizioni e di tutte le restrizioni che lo hanno invaso come delle erbe parassite, noi avremo gran torto di fare un innesto di una gemma giovane e sana su un ramo che ha perduto la sua vitalità, benchè sia meno secco degli altri ramoscelli. E’ infinitamente più saggio andare subito alle radici, alle sorgenti pure e inalterabili dove il buddhsimo ha tratto la sua potente caratteristica. Noi possiamo rischiararci direttamente alla pura “Luce dell’Asia”; perché ci soffermeremo nella sua ombra deformata? Malgrado il carattere sintetico e teosofico del buddhismo primitivo, il buddhismo attuale è diventato una religione dogmatica e si è diviso in sette numerose e eterogenee.  

La  posizione essenziale della società teosofica è quella di affermare e di mantenere la verità comune a tutte le religioni, la vera verità, che non hanno potuto sporcare le invenzioni, le passioni, né i bisogni dell’età. Pretendere di reinstallare la religione del Buddha sulle rovine di quella di Gesù, questo sarebbe dare all’albero morto il sostegno di un bastone secco. La nostra stessa critica ci avverte che l’umanità è stanca delle parole come Dio, religione. Notiamo, a tal proposito, che il termine teosofia, che significa saggezza divina, non implica necessariamente la credenza di un Dio personale. 

No, il sangha dei buddhsiti non può essere ristabilito nella nostra civilizzazione. Quanto al Buddha lui-stesso, noi lo veneriamo come il più grande saggio e il più grande benefattore dell’umanità, e noi non perdiamo nessuna occasione di rivendicare i suoi diritti all’ammirazione universale. Ma in presenza di questa legge terribile che fa sempre degenerare l’ammirazione in adorazione  e questa in superstizione, in presenza di questa cristillazione disperante  che si opera nei  cervelli disposti all’idolatria e ne esclude tutto quello che non è l’idolo, sarebbe saggio di reclamare per il fratello maggiore di Gesù il posto stretto dove questo ultimo subì un culto sacrilego? 

Purtroppo, può essere che ci siano degli uomini assai egoisti per non sapere amare che un essere, abbastanza servili per non volere servire che un maestro alla volta!
Resta dunque il Dharma: noi abbiamo detto in quale alta stima noi teniamo la morale buddhista. Ma la Teosofia si occupa di altre cose che di regole di comportamento: realizza questo miracolo di poter riunire una morale pre-buddhista a una metafisica pre-vedica e a una scienza pre-ermetica.         
Lo sviluppo teosofico  fa appello a tutti i principi dell’uomo, alle sue facoltà intellettuali come alle sue facoltà spirituali.
I buddhisti possono accontentarsi della lettera morta delle dottrine di Siddhartha Buddha, in quanto fino a quel giorno, non ce n’é di più nobile, fortunatamente; non c’è qualcuno che possa produrre degli effetti più importanti sull’etica delle masse.  C’è comunque una dottrina esoterica, una filosofia che nobilità l’anima, dietro il corpo esteriore del buddhismo ecclesiastico. 

I tre oggetti del programma teosofico possono essere riassunti da tre parole Amore, Scienza, Virtù, e ciascuno è inseparabile dagli altri due.  Rivestita da questo triplice protezione, la società teosofica compirà il miracolo e abbatterà i dragoni della lotta per l’esistenza.
La salvezza è nell’indebolimento del senso di separazione tra le unità che compongono il tutto sociale, e questo risultato non può essere raggiunto che per un procedimento di illuminazione interiore. La violenza non assicurerà mai il pane e il conforto per tutti, e non è nemmeno attraverso una fredda politica di ragionamento diplomatico che sarà conquistato il regno di pace e amore, di aiuto reciproco e di carità universale, la terra promessa dove ci sarà “ del pane per tutti”. Quando si comincerà a comprendere che è precisamente l’egoismo personale e feroce,  la sola causa della miseria umana, che è ancora l’egoismo nazionale questa volta, e la vanità dello Stato, che provocano i governi e gli individui ricchi a nascondere degli enormi capitali e a renderli improduttivi erigendo delle splendide chiese e mantenendo un numero di vescovi pigri, veri parassiti delle loro truppe; allora solamente l’umanità proverà di rimediare al male universale con un cambiamento radicale di politica. 

Questo cambiamento, solo le dottrine teosofiche possono compierlo pacificamente.  Questo per l’unione stretta e fraterna dei Sé superiori degli uomini, per la crescita della solidarietà d’anima, per lo sviluppo di questo sentimento che ci fa soffrire pensando alle sofferenze altrui, che potrà essere inaugurata la regola dell’uguaglianza e della giustizia per tutti, e che si stabilirà il culto dell’amore, della scienza e della virtù, definito in questo ammirabile assioma “Non c’è religione più elevata della verità”. 

lunedì 29 gennaio 2024

Yahne Le Toumelin

Yahne Le Toumelin, nata il 27 luglio 1923 a Parigi e deceduta l'8 maggio 2023 a Tursac in Dordogna, è stata una monaca buddhista e pittrice francese, associata al surrealismo e all'arte astratta dalla fine degli anni '50. E madre di uno dei monaci buddhisti più conosciuti in Occidente: Matthieu Ricard.  

Cresce a Croisic, in Loira Atlantica, insieme al fratello Jacques-Yves Le Toumelin che è uno dei primi navigatori in solitaria su barca a vela. A 10 anni inizia a disegnare e realizza i suoi primi dipinti ad olio.

Ammessa alle Belle Arti di Parigi nel 1940, preferisce unirsi all'Accademia della Grande Chaumière. Dopo tre anni trascorsi all'accademia, entra nello studio di André Lhote, dove incontra Henri Cartier-Bresson.  Nel 1942, incontra il sufi Georges Gurdjieff e si avvicina alla spiritualità. Fa la conoscenza con vari scrittori come René Daumal (poeta, scrittore e filosofo francese), Luc Dietrich (uno scrittore francese che ebbe una vita breve e tormentata) e Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto conosciuto come apostolo della nonviolenza in Occidente. Lanza del Vasto è stato anche poeta ed artista, filosofo e scrittore, credente rispettoso delle altre religioni, fondatore di comunità, precursore dei più attuali cambiamenti della società.

Incaricata da Pierre Schaeffer e Jacques Copeau di realizzare presentazioni radiofoniche di opere artistiche allo Studio d'essai della RTF, Yahne  incontra Jean-François Ricard (che poi prenderà il cognome di Revel), uno dei filosofi francesi più conosciuti che le chiede di sposarlo nell'estate del 1945. Nel 1946 nasce Matthieu Ricard.

Insieme a Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Boris Vian, Orson Welles, Jean Cocteau e Juliette Gréco, appare nel 1947 in "Le Désordre à vingt ans" di Jacques Baratier, che ritrae la fauna eterogenea di Saint-Germain-des-Prés dopo la guerra.

Dal 1947 al 1948, la coppia si trasferisce a Tlemcen in Algeria, dove Jean-François Revel è nominato professore. Nel 1948 nasce Ève Ricard. Dal 1950 al 1952, Yahne segue il marito a Città del Messico, dove è nominato professore all'Istituto francese dell'America Latina (IFAL).

A Città del Messico, diventa amica di Leonora Carrington, che diventa la sua "complice di sempre" e intraprende anch'essa un percorso completamente fuori dagli schemi. Nel 1951, realizza un murale geometrico di 60 m2 per l'Istituto francese dell'America Latina e dipinge manifesti cinematografici per il primo cineclub del Messico, frequentato da Benjamin Péret, Luis Buñuel, Frida Kahlo, Diego Rivera e Mario Vargas Llosa.

Nel 1952, con la nomina di Jean-François Revel all'Institut français de Florence, Yahne incontra Jacob Bean e André Fermigier.

Nel 1952, Yahne Le Toumelin e Jean-François Revel si separano.

Nel 1955, André Breton, uno dei principali surrealisti francesi,  presenta Yahne Le Toumelin nella sua galleria "À l'Étoile scellée". Tornata a Parigi nel 1956, incontra l'artista Georges Mathieu e diventa amica di Pierre Soulages e Zao Wou-Ki. Nel 1957 espone oltre 100 quadri alla galleria Orsay e partecipa all'edizione del catalogo prefato da André Breton.  André Breton rende omaggio alla sua opera in "Le Surréalisme et la Peinture", pubblicato da Gallimard nel 1965.

Dal 1957 al 1959, Yahne espone al Salon Comparaison al Musée d’art moderne de la Ville de Paris e, nel 1958, al Salon Grand et Jeunes d’aujourd’hui al Grand Palais. Installatasi al Château de Fromonville, Yahne fa la conoscenza di diverse personalità, tra cui Jean Cocteau, Savitri Nair, Philippe Lavastine, George Adie e Arnaud Desjardin che è stato uno dei primi praticanti di alto profilo della spiritualità orientale in Francia.

Nel 1959, Yahne Le Toumelin entra nella galleria René Drouin e nel 1961 espone in una selezione intitolata "Essai pour la peinture de demain" presentata da Drouin e Ileana Sonnabend alla galleria Marcelle Dupuis. 

 Dal 1961 al 1967, partecipa al Salon des Surindépendants al Musée d’art moderne de la Ville de Paris. Pierre Soulages incoraggia l'artista a "dipingere in grande" e la invita a esporre alla Galerie de France. In questo periodo, nel 1965, André Breton pubblica "Le Surréalisme et la Peinture", Gallimard.

Nel 1966, espone alle Rencontres d’Octobre del Musée des Beaux-Arts di Nantes e partecipa al Salon des Artistes Français del 1967 e al Salon d’Art Sacré del 1966 e del 1969.

Nel 1967, Yahne Le Toumelin apre il "Centre d’Expression", una galleria a Parigi presentata da André Fermigier in una recensione intitolata "Trois raisons pour". 

Poco dopo, parte per l'India, si converte al buddhismo tibetano e prende i voti di monaca al monastero di Rumtek, nello Sikkim, con Rangjung Rigpe Dorje, il 16° karmapa.

Nel maggio 1968 organizza una dimostrazione intitolata "La Révolution du cœur". Nel 1969, Maurice Béjart chiede a Yahne Le Toumelin di comporre un murale di 300 m2 e i costumi per "Les Vainqueurs".

Installatasi a Darjeeling in India, smette di dipingere dal 1969 al 1975. 

Nel 1985, l'artista si trasferisce in Dordogna e intraprende un ritiro buddhista tradizionale di tre anni, tre mesi e tre giorni al Centro di Chanteloube a Saint-Léon-sur-Vézère.

Nel 1989, Yahne Le Toumelin realizza il "Voile du Radeau de la Méduse" per i decori di "Hommage à la Révolution" di Maurice Béjart al Grand Palais di Parigi.

1999 – Esposizione al Linden Museum, Stoccarda.

A partire dal 2000, dipinge nel suo studio in Dordogna.

Nel 2016 e 2023  una sua retrospettiva


Vedi sito:  http://yahneletoumelin.fr/biographie/

venerdì 12 gennaio 2024

Il gatto zen e le quattro zampe del successo spirituale

Il gatto zen e le quattro zampe del successo spirituale, il romanzo scritto da David Michie è divertente e leggero, ma ricco di insegnamenti spirituali che ispireranno riflessioni profonde.

Una gattina macilenta e affamata viene salvata dal Dalai Lama in persona, che la prende a vivere con se´ nel Monastero di Namgyal (a McLeod Ganj) sopra Dharamsala. La vita del leader spirituale si svela a poco a poco in ogni suo aspetto davanti agli occhioni blu della gattina, e una saggezza senza tempo pervade i pochi momenti di affettuosa solitudine fra l’uomo e l’animale. Attraverso gli occhi e le orecchie della gatta del Dalai Lama  si ascoltano le lezioni di maestri buddhisti e si impara come si comporta un bodhisattva nella quotidianità del secolo XXI. E soprattutto si scoprono  la fragilità e la bellezza di tutti gli esseri umani.
Seguendo Rinpoche, l’elegante e anche un po’ viziata gatta (chiamata col soprannome GSS gatta di Sua Santità o bodhicattva), negli incontri con gli ospiti del palazzo, alla casa di riposo per anziani, alle lezioni di yoga e alle visite all’Himalaya Book Café, vengono illustrati gli elementi chiave del buddismo tibetano, si spiega come riconoscere una sofferenza auto-inflitta e lasciarla andare, come sperimentare il benessere abbandonando il pensiero di noi stessi; come mettere da parte le illusioni riguardanti il modo in cui le cose esistono e infine come trovare il guru giusto. Se state cercando di migliorare la vostra vita e volete operare una trasformazione interiore, seguite le orme di questa maestra insolita e un po’ pelosa ma molto, molto saggia!

La narrativa è un mezzo ideale per coinvolgere il cuore, l'immaginazione e l'intelletto dei lettori. Inoltre, la narrazione fa parte di una lunga tradizione di insegnamento spirituale, dove i processi interiori e sottili diventano più facili da capire esternati in metafore e parabole.  Qui di seguito riporto alcune frasi del libro.

Il Dalai Lama è così puro di cuore e libero dall'ego che, come uno specchio, riflette la natura ultima di chi è con lui, la loro versione più nobile. Uno specchio in grado di mostrare l'immagine molto più profonda di chi e che cosa siamo davvero. In tutti gli esseri la natura originaria non è altro che amore puro e compassione pura e infinita. 

Spesso le nostre più grandi sofferenze sono autoinflitte, a causa dell'attaccamento non solo alle cose materiali ma anche ai risultati; al fatto che le cose non vadano come vogliamo che vadano.  Spesso è difficile sentirsi dire che tutto è nella nostra mente e se cambiamo modo di pensare, si risolverà tutto. La rabbia e l'attaccamento sono considerate illusioni nel buddhismo tibetano; per illusione si intende qualsiasi fattore mentale capace di alterare la serenità d'animo, ma applicare questi concetti nella quotidianità, spesso  non è facile. 

La compassione è il desiderio di alleviare la sofferenza degli esseri viventi, e ciò è possibile quando la mente è calma. Spesso associamo cose che non hanno alcun rapporto, inventiamo una relazione e ci creiamo problemi. Ci creiamo delle difficoltà quando asseriamo che la felicità o la pace sono in funzione di qualche episodio o risultato. L'attaccamento nasce quando crediamo che una persona, una cosa o un risultato siano necessari per la nostra felicità; e si rischia di diventarne schiavi. E' meglio pensare: possiedo già la felicità e la pace interiore, arrivare a determinati risultati è splendido ma non indispensabile per il mio benessere sostanziale. Talvolta le cose a cui ci aggrappiamo con più accanimento sono quelle che ci creano più sofferenza. Ma continuiamo a farlo perchè pensiamo che non esista un altro modo per essere felici. Questa è la più grande tristezza del samsara. 

I quattro aspetti del sentiero illustrati nel libro sono: la rinuncia, la bodhicitta, la sunyata e il guru yoga.  Quando abbiamo sofferto abbastanza e vogliamo ricominciare, questa è la rinuncia, la prima legge del successo spirituale. Il nostro percorso di evoluzione interiore incomincia quando accettiamo la responsabilità delle cause dei nostri sentimenti, che non sono all'esterno, nel mondo, ma nel nostro cuore e nella nostra mente, E che la rinuncia significa voltare le spalle a queste vere cause di infelicità.

Guardando intensamente il cielo vuoto, le visioni cessano;   allo stesso modo, quando la mente guarda dentro se stessa, il filo dei pensieri discorsivi e concettuali si arresta e la suprema illuminazione viene raggiunta.

Quando incontri un vero maestro, in sua presenza, hai come la sensazione di esistere in una dimensione diversa, sospesa, di infinito benessere.    Spesso c'è la necessità di un maestro o un amico spirituale per trovare la motivazione giusta per immettersi sul percorso interiore, trovare la motivazione per integrare la pratica del Dharma nella nostra vita. Quando lo sperimentiamo, comprendiamo davvero quanto sia straordinaria questa vita, quanto siamo straordinari noi, che formidabile occasione è per plasmare il nostro futuro. La cosa importante di tutte è che ognuno di noi può sviluppare la mente, coltivare le  capacità per aiutare gli altri oltre se stessi. 

La rinuncia non è solo dare le spalle alla sofferenza, ma anche voltarsi nella direzione che ci consente di diventare quello che siamo davvero; Trascendere l'ordinario, comprendere la nostra natura di Buddha, e apprezzare questa preziosa oppurtunità che la vita ci offre per raggiungere l'illuminazione per l'amore di tutti gli esseri, inclusi noi stessi. Dobbiamo ripeterci che abbiamo la natura di Buddha e una mente capace di arrivare a una totale illuminazione. Per fare questo dobbiamo prendere rifugio nei tre gioielli: nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha. Questo è il primo passo del nostro cammino spirituale.  Per documentarci su questo cammino dobbiamo leggere il Lamrim, o sentiero dell'illuminazione, il testo basilare nella tradizione del lignaggio di Sua Santità il Dalai Lama. Nel buddhismo la compassione è definita come il desiderio di liberare gli altri dalla sofferenza, senza compassione rimaniamo indifferenti, con la compassione sviluppiamo empatia. Il desiderio o il processo per raggiungere lo stato di perfetta illuminazione per aiutare tutti gli esseri viventi a fare lo stesso è chiamato bodhicitta. 

La psicologia buddhista consiste nel rammentarci, nello svolgere qualsiasi attività quotidiana,  della motivazione della bodhicitta. Con il passare del tempo modelliamo e conformiamo il nostro atteggiamento a questo pensiero, basandoci magari anche dell'esempio di qualcuno che ha già raggiunto il nostro scopo. Più si persevera e più la maschera diventa persona;  con il tempo, ascoltando, riflettendo, meditando, la nostra convinzione della bodhicitta si approfondisce fino a diventare spontanea e sentita, e allora le nostre azioni divengono una vera fonte di gioia, sia per noi stessi sia per gli altri. Tutti possono arrivare a questo stato, tutti i consueti motivi di apprensione, i soliti pensieri svaniscono e si prova un senso di pace profonda, infinita. Può essere comunque molto difficile praticare la bodhicitta (il secondo passo)  con autentica equanimità (forse desideriamo che tutti gli esseri siano felici tranne uno o due)...

Spesso si confonde la compassione e la gentilezza amorevole con la debolezza, invece ci sono tre qualità che sono sempre insieme e sono:  compassione, forza e saggezza. 

Dovremmo usare le sofferenze causateci da altri per stimolare la nostra crescita interiore e usare l'intelligenza. L'esperienza di un evento dipende dalla mente di chi la vive ancor più dell'evento stesso.  Questo assunto dovrebbe guidarci per cambiare la nostra esperienza della realtà trasformando la mente. Le persone, soprattutto gli anziani, devono lottare contro gli impulsi distruttivi nei confronti di loro stessi e degli altri. Una persona che sprofonda sempre più nella sua negatività, vive isolata in un mondo che con il tempo diventa sempre più piccolo. 

Per combattere la negatività dei nostri pensieri basterebbe applicare la tecnica dell'esclusione, noi non siamo il nostro corpo, non siamo i nostri pensieri, non siamo le nostre emozioni, ecc... però nessuna parte è separata dalle altre. 

Il problema è che molti occidentali hanno la forte convinzione di essere inadeguati, di non essere degni di diventare illuminati e solo l'incontro con un vero guru, ossia qualcuno che ha visto la verità di persona e può trasmetterla, può aiutarli a rimuovere queste barriere. Spesso quando siamo infelici senza rendercene conto rimaniamo bloccati in una modalità di pensiero che ci rende difficile immaginarne altre. Gli esseri saggi vedono invece diverse possibilità.  Una tecnica utilizzata nel buddhismo è quella di smontare il sè che può essere causa di tanti dolori e patemi, il sè che soffre per la perdità dell'amore e della speranza, che è impaurito o in ansia... Dove si trova questo sè problematico? nel corpo, nel cervello, forse è un aspetto della coscienza? la coscienza mentale? La coscienza è una continuità di momenti mentali, un flusso di pensieri, sensazioni ed esperienze che si susseguono l'uno dopo l'altro durante il giorno, ma quale specifico pensiero è il tuo sè negativo?   Se il sè non è un fenomeno fisico e mentale forse è solo un concetto, un'idea. Quindi non esiste niente di permanente, il sè è soltanto un pensiero.  Non dobbiamo crearci una fantasia così negativa e pensare il sè come un'entità permanente, colpevole, peccaminoso e ammantato di tenebra.  

Esistono due"Io", un Io vero, l'"Io" convenzionalmente accettato, costituito dal corpo, dalla tua storia, dalle cose che ti piacciano, ecc.  e poi c'è l'"Io" falso, ed è l'idea falsa che esista un sè indipendente separato dal corpo e dalla mente, una specie di entità innata dotata di qualità come essere colpevole o di successo, depresso o popolare. Essitono tante versioni di una persona quante sono le menti che la percepiscono, quindi questo sè è soltanto un concetto, un'idea.    La coscienza invece esiste, solo se siamo coscienti possiamo fare ricerche su noi stessi e altro, la coscienza sottile continua attraverso tutte le nostre esperienze, come il filo che passa attraverso le perle di una collana. La coscienza non ha bisogno di un sè e questo sè è unicamente un'idea.   Shantideva afferma:  "Se tutte le ferite, paura e il dolore di questo mondo nascono dall'aggrapparsi al sè, allora a che cosa serve questo grande fantasma?"

Questo tipo di analisi viene chiamata "talità", il modo in cui le cose sono veramente o origine indipendente, in termini sanscriti è chiamata sunyata e costituisce il terzo aspetto del sentiero. Le parole, come tante foglie mosse dalla brezza estiva, sono prive di sostanza o di qualsiasi effettiva importanza: sono idee, e non sono neppure necessarie.

Smettere di cercare la felicità all'esterno di noi è il vero inizio del nostro viaggio spirituale, altrimenti noto come rinuncia.  Per cercare di liberarsi di tutti i pensieri negativi e fare spazio a quelli positivi, uno dei metodi più efficaci è la meditazione. La meditazione è al centro della pratica buddhista, un addestramento della mente che ti permette di affrontare meglio quello che la vita ti presenta. Tutti gli alti e bassi. Riesci più facilmente a individuare  i pensieri negativi e lasciarli andare, come del resto a trovare lo spazio per richiamare la bodhicitta.     La mente che osserva la mente, a questo scopo, prima plachi la mente concentrandoti ad esempio sul respiro, poi rivolgi la tua attenzione ad essa. I pensieri scaturiranno come onde dell'oceano. E questo va bene. Solo non ti devi lasciare coinvolgere. Impari a: riconoscere, accettare, lasciare andare. Riconosci ogni pensiero in quanto tale, non fingi che non stia accadendo. Accetti di aver avuto quel pensiero, al di là della sua natura, buona o cattiva. e quindi lo lasci andare, e scompare...  Si impara a diventare osservatori, diventare quindi padroni dei nostri pensieri anzichè loro vittime, Occorre decidere quali pensieri considerare invece di farsi coinvolgere da tutti, anche da quelli che ci rendono infelici.  Bisogna addestrarsi per rendere questo processo abituale, in modo da decidere cosa entra nella nostra mente, non solo quando si medita ma anche tra una seduta e l'altra. Dobbiamo essere noi a gestire i pensieri, e dunque anche i sentimenti che ne derivano. Quando si pratica questo allenamento mentale si fa una meravigliosa scoperta, via via che si impara a lasciar andare consciamente i pensieri negativi, si scopre che questi non possono esistere senza la nostra attenzione. Hanno bisogno della nostra energia per esistere, per tornare, se non si considerano non possono permanere. Dopo un po' cessano di tornare, perchè la loro esistenza non trova fondamento. Tra i pensieri che abbiamo, il più persistente è quello sull'esistenza di un sè indipendente, ed è il più radicato ed è l'impulso più istintivo che abbiamo. Dovremmo trattare i nostri pensieri come se osservassimo una nuvola di passaggio, quando pratichiamo "la mente che osserva la mente" nell'intervallo tra i pensieri, anche se è molto breve, la scorgiamo direttamente, e scopriamo che possiede determinate qualità: è chiara e perfettamente lucida. Quando si vive questa esperienza si ha la sensazione che questa coscienza primordiale è veramente ciò che siamo, un qualcosa di sottile, senza ego, infinito:

"In genere tutti i fenomeni sono la mente stessa, Non c'è nient'altro che la mente. Qualsiasi cosa appaia, è tutto natura della mente, persino questa è da sempre indeterminata".

E' difficile sviluppare una sincera compassione, sperimentare la vera benevolenza, se non abbiamo conoscenza della sunyata, se non mettiamo in discussione la natura del sè saremo ingannati dalle apparenze, e resteremo vittime della mente. 

Saggezza e conoscenza sono diverse, la saggezza implica la trasmissione di percezioni in modo approfondito, che può portare a un cambiamento, in quel caso la conoscenza diventa saggezza. 

Il guru è l'incarnazione della saggezza, ogni azione del suo corpo, le sue parole e la sua mente sono espressione di saggezza (il guru yoga è il quarto aspetto del sentiero). Un guru non si limita a spiegare e incarnare alcuni valori, ma motiva e ispira anche. Nella crescita spirituale è molto importante la trasmissione diretta tra insegnante e studente. Il guru ci insegna a porre fine all'insoddisfazione e a raggiungere un benessere duraturo. Il guru giusto per noi non è necessariamente il più famoso  ma quello che riesce a entrare in contatto con noi e ci mostra che i nostri problemi non sono fuori nel mondo, ma nella nostra mente, dove possiamo intervenire e affrontarli. Il guru incarna la bodhicitta e la sunyata, e quando meditiamo in sua presenza le nostre menti si incontrano e si sperimenta il non dualismo direttamente, di persona. La cosa più importante che deve trasmettere è la fede, la fede non in una forza esterna o in un sistema di credenze, ma in noi stessi. La fede di avere tutto ciò che ci serve per la felicità nel nostro cuore e svilupparlo.  Nel guru yoga, accostiamo la nostra mente a quella del guru, che consideriamo identica a quella del Buddha; è un modo per aiutarci a evolvere da una mente comune, afflitta dal karma e dall'illusione, alla coscienz adi un Buddha, che è beata e trascendente, al di là della nascita e della morte. 

Nel libro viene anche spiegato in modo molto simpatico il potere della mente: Immaginando fortemente qualcosa si arriva alla manifestazione dell'evento; se pensi costantemente a una persona, a dei modi per entrarci in contatto e avvicinarla, e lo fai in modo costante e determinato un'occasione si manifesterà.  Tutto inizia dall'intenzione, dalla decisione di  volere qualcosa e poi di congiungere, di unire le azioni del corpo, le parole e la mente fino a ottenerla. Questo corrisponde in Occidente alla legge dell'attrazione. Si sceglie un obiettivo, si visualizza in dettaglio, si ripetono affermazioni a tal proposito e si pone l'obiettivo al centro di tutte le azioni finchè non si realizza (purtroppo in Occidente questi obiettivi sono: soldi, amore, carriera lavorativa, ecc). 

Dovremmo immaginare un guru come un essere simile a un Buddha, quello che pensi di lui ha a che fare con la mente e l'atteggiamento, più riesci a pensarlo simile a un Buddha, meglio è per la tua evoluzione interiore. Anche su questo punto gli occidentali hanno grosse riserve sul culto del maestro, per questo i lama dicono agli allievi di leggere i testi sull'argomento e sperano che ci arrivino da soli.  Se ascolti un insegnamento e consideri il lama un essere comune, ricevi benedizioni comuni. Se lo pensi simile a un Buddha, ricevi la benedizione di un Buddha. Da qui la scoperta che la forza delle parole non deriva tanto dalle parole, quanto dalla persona che le pronuncia, Quando riceviamo una benedizione, riceviamo l'ispirazione, l'energia, la volontà di trasformare la nostra esperienza della realtà in un certo modo, da ordinaria a trascendentale. Solo quando abbiamo acquisito una certa familiarità con i sutra che sono gli insegnamenti fondamentali del buddhismo potremo ricevere l'iniziazione da parte di un guru per praticare il tantra yoga. 

Essere nati umani è eccezionale, è un'opportunità straordinaria per arrivare all'illuminazione. In questo gioca un ruolo fondamentale il karma che matura in punto di morte. Ci sono due tipi di karma; il karma completante è il genere di vita che avremo e il karma proiettante che ci catapulta in una forma di vita. Gli animali domestici che si trovano in case buone hanno un karma molto positivo.

Il grande fantasma del sè  è la causa di tanto dolore; si doverebbe riuscire a capire che non c'è un sè da prendere seriamente in considerazione o in un altro modo. 

Ci sono molte persone animate dalla buona intenzione di aiutare i bisognosi ma nel nostro mondo indaffarato è difficile far sì che a questa seguano azioni significative. 

Il loto è il simbolo della rinascita, i fiori di loto sorgono dal fango delle paludi fino a esplodere nella loro sublime bellezza, rappresentano la rinuncia. Senza sofferenza non c'è la spinta a cercare la trascendenza, Niente fango, niente loto, Quando ci inchiniamo di fronte ad un'altra persona, lo facciamo non solo per riverenza nei suoi confronti; ci inchiniamo anche alla nostra natura di Buddha, alla nostra capacità di raggiungere l'illuminazione.

Siti utili:

  • www.davidmichie.com
  • https://gadenforthewest.org/events/      
  • https://davidmichie.substack.com/p/10-points-on-finding-our-guru

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...