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giovedì 29 maggio 2025

Il Tibet e il buddhismo

Il Tibet, situato nell'altopiano del Tibet, nella parte nord della catena dell'Himalaya, è soprannominato "il tetto del mondo" per via delle sue vette elevate. Il Monte Everest si colloca a metà tra questo Paese e il Nepal.

Il regno tibetano raggiunge il suo apogeo con Trisong Detsen (755-797) che apporta delle grandi trasformazioni a livello politico e culturale e introduce il buddhismo in Tibet, grazie a Pandit indiani e al grande Padmasambhava.  A partire da quel momento i tibetani si recarono spesso alle grandi università monastiche in India, a Nalanda, Odantapura e Vikramashila. Il buddhsimo fu proclamato religione di stato  e si cominciò a tradurre i testi dal sanskrito al tibetano. 

La seconda fase di diffusione del buddhismo in Tibet avvenne all'inizio del secolo XI; Il rifiorire dell'interesse per il buddhismo si deve a grandi personaggi come il pandit indiano Atisha e il traduttore Rinchen Zangpo. All'inizio del XII secolo il buddhismo è ben strutturato in Tibet.  Il sovrano mongolo Ogodei riconosce quale rappresentante del regno tibetano il capo del lignaggio Sakyapa. Alla fine del XII secolo  viene sistematizzata la traduzione dei testi sanscriti in tibetano: i testi si dividono in Kagyur o testi ritenuti direttamente ispirati dal Buddha Shakyamuni e Tangyur o commentari. 

Nel 1357 nasce Tsong Khapa, una delle figure più importanti dal punto di vista spirituale. Fu il fondatore del lignaggio Gelugpa, o virtuosi, a cui apparterranno tutti i Dalai Lama. Il primo Dalai Lama sarà un suo discepolo: Gedun Drub.  Viene istituita la linea della reincarnazione ( per evitare lotte di potere) e tutti i Dalai Lama sono considerati la reincarnazione del Bodhisattva Avalokiteshvara, che si reincarna per aiutare l'umanità ad uscire dalla sofferenza.   Si deve al quinto Dalai Lama la costruzione del Potala a Lhasa in Tibet. 

Nel XVII secolo il Tibet viene raggiunto dai missionari cattolici; nel 1641 il potere dei Gelupta aumenta in quanto il re mongolo Gushri Khan (che appoggiava i Gelupta)  conquista la regione dello Tsang, sede del Karmapa del lignaggio Kargyupa.   Il termine "Karmapa" si riferisce al capo della tradizione buddista tibetana Karma Kagyu. È una linea di tulku, ossia maestri spirituali reincarnati, riconosciuti per le loro capacità e per una presunta capacità di ricordare le loro vite precedenti. Il Karmapa è considerato la seconda autorità religiosa più importante del Buddismo tibetano, dopo il Dalai Lama.

Nel 1683, il Tibet viene raggiunto dai primi occidentali; D'Oberville e Gruber. Nel 1716 giunge in Tibet il gesuita Ippolito Desideri di Pistoia. 

Nel XVIII secolo ci sono dei grandi travagli politici, invasioni di nomadi, e nel primo periodo del XIX secolo il Tibet perde il Ladakh che è conquistato dai sovrani indiani Jammu.

Nel 1959 si completa l'occupazione militare cinese intutto il Tibet, cominciata nel 1950 nel Tibet orientale.  Il XIV Dalai Lama e tutti i più grandi maestri e Lama tibetani scapapno e vanno in esilio in India e Europa.  

 Dharamsala (città dell'India del Nord vicino al Pakistan) diventa la sede del governo tibetano in esilio nel maggio 1960. Dopo l'inclusione del Tibet nella Repubblica Popolare Cinese nel 1951 e le rivolte tibetane, il Dalai Lama fuggì in India nel 1959, stabilendo lì la sua residenza e il governo in esilio. Dharamsala è quindi diventata il centro del governo tibetano in esilio, che, sebbene non riconosciuto a livello internazionale, è considerato l'autorità di riferimento per i tibetani in patria e nella diaspora.

Attualmente il Tibet è una regione autonoma della Cina. La capitale, Lhasa, è il luogo in cui sorgono l'ex residenza invernale del Dalai Lama, il palazzo del Potala, e il tempio di Jokhang, centro spirituale del Tibet, dove i pellegrini vengono a venerare la statua del Buddha.

venerdì 16 maggio 2025

Il Karma e la Pazienza - Ghesce Dorjee Wangchuk

Conferenza del Ven. Ghesce Dorjee Wangchuk, Maestro residente all'Istituto Samantabhadra di Roma  (creato nel 1981) sulla pratica del  Karma (la legge di causa e effetto)  e sulla Pazienza.  Aderisce alla scuola Gulupta, i virtuosi, o berretti gialli, che è la scuola del dalai Lama. Nel 2004 prende il diploma di Ghesce e di Narampa (maestro di riti), è stato responsabile del Tibetan Medical Center in India.

Il Karma.  Le persone spesso sono schiave delle loro emozioni negative e la meditazione, anche se breve, è di grande aiuto. Tutti gli esseri senzienti sono sottoposti alla legge del karma, e tre sono le "porte" : il corpo, la voce e la mente.  L'individuo è spesso propenso ad azioni negative, dovute soprattutto a tracce karmiche. Mentre per compiere le azioni positive occorre un grande impegno ed è anche una questione di abitudine. 

Spesso tra amici si creano discussioni accesse e violente, sembra quasi che dimentichino quello che si è costruito tra loro; questo è dovuto alle tracce karmiche e alle influenze negative.  L'evento è la risultanza e l'interrelazione tra causa, condizioni e risultato. Il pensiero genera l'azione, se abbiamo pensieri positivi generiamo azioni positive. La radice è la mente.  "Io sono felice", "Io non sono felice", sono espressioni dell'io, la mente è l'espressione della sofferenza. La mente è la guida del sentiero, per questo attraverso la meditazione dobbiamo portarla sotto controllo.

La pazienza.  Non c'è pratica più difficile della pazienza, la rabbia è difficile da gestire. Occore pazienza verso se stessi e verso l'altro. Se l'altro ci fa del male e ci sta offendendo significa che ci sono tracce karmiche nel suo continuum mentale.  Bisogna tenere a mente che la sua natura non è negativa, ha compiuto atti positivi verso di me e verso gli altri, adesso è l'ignoranza che sta oscurando la sua mente.  Dovremmo provare compassione verso questa persona, non dobbiamo demonizzarlo e pensare che può essere un periodo transitorio, un periodo particolare.  Occorre praticare la pazienza anche su se stessi; se proviamo una sofferenza, dobbiamo dirci che è una sofferenza transitoria, essere infelici non ha nessuna ragione di essere. E' importante prendersi cura di se stessi, impegnandoci in quello che si fa e non farsi sopraffare dalla sofferenza, non offendere gli altri, praticare la pazienza.

mercoledì 14 maggio 2025

I sei nemici - Esserci

I sei nemici.
La gente ama trovare il nemico all’esterno e incolparlo per i loro problemi. 
Ma si dice che l’essere umano abbia solo sei nemici: lussuria, rabbia, invidia, egoismo, orgoglio, illusione.
Se conquisterai questi nemici e li sconfiggerai dentro il tuo cuore, non avrai nemici esterni. 
Una volta padroneggiato i tuoi vizi, vedrai che intorno a te ci saranno solo amici.
 
 
Esserci.
Come sarebbe bello capire il valore delle persone che abbiamo intorno...
Diamo per scontato tutto. Durante la strada siamo seduti accanto, ma ci facciamo distrarre dalle luci colorate,  e non ci accorgiamo che quell’esserci uno per l’altro è importante.
Senza clamori. Un imperfetto, prevedibile, ripetitivo esserci.
Magari pensavamo che avremmo dovuto combinare o dimostrare chissà cosa, e invece bastava starci. 
A volte anche senza sapere cosa dirsi o cosa fare.

Acceptance of the Profound Dharma - Matthieu Ricard

Matthieu Ricard ha offerto un insegnamento su “L'accettazione del Dharma profondo”.
In questi insegnamenti, Matthieu ha parlato degli insegnamenti sulla pazienza, che sono delineati nel nono capitolo del Sūtra del Re del Samādhi. Questo testo è spesso citato negli scritti buddhisti per le sue profonde affermazioni, soprattutto sulla natura del vuoto.  Vedi link:   https://www.youtube.com/watch?v=QUjf_lyUf0w       https://www.84000.co/     

  Matthieu condivide alcuni consigli ricevuti dai suoi maestri  per comprendere e praticare la pazienza, una delle sei perfezioni. La perfezione della pazienza si fonda sulla comprensione del Dharma, in particolare sull'accettazione dei profondi insegnamenti sulla natura ultima delle cose. Ci permette di evitare l'irritazione, la rabbia e la depressione quando ci troviamo di fronte a difficoltà, sofferenze e danni momentanei, ma ci dà anche lo spazio mentale ed emotivo per vedere ciò che è veramente importante nella nostra vita. Non si tratta di diventare impermeabili e passivi, ma di trovare la libertà di agire positivamente e con apertura compassionevole verso i bisogni degli altri.   Punti salienti dell'intervento:

[5:40 ] Matthieu Ricard inizia a condividere le riflessioni sul Sutra del Re del Samadhi.
[7:13] Spiega il significato di Samādhi: è acquisire una conoscenza definitiva del significato profondo del Dharma.  Il samadhi rivela le qualità umane come purezza, apparenza e vacuità
Le Sei Perfezioni (Pārāmita) sono: generosità, etica, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza e sono il condensato di quella che viene definita la parte fondamentale dell'addestramento di chi vuole ottenere la mente dell'illuminazione (Bodhicitta).

[9.7]   I  bodhisattva dovrebbero sapere che tutti i fenomeni sono come illusioni. Dovrebbero sapere che tutti i fenomeni sono come sogni, come miraggi, come echi, come illusioni ottiche, come la luna sull'acqua, come allucinazioni, come riflessi e come spazio.Una volta acquisita questa consapevolezza sono abili nella pazienza del Dharma profondo. Coloro che hanno la pazienza del Dharma profondo non hanno desiderio per nessun fenomeno che causa desiderio, non hanno rabbia verso nessun fenomeno che causa rabbia e non hanno ignoranza riguardo a nessun fenomeno che causa ignoranza. Perché non vedono quel fenomeno, non lo percepiscono. Non vedono i fenomeni e non percepiscono i fenomeni di ciò che è desiderato, il desiderio o il desiderante; di ciò che fa arrabbiare, l'ira o colui che è arrabbiato; né di ciò di cui si è ignoranti, l'ignoranza o colui che è ignorante. Poiché non vedono e non percepiscono quei fenomeni, non hanno desiderio, non hanno rabbia, non hanno ignoranza, la loro mente non regredisce e riposa nella meditazione. Sono privi di elaborazione concettuale.

[10:09] Tutti i fenomeni sono uguali nel senso di apparire e di essere privi di esistenza intrinseca.
[14:15] Si concentra sul nono capitolo e fa riferimento al versetto 9.2: l'uguaglianza rivelata della natura di tutti i fenomeni ha dato vita a tutti i tathāgata, gli arhat, i buddha perfettamente illuminati.   
[19:00] Tre episodi del girare della ruota del Dharma sono riassunti in una frase de La perfezione della saggezza in venticinquemila righe, al punto 4.16.
[23:05] Questa frase racchiude tutti gli insegnamenti del Buddha in modo molto breve e potente.
[20:05] La rinuncia è spesso fraintesa; non si tratta di rinunciare a tutto ciò che è veramente buono nella vita, ma di rinunciare alla causa della sofferenza. È come un uccello che esce dalla gabbia.
[31:19] Descrive i tre tipi di pazienza o sopportazione.
[34:28] Sopportare la sofferenza significa trasformarla in un catalizzatore per impegnarsi profondamente nella pratica del Dharma, che alla fine porrà rimedio alle cause più profonde della sofferenza.

 [Ci sono molti modi per affrontare gli ostacoli: vederli come un'opportunità per esercitarsi. Se qualcuno ci rimprovera, pratichiamo la pazienza. Se siamo avari, pratichiamo la generosità come antidoto all'avarizia... in un certo senso, trasformiamo gli ostacoli in realizzazioni.
[56:27] A proposito della pazienza nel cammino, Milarepa disse: "All'inizio non arriva nulla,
Nel mezzo nulla rimane,  Alla fine nulla se ne va
”.  
Spesso c'è un approccio superficiale,  per i veri progressi occorre tempo: dieci anni, etc.  bisogna testare il cambiamento.  Non è facile cambiare e il cambiamento è graduale.
La pratica della compassione e della presa di consapevolezza della vacuità devono crescere insieme.

[1:05:30] La saggezza della vacuità e i mezzi abili della compassione sono come due ali di un uccello. Devono crescere e coltivarsi allo stesso tempo.
[1:07:38] Conclude leggendo il verso de “La pazienza del Dharma profondo”:
                     “I saggi raggiungono l'illuminazione mettendo in pratica
                      Il samādhi di dimorare nell'amore,
                      di dimorare nella compassione, di agire con gioia,
                      e con costante equanimità verso tutte le esistenze”

                      “Raggiungono l'illuminazione che è pace, priva di miseria.
                      Percepiscono gli esseri afflitti dalla malattia e dall'invecchiamento.
                      Hanno compassione verso di loro,
                      e danno loro gli insegnamenti della verità ultima. [9.72] 

Domande e risposte. [1:09:50] Se accettiamo tutto, come possiamo agire per migliorare l'ambiente?
Risposta: L'accettazione di ogni cosa è un concetto ambiguo,  il presente è questo, adesso e ora ed è il risultato del karma, si deve cercare di rimuovere le cause del karma.  Il tuo comportamento attuale può alleviare o aumentare la sofferenza.   Prima guarda dentro te stesso,  comincia ad amare te stesso e poi occupati degli altri.  La pazienza non è un'allegoria di un tappetino....

Risorse:
Per saperne di più sulle attività di Matthieu, compresi i suoi insegnamenti, i suoi libri e i suoi sforzi umanitari, visitare: www.matthieuricard.org.   Karuna-Shechen: www.karuna-shechen.org
Per accedere al nono capitolo de Il Re di Samādhis Sūtra: ...

  • https://84000.co/translation/toh127#U
  • https://84000.co/translation/toh127#UT22084-055-001-chapter-9
  • https://84000.co/translation/toh127#UT22084-055-001-797
  • https://84000.co/translation/toh9#UT22084-026-001-948
  • https://84000.co/translation/toh127#UT22084-055-001-802  (9.5)

Testi citati da Matthieu Ricard:

  • Patrul Rimpoche, The hearth treasure of the Enlightned ones
  • Jigme Lingpa, Treasury of Precious Qualities  

I significati del mandala nella tradizione indo-tibetana

Una breve introduzione ai significati del mandala nella tradizione indo-tibetana.
Massimiliano A. Polichetti - Funzionario storico dell’arte, Curatore delle Collezioni tibetane e nepalesi del Museo delle Civiltà.

Nella tradizione esoterica, liturgica ed iniziatica del Buddhismo mahayana, il bodhi (risveglio), nonché la peregrinazione verso di esso, possono essere descritti tramite la formalizzazione geometrica di un impianto architettonico. Il mandala viene perciò proposto quale rappresentazione ideale, in forma grafica, dei rapporti esistenti tra l’universo e la mente di chi sperimenti una delle realtà del multiverso. 

Il mandala può anche definirsi come “il mondo dell’essere presieduto dalla verità”; il bhavachakra (la pittografia ad andamento circolare rappresentante la “ruota delle rinascite”) è di contro il mondo del divenire, il samsara divorato dall’inconsapevolezza rappresentata da Yama, il dio della morte nella cosmologia buddhistica.    

Nella lingua sanscrita esistono più significati per il termine mandala (cerchio o circonferenza). Questo termine può significare il capitolo di un testo sacro (ad esempio il celebre decimo mandala del Rig Veda), oppure la sfera di influenza politica esercitata da una struttura di potere. È nella sua accezione religiosa che il termine mandala definisce un diagramma in cui vengono descritti e stabiliti i nessi tra l’uomo e l’universo.
Nel mandala interpretato secondo quest’ultima accezione vengono riassunte le principali concezioni cosmologiche e psicologiche buddhistiche alle quali Giuseppe Tucci, grande figura di asianista e padre della tibetologia contemporanea, diede la definizione, divenuta oramai classica, di “psicocosmogramma”, in quanto in questo sacro diagramma è rappresentata sinteticamente la serie di nessi che fanno della realtà, apparentemente frammentata, un tutto organico e coerente fin nella sue parti più infinitesimali.

Un mandala può essere rappresentato con una pittura, una scultura, per mezzo di pietre preziose, fiori, riso, pietre o sabbie colorate; può essere ricreato all’interno della propria mente per trasformarne attivamente i processi. La sabbia è considerata il materiale grossolano più efficace, in quanto tradizionalmente tratta da sostanze preziose che necessitano di un’estrema attenzione nell’esecuzione dei dettagli.

Nella tradizione Vajrayana del Buddhismo Mahayana la buddhità nonché il cammino verso di essa possono  essere descritti tramite la formalizzazione geometrica di un impianto architettonico. Il mandala viene perciò proposto quale rappresentazione ideale in forma grafica dei rapporti esistenti tra l’universo e la mente dell’uomo.  Sebbene prodotto su di una superficie piatta, il mandala è infatti da leggere nel suo sviluppo tridimensionale, essendo la divina dimora al centro della quale un buddha può manifestare lo stato del risveglio verso tutte le direzioni dello spazio.

 Sotto il profilo della rappresentazione formale il mandala è la proiezione su di un piano bidimensionale di un palazzo a pianta quadrata inscritto all’interno e al centro di una serie di barriere circolari.  
Iniziando dall’esterno, tali barriere potranno presentare una sequenza nella quale si enumera una prima cerchia, la più esterna, fatta idealmente di fiamme intese a tenere lontani i profani, coloro i quali non sono ancora maturi ad affrontare la peregrinazione spirituale verso il “Risveglio” (bodhi) che, simbolicamente, è racchiuso nella serie di percorsi e di corrispondenze delle quali il mandala è letteralmente saturo; è la barriera di fuoco che respinge chi non sia ancora “adatto” (adeptus) ad essere avviato alle complesse liturgie  proprie del veicolo segreto del Buddhismo.  
Segue una barriera di vajra, le “folgori adamantine” per le quali si compendia l’immodificabile natura della mente e le sue principali valenze emancipatorie, definite “metodo” (upaya) e “saggezza” (prajna); barriera impenetrabile per chi, pur avendo osato superare il cerchio di fuoco, non abbia ancora purificato la volontà. Questa barriera di vajra rappresenta la concretezza del piano assoluto della realtà, il piano ove gli adepti del Vajrayana divenendo “esseri adamantini” (vajrasattva) riescono ad esprimere il potere necessario ad intraprendere in modo positivo le liturgie del veicolo esoterico.  
La terza barriera, quella “composta da petali di fiori di loto” (padmavali), rappresenta la purezza  della sensibilità emozionale, la giusta disposizione da suscitare nel cuore di chi si stia accostando al proprio centro ineffabile. Si è giunti a questo punto nel mandala vero e proprio concepito come un divino palazzo e spesse volte disposto su più livelli attraversabili in sequenza attraverso elaborati portali. Ogni elemento di un mandala è la rappresentazione degli aspetti della divinità risiedente al centro.
Ogni porzione di un mandala ha il suo preciso significato. I suoi quattro lati rappresentano le Quattro Nobili Verità: la “sofferenza” (dukha), l’“origine” della sofferenza (samudaya), la “cessazione” della sofferenza (niroda) e il “sentiero” che conduce alla cessazione della sofferenza (marga). Il fatto poi che i quattro lati siano uguali sta a significare l’identità, sul piano assoluto, degli esseri risvegliati con quelli non risvegliati.  La porta orientale rappresenta le quattro attenzioni pure: al corpo, alle sensazioni, al pensiero, ai fenomeni. La porta meridionale le quattro occasioni di superamento: donare, parlare gentilmente, dare soccorso, essere coerenti nelle azioni rispetto alla parola data. La porta occidentale le quattro membra delle manifestazioni miracolose: puro desiderio d’essere, vigore, intelletto, indagine. La
porta settentrionale le cinque facoltà: fede, vigore, consapevolezza, concentrazione, saggezza.
I quattro archi rimandano alle quattro stabilizzazioni meditative. Le quattro cornici che bordano la base delle mura sono le quattro conoscenze discriminanti: dei significati, dei fenomeni, dei linguaggi, della pronta risposta. La decorazione di pietre preziose appaga i desideri degli esseri. Le ghirlande che pendono dalle travi significano il superamento degli ostacoli e delle loro impronte al momento di intraprendere il sentiero della meditazione. Un mandala può essere rappresentato con una pittura, una scultura, per mezzo di pietre preziose, fiori, riso, pietre o sabbie colorate; può finalmente essere ricreato all’interno della propria mente per trasformarne attivamente i processi. La sabbia è considerata tra i materiali grossolani il più efficace poichè tradizionalmente è tratta da sostanze preziose e necessita di un’estrema attenzione
per l’esecuzione dei dettagli del mandala.  Ci possono essere numerosissime divinità in un mandala a simboleggiare le varie manifestazioni degli aspetti della coscienza e del cosmo trasfigurati dalla sapienza trascendente personificata dal nume che risiede al centro del mandala in unione con la propria mistica consorte, personificazione femminile della Saggezza. Il palazzo è diviso in quadranti provvisti di mura e gallerie. I colori sono la specifica rappresentazione degli “elementi grossolani” (mahabhuta) di cui si compone la realtà fenomenica e degli “aggregati sottili” (skanda) sui quali la mente imputa l’esistenza nominale di un “io” convenzionalmente esistente.  
Sebbene prodotto su di una superficie piatta, il mandala è in realtà sempre da visualizzarsi nel suo sviluppo tridimensionale, essendo la divina dimora al centro della quale un buddha può manifestare lo stato del Risveglio verso tutte le direzioni dello spazio. La forma del mandala potrebbe essere ricondotta allo schema del palazzo di un Monarca Universale (chakravartin), concetto riconducibile a sua volta alla formalizzazione dell’ideale urbano iranico. La reggia del monarca indiano, come quella del monarca babilonese, si richiama al modello delle piramidi a gradoni sormontate da un tempio. Il Monarca Universale vi deve risiedere in quanto, come re degli dei, egli deve vivere sulla sommità della montagna cosmica, simboleggiante l’integrazione dell’ordine politico con quello religioso, l’unione indissolubile del
cielo e della terra: « quod est inferius est sicut quod est superius » (Pseudo Ermete, Tabula Smaragdina).
Secondo la descrizione che ne dà il Canone in lingua pali nel Dighanikaya, una tale residenza è circondata da sette muraglie fatte d’oro, argento, berillo, cristallo, rubino, corallo e da vari gioielli. Nella regola dell’ordine monastico mulasarvastivadin il palazzo presenta sette recinti, fatti però solo di quattro materiali preziosi: oro, argento, berillo e cristallo.  

Inevitabilmente la lettura di queste descrizioni riecheggia l’ultimo, in ordine di redazione, dei testi sacri del Cristianesimo; nell’Apocalisse di Giovanni di Patmos si trova la seguente interessante descrizione del Regno di Dio tra gli uomini: «La città è a forma di quadrato […] le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne d’ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, sardonice, cornalina, crisolito, berillo, topazio, crisopazio, giacinto e ametista» (21, 16-21). Agli effetti della pratica liturgico-iniziatica da compiersi all’interno di “un” mandala (se nella teoria si danno infiniti mandala, nell’arte se ne ritrova la raffigurazione di qualche centinaio) è necessario avere una chiara cognizione di se stessi quale divinità ed assumere il corrispondente “orgoglio divino” (devamana). In un tale processo le apparenze ordinarie, visibili dagli occhi della carne, non vengono negate; piuttosto, non permettendo ai fenomeni ordinari di apparire alla consapevolezza mentale si fa in modo che le divine apparenze brillino più forti. Quando, avendo interrotto le apparenze ordinarie e sviluppato il chiaro apparire di se stessi come una divinità, tale apparenza spirituale diviene finalmente stabile, le apparenze ordinarie degli aggregati fisici e mentali infine cessano. È allora che appaiono all’occhio della mente i divini aggregati fisici e mentali, i divini costituenti e sensi.  

Nel Buddhismo tibetano i mandala vengono creati per i rituali d’iniziazione nei quali un maestro concede il permesso, ai discepoli ritenuti maturi, di impegnarsi nelle meditazioni relative a particolari divinità archetipiche. Il “germe di buddha" (tathagatagarbha) presente nel continuum mentale d’ogni essere senziente viene nutrito dal processo di visualizzazione e contemplazione di questo mistico diagramma.  La resa formale, artistica, di tutto questo processo avviene in virtù di un sofisticato linguaggio simbolico che impiega, per la propria articolazione, una serie di codici presenti sincronicamente nella stessa immagine. Vi è pertanto un codice che si avvale della dislocazione spaziale dei vari elementi figurativi (siano essi geometrici o meno), cos’ come un codice cromatico, un codice sonoro, un codice “teurgico”, nel senso che anche le varie divinità, raffigurate con minore o maggiore realismo antropomorfico, sono a loro volta lemmi di una super-struttura sintattica finalizzata ad essere supporto sensibile alla pratica spirituale. 

I mandala

«Diventiamo ciò che veneriamo". "L’uomo non crea gli dèi a propria  immagine e somiglianza,
ma si concepisce a immagine e somiglianza degli dèi in cui crede". - Nicolás Gómez Dávila (1913 – 1994)

 “Senza beatitudine non c’è risveglio,  poiché il risveglio coincide con la beatitudine” -  Advayavajra, Mahasukhaprakasha, XI sec. E.C

 Mandala significa compassione, sentire insieme, sentire insieme la gioia, e non solo il dolore.  
Per mandala, lemma sanskito, si intende cerchio, sfera di influenza politica. Nel codice Manu si parla di mandala; mandala in tibetano si dice kilkor, parola che significa cerchio e circonferenza, ma anche cogliere l'essenza.

Ma a cosa serve il mandala, che significato ha nell'arte sacra?   Per i fruitori dell'arte sacra è una contemplazione di verità e quindi l'artista deve seguire delle regole molte strette nella realizzazione di queste figure.  In Occidente tra il creatore e l'umanità c'è un gap metafisico, c'è l'impossibilità di identificarsi con il creatore, in Asia il gap è annullato. Nella Chandogya Upanishad, importante testo della filosofia vedanta, sono contenute tre grandi massime o aforismi, detti mahavâkya, ossia grandi detti, che sono tre espressioni sanscrite che esprimono il concetto dell’identità tra Spirito individuale, Atman, e Spirito universale, Brahman.   Questi aforismi sono: 

  • Tat tvam asi,  Quello sei tu, dove Tat sta per ‘immenso, l’impronunciabile, il divino; mentre Tvam Asi significa “questo sei tu”. Pronunciando queste parole affermiamo di riconoscere e rispettare il divino in qualunque forma, entità o sensazione esso ci compaia davanti. 
  •  Aham brahmasmi, “Io sono Brahman, il Divino“. Qui diventiamo consapevoli di essere noi stessi divini
  •  Ayam atma brahman, “Questo Sè è il Brahman“, o anche “Dio e io siamo un tutt’uno“.


Nella tradizione vajrayana del Buddhismo mahayana la  buddhità nonché il cammino verso di essa possono essere  descritti tramite la formalizzazione geometrica di un  impianto architettonico.  Il mandala viene perciò proposto quale rappresentazione  ideale in forma grafica dei rapporti esistenti tra l’universo  e la mente dell’uomo.  Il mandala può anche definirsi il mondo dell’essere,  presieduto dalla verità. L'arte sacra è uno degli strumenti per identificarsi con il termine ultimo della santità. La mente è un cristallo trasparente, se appoggio la mente su un oggetto virtuoso, divento virtuoso; l'arte acellera la Teosi, il passaggio da essere umano a Nume essere.


Il Buddha ha estinto la contaminazione mentale, ma la mente continua ad esistere nel tempo. I tantra sono dei testi per dare dell'indicazioni agli artisti.  Nel Tibetan Painted Scrolls testo in inglese scritto da Tucci nel 1949, c' è un capitolo dedicato ai mandala nella tradizione indo-tibetana. Poi Tucci scrisse Teoria e pratica dei Mandala nel 1961 che è uno dei testi fondativi per capire i mandala.  Nel testo Psicologia del profondo, per Jung: "il mandala è un archetipo di individuazione", la salvezza mentale, la buddhità. Il mandala rappresenta il rapporto trsa l'universo e la mente dell'uomo (il rapporto tra macrocosmo e microcosmo).  Diventiamo ciò che veneriamo.    Teosi significa: Diventare simili a Dio. Non diventare Lui, ma piuttosto partecipare alle energie divine.

Il mandala è anche, ma non solo, la proiezione su di un piano bidimensionale di un edificio a forma quadrata.  Nel santa sanctorum, c'è la casa dell'embrione del Buddha, tutti gli esseri hanno la potenzialità di diventare Buddha. Quando la causa sostanziale e la causa circostanziale si uniscono il seme diventa spiga, e in noi si manifesta la natura di Buddha. Il seme è il Vajra, shakti, descritto nel Kalachakra Tantra, senza beatitudine non c'è risveglio, poichè il risveglio coincide con la beatitudine. Esistono mandala diversi perchè diversi sono i percorsi di Teosi da uomo a Dio. Ognuno di noi si trova in una tappa diversa, quindi occorrono mandala diversi. Occorre fare offerte alla divinità e ripetere il giusto mantra per ritrovare il shambara terra pura  (equivalente al paradiso), che sta qui, da qualche parte.

Nei tantra, l'emozione, se controllata risveglia la Teosi, mentre nei sutra le emozioni disturbano il processo.  

Bisogna distinguere il mandala dallo Yantra che è un paradigma geometrico del mandala, un lontano cugino,  e dal  Bhavachakra, la Ruota dell'Esistenza e delle rinascite, è una rappresentazione visiva cruciale nel Buddhismo tibetano, che illustra il ciclo di nascita, vita, morte e rinascita, noto come samsara. È una ruota che illustra il mondo del divenire, il samsara  divorato dall’oblio rappresentato da Yama, il dio dei morti  nella cosmologia buddhistica.  Uno yantra è una figura geometrica complessa utilizzata nel tantrismo, nello yoga e in altre pratiche spirituali per la concentrazione e la meditazione. Funge come un diagramma o un amuleto mistico che aiuta a focalizzare l'energia e a raggiungere stati di coscienza più elevati.

Nel 1993, c'è stata la costruzione del mandala di sabbie colorate  all'acquario di Roma,  il Kala chakra composto da innumerevoli iconogrammatrie.  I granelli di sabbia colorata sono usati solo in occasione di cerimonie del tantra buddhista. Nelle cerimonie di inziazione, tra le tante cose, c'è anche la costruzione di un Mandala di sabbia che deve essere perfetto. Poi la sabbia deve essere smaltita con l'acqua, Le regole di costruzione sono immutabili, ogni tanto ci sono delle micro-variazioni, che però devono essere giustificate. 

Cosigliati:  

  • - film:  L'arte della felicità (2013)  di Alessandro Rak  
  • - testo: Teoria e pratica del Mandala. Giuseppe Tucci, 1969 (London 1961)
  • - testo: Il mandala: "archetipo di individuazione" - Carl Gustav Jung

martedì 18 marzo 2025

Differenza tra consapevolezza (in tibetano trenpa) e presenza mentale ( rigpa)

Mingyur Rimpoche presenta la differenza tra la consapevolezza e la presenza mentale e sceglie la consapevolezza.  Oggi ci sono molti stili di presenza mentale, alcuni validi altri meno, e molti sono completamente inventati.    

Sostanzialmente ci sono due tipi di meditazione:
- la prima Object oriented  con il focus sull'oggetto  (suoni, corpo, respiro, sensazioni, pensieri, ecc)  dove serve la concentrazione. Quando ci si distrae,  si riporta l'attenzione sull'oggetto, e ciò porta una certa rigidità.
- la seconda Self oriented.

Nello stile di meditazione del mio lignaggio, si da importanza alla consapevolezza, che come allegoria è una specie di lanterna, chee produce una fiamma con due particolarità: - La capacità di illuminare intorno a sé e ogni cosa intorno diventa visibile;  - La lampada è la luce stessa, self - luminosità.
Anche la mente ha la capacità di percepire gli oggetti,  ma anche la qualità di illuminare se stessa, di conoscere se stessa.
Nella tradizione tibetana il focus è sulla consapevolezza; Qualsiasi oggetto può fare da supporto per riconoscere e connettersi con la consapevolezza. La cosa importante è connettersi con la consapevolezza che è aperta e vasta.

Si può anche fare in due step una meditazione chiamata di consapevolezza aperta, senza avvalersi di un oggetto: - il primo passo è rilassarsi senza meditare, - il secondo è riuscire a meditare senza oggetto.

La presenza mentale è più conservatrice, la consapevolezza più liberale;
il respiro e qualsiasi cosa sorga nella mente: quindi esperienza, sentimenti, sofferenza , ecc,  può diventare un supporto, un punto di riferimento per la consapevolezza.
La consapevolezza è sempre presente e libera, è al di là dei fenomeni  e completamente calma e pura;
e questa sua meravigliosa natura è sempre con noi.
Il problema è che non riusciamo a riconoscerla.
Questa libertà, questa qualità di presenza e apertura della consapevolezza, questa presenza vigile di consapevolezza è sempre con noi. E' meraviglioso.
Noi dobbiamo solo connetterci con questa consapevolezza, usando un oggetto o meno, questa è il cuore della pratica.

La consapevolezza è il cielo, e le emozioni, i pensieri, le sensazioni  sono le nuvole.  La consapevolezza è un posto sicuro dentro di noi, che contiene compassione, benevolenza e saggezza. Dobbiamo solo riconoscerla. Il Big secret è la open awareness meditation chiamata anche object-less meditation. Ossia bisogna lasciare la mente così come è, in questo istante. La vera meditazione non richiede di meditare perchè la fondamentale qualità della nostra mente è pura, è oltre, è presente.  Avvertiamo allora il senso di essere, il senso di rilassamento, il senso di presenza. Dobbiamo lasciare ogni cosa così come è; e essere completamente naturali.

Joyful Wisdom - Yongey Mingyur Rinpoche

 "La notra vita è modellata dalla nostra mente, noi diventiamo quello che pensiamo " - dal Dhammapada "Come esseri umani, soffriamo per non avere ciò che vogliamo e per non tenere ciò che abbiamo".

Questo è il periodo dell'ansietà e della infelicità. Il libro - Gioia e saggezza - offre una guida per applicare gli insegnamenti e le pratiche buddhiste alle sfide della vita quotidiana.    

Il tempo che le persone dedicano ad accumulare la ricchezza esterna offre poche opportunità per coltivare la ricchezza interiore; questo squilibrio lascia le persone particolarmente vulnerabili alle difficoltà della vita. Le persone sono paralizzate da bassa autostima, depressione, stress o emozioni debilitanti.

Mindfulness è la pratica che ci permette di accogliere dolcemente pensieri, emozioni e sensazioni, e non è facile perchè siamo, per la maggior parte del tempo, sopraffatti dagli aspetti della nostra esperienza quotidiana. E' sorprendere scoprire che pensieri e sentimenti che sembravano solidi e potenti svaniscono, come sono apparsi. E si scopre piano piano, che  il senso di solidità e permanenza è un'illusione.

Dovremmo essere come un viaggiatore intelligente che porta i problemi con se, senza farsi prendere dal panico. Importante è imparare ad osservare i pensieri e le emozioni, attraverso la meditazione, che vengono e vanno. Gradualmente si comincia a realizzare che i sentimenti, come speranza, paura, rabbia, ecc, non sono altro che idee che fluttuano nella nostra mente. Dovremmo apprendere a liberarci dalle abitudini mentali e dalle emozioni che imprigionano la maggior parte delle persone in conflitti interiori e esteriori senza fine. 

Riconoscere che,  disagio, malattia e malessere (dukkha), sono le basi dell'esistenza è il primo passo per liberarcene o almeno saremo preparati per affrontarli. Le quattro grandi sorgenti della sofferenza sono: nascita, vecchiaia, malattia e morte. Spesso ci creiamo noi stessi della sofferenza, in modo inconscio,  inventandoci delle storie, dicendoci che non siamo abbastanza bravi, ricchi, intelligenti, ecc. e non ci sentiamo  a nostro agio se siamo vestiti male, non ci piaciamo fisicamente, se abbiamo i capelli corti, lunghi, il naso corto, ecc... poi poco a poco ci rendiamo conto che queste deformità sono solo una creazione della nostra mente.

Ci sono tre categorie di sofferenza; 1 - la sofferenza per il soffrire, 2 - la sofferenza per il cambiamento, 3 - la sofferenza pervasiva. 

1. si manifesta quando siamo in situazioni di disagio, accentuiamo il dolore associandoci aspetti psicologici e emozionali.     2.  si manifesta quando siamo in cerca sempre del nuovo, questa ricerca in oggetti esterni accentua la credenza che non siamo completi, non possiamo essere sofddisfatti con noi stessi.  3- anche se siete nella situazione perfetta, c'è sempre quel piccolo sconforto che ti invita a muoverti e rimetterti alla ricerca di qualcosa che non esiste.      

Si dovrebbe apprezzare il continuo e incessante cambiamento che avviene minuto dopo minuto, quel continuo cambiamento che i buddhisti chiamano impermanenza. Appena registriamo l'idea "ora" che già è diventata "poi". Bisogna apprendere a diventare amici dell'impermanenza...    Occorre portare l'attenzione ai cambiamenti nel corpo eseguendo il respiro, osservare il continuo cambiamento a livello sottile...  Il modo in cui sperimentiamo le cose e gli eventi è semplicemente il riflesso della nostra mente.  Se riusciamo ad osservare questo fenomeno, abbiamo un'opportunità di  conoscere un pochino di più la nostra mente.  La seconda nobile verità spiega che le cause della sofferenza non risiedono negli eventi e circostanze ma nel modo in cui noi percepiamo e interpretiamo la nostra esperienza.  Ma da cosa deriva la nostra interpretazione?   Stiamo dicendo quello che stiamo dicendo perché crediamo veramente a ciò o perchè è dovuto alla cattiva giornata che ho passato al lavoro??? Dobbiamo capire che tutto è relativo.

Ignoranza, desiderio e avversione sono definiti "i tre Veleni" nel buddhismo. Quando ci fissiamo sulle nostre percezioni, perdiamo la nostra abilità di volare.  Cambiando percezione, la stessa esperienza cambia.

Prendiamo il fenomeno della vecchiaia, pensa quante cose puoi fare adesso, che non potevi fare quando eri giovane... L'età non è il nostro nemico; la fissazione è il nostro nemico,  se ci sentiamo vecchi, poco attraenti e inutili, cominciamo ad agire da vecchi...  Bisogna riuscire a guardare da vicino e con coraggio le cause del nostro malessere, solo guardando direttamente il fenomeno possiamo attenuarlo o eliminarlo (ad esempio il problema di bassa autostima, gelosia, ecc..).

Ma come posso liberarmi dall'attaccamento, speranze e paure?  Semplicemente non provando!!! Perchè provando a uscirne, si rinforzano semplicemente le paure. Devo limitarmi semplicemente ad osservare le mie emozioni.

Esistono due tipi di consapevolezza: la pura consapevolezza e la consapevolezza condizionata. La consapevolezza condizionata è una prospettiva colorata da ignoranza, desiderio e avversione. La natura di Buddha, che può emergere e si può sperimentare a tratti nella nostra quotidianità,  è caratterizzata da infinita saggezza, infinita capacità, e da un'immensurabile amore-gentilezza e compassione.   Questi momenti sono chiamati "Momenti di Buddha". Ognuno di noi ha il proprio rifugio.

Spesso se una persona ha dieci qualità, di cui nove positive, la maggior parte delle persone si focalizzerà esclusivamente sulla qualità negativa. Alcune abitudini mentali e emotive condizionano il nostro punto di vista. Diventiamo attaccati a un personale punto di vista, Crediamo che il modo in cui guardiamo le cose, sia il vero modo di guardarle.  Quotidianamente proviamo un senso di incompletezza, isolamento e instabilità e nello sforzo di combattere il nostro disagio, ci attacchiamo alle cose esteriori. Ma purtroppo le nostre certezze e cose materiali su cui basiamo la comprensione del mondo (il lavoro, il rapporto, la salute)  spesso si sgretolano. La stessa persona gioiosa che guarda  la vita con entusiasmo il giorno dopo è arrabbiata, o depressa, e non riesce ad uscire dal letto. Quanti  "IO" esistono?  Noi abbiamo la tendenza a dire che questi aspetti sono delle "parti" di me stesso! Ma se ci sono delle parti, ci può essere l'Uno?   Poco a poco riconosciamo che non esiste persona, oggetto, posto che sia indipendente, ma ogni cosa è fatta da un numero di parti differenti, cause e condizioni interrelate. Questo è uno dei principali concetti buddhisti l'Interdipendenza di tutte le cose.  Ma cosa significa? Che non siamo reali? che i miei sentimenti non sono reali? Altro elemento importante negli insegnamenti buddhisti è il vuoto o la vacuità (il principale soggetto del secondo insegnamento del Buddha - o ruota dell'insegnamento).  Il vuoto è il background, un infinito spazio "aperto" che permette ad ogni cosa di apparire, cambiare, scomparire e riapparire. E' l'assoluta realtà, la natura di base, di tutte le nostre esperienze.  Non è zero, ma non è nulla. E' la base della natura di Buddha; una potenzialità aperta e senza fine per ogni tipo di esperienza.

Ci sono tre stadi della pratica:   l'ascolto, la contemplazione, la meditazione. L'ascolto è il permettere a se stessi di essere introdotti a nuovi fatti e idee. La contemplazione è pensare alle indicazioni ricevute durante gli insegnamenti e vedere se sono validi per capire e affrontare gli eventi della vita. E capire quanto la tua vita è colorata, a livello emotivo, fisico o intellettuale, da dukkha (sofferenza) o da disagio. La meditazione inizia proprio osservando le nostre esperienze senza giudicare. L'uso della mente per guardare la mente, è ciò che, nella tradizione buddhista, si intende per meditazione.  Il termine tibetano "gom" significa proprio familiarizzare, e in questo caso familiarizzare con il funzionamento della mente. Il Buddha introdusse una serie di pratiche finalizzate ad aiutarci a prendere le distanze e osservare la mente.

 Anche nel buddhismo si sottolinea l'importanza del rapporto mente-corpo,  "per far si che la mente sia calma e quieta, il corpo deve essere disciplinato".  Nel testo Mingyur Rinpoche presenta l'allegoria del rapporto tra il fantino e il cavallo, il fantino è la mente, il cavallo è il corpo; un fantino tranquillo può calmare il cavallo, un cavallo tranquillo può calmare il fantino. Nel metodo formale di meditazione vengono presi in considerazione sette punti della posizione fisica chiamata Vairochana (il significato è il sole) . - Il primo punto è stabilire una ferma base per collegarti  all'ambiente dove si sta praticando; - il secondo è riposare le mani sull'ombelico: - il terzo è lasciare dello spazio tra le braccia e la parte alta del corpo; - il quarto è tenere la colonna più perpendicolare possibile rispetto al suolo; - il quinto allungare il collo inclinando il mento verso la gola (un po' più del normale); - il sesto interessa la bocca, e i denti , ossia si deve permettere alla bocca di riposarsi naturalmente; - l'ultimo punto riguarda gli occhi, cercare di mantenerli aperti, così è più facile rimanere consapevoli, e importante è avere un focus su cui portare l'attenzione, senza vagare da esperienza a esperienza. Trovare un equilibrio fisico aiuta a stabilire un equilibrio tra il prana (energia), le nadi (i canali in cui questa energia si muove) e i bindù (le gocce di energia vitale). Importante è trovare un equilibrio per lo stato del nostro corpo e della nostra mente, trovare la via di mezzo, non troppo teso, non troppo rilassato. All'inizio è consigliato fare brevi sedute di meditazione, magari nello stesso giorno.      La meditazione in questo modo diventa parte della nostra vita quotidiana, piuttosto che qualcosa che facciamo per sentirci bene...

Noi riceviamo sollecitazioni continue dai nostri sensi, dai nostri pensieri ed emozioni. Per questo la maggior parte delle persone si sentono stressate. Una delle pratiche base è chiamata Shamatha (che significa pace, calma).  Quando osserviamo qualcosa, sentiamo qualcosa, o guardiamo qualcosa, un pensiero, un'emozione formuliamo sistematicamente una specie di giudizio  riguardo l'esperienza. Mi piace, Non mi piace, Non so...   Shamatha è il lasciar andare, Non formulare giudizi o opinioni, osservare semplicemente il fenomeno.  La semplice consapevolezza è la capacità di vedere e riconoscere quello che stiamo vedendo, ma senza concetti associati che disturbano la nostra visione.    Senza la chiarezza, non saremo capaci di percepire, pensare o provare qualcosa. Shamatha ci aiuta a sviluppare la nostra chiarezza interiore.  Shamatha si sviluppa attraverso vari passi:

  • 1- non focalizzarsi su qualcosa in particolare,  la mente è in pace, aperta, riposata ed immersa nel momento presente. Qui e ora, è il solo momento presente.
  • 2- oltre i cinque sensi, il buddhismo riconosce un sesto senso chiamato coscienza mentale, è quello che i neuroscienziati descrivono come la capacità di organizzare le informazioni ricevute attraverso i sensi e formare un concetto o immagine mentale. La tecnica per usare la vista come mezzo di far riposare la mente è la meditazione della forma. Ossia riposare l'attenzione su un oggetto specifico, o sulla forma o sul colore. cominciamo a realizzare che quello che vediamo e come lo vediamo è un'immagine fatta da pensieri, memoria, e limitata dai nostri organi sensoriali. E non c'è differenza tra ciò che vediamo e la mente che vede l'oggetto.
  • 3- portare l'attenzione a un suono,  e come nel punto precedente, gli oggetti visuali e i suoni servono a far riposare la mente. La meditazione accompagnata da suoni ci aiuta a distaccarsi gradualmente dall'assegnare un significato ai suoni che udiamo. 
  • 4- partecipare all'esperienza fisica. C'è un modo formale per usare le sensazioni fisiche della respirazione come focus per calmare la mente, ad esempio contando la prima inalazione e esalazione come uno, e arrivare a ventuno. Poi ricominciare. Prendere quindi le nostre sensazioni fisiche come opportunità di diventare consapevoli (testimoni) della consapevolezza.  Anche l'attenzione alla sensazione di dolore fisico può aiutarci a gestrire e affrontare il dolore.
  • 5- l'attenzione ai pensieri. Pensare è la naturale attività della mente. se si osservano i pensieri, si comincia a percepire che appaiono e scompaiono rapidamente, lasciando un piccolo spazio tra l'uno e l'altro... Portando l 'attenzione su questo spazio, a poco a poco lo spazio aumenta e la mente si riposa. Dando attenzione a quello che stai sperimentando in un dato momento è una forma di meditazione. Occorre guardare ai pensieri in se stessi, senza cercare le cause e le condizioni che li hanno fatti apparire nella mente.  Semplicemente guardare l'esperienza direttamente. Alternando momenti di attenzioni ai pensieri a momenti di non attenzione.
  • 6- l'attenzione alle emozioni, osservare le emozioni che si provano senza attaccamento o avversione, semplicemente inquadrandole nelle categorie, positive, negative o neutre. Quali tipi di emozioni prevalgono? Occorre cercare di evitare persone o situazioni che provocano emozioni negative. 

L'intuizione.  Il metoto per arrivare all'esperienza diretta della vacuità, unificata alla chiarezza, è chiamato vipashyana (in sanscrito) che significa intuizione e vedere oltre. Combinando la comprensione della vacuità con il metodo dell'attenzione, vipashyana offre un metodo esperienziale di andare oltre gli attaccamenti concettuali di "me", "tu", "loro", "gelosia", "rabbia" e così via. Ci troviamo di fronte alla libertà di consapevolezza senza limitazioni dovute alle abitudini mentali  ed emozioni. Ad esempio quando stiamo attraversando momenti difficili, di sofferenza e dolore dovuti a divorzi, perdita di persone care, dovremmo prendere consapevolezza del dolore e suddividerlo in piccoli pezzi guardando le sensazioni che emergono. Le sensazioni che passano nella mia mente, nel mio corpo, i pensieri che emergono, in questo modo divento l'osservatore e mi disidentifico. Si può arrivare per un istante all'esperienza che non c'è più distinzione tra osservatore, il fenomeno osservato e l'atto dell'osservare.

Nirvana è la diretta esperienza della nostra inerente natura libera, - una perfetta pace della mente libera da concetti, attaccamenti, avversioni, ecc.  Samsara è un punto di vista al quale noi siamo diventati attaccati in uno sforzo per definire noi stessi, gli altri, e il mondo intorno a noi mentre viaggiamo in un regno caratterizzato da impermanenza e interdipendenza.  L'ego, nel buddhismo, è un semplice insieme di funzioni sviluppate per assisterci a navigare nella realtà relativa.

Vipashyana è spesso difficile da praticare perchè disturba il nostro attaccamento alle cose che è diventato per noi famigliare. Il samsara è un'espressione del nirvana.

La vacuità. Chi sono "Io"?  In effetti non possiamo veramente trovare un "Io".  Il nostro corpo è sottoposto a continui mutamenti, quindi cerchiamo un "Io" interiore che non può essere definito dalle circostanze. Noi agiamo come se avessimo un "io" da proteggere, evitare il dolore e cercare conforto e stabilità. Le implicazioni sono che  dolore e piacere sono qualcosa di estraneo al nostro "io".

Lo scopo della meditazione è anche quello di scoprire dentro la nostra propria esperienza un senso di libertà dall'idea dell'  "Io" permanente e indipendente.  Questa è un'esperienza che, una volta provata, può cambiare la nostra vita aprendo a nuove dimensioni e possibilità.

Raggiungere Shamatha con una comprensione della vacuità non significa comunque negare la realtà relativa che è la cornice nelal quale operiamo nel mondo. La negazione di questa realtà relativa può portare alla follia. C'è un terzo livello che è quello della "finta realtà reale".  Noi dovremmo rapportarci con l'esperienza con la consapevolezza che dividerla in osservatore e fenomeno osservato è essenzialmente una invenzione concettuale.  Quando portiamo la mente ad osservare la mente - se stiamo cercando "me", "altri" "pensieri" e "sensazioni", possiamo iniziare a vedere la mente stessa.  Diventiamo aperti alla possibilità che la mente - l'unione di vacuità e chiarezza -è capace di riflettere ogni cosa.

Empatia. "L'essere umano è parte di un tutto chiamato da noi universo".  L'empatia è l'abilità di identificarsi con o capire la situazione nella quale gli altri si possono trovare. l'ordinaria gentilezza amorosa e compassione include differenti fasi; - la prima è quello di sviluppare un senso di tenerezza verso se stessi. - Guardare l'esperienza di se stessi nel momento presente (l'essere vivi in questo momento)  come focus della meditazione. - Riconoscere che abbiamo un corpo, una mente e apprezzarli è il primo seme per la felicità e il sollievo dalla sofferenza. - Poi si dovrebbe lavorare sui pensieri e scoprire quanto è bello essere in vita, scoprire un senso di benessere che apre a tutte le possibilità.  Questa fase nel buddhismo tradizionale si concretizza nella recitazione di preghiere "possa io conseguire la felicità, possa essere libero dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza". Poi la mente si riposa, rilassata e aperta.  E' importante trattare tutti con gentilezza, anche le persone per cui provi antipatia. Molti praticanti buddhisti prendono fiducia in loro stessi quando cominciano a vedere che si possono affrontare situazioni difficili con la chiarezza e la saggezza nate dalla compassione e gentilezza amorevoli.  Si sviluppa in questo modo un grande apprezzamento per le possibilità insite nell'essere umano.

Bodhicitta.  Bodhi significa diventare sveglio, citta significa mente o spirito.  Nella tradizione buddhista ci sono due tipi di bodhicitta: relativa e assoluta. - Assoluta quando la mente è completamente pura, come lo stato a cui arrivò il Buddha che per otttenere questo risultato impiegò sei anni.   - Lo sviluppo della bodhicitta relativa implica due aspetti: aspirazione e l'applicazione.  Questa aspirazione può prendere le forme di seguire dei consigli, ascoltare un insegnamento, o seguendo l'esempio di un maestro. L'applicazione della bodhicitta può concretizzarsi con piccoli gesti, come ad esempio non rubare, non fare gossip, non procurare dolore, ecc... gioire per le belle cose che accadono ad altre persone piuttosto che essere preso da gelosia.  Questo crea una situazione vincente per tutti.  L'aspirazione (o intenzione) ha un grande potere,  la mente diventa più forte, il comportamento emotivo diminuisce, e la capacità di aiutare gli altri aumenta.

Ma cosa dobbiamo fare quando ci troviamo di fronte ad ansia, lutto, gelosia, rabbia o disperazione?          "Ogni cosa può essere usata come un invito alla meditazione".  Sogyal Rimpoche            La meditazione non è separata dalla nostra vita, è la nostra vita. 

Per eliminare i problemi, abbiamo bisogno di problemi. La nostra vita è contornata di sfide e problemi di ogni tipo, come gestirli? Per i buddhisti l'obiettivo è non di eliminare o risolvere i problemi, ma usarli come base o focus per riconoscere il nostro potenziale. Ogni pensiero, ogni emozione, e ogni sensazione fisica è un'opportunità per portare la nostra attenzione all'interno e diventare un po' più familiari con la sorgente. Oltre il fango costituito da ignoranza, desiderio, avversione troviamo l'oro, la nostra natura di Buddha, che in essa stessa è oltre ogni descrizione.  Decenni di esperienze e fango non hanno cambiato la natura dell'oro e la nostra vera natura. Per molti, è un lento e graduale processo avvicinarsi e percepire queste qualità positive innate all'essere umano. Qualità che spesso abbiamo difficoltà a percepire in noi stessi. Alcuni si chiedono: "ma se io ho queste qualità, perchè sono sempre nervoso, ansioso, depresso, senza speranza, o litigo spesso con gli altri "?

 Le percezioni influenzano le esperienze, le esperienze influenzano il comportamento, i comportamenti rinforzano le esperienze e le esperienze rinforzano la percezione.   Il testo Abhidharma spiega l'insegnamento buddhista in dettaglio ed elenca  84 tipi di afflizioni mentali e emotive che ci impediscono di cambiare. Il testo Mahayana Uttaratantra riporta le abitudini che ci impediscono di percepire la nostra vera natura che possiamo chiamare "Buddha Nature Blockers". Questi blockers sono le modalità con cui rispondiamo alle esperienze e ci impediscono di rapportarci alla vita con saggezza e consapevolezza. Il primo blockers è la tendenza a autocriticarci e a giudicarci e a sentirci inadeguati, incompetenti, sbagliati. Bassa autostima, ansia da prestazione rientrano in questo primo caso. Alcool e droga provvedono un senso artificiale di sicurezza a persone che mancano di fiducia in loro stessi o con difficoltà a relazionarsi con gli altri.  Il secondo blockers è l'attitudine a giudicare gli altri. Le altre persone sono meno competenti di noi, sono sbagliate, sono in torto...  Rappresenta la difficoltà a vedere qualcosa di buono negli altri. Questo è anche quello che succede a varie coppie, dopo un lungo periodo di convivenza, i partner cominciano a vedere le imperfezioni dell'altro, e il partner diventa fonte di irritazione e dolore.  Il terzo blocco è quello di vedere il falso per il vero. I buddhisti lo chiamano 'eternalismo',  ossia la tendenza a considerare certi aspetti dell'esperienza come assoluti, e non una combinazione  temporanea di cause e condizioni. Il quarto è vedere il vero per il falso. il quinto blocco, che può essere considerato la base degli altri, è il mito di Sè stessi. Ci aggrappiamo alle nostre opinioni, nostre narrazioni senza mai metterle in discussione.  Questi blockers lavorano in sinergia, e condizionano il nostro modo di pensare e agire e dobbiamo anche essere consapevoli che questi blockers sono un prodotto del nostro modo di pensare.  Guardare al modo in cui guardiamo le cose è l'essenza di vivere sul sentiero. in questo modo i semi delle nostre qualità positive cominciano a germogliare.

 "La consapevolezza è un modo neutrale che permette di mantenere la nostra capacitò di riflessione anche quando ci troviamo in mezzo a emozioni turbulente". - Danile Goleman.  

L'obietttivo della pratica dell'attenzione o samatha è diventare consapevoli di essere consapevoli, La consapevolezza è la base, il supporto della mente. La consapevolezza ci permette di capire cosa stiamo provando a livello emotivo e cosa stiamo pensando. La prima tappa è quella di portare l'attenzione ai pensieri, alle sensazioni senza nessuno scopo o intenzione. Giusto arrivare a notificare cosa si  sta provando, pensando. La seconda tappa è la consapevolezza meditativa, ossia arrivare ad avvicinare emozioni e pensieri come oggetti di focus per stabilizzare la consapevolezza.  Spesso quando proviamo a prenderne consapevolezza, spariscono, e questo è un bel risultato perchè siamo arrivati ad essere consapevoli di essere consapevoli.   Se non spariscono è una buona opportunità di diventarne l'osservatore, lo spettatore.  Per incominciare dovremmo darci dei piccoli obiettivi, ossia cercare di focalizzarci su un suono o una forma, e poi passare ad allenarsi e focalizzarsi su piccole emozioni o pensieri che influenzano la nostra attuale esistenza (come ad esempio l'irritazione di fare la fila per un certo tipo di servizio). Solo dopo potremmo affrontare emozioni come la solitudine, l'autostima, ecc.     Terza tappa è cercare di prendere le distanze e cercare di guardare cosa si nasconde dietro un'emozione - che è il supporto all'emozione stessa.   Ad esempio se provi del panico, quello che ti può dare fastidio è la paura del panico. La stanchezza può essere ad esempio un segnale di depressione, ecc.   La quarta tappa è apprendere durante il periodo di sospensione della pratica. 

A volte è necessario sospendere la pratica di meditazione e fare altro quando il focus della meditazione diventa troppo intenso. Questo perchè le riserve fisiche, mentali, emozionali sono esaurite. E' importante quindi alternare periodi di pratica e periodi di riposo.  Lo stesso principio è valido quando si provano senzazioni positive e la mente diventa immobile. Dobbiamo avanzare lentamente e alternare periodi di riposo. Il periodo di riposo è importante tanto quanto il periodo di inizio pratica.

Guardando ad esempio l'aspirazione di una persona ad una relazione duratura,  si potrebbe scoprire che il vero focus dei suoi pensieri è il fatto di sentirsi non amabile e i ricordi della sua infanzia, quando non era invitata alle feste, ecc... Spesso dietro ad una aspirazione o desiderio c'è una vera trama. Considerare tutti questi singoli aspetti della trama, è un modo di meditare. La consapevolezza permette di scomporre il problemi in tanti piccoli sottoproblemi, il dolore in tanti piccoli pezzi.  E piano piano si prende consapevolezza che tali sensazioni non sono inamovibili o fissi. Si comincia a sentire una connessione con gli altri che trascende desiderio, gelosia e paura. Si comincia a riconoscere che tutti i fenomeni sono interdipendenti e composti da molte piccoli parti.

Oggi, la rabbia verso l'ex- partner, un collega di lavoro, un famigliare può durare degli anni. Se guardiamo le emozioni da vicino, come ad esempio la rabbia, vedremo che sono  costituite da una combinazione di parole e pensieri, e se inizio a separare queste parti, non trovo più la rabbia o per lo meno riesco ad attenuarla.  Un'altra opportunità per ammortizzare l'effeto di emozioni negative è quello di concederci l'opportunità di osservarle di nuovo. L'obiettivo di queste pratiche di interiorizzazione è rompere l'illusione della permanenza di un fenomeno o emozione e arrivare a capire quale componente dell'emozione ha fatto scattare un tale atteggiasmento.  Spesso si riesce a far emergere nella nostra coscienza, episodi dell'infanzia o altro che ci hanno reso sensibili  o vulnerabili davanti a certi episodi. Molte persone resistono a queste pratiche di interiorizzazione e trovano difficile smontare l'emozione negativa in piccoli pezzi. La resistenza principale è dovuta alla paura del cambiamento, la paura di perdere la nostra identità, ossia la tendenza a sentirsi senza speranza, soli, ansiosi o impauriti.  Molti hanno bisogno di drammi o situazioni conflittuali per vivere nella quotidianità, se vogliono cambiare, devono interiorizzare e scomporre questi sentimenti per riuscire a capire perchè!

Estendere l'empatia. Spesso se siamo stati feriti da qualcuno, rispondiamo con lo stesso atteggiamento. I maestri buddhisti indicano un'altra via percorribile "The High Road", ossia invece di rispondere in modo conflittuale, rispondere empaticamente, sperimentando una pace mentale cercando di aiutare l'altra persona. L'empatia ha un gusto differente, è un processo di trasformazione. permette di riconoscere che il comportamento dell'altra persona è stato provocato da emozioni conflittuali che avevano preso il sopravvento. Questa pratica nel buddhismo è chiamata Tonglen, si riconoscono le sofferenze degli esseri sensienti e si cerca di prenderle dentro di sé,  e  poi si immagina di portare all'esterno tutte le nostre qualità positive e di indirizzarle verso gli altri.  E' un percorso molto lungo, c'è bisogno di tempo per migliorare le nostre capacità di gentilezza amorevole e compassione.

 Le vere basi delle pratiche buddhiste sono: capire la capacità della mente di creare la percezione della realtà nella quale ci troviamo.  

La vera forza risiede nel percepire le nostre debolezze. Nell'affrontare le nostre emozioni disturbanti e i problemi che si verificano nelle nostre vite, scopriamo un'esperienza di benessere che si estende dentro e fuori di noi. Noi siamo tutti dei Buddha, soltanto non lo riconosciamo. Quando ci prefiggiamo di sviluppare la consapevolezza della nostra vera natura di Buddha, cominceranno dei cambiamenti nell'esperienza nella nostra vita quotidiana. Le cose che ci turbavano perderanno il loro potere su di noi. La saggezza consiste nel risveglio del cuore, il riconoscere la nostra connessione con gli altri, ed è la strada della gioia.

Nella tradizione Vajrayana del buddismo tibetano quando arriva il momento della morte, i grandi maestri si mettono nella postura meditativa (tuk dam). Tukdam è uno stato meditativo che si dice avvenga dopo la morte clinica in cui il corpo mostra minimi segni di decomposizione, mantenendo un aspetto realistico per giorni o addirittura settimane.  

Le quattro dimore divine nel Buddhismo

Uno degli aspetti fondamentali del buddhismo è coltivare degli stati mentali positivi. I quattro incommensurabili stati mentali (Brahmavihara), o "Dimore Divine", sono: la compassione (karuna), la benevolenza o amore (metta), lo gioia compartecipe (mudita) e l'equanimità (upeksa).  Nella tradizione antica queste qualità o stati mentali sono irradiati in tutte le direzioni in modo illimitato e verso tutti gli esseri. Secondo Thich Nhat Hanh, essi consentono di guarire da molti stati mentali non salutari.
La felicità è possibile solo con il vero amore. Il vero amore ha il potere di guarire e trasformare la nostra condizione e può dare alla nostra vita un significato profondo. Ci sono persone che comprendono la natura del vero amore e che sanno come generarlo e alimentarlo. Gli insegnamenti del Buddha sull’amore sono chiari, scientifici e realizzabili; chiunque di noi ne può trarre beneficio.

I quattro incommensurabili stati mentali possono essere descriti in questo modo:

  • La compassione è il desiderio di alleviare le sofferenze altrui, che non è soltanto un semplice sentimento di dolore verso la sofferenza altrui ma una volontà attiva  di aiutare.
  • La benevolenza esprime il desiderio che tutti gli esseri possano essere felici. Importante è riuscire ad avere un  atteggiamento benevolo e gentile nei confronti di chi si incontra. Questa gentilezza può esprimersi in azioni, parole e pensieri. 
  • La gioia consiste nel vedere gli altri esseri viventi felici, e si è partecipi del successo altrui.
  • L'equanimità consiste nella capacità di accettare gli eventi, di accettarli così come si manifestano, senza essere travolti dalle emozioni. L'equanimità è sinonimo di quieta neutralità ed è completamente diverso dall'indifferenza.
 Se vogliamo associare questi stati mentali all'immagine del sole, possiamo dire che la benevolenza è associata al sole che splende e irradia calore in tutte le direzioni, la compassione possiamo paragonarla al sole che tramonta, che risplende quando si avvicina l'oscurità, la gioia può essere associata alla luce dell'alba, con i suoi raggi che portano nuova vita. L'equanimità può essere rappresentata dalla luna piena che riflette la luce del sole, con calma, senza irradiare luce propria.

L'obiettivo dei praticanti buddhisti è di essere sempre presenti e aperti verso le persone che si incontrano, e questo stato mentale, diventa una pratica meditativa.   

Prima però guarda te stesso...   Comincia ad amare te stesso   e poi dedicati agli altri....
In questo cammino possiamo essere aiutatati dalle Sei Perfezioni che sono: generosità, etica, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza. Le Sei Perfezioni (Pārāmita) sono il condensato di quella che viene definita la parte fondamentale dell'addestramento di chi vuole ottenere la mente dell'illuminazione (Bodhicitta).

La tradizione Gelugpa del buddhismo tibetano

Il fondatore della scuola Ghe Luug Pa è stato il grande Lama Tsongkhapa (1357- 1419) che nacque nella regione dell'Amdo (Tibet).  Quando andò a studiare in Tibet centrale, erano già presenti i lignaggi (o tradizioni) Nyimgma, Sakya e Kagyu. Tutti questi lignaggi si basano sull'insegnamento del Buddha, che è costituito dalla Ruota del Dharma che fù girata per tre volte (tre insegnamenti in tre posti diversi). Questi insegnamenti furono poi riportati nei cento volumi del Kangyur  (le trascrizioni degli insegnamenti del Buddha), e poi nei duecento volumi del Tangyur (i commenti dei grandi maestri sugli insegnamenti del Buddha), che contengono gli insegnamenti dei 17 Pandita (termine in hindi e sanscrito con cui si indica un "maestro", un "filosofo", un "erudito") di Nalanda che fu la più importante università buddista dell'India antica.    Degli eruditi studenti del Dharma tradussero questi testi dal sanscrito e dal pali in tibetano che poi costituirono la base degli insegnamenti delle varie scuole buddhiste tibetane.      

Tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. iniziano a comparire in India dei testi buddhisti indicati con il nome collettivo di Prajñāpāramitā sūtra (Sutra perfezione della saggezza), che poi furono decisivi per la nascita e la diffusione del Buddismo Mahāyāna che presto si propagherà per tutta l'India e l'Asia centrale, giungendo infine nell'Estremo Oriente e in Tibet.    Il saggio, monaco e filosofo Nagarjuna  (ca. 2°-3° sec. d.C.)  è considerato il fondatore della scuola dei Mādhyamika e il patriarca delle scuole Mahāyāna.   Il suo testo principale,  Mūla-madhyamaka-kārikā (conosciuto anche Le stanze del cammino di mezzo),  composto da 448 strofe divise in 27 sezioni, è una critica serrata a varie scuole di buddhismo.

 

Quando Tsongkhapa  arrivò in Tibet centrale cominciò a studiare approfonditamente tutti questi testi. Si ritirò per un lungo periodo vicino Lhasa, ed ebbe un sogno in cui gli apparve Nagarjuna e i suoi figli spirituali, che pronunciavano varie frasi, da cui poi prese spunto per lo studio sul Sé.  La frase riportata nella sua biografia è la seguente: "se il Sé fosse costituito dagli aggregati, sarebbe soggetto a nascita e morte. Se fosse qualcosa d'altro, non avrebbe le caratteristiche degli aggregati".  Da questa frase comprese il concetto di vacuità o vuoto e dell'interdipendenza insegnata da Nagarjuna. E cominciò a difffondere questi insegnamenti nelle regioni di Kham, Amado, Mongolia, e da ciò è nata la tradizione Geluppa, e chi segue questa tradizione studia i 18 volumi di insegnamenti da lui composti.

Questi volumi di insegnamenti sui Sutra e sui Tantra, sono poi stati arricchiti da commenti dei suoi autorevoli discepoli. Molti studiosi buddhisti e maestri di questa tradizione sono venuti in Occidente  a spiegare il Dharma e hanno fondato molti centri di Dharma Gelugpa. A questa tradizione appartiene l'attuale Dalai Lama. 

giovedì 23 gennaio 2025

I 5 Addestramenti alla consapevolezza - Thich Nhat Hanh

Dal sito dell'Interessere :  https://www.interessere.it/5-addestramenti-alla-consapevolezza/  

I Cinque Addestramenti alla Consapevolezza rappresentano la visione buddhista di una spiritualità e di un’etica universali; sono espressione concreta degli insegnamenti del Buddha sulle Quattro Nobili Verità e il Nobile Ottuplice Sentiero, la via della retta comprensione e del vero amore che conduce alla guarigione, alla trasformazione e alla felicità nostra e del mondo. Praticare i Cinque Addestramenti alla Consapevolezza significa coltivare la visione profonda dell’interessere, la Retta Visione che è in grado di rimuovere ogni discriminazione, intolleranza, rabbia, paura e disperazione. Se viviamo seguendo i Cinque Addestramenti alla Consapevolezza siamo già sulla Via del Bodhisattva. Sapendo che siamo su quel cammino evitiamo di perderci nella confusione riguardo alla nostra vita di oggi o nelle paure riguardo al futuro.

I Cinque Addestramenti alla Consapevolezza nascono dai Cinque Precetti offerti dal Buddha, ampliati e aggiornati più volte dal monaco zen Thich Nhat Hanh fino alla presente stesura perché possano portare consapevolezza in ogni area della nostra vita. Ci offrono una cornice di riferimento perché i nostri pensieri, le nostre parole e azioni possano generare più felicità per noi stessi e il mondo in cui viviamo.

Chiunque si senta in armonia con gli Addestramenti li può adottare e praticare nella propria vita quotidiana. “Ricevere la Trasmissione dei Cinque Addestramenti” significa riconoscerli apertamente come linee-guida della propria vita, in una cerimonia che si tiene nel corso o al termine di un ritiro di alcuni giorni, celebrata da uno o più  Insegnanti di Dharma con il sostegno di tutta la comunità. Si tratta di un momento toccante nella vita del praticante e del sangha che in quel momento lo accoglie e festeggia. L’aspirazione si rinnova e rafforza ogni volta che gli Addestramenti vengono ricordati, letti individualmente o recitati in un contesto collettivo.
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Il Primo Addestramento: rispetto per la vita. Consapevole della sofferenza causata dalla distruzione della vita, mi impegno a coltivare la visione profonda dell’interessere e la compassione e a imparare modi di proteggere la vita di persone, animali, piante e minerali. Sono determinato(a) a non uccidere, a non lasciare che altri uccidano e a non dare il mio sostegno ad alcun atto di uccisione nel mondo, nei miei pensieri o nel mio modo di vivere. Riconoscendo che le azioni dannose nascono dalla rabbia, dalla paura, dall’avidità e dall’intolleranza, le quali a loro volta derivano da un modo di pensare dualistico e discriminante, coltiverò l’apertura, la non discriminazione e il non attaccamento alle opinioni per trasformare la violenza, il fanatismo e il dogmatismo in me stesso(a) e nel mondo.

Il Secondo Addestramento: vera felicità. Consapevole della sofferenza causata dallo sfruttamento, dall’ingiustizia sociale, dal furto e dall’oppressione, mi impegno a praticare la generosità nel mio modo di pensare, di parlare e di agire. Sono determinato(a) a non rubare e a non appropriarmi di nulla che possa appartenere ad altri; condividerò tempo, energia e risorse materiali con chi è in stato di bisogno. Praticherò l’osservazione profonda per riconoscere che la felicità e la sofferenza degli altri non sono separate dalla mia stessa felicità e sofferenza; che è impossibile essere davvero felici senza comprensione e compassione e che rincorrere ricchezza, fama, potere e piaceri dei sensi può portare molta sofferenza e disperazione. Sono consapevole che la felicità dipende dal mio atteggiamento mentale e non da condizioni esterne; so che per vivere felicemente nel momento presente mi basta ricordare di avere già condizioni più che sufficienti per essere felice. Mi impegno a praticare il Retto Sostentamento per contribuire a ridurre la sofferenza degli esseri viventi sulla Terra e a invertire il processo di riscaldamento globale del pianeta.

Il Terzo Addestramento: vero amore. Consapevole della sofferenza causata da una condotta sessuale scorretta, mi impegno a coltivare in me il senso di responsabilità e a imparare modi di proteggere la sicurezza e l’integrità di individui, coppie, famiglie e società. Sapendo che il desiderio sessuale non è amore e che l’attività sessuale motivata dalla brama è sempre dannosa per me stesso(a) e per gli altri, sono determinato(a) a non intraprendere relazioni sessuali senza un reciproco consenso, prive di vero amore e di un impegno profondo e duraturo. Per poter mantenere integra la mia relazione ho la ferma intenzione di trovare sostegno spirituale in persone di famiglia, amici o membri del sangha con i quali ho un rapporto di fiducia e di sostegno reciproco. Farò tutto ciò che è in mio potere per proteggere i bambini dagli abusi sessuali e per prevenire la rottura di coppie e famiglie a seguito di un comportamento sessuale scorretto. Riconoscendo che corpo e mente sono interdipendenti, mi impegno a imparare modi appropriati di prendermi cura della mia energia sessuale e a coltivare i quattro elementi fondamentali del vero amore – la gentilezza amorevole, la compassione, la gioia e l’inclusività ‒ per la maggiore felicità mia e degli altri. Riconoscendo le diversità fra le esperienze umane mi impegno a non discriminare alcuna forma di identità di genere o di orientamento sessuale. Sappiamo che se pratichiamo il vero amore la nostra esistenza avrà una meravigliosa continuazione nel futuro.

Il Quarto Addestramento: parola amorevole e ascolto profondo. Consapevole della sofferenza causata dal parlare senza attenzione e dall’incapacità di ascoltare gli altri, mi impegno a coltivare la parola amorevole e l’ascolto compassionevole allo scopo di alleviare la sofferenza e promuovere la riconciliazione e la pace in me stesso(a) e fra gli altri ‒ persone, gruppi etnici e religiosi e nazioni. Sapendo che le parole possono essere fonte di felicità o sofferenza, mi impegno a parlare in modo veritiero, usando parole che ispirino fiducia, gioia e speranza. Quando in me si manifesta la rabbia, sono determinato(a) a non parlare. Praticherò la respirazione consapevole e la meditazione camminata per riconoscere la mia rabbia e osservarla in profondità. So che le radici della rabbia possono essere trovate nelle mie percezioni erronee e nella mancata comprensione della sofferenza in me stesso(a) e nell’altra persona. Parlerò e ascolterò in un modo che possa aiutare me stesso(a) e l’altra persona a trasformare la sofferenza e a trovare una via d’uscita dalle situazioni difficili.
Sono determinato(a) a non diffondere notizie di cui non sono sicuro(a) e a non pronunciare parole che possano causare divisione o discordia. Praticherò la Retta Diligenza per alimentare la mia capacità di comprensione, amore, gioia e inclusività, e trasformare gradualmente la rabbia, la violenza e la paura che giacciono nel profondo della mia coscienza.

Il Quinto Addestramento: nutrimento e guarigione. Consapevole della sofferenza causata da un consumo disattento mi impegno a coltivare una buona salute sia fisica che mentale per me stesso(a), la mia famiglia e la società, praticando la consapevolezza nel mangiare, nel bere e nei consumi in genere. Praticherò l’osservazione profonda del mio modo di assumere i Quattro Tipi di Nutrimento, ossia cibo commestibile, impressioni dei sensi, volizione e coscienza. Sono determinato(a) a non giocare d’azzardo, a non assumere alcolici, droghe o altre sostanze o stimoli che contengano tossine, come certi siti internet, videogiochi, programmi televisivi, film, riviste, libri e conversazioni. Coltiverò la pratica di tornare al momento presente per stare in contatto con gli elementi rasserenanti, risananti e nutrienti che si trovano in me stesso(a) e intorno a me, senza lasciare che rimpianti o dispiaceri mi trascinino di nuovo nel passato né che ansie, paure o avidità mi distolgano dal momento presente.
Sono determinato(a) a non cercare di coprire la solitudine, l’ansia o altra sofferenza con acquisti e consumi compulsivi. Alla luce della contemplazione dell’interessere, orienterò le mie scelte di consumatore in modo da proteggere la pace, la gioia e il benessere nel mio corpo e nella mia coscienza, come nel corpo e nella coscienza collettivi della mia famiglia, della società e della Terra.

mercoledì 15 gennaio 2025

I testi buddhisti

 I testi buddhisti si dividono essenzialmente in due gruppi:

-  i Kangyur    -  trasmissione delle parole del Buddha. Alla morte del Buddha, suo cugino e discepolo Ananda disse ai monaci, di trascrivere tutto quello che ricordavano dei suoi insegnamenti ( i tre canestri tradotto in tibetano).

- i Tengyur - i commentari, contiene gli insegnamenti sui tantra, e insegnamenti sulla folgore admantina.

Vedi: https://84000.co/kb-articles/facts-and-figures-about-the-kangyur-and-tengyur

Con la rivoluzione culturale cinese il patrimonio culturale tibetano e cinese fu devastato, e si salvarono pochissimi testi. Lo stesso avvenne quando si affermò il cristianesimo (i cristiani distrussero tutti i documenti romani e greci. Di questi resta solo il 5% della parte tradotta in arabo). 

Tucci nel corso delle sue 20 spedizioni in Himalaya, dal 1928 al 1948, portò centinaia di documenti in Italia. Nel deposito di Palazzo Brancaccio, c'era un Lama che faceva da curatore e traduttore di questi documenti. Il museo di Arte Orientale di Roma si arricchi della donazione fatta da Francesca Bonardi Tucci (l'ultima e la più giovane delle tre mogli avuto da Tucci).  Due dei testi più importanti di Tucci per decifrare l'arte del Tibet sono in inglese: Indo-tibetana e Tibetan painted scrolls.

 La saggezza trascendente (Prajnaparamita), l' identità tra mente creatrice e realtà,  i concetti di zero, vuoto, nulla, interdipendenza sono i concetti cardine del buddhismo.  Su questi argomenti sono stati scritti trattati di migliaia di pagine, il tutto può essere condensato in un trattato di una sola pagina: Il cuore della saggezza.    Questa saggezza viene trasmessa da maestro e discepolo,  e si diventa discepoli attraverso una cerimonia di iniziazione, spesso riservata a pochi individui. 

Solo il Dalai Lama conferisce un tipo di iniziazione chiamata Kala Chakra tantra, che non ha un numero limitato di iniziati.  L’iniziazione (potenziamento) di Kalachakra che significa “cicli del tempo” è un rituale buddhista offerto per promuovere la pace nel mondo e per preparare i praticanti alle meditazioni tantriche. A differenza di altri insegnamenti buddhisti avanzati, questa iniziazione è stata data tradizionalmente al grande pubblico e ha attirato il più vasto numero di spettatori, e ai giorni nostri non fa eccezione. Quando il Dalai Lama conferisce questa iniziazione in India, centinaia di migliaia di persone si riuniscono da tutto il mondo.  Le avanzate pratiche meditative del Kalachakra ci consentono di liberarci dalle grinfie del tempo. Diventiamo capaci di guidare il corso delle nostre vite nella direzione di aiutare gli altri, a prescindere da quello che sta accadendo nei nostri corpi o nel mondo attorno a noi. Quando grandi gruppi di persone di diverse provenienze si riuniscono insieme per imparare qualcosa sull’amore, la compassione e la saggezza, essi creano un tempo e un luogo di armonia. Sparsi lontano, atti del genere come riunirsi per un’iniziazione di Kalachakra sono modi meravigliosi per contribuire alla pace nel mondo.

I buddha del passato, del presente e del futuro sono rispettivamente: Divpankara, Sakhyamuni, Maytreya. Dīpaṃkara — "colui che regge la lampada" -- è un Buddha del passato, che ha ottenuto la Bodhi innumerevoli kalpa prima del Sakyamuni, o Gautama Buddha, e dopo aver vissuto sulla Terra per 100.000 anni.  Nelle rappresentazioni attuali è generalmente affiancato da due bodhisattva, Mañjuśrī e Vajrapāṇi (tipico a Giava) o Avalokiteśvara e Vajrapāṇi (tipico nello Sri Lanka); oppure insieme ai due Buddha a lui cronologicamente successivi, Gautama e Maitreya. 

Il tantra è una pratica mahayana avanzata per ottenere l’illuminazione. Viene praticata sulla base di solide fondamenta in tutte le pratiche sutra, così come sono indicate negli insegnamenti sul sentiero graduale del lam-rim (è la via praticata da tutti gli esseri che aspirano ad ottenere lo stato di Buddha.)  Il Tantra più elevato è lo Yoga insuperabile. Nel tantrismo indiano prevale la Shakti, la parte attiva femminile, nel tantrismo tibetano prevale la parte attiva maschile. Nel cammino spirituale c'è la necessità di due ali: il metodo (la divinità maschile) e  la saggezza (divinità femminile). L'atto sessuale rappresenta simbolicamente l'unione di queste due componenti. 

Vedi sito:  https://studybuddhism.com/it   

https://studybuddhism.com/it/buddhismo-tibetano/sul-buddhismo

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono ci...