Visualizzazione post con etichetta Buddhismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Buddhismo. Mostra tutti i post

venerdì 10 ottobre 2025

Incontri con il cinema buddhista

La Fondazione Maitreya è un punto di riferimento in Italia per lo studio, la diffusione e la riflessione sulla cultura buddhista nelle sue molteplici forme. Fondata nel 1984 da Vincenzo Piga (1923-1998), pioniere del buddhismo in Italia e promotore dell’Unione Buddhista Italiana, la Fondazione si distingue per il suo approccio laico, interdisciplinare e non settario. La presidente attuale, Maria Angela Falà, prosegue con rigore e sensibilità questo percorso, guidando l’istituto in un dialogo costante tra oriente e occidente, tradizione e contemporaneità.  Con sedi a Roma, Milano, Napoli e Livorno e un centro residenziale di ritiri e seminari in Sabina (Mompeo – Ri) la Fondazione promuove iniziative culturali, editoriali e formative, che vanno dallo studio dei testi canonici alle pratiche di meditazione e seminari esperienziali, dagli incontri pubblici alle rassegne cinematografiche. In particolare, si impegna a presentare il buddhismo non come dottrina religiosa in senso stretto, ma come disciplina etica, filosofia di vita e visione dell’esistenza capace di rispondere alle sfide del presente.

Tra gli ambiti centrali di attività vi è la divulgazione del pensiero buddhista nelle sue diverse scuole – Theravāda, Mahāyāna, Vajrayāna – e la promozione di un dialogo interreligioso aperto e profondo. E’ uno dei centri fondatori dell’Unione Buddhista Italiana e dal 1987 è associata all’European Buddhist Union. Collabora attivamente con istituzioni, università e centri di ricerca, sia italiani che internazionali.

Negli ultimi anni, la Fondazione ha dato impulso a progetti innovativi che uniscono la spiritualità alla creatività contemporanea, come la rassegna “Incontri con il Cinema Buddhista”, che utilizza il linguaggio cinematografico per esplorare i temi della consapevolezza, della sofferenza, della compassione e del risveglio. Iniziative come questa confermano l’impegno della Fondazione a rendere attuali e accessibili i principi del buddhismo, offrendo strumenti di riflessione e trasformazione individuale e collettiva. La Fondazione Maitreya si propone oggi come un luogo di ascolto, studio e pratica, capace di coltivare semi di pace interiore e responsabilità condivisa, in un tempo in cui il bisogno di senso e connessione è più urgente che mai. 

Fondazione Maitreya, Roma,  Via Clementina 7,  00184,     roma@maitreya.it ,  +39 333.2328096  www.asiaticafilmfestival.it    info@maitreya.it  

la Fondazione Maitreya propone,  nella quarta edizione, 15 opere – tra lungometraggi, mediometraggi e corti – provenienti da Bhutan, Cina, Corea del Sud, Giappone, Nepal, Polonia, Svizzera, USA e India che presentano il buddismo come religione, disciplina, filosofia, teologia, mitologia, tradizione pittorica e letteraria tra documentari, fiction e corti selezionati. La rassegna ideata da Maria Angela Falà, presidente della Fondazione Maitreya, con la direzione artistica di Italo Spinelli.   Dal 2021, la rassegna ha presentato oltre cinquanta film da tutto il mondo. 

In un mondo attraversato da conflitti, fratture sociali e crisi ambientali, la rassegna apre uno spazio di riflessione su cosa significhi vivere con consapevolezza oggi.  Il cinema è lo strumento ideale per restituire l’attualità di temi spirituali e sociali che parlano al cuore dell’essere umano: «Il buddhismo ci invita a ripensare la relazione come arte di vivere, e i film selezionati ne sono una testimonianza intensa». Incontri con il Cinema Buddhista 2025 si conferma dunque come un appuntamento imprescindibile per chi desidera scoprire come il buddhismo possa ancora illuminare il nostro tempo attraverso lo sguardo del cinema.    Le opere presentate sono: 

  • Loving Karma di Johnny Burke e Andrew Hinton, è dedicato al lama Lobsang Phuntsok e al suo rifugio per bambini svantaggiati nell’Himalaya. India 2025
  • Agent of Happiness (Bhutan), viaggio tra gli “agenti della felicità” che misurano il benessere dei cittadini al di là del PIL. Regista: Arun Battahari, Dorottya Zurbó Paese: Buthan, Ungheria Anno: 2024
  • Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, Regista: Kim Ki-duk Paese: Corea del sud Anno: 2003.  
  • My Lens, My Land, girato nelle praterie dell’Amdo tibetano. Regista: Ke Chen Paese: USA Anno: 2024 
  • The Dalai Lama’s Gift, che ripropone immagini storiche dell’iniziazione al Kalachakra nel Wisconsin del 1980. Regista: Ed Bastian Paese: USA Anno: 2024
  •  Cracked Goddess, Regista: Colin Still Paese: USA Anno: 2006
  • What Were They Like, Regista: Colin Still Paese: USA Anno: 2003 
  • No More to Say and Nothing to Weep For, omaggio ad Allen Ginsberg e alla sua connessione con il buddhismo zen.  Regista: Colin Still Paese: USA Anno: 1997 
  • Father Death, Regista: Colin Still Paese: USA Anno: 1997  
  • Hema Hema: Sing Me a Song While I Wait di Khyentse Norbu, opera visionaria tra identità, desiderio e maschere rituali. Paese: Buthan, Hong Kong Anno: 2016
  • Seeking di Yang Yuan, intreccia il percorso di una giovane tibetana con la memoria del padre devoto al buddhismo. Giappone 2025
  • Dancing with the Dead, dedicato al poeta e traduttore Bill Porter, Red Pine and the Art of Translation,  Regista: Ward Serrill , Paese: USA Anno: 2023
  • Wisdom of Happiness, conversazione intima con il Dalai Lama sul senso autentico della felicità.  Regista: Philip Delaquis e Barbara Miller Paese: Svizzera USA Anno: 2024
  • Sapana | Himalayan Trek to Dreams  di Cezary Adamski, un reportage documentario di una straordinaria spedizione, Paese: Nepal, Polonia Anno: 2025 
  • Mola: A Tibetan Tale of Love and Loss, toccante storia di una monaca centenaria costretta all’esilio. Regista: Martin Brauen, Yangzom Brauen Paese: USA, Svizzera Anno: 2024

2024

  • Myanmar Diaries, Myanmar Collective (70′)
  • Snow Leopard, Pema Tseden (109′)
  • Song of Souls, Sai Naw Kham (72′)
  • Angry Buddha, Stefan Ludwig (98′)
  • Carving the Divine, Yujiro Seki (99′)
  •  I am the river the river is me, Petr Lom (88′)
  • Pig at the Crossing, Khyentse Norbu (122′)
  • Samsara, Lois Patiño (113′)
  • Samsara, Pan Nalin (138′)
  • Il Cielo è mio, Ayoub Naseri (65′)
  • Song of Souls, Sai Naw Kham (72′)
  • The Altar, Moe Myat May Zarchi (10′)

 2023   

  • ”Karmalink” di Jake Watchel Cambogia 2021 
  •   Alms di Edward Burger Cina 2010, 26’ In un remoto monastero buddista, tra le montagne della Cina meridionale, il capo cuoco della comunità spiega quali siano le abitudini alimentari dei monaci, la coltivazione tradizionale e il senso dell’offerta rituale tra i monaci di clausura che si dedicano alla pratica della meditazione.
  •  "Dark Red Forest” di Jin Huaquing,  Cina 2021, 85’, Nel Monastero di Yarchen, tra le montagne tibetane, si riunisce ogni anno un gruppo di monache. Intabarrate in minuscoli baracchini, trascorrono i cento giorni più freddi dell’anno meditando su questioni di vita o di morte, di sofferenza e guarigione, di karma e conseguenze. 
  • "The Silent Echo”  corto di  Suman Sen  Nepal 2021 , 15’ Quattro bambini nepalesi e la loro gioiosa band,   nelle remote montagne del Mustang, trascorrono le giornate all’interno di un autobus abbandonato, cantando e facendo musica. Che accade quando scendono a vall?
  •  "Golden Kingdom"  del regista Brian Perkins Birmania 2015, 104’ Quattro orfani, monaci novizi, vivono in un monastero buddista in una zona remota del Myanmar. Quando il loro maestro parte per un lungo viaggio, i ragazzi si ritrovano a vivere da soli nel mezzo della foresta, fronteggiando strani e a volte magici eventi.
  • “The Mountain Path” di  Edward Burger Cina 2021,  96’ Il regista riporta il proprio viaggio e la propria esperienza tra le montagne della Cina, alla ricerca di un eremita buddista che possa fargli da Maestro. 
  •  “Walker”,di Tsai Ming Liang Hong Kong 2012, 25’, Un monaco buddista cammina a capo chino e rasato tra le strade di Hong Kong, avviando un atto performativo e meditativo in netta contrapposizione con la vita frenetica che gli scorre intorno contrappunto ipnotico alla frenesia metropolitamana. 
  •  "L’arpa Birmana” di Kon Ichikawa  Giappone 1956 , 116’ Una pattuglia di soldati giapponesi, nella Birmania del 1945, si ritira nella giungla per tentare di raggiungere il confine thailandese. Il giovane Mizushima, sconvolto dagli orrori della guerra, si ritrova a prendere delle scelte che cambiano il corso della sua esistenza.
  •  “Tukdam: between worlds” di Donagh Coleman Finlandia 2022,  91’ In quello che i tibetani chiamano “Tukdam”, i meditatori deceduti non mostrano segni di morte per giorni o settimane. Sebbene siano morti secondo i nostri standard biomedici, spesso rimangono seduti in meditazione, senza cambiamenti fisici e senza decomporsi per giorni. Il fenomeno è documentato in una prospettiva  
  •     “Yomigaeru”di Alessandro Trapani Italia 2021 , 65’ Testimonianza in presa diretta di un viaggio di un musicista jazz , Giuseppe Bassi, che dall’Ilva di Taranto va  a Fukushima, colpita dallo tsunami e dal disastro della centrale nucleare.      ***
  •   “Buddha in Africa” di Nichole Shafer, Sudafrica – Svezia 2019, 90’ In un orfanotrofio buddista in Africa, Enock Alu, adolescente malawiano, è diviso tra le proprie radici e l’autoritaria educazione cinese imposta nell’orfanotrofio. Enock, all’ultimo anno di scuola, deve prendere decisioni difficili sul suo futuro.
  •  "The Velvet Qeen” di Marie Amiguet, Vincent Munier Francia 2021Durata: 92’ Ancora più in alto sugli altopiani inesplorati tibetani, tra cielo e terra, un fotografo e un romanziere, si confrontano in una maestosa esplorazione. Vincent Munier, uno dei fotografi più famosi al mondo, accompagna lo scrittore Sylvain Tesson; entrambi sono alla ricerca della regina di questi luoghi: il leopardo delle nevi, 
  •  “Angulimala” di Sutape Tannirut Thailandia 2003 Durata: 95’ Angulimala, figura mitica del buddhismo Theravāda, nasce in India in una nobile famiglia. Dopo aver attirato le ire del proprio Maestro a causa di alcune calunnie, per punizione gli viene ordinato di uccidere con le sue mani mille persone liberandole dalle loro sofferenze. 
  • "Walk with me", un documentario del 2017 diretto da Marc Francis e Max Pugh, che segue la vita di una comunità di monaci e monache buddisti Zen che seguono l'insegnamento di Thich Nhat Hanh, concentrandosi sull'arte della Mindfulness. 

sabato 13 settembre 2025

Ajahn Chandapalo

Nato a  Preston, nel  Lancashire (Inghilterra), inizia ad interessarsi alla meditazione buddhista durante l’ultimo anno di studi presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Lancaster. A Manchester, ad una celebrazione del Vesak nel 1978, incontra per la prima volta il Ven. Ajahn Sumedho, della tradizione Theravada dei monaci della foresta. Durante gli studi per il Master in Ingegneria Biomedica presso l’Università di Dundee, incontra il Ven. Ajahn Chah ad Edimburgo. Dopo aver ricoperto per quasi un anno la posizione di Assistente Ricercatore nell’Unità di  Bioingegneria di Glasgow, sceglie di intraprendere il sentiero monastico, e prende gli otto precetti come  anagarika (postulante) presso il Monastero di Chithurst nel West Sussex.          


Nel 1981 aiuta Ajahn Sucitto a fondare la prima “succursale” del monastero di Chithurst ad  Harnham, vicino a  Newcastle (oggi noto come  Aruna Ratanagiri).  Riceve l’upasampada (l’ordinazione completa come  bhikkhu  o monaco) nel 1982.  Un anno dopo affianca  Ajahn Munindo nella fondazione di un nuovo monastero a Devon. In seguito si trasferisce insieme ad  Ajahn Sumedho e vari altri monaci in una località vicina ad  Hemel Hempstead, dove viene fondato il monastero di Amaravati. Quattro anni dopo viene invitato in Svizzera insieme ad  Ajahn Tiradhammo, e qui resterà per più di due anni, contribuendo alla fondazione del Monastero  Dhammapala. Risiede per un anno in Thailandia, presso il Monastero Internazionale Wat Pah Nanachat.

Nel 1993 si trasferisce in Italia, presso il monastero Santacittarama, fondato tre anni prima da  Ajahn Thanavaro. Nel 1996, quando Ajahn Thanavaro sceglie di tornare alla vita laica,  Ajahn Chandapalo assume la carica di abate del monastero, la cui sede viene trasferita l’anno successivo in una località nei pressi di Poggio Nativo (Rieti) a pochi chilometri da Roma. Nel 2011, insieme ad Ajahn Amaro,  riceve ufficialmente la nomina di “precettore” (upajjhaya) dal sangha thailandese, venendo così autorizzato a selezionare i candidati adatti alla formazione monastica, che chiedono di entrare nella comunità europea di bhikkhu, e a celebrare le cerimonie di ordinazione. Tiene regolarmente insegnamenti in vari parti d’Italia e all’estero.

https://santacittarama.org/2019/02/20/biografia-di-ajahn-chandapalo/

venerdì 1 agosto 2025

Il Buddhismo Vajrayana

Il ramo esoterico del buddhismo, noto come Vajrayāna o "Veicolo del Diamante", nasce in India nel VII secolo e si diffonde successivamente in Tibet grazie al grande maestro Padmasambhava. Questa tradizione sostiene che sia possibile raggiungere la liberazione nel corso di una sola esistenza, attraverso l'impiego di potenti mezzi di trasformazione sia fisici che psichici.    

Fondamentale in questo percorso è l’iniziazione del discepolo, che deve avvenire per mano di un maestro spirituale, chiamato guru o lama. La pratica liturgica del Vajrayāna è ricca di simbolismi: prevede gesti rituali codificati, la recitazione di mantra, e la visualizzazione di divinità, elementi tutti integrati nel processo di trasformazione interiore.

Tra le divinità più celebri e temute vi è Mahavajrabharava. Le figure divine femminili, invece, rappresentano la saggezza e la conoscenza; un esempio emblematico è quello delle dakini, termine che significa “coloro che danzano nel cielo”. Le dakini sono spesso interpretate come donne che hanno raggiunto un elevato grado di realizzazione spirituale.

L’iconografia tibetana include anche rappresentazioni dei mahasiddha, i grandi realizzati: asceti e yogi vissuti in India tra il VI e l’XI secolo, il cui insegnamento ha avuto una profonda influenza sullo sviluppo del buddhismo tibetano. Tra essi si ricorda Naropa (1016–1100), associato alla pratica yogica del tummo, una tecnica attraverso la quale le energie interne dei canali laterali vengono canalizzate nel canale centrale, accompagnata da visualizzazioni e tecniche di respirazione. Questa pratica conduce l’adepto all’esperienza della “felicità-vacuità”.

Un importante supporto alla meditazione è costituito dai thangka, pitture religiose realizzate secondo rigide regole iconografiche. Queste opere, pensate per essere arrotolate, possiedono anche una funzione protettiva.   

Tra gli oggetti rituali utilizzati vi sono il vajra (simbolo di fulmine e diamante), emblema dell’indistruttibilità, della purezza e dell’illuminazione, e la campanella. Questi strumenti sono impugnati rispettivamente con la mano destra e la sinistra: la prima rappresenta il principio maschile e la compassione, la seconda il principio femminile e la conoscenza. Nei monasteri tibetani si tengono anche cerimonie con danze rituali in maschera (cham), eseguite dai monaci, che mettono in scena divinità e maestri spirituali, come ad esempio Padmasambhava.

Nel corso dell’XI secolo, durante il consolidamento del buddhismo in Tibet, si sviluppano i principali ordini monastici, sostenuti da importanti famiglie nobili. L’ordine dei Nyingmapa, il più antico, trae origine dall’opera di Padmasambhava e include sia monaci sia yogi laici e sposati.

Un altro importante lignaggio è quello dei Kagyupa, all’interno del quale si distingue il ramo del Karmapa, strettamente legato agli insegnamenti dei Mahasiddha indiani. Tra le figure di riferimento spicca il poeta mistico Milarepa (XI secolo), noto per aver condotto una lunga vita di ascesi ed eremitaggio.

L’arte tibetana, comprendente statue e dipinti, è realizzata secondo precise regole iconografiche e ha la funzione di supportare la pratica meditativa. Queste opere rappresentano le energie spirituali evocate per contrastare le forze che ostacolano il risveglio.

Tra i reperti rituali tibetani figurano anche i phurba (o pourba), pugnali rituali ritenuti dotati di potere magico. Secondo la tradizione, il semplice toccarli potrebbe portare grandi sventure.

Tasma - Ajahn Mahapanno

Questo testo Tasma. Per non prenderti troppo sul serio è scritto dal monaco Ajahn Mhapanno del monastero Santacittarama (Rieti).   Durante un insegnamento una partecipante chiese al monaco il significato della parola Tasma che il monaco aveva ripetuto spesso. Tasma significa "quindi" ed è la parola che dà il titolo a questa raccolta di insegnamenti.

https://santacittarama.org/2023/05/02/tasma/   https://santacittarama.org/wp-content/uploads/2023/05/Tasma-Ajahn-Mahapanno.pdf   (testo completo in Pdf)     

Scarica la APP -  "Elenchi del Buddha"               

"Respiro, quando noto un disagio mentale mi attivo seguendo un insegnamento del Buddha che riequilibri il cuore, volto al lasciare andare. Se non noto nessun disagio continuo a respirare e sono sereno. Altro non è che faccia". 

I cinque precetti nel buddhismo sono: astenersi dall'uccidere altri esseri viventi, astenersi dal prendere ciò che non ci è dato, astenersi da una condotta sessuale scorretta, astenersi dal mentire, astenersi dall'assunzione di sostanze intossicanti.

Le nostre scelte sono inserite in un contesto ampio, e gli effetti dipendono dalla situazione e dalle scelte delle altre persone che interagiscono con noi. Il buddhismo è la scienza della mente e del cuore, l'obiettivo del Dhamma (o Dharma)  è di andare oltre.

Per oltrepassare la soglia, per varcare il cancello di ciò che non muore, per fare quel passo dobbiamo lasciar andare tutto e aprirci al mistero. La Via non è la Meta. Il superamento di quella soglia è al di là di della logica.  Il buddhismo è una disciplina scientifica, una filosofia, ma è anche una religione a pieno titolo perché mira alla trascendenza e all'incondizionato. Si deve andare oltre la visione limita e condizionata che portiamo illusoriamente dentro di noi, e aprirci alla dimensione dell'Incondizionato; è un salto qualitativo. 

Che cosa ci fa veramente paura?    E' rimanere senza soldi, malati, senza nemmeno avere la certezza che la nostra mente sia affidabile.  

La delusione dell'Io".  Occorre lasciar andare i nostri attaccamenti, trattenere, afferrare fa male,   questa sofferenza, questo disagio non sono indispensabili. Il perno della pratica è il seguente: ovunque ci sia un attaccamento, c'è sofferenza.   Se lasciamo andare tutto, avremo una felicità completa. Avremo realizzato nel nostro cuore una libertà incondizionata.   Ogni pratica spirituale, che abbia un valore richiede in movimento di introspezione, un contatto diretto con il cuore e con la mente.  Ciò non significa escludere il mondo esterno e isolarci perché, quello che dovrebbe cambiare è il nostro modo di relazionarci con i fenomeni interni e esterni.

Per lasciar andare gli attaccamenti c'è un processo da mettere in moto.  Dobbiamo partire dalle nostre attuali condizioni mentali e fisiche, e dobbiamo riuscire a conoscerle attraverso un processo di consapevolezza.  Se non attiviamo questo processo del "lasciare andare " con consapevolezza potremmo aumentare il nostro stato di disagio e di frustrazione alla situazione. E potremmo perdere fiducia in noi stessi e addirittura nel Dhamma. la soluzione è semplice: occorre fare un passo alla volta con gradualità. Ajahn Mhapanno  porta la sua testimonianza di una serie di episodi chiave del suo percorso, quando subentra la frustrazione occorre usufruire del contatto con la natura per aiutare la mente a calmarsi e ritrovare un'armonia con l'ambiente esterno, per agevolare poi quella interiore.  Nel sorridere e nel ricevere un sorriso il cuore si apre, la mente si calma, ci si sblocca e si ritorna nell'equilibrio di fondo, e magari si arriva anche a contemplare la morte. 

Immaginiamo tanti puntini sparsi su un foglio, questi puntini rappresentano informazioni raccolte da libri e da insegnamenti, però non sappiamo ancora tracciare una figura, una forma partendo da essi, farne venire fuori un quadro generale.  Se riusciamo a fare questo ( a strutturare le informazioni raccolte)  siamo passati dall'informazione alla conoscenza intellettuale. Occorre andare ad un livello superiore, cioè passare dal chiuso della biblioteca all'esperienza diretta del Dharma nella vita,  In questo momento ci convertiamo da praticanti spirituali a discepoli del Buddha.   Dobbiamo far si che quei puntini non siano solo informazioni, che quei tracciati non siano solamente frutto di una conoscenza intellettuale, ma che combacino con la nostra vita e ci permettano di portare avanti una retta via.  Comunque bisogna tener conto che non tutti i punti marcati sul foglio saranno necessari per ognuno di noi. Dobbiamo focalizzarci solo su quelli che racchiudono la nostra vita, su quelli di cui possiamo avere esperienza diretta. 

Potrete trovare tutti i puntini, tutte le informazioni base, tutte quelle qualità e quei fattori che sostengono il processo di Liberazione, nella APP "Elenchi del Buddha" (Si può scaricare gratuitamente).  Fate attenzione a non alimentare quegli elementi e fattori che ostacolano il Sentiero. Anche questi sono indicati dagli insegnamenti del Buddha.   

Poi, dobbiamo fare un ulteriore passo avanti, Dobbiamo sporgerci al di là del foglio, perché per quante cose si possano scrivere su un foglio, per quanto belle esse siano, c'è per esse un inizio e una fine. Dobbiamo andare alla ricerca di Ciò che Non Muore - che non è fatto di condizioni - dell'Incondizionato.  Dobbiamo sporgerci dal foglio e fare un salto nel vuoto, nel mistero, in quello spazio aperto dove un pennarello non può marcare nessun puntino. Dove l'"io" non può scrivere sé stesso.

Un altro aspetto importante, è coltivare una mente che osserva e senza farsi coinvolgere dagli attaccamenti. E' una mente in equilibrio, che non solo osserva ma sa anche come osservare al fine di non aggrapparsi ai fenomeni. E si può identificare con il Buddho, “Ciò che Conosce”.  Buddho non è un mantra, anche se talvolta può essere associato al respiro come un mantra, ripetendo mentalmente “Bud”
nella fase di inspirazione e “dho” espirando. In tal caso è utilizzato come oggetto di concentrazione preliminare. 

“Buddho” non significa essere illuminati, significa avere visto la mente in equilibrio, forse solo per un attimo e, grazie a quell’attimo, essere stati in grado di constatare che tutto convergeva verso questo equilibrio. Così, anche se solo per un attimo, abbiamo avuto la prospettiva dalla quale il Dhamma diventa realmente comprensibile. È una vera e propria rivoluzione nella nostra pratica … è in quel momento che comprendiamo che la mente non va calmata, che la mente è già calma, ma c’è un senso del sé che va ad agitarla promuovendo forme di avidità, avversione e illusione. 

È il momento in cui vediamo la “rinascita” mentale, la gestazione dell’“io” che sfocia nel divenire e dà origine al saṃsāra. È il momento in cui le tecniche di meditazione perdono valore, perché assisti al comporsi del sé e non cerchi più una struttura che lo contenga, ma solo di capire le condizioni che lo sostengono e come rimuoverle. È il momento in cui perdi la fiducia nel mondo e nelle sue idee, prima fra tutte quella di un sé, di un “io”, per dare spazio al Dhamma. Magari è solo un momento, ma per quanto breve possa essere, dà fiducia, ci dice che ci sono potenzialità inaspettate e che il Sentiero può essere davvero percorso.   È l’inizio della vera pratica.  Abbiamo superato uno dei più grandi esami della pratica spirituale: comprendere Buddho. 

Man mano si inglobano in sé tutti quegli elementi che concorrono alla Liberazione del cuore e al Risveglio della mente: la presenza mentale, la saggezza, la concentrazione, il samādhi, l’energia, la fede,  tutto ciò che possa servire al vero cammino spirituale…  

Il buddhismo Shingon

Il Buddhismo Shingon, noto anche come "Scuola della Vera Parola", rappresenta una delle espressioni più complesse e sofisticate del Buddhismo esoterico giapponese. Le sue radici affondano nel tantrismo indiano, di cui eredita e rielabora strumenti dottrinali e rituali. Il termine stesso “Shingon” (眞言) è la lettura sino-giapponese di mantra, evidenziando l'importanza fondamentale della parola sacra come veicolo di trasformazione spirituale. Attraverso pratiche complesse che combinano mantra (formule sacre), mudra (gesti rituali) e mandala (diagrammi cosmici), la scuola Shingon sostiene la possibilità di realizzare l’illuminazione in questa stessa vita – un obiettivo audace che riflette la sua visione ontologica e cosmologica del mondo.


La genesi dello Shingon va compresa nel più ampio sviluppo del Buddhismo Mahayana esoterico, noto in Giappone come Mikkyō (密教), che si affermò tra l’VIII e il IX secolo. In questo contesto, una figura cruciale è Kūkai (774–835), conosciuto postumamente con il nome onorifico di Kōbō Daishi. Monaco, poeta, calligrafo e pensatore, Kūkai viaggiò in Cina nel 804, durante la dinastia Tang, dove fu iniziato ai riti esoterici e ricevette i testi fondamentali del tantrismo sino-indiano. Al suo ritorno in Giappone, elaborò una visione teologica e rituale innovativa, centrata sulla venerazione del Buddha cosmico Dainichi Nyorai (Mahavairocana), interpretato come l’essenza ultima e pervasiva dell’universo.

L’intuizione di Kūkai fu quella di sintetizzare gli insegnamenti tantrici in un sistema coerente, in cui linguaggio sacro, immaginazione rituale e corporeità convergono verso la realizzazione del risveglio. Il linguaggio non è mero strumento, ma principio creativo che riflette la natura illuminata dell’universo. L’iniziazione (abhiseka) diventa quindi il momento centrale della trasmissione: un passaggio segreto e sacro che abilita il praticante all’uso consapevole dei rituali e lo collega spiritualmente alla mente del Buddha.

Nel periodo Heian (794–1185), lo Shingon si inserisce dinamicamente nel tessuto politico e culturale dell’aristocrazia giapponese. L’influenza di Kūkai e dei suoi successori contribuisce a definire una simbiosi tra religione esoterica e autorità statale, in cui i rituali Shingon sono utilizzati anche per la protezione dell’impero, la purificazione della corte e la legittimazione del potere. I grandi templi come il Daigo-ji e il Tō-ji non sono solo luoghi di culto, ma centri di formazione per l’élite monastica, veri archivi viventi di sapere iniziatico.   In questa fase, il Buddhismo esoterico agisce come potere invisibile che media tra il mondo umano e le forze cosmiche, offrendo rituali propiziatori e difensivi. La distinzione tra la sfera religiosa e quella politica si dissolve in favore di un modello integrato in cui il monaco esoterico diventa figura cardine nella manutenzione dell’ordine cosmico e sociale.

Con l’instaurarsi del regime militare nel periodo Kamakura (1185–1333), lo Shingon affronta una mutazione profonda. Il suo radicamento presso le élite aristocratiche viene progressivamente sostituito da nuove forme di patrocinio da parte della classe guerriera (samurai), interessata soprattutto agli aspetti magico-protettivi dei rituali. I templi offrono cerimonie di protezione karmica, amuleti e preghiere propiziatorie, che contribuiscono alla legittimazione spirituale del potere militare.   Una figura di rilievo in questo contesto è Eison (1201–1290), monaco riformatore che cerca di riallacciare la pratica Shingon alle esigenze delle comunità popolari e laiche, avviando un processo di democratizzazione rituale e diffusione degli insegnamenti al di fuori dei confini strettamente monastici.

Al cuore della pratica Shingon risiede il concetto di Kaji (加持), che indica l’interazione dinamica tra il potere illuminato del Buddha e l’aspirazione del praticante. Questo principio esprime una visione non duale della salvezza, in cui il divino non è esterno all’essere umano, ma può essere attivato tramite gesti rituali, visualizzazioni e mantra.   Riti come il Homa (護摩), in cui il fuoco sacro consuma le impurità e invoca le divinità, rappresentano momenti liminali in cui il mondo ordinario si apre al sacro. L’uso del mandala – in particolare i due principali, il Mandala del Womb World (Taizōkai) e quello del Vajra World (Kongōkai) – offre una mappa cosmica per il percorso spirituale: contemplandoli e interiorizzandoli, il praticante è guidato alla consapevolezza della propria natura buddica.

Uno degli assi portanti del pensiero Shingon è la dottrina della non-dualità (funi 不二), che si esprime nella consapevolezza che tutte le dicotomie – tra spirito e materia, forma e vacuità, sé e Buddha – sono illusorie. Kūkai elabora una filosofia profondamente integrativa, influenzata dalla logica Madhyamaka e Yogācāra, ma riorganizzata in funzione del rituale. Il vuoto (kū, 空) non è un'assenza, ma una potenzialità creativa che si manifesta nella forma (shiki, 色) – ed è proprio attraverso la forma rituale che si realizza il risveglio.  Questa impostazione ha favorito ibridazioni dottrinali con altre scuole come il Tendai, generando vivaci scambi e talvolta tensioni istituzionali, soprattutto nei secoli successivi alla fondazione delle rispettive tradizioni.

L’esoterismo Shingon si esprime potentemente anche attraverso l’arte, l’architettura e il paesaggio rituale. Il Monte Kōya (Kōyasan), fondato da Kūkai, è un luogo che incarna fisicamente la cosmologia Shingon: ogni edificio, sentiero e simbolo partecipa a un sistema meditativo immersivo. Le rappresentazioni mandaliche, le statue dei Buddha e i padiglioni sacri non hanno solo una funzione estetica, ma operano come strumenti di trasformazione della coscienza, spingendo il visitatore a una percezione rituale dello spazio.  L’integrazione tra paesaggio naturale e pratica spirituale è un elemento chiave: il monte non è solo uno scenario, ma un corpo vivente del Buddha, un mandala tridimensionale in cui ogni punto è sacro.

Nell’epoca moderna e contemporanea, lo Shingon ha saputo adattarsi ai cambiamenti sociali, culturali e religiosi, pur preservando la sua identità esoterica. I rituali sono oggi praticati sia in ambito monastico che laico, e alcuni aspetti della dottrina – come il potere trasformativo dei mantra o la meditazione sui mandala – sono stati reinterpretati in chiave psicospirituale o persino terapeutica. Questo rinnovato interesse, anche in Occidente, ha permesso alla scuola di proiettarsi oltre i confini del Giappone, offrendo una spiritualità simbolica e incarnata, capace di dialogare con il mondo contemporaneo. Accademici e praticanti continuano a interrogarsi su come mantenere l'equilibrio tra la trasmissione iniziatica tradizionale e le esigenze moderne di accessibilità e universalismo spirituale (Triplett, 2021; Jennings, 2018).

Il Buddhismo Shingon si configura oggi come una tradizione viva e stratificata, in cui si intrecciano metafisica, ritualità e potere simbolico. La sua storia testimonia una straordinaria capacità di adattamento, senza rinunciare alla propria struttura esoterica. Lo Shingon non è soltanto un sistema religioso, ma una via integrata di trasformazione, in cui ogni gesto, parola e immagine diventa possibilità di contatto con il divino. In  un’epoca di spiritualità frammentata e spesso disincarnata, la via Shingon offre un modello in cui corpo, mente e universo si rispecchiano in un gioco rituale senza soluzione di continuità, che ancora oggi invita alla scoperta di una saggezza silenziosa, profonda e radicalmente incarnata.

giovedì 29 maggio 2025

Il Tibet e il buddhismo

Il Tibet, situato nell'altopiano del Tibet, nella parte nord della catena dell'Himalaya, è soprannominato "il tetto del mondo" per via delle sue vette elevate. Il Monte Everest si colloca a metà tra questo Paese e il Nepal.

Il regno tibetano raggiunge il suo apogeo con Trisong Detsen (755-797) che apporta delle grandi trasformazioni a livello politico e culturale e introduce il buddhismo in Tibet, grazie a Pandit indiani e al grande Padmasambhava.  A partire da quel momento i tibetani si recarono spesso alle grandi università monastiche in India, a Nalanda, Odantapura e Vikramashila. Il buddhsimo fu proclamato religione di stato  e si cominciò a tradurre i testi dal sanskrito al tibetano. 

La seconda fase di diffusione del buddhismo in Tibet avvenne all'inizio del secolo XI; Il rifiorire dell'interesse per il buddhismo si deve a grandi personaggi come il pandit indiano Atisha e il traduttore Rinchen Zangpo. All'inizio del XII secolo il buddhismo è ben strutturato in Tibet.  Il sovrano mongolo Ogodei riconosce quale rappresentante del regno tibetano il capo del lignaggio Sakyapa. Alla fine del XII secolo  viene sistematizzata la traduzione dei testi sanscriti in tibetano: i testi si dividono in Kagyur o testi ritenuti direttamente ispirati dal Buddha Shakyamuni e Tangyur o commentari. 

Nel 1357 nasce Tsong Khapa, una delle figure più importanti dal punto di vista spirituale. Fu il fondatore del lignaggio Gelugpa, o virtuosi, a cui apparterranno tutti i Dalai Lama. Il primo Dalai Lama sarà un suo discepolo: Gedun Drub.  Viene istituita la linea della reincarnazione ( per evitare lotte di potere) e tutti i Dalai Lama sono considerati la reincarnazione del Bodhisattva Avalokiteshvara, che si reincarna per aiutare l'umanità ad uscire dalla sofferenza.   Si deve al quinto Dalai Lama la costruzione del Potala a Lhasa in Tibet. 

Nel XVII secolo il Tibet viene raggiunto dai missionari cattolici; nel 1641 il potere dei Gelupta aumenta in quanto il re mongolo Gushri Khan (che appoggiava i Gelupta)  conquista la regione dello Tsang, sede del Karmapa del lignaggio Kargyupa.   Il termine "Karmapa" si riferisce al capo della tradizione buddista tibetana Karma Kagyu. È una linea di tulku, ossia maestri spirituali reincarnati, riconosciuti per le loro capacità e per una presunta capacità di ricordare le loro vite precedenti. Il Karmapa è considerato la seconda autorità religiosa più importante del Buddismo tibetano, dopo il Dalai Lama.

Nel 1683, il Tibet viene raggiunto dai primi occidentali; D'Oberville e Gruber. Nel 1716 giunge in Tibet il gesuita Ippolito Desideri di Pistoia. 

Nel XVIII secolo ci sono dei grandi travagli politici, invasioni di nomadi, e nel primo periodo del XIX secolo il Tibet perde il Ladakh che è conquistato dai sovrani indiani Jammu.

Nel 1959 si completa l'occupazione militare cinese intutto il Tibet, cominciata nel 1950 nel Tibet orientale.  Il XIV Dalai Lama e tutti i più grandi maestri e Lama tibetani scapapno e vanno in esilio in India e Europa.  

 Dharamsala (città dell'India del Nord vicino al Pakistan) diventa la sede del governo tibetano in esilio nel maggio 1960. Dopo l'inclusione del Tibet nella Repubblica Popolare Cinese nel 1951 e le rivolte tibetane, il Dalai Lama fuggì in India nel 1959, stabilendo lì la sua residenza e il governo in esilio. Dharamsala è quindi diventata il centro del governo tibetano in esilio, che, sebbene non riconosciuto a livello internazionale, è considerato l'autorità di riferimento per i tibetani in patria e nella diaspora.

Attualmente il Tibet è una regione autonoma della Cina. La capitale, Lhasa, è il luogo in cui sorgono l'ex residenza invernale del Dalai Lama, il palazzo del Potala, e il tempio di Jokhang, centro spirituale del Tibet, dove i pellegrini vengono a venerare la statua del Buddha.

venerdì 16 maggio 2025

Il Karma e la Pazienza - Ghesce Dorjee Wangchuk

Conferenza del Ven. Ghesce Dorjee Wangchuk, Maestro residente all'Istituto Samantabhadra di Roma  (creato nel 1981) sulla pratica del  Karma (la legge di causa e effetto)  e sulla Pazienza.  Aderisce alla scuola Gulupta, i virtuosi, o berretti gialli, che è la scuola del dalai Lama. Nel 2004 prende il diploma di Ghesce e di Narampa (maestro di riti), è stato responsabile del Tibetan Medical Center in India.

Il Karma.  Le persone spesso sono schiave delle loro emozioni negative e la meditazione, anche se breve, è di grande aiuto. Tutti gli esseri senzienti sono sottoposti alla legge del karma, e tre sono le "porte" : il corpo, la voce e la mente.  L'individuo è spesso propenso ad azioni negative, dovute soprattutto a tracce karmiche. Mentre per compiere le azioni positive occorre un grande impegno ed è anche una questione di abitudine. 

Spesso tra amici si creano discussioni accesse e violente, sembra quasi che dimentichino quello che si è costruito tra loro; questo è dovuto alle tracce karmiche e alle influenze negative.  L'evento è la risultanza e l'interrelazione tra causa, condizioni e risultato. Il pensiero genera l'azione, se abbiamo pensieri positivi generiamo azioni positive. La radice è la mente.  "Io sono felice", "Io non sono felice", sono espressioni dell'io, la mente è l'espressione della sofferenza. La mente è la guida del sentiero, per questo attraverso la meditazione dobbiamo portarla sotto controllo.

La pazienza.  Non c'è pratica più difficile della pazienza, la rabbia è difficile da gestire. Occore pazienza verso se stessi e verso l'altro. Se l'altro ci fa del male e ci sta offendendo significa che ci sono tracce karmiche nel suo continuum mentale.  Bisogna tenere a mente che la sua natura non è negativa, ha compiuto atti positivi verso di me e verso gli altri, adesso è l'ignoranza che sta oscurando la sua mente.  Dovremmo provare compassione verso questa persona, non dobbiamo demonizzarlo e pensare che può essere un periodo transitorio, un periodo particolare.  Occorre praticare la pazienza anche su se stessi; se proviamo una sofferenza, dobbiamo dirci che è una sofferenza transitoria, essere infelici non ha nessuna ragione di essere. E' importante prendersi cura di se stessi, impegnandoci in quello che si fa e non farsi sopraffare dalla sofferenza, non offendere gli altri, praticare la pazienza.

mercoledì 14 maggio 2025

I sei nemici - Esserci

I sei nemici.
La gente ama trovare il nemico all’esterno e incolparlo per i loro problemi. 
Ma si dice che l’essere umano abbia solo sei nemici: lussuria, rabbia, invidia, egoismo, orgoglio, illusione.
Se conquisterai questi nemici e li sconfiggerai dentro il tuo cuore, non avrai nemici esterni. 
Una volta padroneggiato i tuoi vizi, vedrai che intorno a te ci saranno solo amici.
 
 
Esserci.
Come sarebbe bello capire il valore delle persone che abbiamo intorno...
Diamo per scontato tutto. Durante la strada siamo seduti accanto, ma ci facciamo distrarre dalle luci colorate,  e non ci accorgiamo che quell’esserci uno per l’altro è importante.
Senza clamori. Un imperfetto, prevedibile, ripetitivo esserci.
Magari pensavamo che avremmo dovuto combinare o dimostrare chissà cosa, e invece bastava starci. 
A volte anche senza sapere cosa dirsi o cosa fare.

Acceptance of the Profound Dharma - Matthieu Ricard

Matthieu Ricard ha offerto un insegnamento su “L'accettazione del Dharma profondo”.
In questi insegnamenti, Matthieu ha parlato degli insegnamenti sulla pazienza, che sono delineati nel nono capitolo del Sūtra del Re del Samādhi. Questo testo è spesso citato negli scritti buddhisti per le sue profonde affermazioni, soprattutto sulla natura del vuoto.  Vedi link:   https://www.youtube.com/watch?v=QUjf_lyUf0w       https://www.84000.co/     

  Matthieu condivide alcuni consigli ricevuti dai suoi maestri  per comprendere e praticare la pazienza, una delle sei perfezioni. La perfezione della pazienza si fonda sulla comprensione del Dharma, in particolare sull'accettazione dei profondi insegnamenti sulla natura ultima delle cose. Ci permette di evitare l'irritazione, la rabbia e la depressione quando ci troviamo di fronte a difficoltà, sofferenze e danni momentanei, ma ci dà anche lo spazio mentale ed emotivo per vedere ciò che è veramente importante nella nostra vita. Non si tratta di diventare impermeabili e passivi, ma di trovare la libertà di agire positivamente e con apertura compassionevole verso i bisogni degli altri.   Punti salienti dell'intervento:

[5:40 ] Matthieu Ricard inizia a condividere le riflessioni sul Sutra del Re del Samadhi.
[7:13] Spiega il significato di Samādhi: è acquisire una conoscenza definitiva del significato profondo del Dharma.  Il samadhi rivela le qualità umane come purezza, apparenza e vacuità
Le Sei Perfezioni (Pārāmita) sono: generosità, etica, pazienza, perseveranza entusiastica, concentrazione e saggezza e sono il condensato di quella che viene definita la parte fondamentale dell'addestramento di chi vuole ottenere la mente dell'illuminazione (Bodhicitta).

[9.7]   I  bodhisattva dovrebbero sapere che tutti i fenomeni sono come illusioni. Dovrebbero sapere che tutti i fenomeni sono come sogni, come miraggi, come echi, come illusioni ottiche, come la luna sull'acqua, come allucinazioni, come riflessi e come spazio.Una volta acquisita questa consapevolezza sono abili nella pazienza del Dharma profondo. Coloro che hanno la pazienza del Dharma profondo non hanno desiderio per nessun fenomeno che causa desiderio, non hanno rabbia verso nessun fenomeno che causa rabbia e non hanno ignoranza riguardo a nessun fenomeno che causa ignoranza. Perché non vedono quel fenomeno, non lo percepiscono. Non vedono i fenomeni e non percepiscono i fenomeni di ciò che è desiderato, il desiderio o il desiderante; di ciò che fa arrabbiare, l'ira o colui che è arrabbiato; né di ciò di cui si è ignoranti, l'ignoranza o colui che è ignorante. Poiché non vedono e non percepiscono quei fenomeni, non hanno desiderio, non hanno rabbia, non hanno ignoranza, la loro mente non regredisce e riposa nella meditazione. Sono privi di elaborazione concettuale.

[10:09] Tutti i fenomeni sono uguali nel senso di apparire e di essere privi di esistenza intrinseca.
[14:15] Si concentra sul nono capitolo e fa riferimento al versetto 9.2: l'uguaglianza rivelata della natura di tutti i fenomeni ha dato vita a tutti i tathāgata, gli arhat, i buddha perfettamente illuminati.   
[19:00] Tre episodi del girare della ruota del Dharma sono riassunti in una frase de La perfezione della saggezza in venticinquemila righe, al punto 4.16.
[23:05] Questa frase racchiude tutti gli insegnamenti del Buddha in modo molto breve e potente.
[20:05] La rinuncia è spesso fraintesa; non si tratta di rinunciare a tutto ciò che è veramente buono nella vita, ma di rinunciare alla causa della sofferenza. È come un uccello che esce dalla gabbia.
[31:19] Descrive i tre tipi di pazienza o sopportazione.
[34:28] Sopportare la sofferenza significa trasformarla in un catalizzatore per impegnarsi profondamente nella pratica del Dharma, che alla fine porrà rimedio alle cause più profonde della sofferenza.

 [Ci sono molti modi per affrontare gli ostacoli: vederli come un'opportunità per esercitarsi. Se qualcuno ci rimprovera, pratichiamo la pazienza. Se siamo avari, pratichiamo la generosità come antidoto all'avarizia... in un certo senso, trasformiamo gli ostacoli in realizzazioni.
[56:27] A proposito della pazienza nel cammino, Milarepa disse: "All'inizio non arriva nulla,
Nel mezzo nulla rimane,  Alla fine nulla se ne va
”.  
Spesso c'è un approccio superficiale,  per i veri progressi occorre tempo: dieci anni, etc.  bisogna testare il cambiamento.  Non è facile cambiare e il cambiamento è graduale.
La pratica della compassione e della presa di consapevolezza della vacuità devono crescere insieme.

[1:05:30] La saggezza della vacuità e i mezzi abili della compassione sono come due ali di un uccello. Devono crescere e coltivarsi allo stesso tempo.
[1:07:38] Conclude leggendo il verso de “La pazienza del Dharma profondo”:
                     “I saggi raggiungono l'illuminazione mettendo in pratica
                      Il samādhi di dimorare nell'amore,
                      di dimorare nella compassione, di agire con gioia,
                      e con costante equanimità verso tutte le esistenze”

                      “Raggiungono l'illuminazione che è pace, priva di miseria.
                      Percepiscono gli esseri afflitti dalla malattia e dall'invecchiamento.
                      Hanno compassione verso di loro,
                      e danno loro gli insegnamenti della verità ultima. [9.72] 

Domande e risposte. [1:09:50] Se accettiamo tutto, come possiamo agire per migliorare l'ambiente?
Risposta: L'accettazione di ogni cosa è un concetto ambiguo,  il presente è questo, adesso e ora ed è il risultato del karma, si deve cercare di rimuovere le cause del karma.  Il tuo comportamento attuale può alleviare o aumentare la sofferenza.   Prima guarda dentro te stesso,  comincia ad amare te stesso e poi occupati degli altri.  La pazienza non è un'allegoria di un tappetino....

Risorse:
Per saperne di più sulle attività di Matthieu, compresi i suoi insegnamenti, i suoi libri e i suoi sforzi umanitari, visitare: www.matthieuricard.org.   Karuna-Shechen: www.karuna-shechen.org
Per accedere al nono capitolo de Il Re di Samādhis Sūtra: ...

  • https://84000.co/translation/toh127#U
  • https://84000.co/translation/toh127#UT22084-055-001-chapter-9
  • https://84000.co/translation/toh127#UT22084-055-001-797
  • https://84000.co/translation/toh9#UT22084-026-001-948
  • https://84000.co/translation/toh127#UT22084-055-001-802  (9.5)

Testi citati da Matthieu Ricard:

  • Patrul Rimpoche, The hearth treasure of the Enlightned ones
  • Jigme Lingpa, Treasury of Precious Qualities  

I significati del mandala nella tradizione indo-tibetana

Una breve introduzione ai significati del mandala nella tradizione indo-tibetana.
Massimiliano A. Polichetti - Funzionario storico dell’arte, Curatore delle Collezioni tibetane e nepalesi del Museo delle Civiltà.

Nella tradizione esoterica, liturgica ed iniziatica del Buddhismo mahayana, il bodhi (risveglio), nonché la peregrinazione verso di esso, possono essere descritti tramite la formalizzazione geometrica di un impianto architettonico. Il mandala viene perciò proposto quale rappresentazione ideale, in forma grafica, dei rapporti esistenti tra l’universo e la mente di chi sperimenti una delle realtà del multiverso. 

Il mandala può anche definirsi come “il mondo dell’essere presieduto dalla verità”; il bhavachakra (la pittografia ad andamento circolare rappresentante la “ruota delle rinascite”) è di contro il mondo del divenire, il samsara divorato dall’inconsapevolezza rappresentata da Yama, il dio della morte nella cosmologia buddhistica.    

Nella lingua sanscrita esistono più significati per il termine mandala (cerchio o circonferenza). Questo termine può significare il capitolo di un testo sacro (ad esempio il celebre decimo mandala del Rig Veda), oppure la sfera di influenza politica esercitata da una struttura di potere. È nella sua accezione religiosa che il termine mandala definisce un diagramma in cui vengono descritti e stabiliti i nessi tra l’uomo e l’universo.
Nel mandala interpretato secondo quest’ultima accezione vengono riassunte le principali concezioni cosmologiche e psicologiche buddhistiche alle quali Giuseppe Tucci, grande figura di asianista e padre della tibetologia contemporanea, diede la definizione, divenuta oramai classica, di “psicocosmogramma”, in quanto in questo sacro diagramma è rappresentata sinteticamente la serie di nessi che fanno della realtà, apparentemente frammentata, un tutto organico e coerente fin nella sue parti più infinitesimali.

Un mandala può essere rappresentato con una pittura, una scultura, per mezzo di pietre preziose, fiori, riso, pietre o sabbie colorate; può essere ricreato all’interno della propria mente per trasformarne attivamente i processi. La sabbia è considerata il materiale grossolano più efficace, in quanto tradizionalmente tratta da sostanze preziose che necessitano di un’estrema attenzione nell’esecuzione dei dettagli.

Nella tradizione Vajrayana del Buddhismo Mahayana la buddhità nonché il cammino verso di essa possono  essere descritti tramite la formalizzazione geometrica di un impianto architettonico. Il mandala viene perciò proposto quale rappresentazione ideale in forma grafica dei rapporti esistenti tra l’universo e la mente dell’uomo.  Sebbene prodotto su di una superficie piatta, il mandala è infatti da leggere nel suo sviluppo tridimensionale, essendo la divina dimora al centro della quale un buddha può manifestare lo stato del risveglio verso tutte le direzioni dello spazio.

 Sotto il profilo della rappresentazione formale il mandala è la proiezione su di un piano bidimensionale di un palazzo a pianta quadrata inscritto all’interno e al centro di una serie di barriere circolari.  
Iniziando dall’esterno, tali barriere potranno presentare una sequenza nella quale si enumera una prima cerchia, la più esterna, fatta idealmente di fiamme intese a tenere lontani i profani, coloro i quali non sono ancora maturi ad affrontare la peregrinazione spirituale verso il “Risveglio” (bodhi) che, simbolicamente, è racchiuso nella serie di percorsi e di corrispondenze delle quali il mandala è letteralmente saturo; è la barriera di fuoco che respinge chi non sia ancora “adatto” (adeptus) ad essere avviato alle complesse liturgie  proprie del veicolo segreto del Buddhismo.  
Segue una barriera di vajra, le “folgori adamantine” per le quali si compendia l’immodificabile natura della mente e le sue principali valenze emancipatorie, definite “metodo” (upaya) e “saggezza” (prajna); barriera impenetrabile per chi, pur avendo osato superare il cerchio di fuoco, non abbia ancora purificato la volontà. Questa barriera di vajra rappresenta la concretezza del piano assoluto della realtà, il piano ove gli adepti del Vajrayana divenendo “esseri adamantini” (vajrasattva) riescono ad esprimere il potere necessario ad intraprendere in modo positivo le liturgie del veicolo esoterico.  
La terza barriera, quella “composta da petali di fiori di loto” (padmavali), rappresenta la purezza  della sensibilità emozionale, la giusta disposizione da suscitare nel cuore di chi si stia accostando al proprio centro ineffabile. Si è giunti a questo punto nel mandala vero e proprio concepito come un divino palazzo e spesse volte disposto su più livelli attraversabili in sequenza attraverso elaborati portali. Ogni elemento di un mandala è la rappresentazione degli aspetti della divinità risiedente al centro.
Ogni porzione di un mandala ha il suo preciso significato. I suoi quattro lati rappresentano le Quattro Nobili Verità: la “sofferenza” (dukha), l’“origine” della sofferenza (samudaya), la “cessazione” della sofferenza (niroda) e il “sentiero” che conduce alla cessazione della sofferenza (marga). Il fatto poi che i quattro lati siano uguali sta a significare l’identità, sul piano assoluto, degli esseri risvegliati con quelli non risvegliati.  La porta orientale rappresenta le quattro attenzioni pure: al corpo, alle sensazioni, al pensiero, ai fenomeni. La porta meridionale le quattro occasioni di superamento: donare, parlare gentilmente, dare soccorso, essere coerenti nelle azioni rispetto alla parola data. La porta occidentale le quattro membra delle manifestazioni miracolose: puro desiderio d’essere, vigore, intelletto, indagine. La
porta settentrionale le cinque facoltà: fede, vigore, consapevolezza, concentrazione, saggezza.
I quattro archi rimandano alle quattro stabilizzazioni meditative. Le quattro cornici che bordano la base delle mura sono le quattro conoscenze discriminanti: dei significati, dei fenomeni, dei linguaggi, della pronta risposta. La decorazione di pietre preziose appaga i desideri degli esseri. Le ghirlande che pendono dalle travi significano il superamento degli ostacoli e delle loro impronte al momento di intraprendere il sentiero della meditazione. Un mandala può essere rappresentato con una pittura, una scultura, per mezzo di pietre preziose, fiori, riso, pietre o sabbie colorate; può finalmente essere ricreato all’interno della propria mente per trasformarne attivamente i processi. La sabbia è considerata tra i materiali grossolani il più efficace poichè tradizionalmente è tratta da sostanze preziose e necessita di un’estrema attenzione
per l’esecuzione dei dettagli del mandala.  Ci possono essere numerosissime divinità in un mandala a simboleggiare le varie manifestazioni degli aspetti della coscienza e del cosmo trasfigurati dalla sapienza trascendente personificata dal nume che risiede al centro del mandala in unione con la propria mistica consorte, personificazione femminile della Saggezza. Il palazzo è diviso in quadranti provvisti di mura e gallerie. I colori sono la specifica rappresentazione degli “elementi grossolani” (mahabhuta) di cui si compone la realtà fenomenica e degli “aggregati sottili” (skanda) sui quali la mente imputa l’esistenza nominale di un “io” convenzionalmente esistente.  
Sebbene prodotto su di una superficie piatta, il mandala è in realtà sempre da visualizzarsi nel suo sviluppo tridimensionale, essendo la divina dimora al centro della quale un buddha può manifestare lo stato del Risveglio verso tutte le direzioni dello spazio. La forma del mandala potrebbe essere ricondotta allo schema del palazzo di un Monarca Universale (chakravartin), concetto riconducibile a sua volta alla formalizzazione dell’ideale urbano iranico. La reggia del monarca indiano, come quella del monarca babilonese, si richiama al modello delle piramidi a gradoni sormontate da un tempio. Il Monarca Universale vi deve risiedere in quanto, come re degli dei, egli deve vivere sulla sommità della montagna cosmica, simboleggiante l’integrazione dell’ordine politico con quello religioso, l’unione indissolubile del
cielo e della terra: « quod est inferius est sicut quod est superius » (Pseudo Ermete, Tabula Smaragdina).
Secondo la descrizione che ne dà il Canone in lingua pali nel Dighanikaya, una tale residenza è circondata da sette muraglie fatte d’oro, argento, berillo, cristallo, rubino, corallo e da vari gioielli. Nella regola dell’ordine monastico mulasarvastivadin il palazzo presenta sette recinti, fatti però solo di quattro materiali preziosi: oro, argento, berillo e cristallo.  

Inevitabilmente la lettura di queste descrizioni riecheggia l’ultimo, in ordine di redazione, dei testi sacri del Cristianesimo; nell’Apocalisse di Giovanni di Patmos si trova la seguente interessante descrizione del Regno di Dio tra gli uomini: «La città è a forma di quadrato […] le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne d’ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffiro, il terzo di calcedonio, il quarto di smeraldo, sardonice, cornalina, crisolito, berillo, topazio, crisopazio, giacinto e ametista» (21, 16-21). Agli effetti della pratica liturgico-iniziatica da compiersi all’interno di “un” mandala (se nella teoria si danno infiniti mandala, nell’arte se ne ritrova la raffigurazione di qualche centinaio) è necessario avere una chiara cognizione di se stessi quale divinità ed assumere il corrispondente “orgoglio divino” (devamana). In un tale processo le apparenze ordinarie, visibili dagli occhi della carne, non vengono negate; piuttosto, non permettendo ai fenomeni ordinari di apparire alla consapevolezza mentale si fa in modo che le divine apparenze brillino più forti. Quando, avendo interrotto le apparenze ordinarie e sviluppato il chiaro apparire di se stessi come una divinità, tale apparenza spirituale diviene finalmente stabile, le apparenze ordinarie degli aggregati fisici e mentali infine cessano. È allora che appaiono all’occhio della mente i divini aggregati fisici e mentali, i divini costituenti e sensi.  

Nel Buddhismo tibetano i mandala vengono creati per i rituali d’iniziazione nei quali un maestro concede il permesso, ai discepoli ritenuti maturi, di impegnarsi nelle meditazioni relative a particolari divinità archetipiche. Il “germe di buddha" (tathagatagarbha) presente nel continuum mentale d’ogni essere senziente viene nutrito dal processo di visualizzazione e contemplazione di questo mistico diagramma.  La resa formale, artistica, di tutto questo processo avviene in virtù di un sofisticato linguaggio simbolico che impiega, per la propria articolazione, una serie di codici presenti sincronicamente nella stessa immagine. Vi è pertanto un codice che si avvale della dislocazione spaziale dei vari elementi figurativi (siano essi geometrici o meno), cos’ come un codice cromatico, un codice sonoro, un codice “teurgico”, nel senso che anche le varie divinità, raffigurate con minore o maggiore realismo antropomorfico, sono a loro volta lemmi di una super-struttura sintattica finalizzata ad essere supporto sensibile alla pratica spirituale. 

I mandala

«Diventiamo ciò che veneriamo". "L’uomo non crea gli dèi a propria  immagine e somiglianza,
ma si concepisce a immagine e somiglianza degli dèi in cui crede". - Nicolás Gómez Dávila (1913 – 1994)

 “Senza beatitudine non c’è risveglio,  poiché il risveglio coincide con la beatitudine” -  Advayavajra, Mahasukhaprakasha, XI sec. E.C

 Mandala significa compassione, sentire insieme, sentire insieme la gioia, e non solo il dolore.  
Per mandala, lemma sanskito, si intende cerchio, sfera di influenza politica. Nel codice Manu si parla di mandala; mandala in tibetano si dice kilkor, parola che significa cerchio e circonferenza, ma anche cogliere l'essenza.

Ma a cosa serve il mandala, che significato ha nell'arte sacra?   Per i fruitori dell'arte sacra è una contemplazione di verità e quindi l'artista deve seguire delle regole molte strette nella realizzazione di queste figure.  In Occidente tra il creatore e l'umanità c'è un gap metafisico, c'è l'impossibilità di identificarsi con il creatore, in Asia il gap è annullato. Nella Chandogya Upanishad, importante testo della filosofia vedanta, sono contenute tre grandi massime o aforismi, detti mahavâkya, ossia grandi detti, che sono tre espressioni sanscrite che esprimono il concetto dell’identità tra Spirito individuale, Atman, e Spirito universale, Brahman.   Questi aforismi sono: 

  • Tat tvam asi,  Quello sei tu, dove Tat sta per ‘immenso, l’impronunciabile, il divino; mentre Tvam Asi significa “questo sei tu”. Pronunciando queste parole affermiamo di riconoscere e rispettare il divino in qualunque forma, entità o sensazione esso ci compaia davanti. 
  •  Aham brahmasmi, “Io sono Brahman, il Divino“. Qui diventiamo consapevoli di essere noi stessi divini
  •  Ayam atma brahman, “Questo Sè è il Brahman“, o anche “Dio e io siamo un tutt’uno“.


Nella tradizione vajrayana del Buddhismo mahayana la  buddhità nonché il cammino verso di essa possono essere  descritti tramite la formalizzazione geometrica di un  impianto architettonico.  Il mandala viene perciò proposto quale rappresentazione  ideale in forma grafica dei rapporti esistenti tra l’universo  e la mente dell’uomo.  Il mandala può anche definirsi il mondo dell’essere,  presieduto dalla verità. L'arte sacra è uno degli strumenti per identificarsi con il termine ultimo della santità. La mente è un cristallo trasparente, se appoggio la mente su un oggetto virtuoso, divento virtuoso; l'arte acellera la Teosi, il passaggio da essere umano a Nume essere.


Il Buddha ha estinto la contaminazione mentale, ma la mente continua ad esistere nel tempo. I tantra sono dei testi per dare dell'indicazioni agli artisti.  Nel Tibetan Painted Scrolls testo in inglese scritto da Tucci nel 1949, c' è un capitolo dedicato ai mandala nella tradizione indo-tibetana. Poi Tucci scrisse Teoria e pratica dei Mandala nel 1961 che è uno dei testi fondativi per capire i mandala.  Nel testo Psicologia del profondo, per Jung: "il mandala è un archetipo di individuazione", la salvezza mentale, la buddhità. Il mandala rappresenta il rapporto trsa l'universo e la mente dell'uomo (il rapporto tra macrocosmo e microcosmo).  Diventiamo ciò che veneriamo.    Teosi significa: Diventare simili a Dio. Non diventare Lui, ma piuttosto partecipare alle energie divine.

Il mandala è anche, ma non solo, la proiezione su di un piano bidimensionale di un edificio a forma quadrata.  Nel santa sanctorum, c'è la casa dell'embrione del Buddha, tutti gli esseri hanno la potenzialità di diventare Buddha. Quando la causa sostanziale e la causa circostanziale si uniscono il seme diventa spiga, e in noi si manifesta la natura di Buddha. Il seme è il Vajra, shakti, descritto nel Kalachakra Tantra, senza beatitudine non c'è risveglio, poichè il risveglio coincide con la beatitudine. Esistono mandala diversi perchè diversi sono i percorsi di Teosi da uomo a Dio. Ognuno di noi si trova in una tappa diversa, quindi occorrono mandala diversi. Occorre fare offerte alla divinità e ripetere il giusto mantra per ritrovare il shambara terra pura  (equivalente al paradiso), che sta qui, da qualche parte.

Nei tantra, l'emozione, se controllata risveglia la Teosi, mentre nei sutra le emozioni disturbano il processo.  

Bisogna distinguere il mandala dallo Yantra che è un paradigma geometrico del mandala, un lontano cugino,  e dal  Bhavachakra, la Ruota dell'Esistenza e delle rinascite, è una rappresentazione visiva cruciale nel Buddhismo tibetano, che illustra il ciclo di nascita, vita, morte e rinascita, noto come samsara. È una ruota che illustra il mondo del divenire, il samsara  divorato dall’oblio rappresentato da Yama, il dio dei morti  nella cosmologia buddhistica.  Uno yantra è una figura geometrica complessa utilizzata nel tantrismo, nello yoga e in altre pratiche spirituali per la concentrazione e la meditazione. Funge come un diagramma o un amuleto mistico che aiuta a focalizzare l'energia e a raggiungere stati di coscienza più elevati.

Nel 1993, c'è stata la costruzione del mandala di sabbie colorate  all'acquario di Roma,  il Kala chakra composto da innumerevoli iconogrammatrie.  I granelli di sabbia colorata sono usati solo in occasione di cerimonie del tantra buddhista. Nelle cerimonie di inziazione, tra le tante cose, c'è anche la costruzione di un Mandala di sabbia che deve essere perfetto. Poi la sabbia deve essere smaltita con l'acqua, Le regole di costruzione sono immutabili, ogni tanto ci sono delle micro-variazioni, che però devono essere giustificate. 

Cosigliati:  

  • - film:  L'arte della felicità (2013)  di Alessandro Rak  
  • - testo: Teoria e pratica del Mandala. Giuseppe Tucci, 1969 (London 1961)
  • - testo: Il mandala: "archetipo di individuazione" - Carl Gustav Jung

martedì 18 marzo 2025

Differenza tra consapevolezza (in tibetano trenpa) e presenza mentale ( rigpa)

Mingyur Rimpoche presenta la differenza tra la consapevolezza e la presenza mentale e sceglie la consapevolezza.  Oggi ci sono molti stili di presenza mentale, alcuni validi altri meno, e molti sono completamente inventati.    

Sostanzialmente ci sono due tipi di meditazione:
- la prima Object oriented  con il focus sull'oggetto  (suoni, corpo, respiro, sensazioni, pensieri, ecc)  dove serve la concentrazione. Quando ci si distrae,  si riporta l'attenzione sull'oggetto, e ciò porta una certa rigidità.
- la seconda Self oriented.

Nello stile di meditazione del mio lignaggio, si da importanza alla consapevolezza, che come allegoria è una specie di lanterna, chee produce una fiamma con due particolarità: - La capacità di illuminare intorno a sé e ogni cosa intorno diventa visibile;  - La lampada è la luce stessa, self - luminosità.
Anche la mente ha la capacità di percepire gli oggetti,  ma anche la qualità di illuminare se stessa, di conoscere se stessa.
Nella tradizione tibetana il focus è sulla consapevolezza; Qualsiasi oggetto può fare da supporto per riconoscere e connettersi con la consapevolezza. La cosa importante è connettersi con la consapevolezza che è aperta e vasta.

Si può anche fare in due step una meditazione chiamata di consapevolezza aperta, senza avvalersi di un oggetto: - il primo passo è rilassarsi senza meditare, - il secondo è riuscire a meditare senza oggetto.

La presenza mentale è più conservatrice, la consapevolezza più liberale;
il respiro e qualsiasi cosa sorga nella mente: quindi esperienza, sentimenti, sofferenza , ecc,  può diventare un supporto, un punto di riferimento per la consapevolezza.
La consapevolezza è sempre presente e libera, è al di là dei fenomeni  e completamente calma e pura;
e questa sua meravigliosa natura è sempre con noi.
Il problema è che non riusciamo a riconoscerla.
Questa libertà, questa qualità di presenza e apertura della consapevolezza, questa presenza vigile di consapevolezza è sempre con noi. E' meraviglioso.
Noi dobbiamo solo connetterci con questa consapevolezza, usando un oggetto o meno, questa è il cuore della pratica.

La consapevolezza è il cielo, e le emozioni, i pensieri, le sensazioni  sono le nuvole.  La consapevolezza è un posto sicuro dentro di noi, che contiene compassione, benevolenza e saggezza. Dobbiamo solo riconoscerla. Il Big secret è la open awareness meditation chiamata anche object-less meditation. Ossia bisogna lasciare la mente così come è, in questo istante. La vera meditazione non richiede di meditare perchè la fondamentale qualità della nostra mente è pura, è oltre, è presente.  Avvertiamo allora il senso di essere, il senso di rilassamento, il senso di presenza. Dobbiamo lasciare ogni cosa così come è; e essere completamente naturali.

Joyful Wisdom - Yongey Mingyur Rinpoche

 "La notra vita è modellata dalla nostra mente, noi diventiamo quello che pensiamo " - dal Dhammapada "Come esseri umani, soffriamo per non avere ciò che vogliamo e per non tenere ciò che abbiamo".

Questo è il periodo dell'ansietà e della infelicità. Il libro - Gioia e saggezza - offre una guida per applicare gli insegnamenti e le pratiche buddhiste alle sfide della vita quotidiana.    

Il tempo che le persone dedicano ad accumulare la ricchezza esterna offre poche opportunità per coltivare la ricchezza interiore; questo squilibrio lascia le persone particolarmente vulnerabili alle difficoltà della vita. Le persone sono paralizzate da bassa autostima, depressione, stress o emozioni debilitanti.

Mindfulness è la pratica che ci permette di accogliere dolcemente pensieri, emozioni e sensazioni, e non è facile perchè siamo, per la maggior parte del tempo, sopraffatti dagli aspetti della nostra esperienza quotidiana. E' sorprendere scoprire che pensieri e sentimenti che sembravano solidi e potenti svaniscono, come sono apparsi. E si scopre piano piano, che  il senso di solidità e permanenza è un'illusione.

Dovremmo essere come un viaggiatore intelligente che porta i problemi con se, senza farsi prendere dal panico. Importante è imparare ad osservare i pensieri e le emozioni, attraverso la meditazione, che vengono e vanno. Gradualmente si comincia a realizzare che i sentimenti, come speranza, paura, rabbia, ecc, non sono altro che idee che fluttuano nella nostra mente. Dovremmo apprendere a liberarci dalle abitudini mentali e dalle emozioni che imprigionano la maggior parte delle persone in conflitti interiori e esteriori senza fine. 

Riconoscere che,  disagio, malattia e malessere (dukkha), sono le basi dell'esistenza è il primo passo per liberarcene o almeno saremo preparati per affrontarli. Le quattro grandi sorgenti della sofferenza sono: nascita, vecchiaia, malattia e morte. Spesso ci creiamo noi stessi della sofferenza, in modo inconscio,  inventandoci delle storie, dicendoci che non siamo abbastanza bravi, ricchi, intelligenti, ecc. e non ci sentiamo  a nostro agio se siamo vestiti male, non ci piaciamo fisicamente, se abbiamo i capelli corti, lunghi, il naso corto, ecc... poi poco a poco ci rendiamo conto che queste deformità sono solo una creazione della nostra mente.

Ci sono tre categorie di sofferenza; 1 - la sofferenza per il soffrire, 2 - la sofferenza per il cambiamento, 3 - la sofferenza pervasiva. 

1. si manifesta quando siamo in situazioni di disagio, accentuiamo il dolore associandoci aspetti psicologici e emozionali.     2.  si manifesta quando siamo in cerca sempre del nuovo, questa ricerca in oggetti esterni accentua la credenza che non siamo completi, non possiamo essere sofddisfatti con noi stessi.  3- anche se siete nella situazione perfetta, c'è sempre quel piccolo sconforto che ti invita a muoverti e rimetterti alla ricerca di qualcosa che non esiste.      

Si dovrebbe apprezzare il continuo e incessante cambiamento che avviene minuto dopo minuto, quel continuo cambiamento che i buddhisti chiamano impermanenza. Appena registriamo l'idea "ora" che già è diventata "poi". Bisogna apprendere a diventare amici dell'impermanenza...    Occorre portare l'attenzione ai cambiamenti nel corpo eseguendo il respiro, osservare il continuo cambiamento a livello sottile...  Il modo in cui sperimentiamo le cose e gli eventi è semplicemente il riflesso della nostra mente.  Se riusciamo ad osservare questo fenomeno, abbiamo un'opportunità di  conoscere un pochino di più la nostra mente.  La seconda nobile verità spiega che le cause della sofferenza non risiedono negli eventi e circostanze ma nel modo in cui noi percepiamo e interpretiamo la nostra esperienza.  Ma da cosa deriva la nostra interpretazione?   Stiamo dicendo quello che stiamo dicendo perché crediamo veramente a ciò o perchè è dovuto alla cattiva giornata che ho passato al lavoro??? Dobbiamo capire che tutto è relativo.

Ignoranza, desiderio e avversione sono definiti "i tre Veleni" nel buddhismo. Quando ci fissiamo sulle nostre percezioni, perdiamo la nostra abilità di volare.  Cambiando percezione, la stessa esperienza cambia.

Prendiamo il fenomeno della vecchiaia, pensa quante cose puoi fare adesso, che non potevi fare quando eri giovane... L'età non è il nostro nemico; la fissazione è il nostro nemico,  se ci sentiamo vecchi, poco attraenti e inutili, cominciamo ad agire da vecchi...  Bisogna riuscire a guardare da vicino e con coraggio le cause del nostro malessere, solo guardando direttamente il fenomeno possiamo attenuarlo o eliminarlo (ad esempio il problema di bassa autostima, gelosia, ecc..).

Ma come posso liberarmi dall'attaccamento, speranze e paure?  Semplicemente non provando!!! Perchè provando a uscirne, si rinforzano semplicemente le paure. Devo limitarmi semplicemente ad osservare le mie emozioni.

Esistono due tipi di consapevolezza: la pura consapevolezza e la consapevolezza condizionata. La consapevolezza condizionata è una prospettiva colorata da ignoranza, desiderio e avversione. La natura di Buddha, che può emergere e si può sperimentare a tratti nella nostra quotidianità,  è caratterizzata da infinita saggezza, infinita capacità, e da un'immensurabile amore-gentilezza e compassione.   Questi momenti sono chiamati "Momenti di Buddha". Ognuno di noi ha il proprio rifugio.

Spesso se una persona ha dieci qualità, di cui nove positive, la maggior parte delle persone si focalizzerà esclusivamente sulla qualità negativa. Alcune abitudini mentali e emotive condizionano il nostro punto di vista. Diventiamo attaccati a un personale punto di vista, Crediamo che il modo in cui guardiamo le cose, sia il vero modo di guardarle.  Quotidianamente proviamo un senso di incompletezza, isolamento e instabilità e nello sforzo di combattere il nostro disagio, ci attacchiamo alle cose esteriori. Ma purtroppo le nostre certezze e cose materiali su cui basiamo la comprensione del mondo (il lavoro, il rapporto, la salute)  spesso si sgretolano. La stessa persona gioiosa che guarda  la vita con entusiasmo il giorno dopo è arrabbiata, o depressa, e non riesce ad uscire dal letto. Quanti  "IO" esistono?  Noi abbiamo la tendenza a dire che questi aspetti sono delle "parti" di me stesso! Ma se ci sono delle parti, ci può essere l'Uno?   Poco a poco riconosciamo che non esiste persona, oggetto, posto che sia indipendente, ma ogni cosa è fatta da un numero di parti differenti, cause e condizioni interrelate. Questo è uno dei principali concetti buddhisti l'Interdipendenza di tutte le cose.  Ma cosa significa? Che non siamo reali? che i miei sentimenti non sono reali? Altro elemento importante negli insegnamenti buddhisti è il vuoto o la vacuità (il principale soggetto del secondo insegnamento del Buddha - o ruota dell'insegnamento).  Il vuoto è il background, un infinito spazio "aperto" che permette ad ogni cosa di apparire, cambiare, scomparire e riapparire. E' l'assoluta realtà, la natura di base, di tutte le nostre esperienze.  Non è zero, ma non è nulla. E' la base della natura di Buddha; una potenzialità aperta e senza fine per ogni tipo di esperienza.

Ci sono tre stadi della pratica:   l'ascolto, la contemplazione, la meditazione. L'ascolto è il permettere a se stessi di essere introdotti a nuovi fatti e idee. La contemplazione è pensare alle indicazioni ricevute durante gli insegnamenti e vedere se sono validi per capire e affrontare gli eventi della vita. E capire quanto la tua vita è colorata, a livello emotivo, fisico o intellettuale, da dukkha (sofferenza) o da disagio. La meditazione inizia proprio osservando le nostre esperienze senza giudicare. L'uso della mente per guardare la mente, è ciò che, nella tradizione buddhista, si intende per meditazione.  Il termine tibetano "gom" significa proprio familiarizzare, e in questo caso familiarizzare con il funzionamento della mente. Il Buddha introdusse una serie di pratiche finalizzate ad aiutarci a prendere le distanze e osservare la mente.

 Anche nel buddhismo si sottolinea l'importanza del rapporto mente-corpo,  "per far si che la mente sia calma e quieta, il corpo deve essere disciplinato".  Nel testo Mingyur Rinpoche presenta l'allegoria del rapporto tra il fantino e il cavallo, il fantino è la mente, il cavallo è il corpo; un fantino tranquillo può calmare il cavallo, un cavallo tranquillo può calmare il fantino. Nel metodo formale di meditazione vengono presi in considerazione sette punti della posizione fisica chiamata Vairochana (il significato è il sole) . - Il primo punto è stabilire una ferma base per collegarti  all'ambiente dove si sta praticando; - il secondo è riposare le mani sull'ombelico: - il terzo è lasciare dello spazio tra le braccia e la parte alta del corpo; - il quarto è tenere la colonna più perpendicolare possibile rispetto al suolo; - il quinto allungare il collo inclinando il mento verso la gola (un po' più del normale); - il sesto interessa la bocca, e i denti , ossia si deve permettere alla bocca di riposarsi naturalmente; - l'ultimo punto riguarda gli occhi, cercare di mantenerli aperti, così è più facile rimanere consapevoli, e importante è avere un focus su cui portare l'attenzione, senza vagare da esperienza a esperienza. Trovare un equilibrio fisico aiuta a stabilire un equilibrio tra il prana (energia), le nadi (i canali in cui questa energia si muove) e i bindù (le gocce di energia vitale). Importante è trovare un equilibrio per lo stato del nostro corpo e della nostra mente, trovare la via di mezzo, non troppo teso, non troppo rilassato. All'inizio è consigliato fare brevi sedute di meditazione, magari nello stesso giorno.      La meditazione in questo modo diventa parte della nostra vita quotidiana, piuttosto che qualcosa che facciamo per sentirci bene...

Noi riceviamo sollecitazioni continue dai nostri sensi, dai nostri pensieri ed emozioni. Per questo la maggior parte delle persone si sentono stressate. Una delle pratiche base è chiamata Shamatha (che significa pace, calma).  Quando osserviamo qualcosa, sentiamo qualcosa, o guardiamo qualcosa, un pensiero, un'emozione formuliamo sistematicamente una specie di giudizio  riguardo l'esperienza. Mi piace, Non mi piace, Non so...   Shamatha è il lasciar andare, Non formulare giudizi o opinioni, osservare semplicemente il fenomeno.  La semplice consapevolezza è la capacità di vedere e riconoscere quello che stiamo vedendo, ma senza concetti associati che disturbano la nostra visione.    Senza la chiarezza, non saremo capaci di percepire, pensare o provare qualcosa. Shamatha ci aiuta a sviluppare la nostra chiarezza interiore.  Shamatha si sviluppa attraverso vari passi:

  • 1- non focalizzarsi su qualcosa in particolare,  la mente è in pace, aperta, riposata ed immersa nel momento presente. Qui e ora, è il solo momento presente.
  • 2- oltre i cinque sensi, il buddhismo riconosce un sesto senso chiamato coscienza mentale, è quello che i neuroscienziati descrivono come la capacità di organizzare le informazioni ricevute attraverso i sensi e formare un concetto o immagine mentale. La tecnica per usare la vista come mezzo di far riposare la mente è la meditazione della forma. Ossia riposare l'attenzione su un oggetto specifico, o sulla forma o sul colore. cominciamo a realizzare che quello che vediamo e come lo vediamo è un'immagine fatta da pensieri, memoria, e limitata dai nostri organi sensoriali. E non c'è differenza tra ciò che vediamo e la mente che vede l'oggetto.
  • 3- portare l'attenzione a un suono,  e come nel punto precedente, gli oggetti visuali e i suoni servono a far riposare la mente. La meditazione accompagnata da suoni ci aiuta a distaccarsi gradualmente dall'assegnare un significato ai suoni che udiamo. 
  • 4- partecipare all'esperienza fisica. C'è un modo formale per usare le sensazioni fisiche della respirazione come focus per calmare la mente, ad esempio contando la prima inalazione e esalazione come uno, e arrivare a ventuno. Poi ricominciare. Prendere quindi le nostre sensazioni fisiche come opportunità di diventare consapevoli (testimoni) della consapevolezza.  Anche l'attenzione alla sensazione di dolore fisico può aiutarci a gestrire e affrontare il dolore.
  • 5- l'attenzione ai pensieri. Pensare è la naturale attività della mente. se si osservano i pensieri, si comincia a percepire che appaiono e scompaiono rapidamente, lasciando un piccolo spazio tra l'uno e l'altro... Portando l 'attenzione su questo spazio, a poco a poco lo spazio aumenta e la mente si riposa. Dando attenzione a quello che stai sperimentando in un dato momento è una forma di meditazione. Occorre guardare ai pensieri in se stessi, senza cercare le cause e le condizioni che li hanno fatti apparire nella mente.  Semplicemente guardare l'esperienza direttamente. Alternando momenti di attenzioni ai pensieri a momenti di non attenzione.
  • 6- l'attenzione alle emozioni, osservare le emozioni che si provano senza attaccamento o avversione, semplicemente inquadrandole nelle categorie, positive, negative o neutre. Quali tipi di emozioni prevalgono? Occorre cercare di evitare persone o situazioni che provocano emozioni negative. 

L'intuizione.  Il metoto per arrivare all'esperienza diretta della vacuità, unificata alla chiarezza, è chiamato vipashyana (in sanscrito) che significa intuizione e vedere oltre. Combinando la comprensione della vacuità con il metodo dell'attenzione, vipashyana offre un metodo esperienziale di andare oltre gli attaccamenti concettuali di "me", "tu", "loro", "gelosia", "rabbia" e così via. Ci troviamo di fronte alla libertà di consapevolezza senza limitazioni dovute alle abitudini mentali  ed emozioni. Ad esempio quando stiamo attraversando momenti difficili, di sofferenza e dolore dovuti a divorzi, perdita di persone care, dovremmo prendere consapevolezza del dolore e suddividerlo in piccoli pezzi guardando le sensazioni che emergono. Le sensazioni che passano nella mia mente, nel mio corpo, i pensieri che emergono, in questo modo divento l'osservatore e mi disidentifico. Si può arrivare per un istante all'esperienza che non c'è più distinzione tra osservatore, il fenomeno osservato e l'atto dell'osservare.

Nirvana è la diretta esperienza della nostra inerente natura libera, - una perfetta pace della mente libera da concetti, attaccamenti, avversioni, ecc.  Samsara è un punto di vista al quale noi siamo diventati attaccati in uno sforzo per definire noi stessi, gli altri, e il mondo intorno a noi mentre viaggiamo in un regno caratterizzato da impermanenza e interdipendenza.  L'ego, nel buddhismo, è un semplice insieme di funzioni sviluppate per assisterci a navigare nella realtà relativa.

Vipashyana è spesso difficile da praticare perchè disturba il nostro attaccamento alle cose che è diventato per noi famigliare. Il samsara è un'espressione del nirvana.

La vacuità. Chi sono "Io"?  In effetti non possiamo veramente trovare un "Io".  Il nostro corpo è sottoposto a continui mutamenti, quindi cerchiamo un "Io" interiore che non può essere definito dalle circostanze. Noi agiamo come se avessimo un "io" da proteggere, evitare il dolore e cercare conforto e stabilità. Le implicazioni sono che  dolore e piacere sono qualcosa di estraneo al nostro "io".

Lo scopo della meditazione è anche quello di scoprire dentro la nostra propria esperienza un senso di libertà dall'idea dell'  "Io" permanente e indipendente.  Questa è un'esperienza che, una volta provata, può cambiare la nostra vita aprendo a nuove dimensioni e possibilità.

Raggiungere Shamatha con una comprensione della vacuità non significa comunque negare la realtà relativa che è la cornice nelal quale operiamo nel mondo. La negazione di questa realtà relativa può portare alla follia. C'è un terzo livello che è quello della "finta realtà reale".  Noi dovremmo rapportarci con l'esperienza con la consapevolezza che dividerla in osservatore e fenomeno osservato è essenzialmente una invenzione concettuale.  Quando portiamo la mente ad osservare la mente - se stiamo cercando "me", "altri" "pensieri" e "sensazioni", possiamo iniziare a vedere la mente stessa.  Diventiamo aperti alla possibilità che la mente - l'unione di vacuità e chiarezza -è capace di riflettere ogni cosa.

Empatia. "L'essere umano è parte di un tutto chiamato da noi universo".  L'empatia è l'abilità di identificarsi con o capire la situazione nella quale gli altri si possono trovare. l'ordinaria gentilezza amorosa e compassione include differenti fasi; - la prima è quello di sviluppare un senso di tenerezza verso se stessi. - Guardare l'esperienza di se stessi nel momento presente (l'essere vivi in questo momento)  come focus della meditazione. - Riconoscere che abbiamo un corpo, una mente e apprezzarli è il primo seme per la felicità e il sollievo dalla sofferenza. - Poi si dovrebbe lavorare sui pensieri e scoprire quanto è bello essere in vita, scoprire un senso di benessere che apre a tutte le possibilità.  Questa fase nel buddhismo tradizionale si concretizza nella recitazione di preghiere "possa io conseguire la felicità, possa essere libero dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza". Poi la mente si riposa, rilassata e aperta.  E' importante trattare tutti con gentilezza, anche le persone per cui provi antipatia. Molti praticanti buddhisti prendono fiducia in loro stessi quando cominciano a vedere che si possono affrontare situazioni difficili con la chiarezza e la saggezza nate dalla compassione e gentilezza amorevoli.  Si sviluppa in questo modo un grande apprezzamento per le possibilità insite nell'essere umano.

Bodhicitta.  Bodhi significa diventare sveglio, citta significa mente o spirito.  Nella tradizione buddhista ci sono due tipi di bodhicitta: relativa e assoluta. - Assoluta quando la mente è completamente pura, come lo stato a cui arrivò il Buddha che per otttenere questo risultato impiegò sei anni.   - Lo sviluppo della bodhicitta relativa implica due aspetti: aspirazione e l'applicazione.  Questa aspirazione può prendere le forme di seguire dei consigli, ascoltare un insegnamento, o seguendo l'esempio di un maestro. L'applicazione della bodhicitta può concretizzarsi con piccoli gesti, come ad esempio non rubare, non fare gossip, non procurare dolore, ecc... gioire per le belle cose che accadono ad altre persone piuttosto che essere preso da gelosia.  Questo crea una situazione vincente per tutti.  L'aspirazione (o intenzione) ha un grande potere,  la mente diventa più forte, il comportamento emotivo diminuisce, e la capacità di aiutare gli altri aumenta.

Ma cosa dobbiamo fare quando ci troviamo di fronte ad ansia, lutto, gelosia, rabbia o disperazione?          "Ogni cosa può essere usata come un invito alla meditazione".  Sogyal Rimpoche            La meditazione non è separata dalla nostra vita, è la nostra vita. 

Per eliminare i problemi, abbiamo bisogno di problemi. La nostra vita è contornata di sfide e problemi di ogni tipo, come gestirli? Per i buddhisti l'obiettivo è non di eliminare o risolvere i problemi, ma usarli come base o focus per riconoscere il nostro potenziale. Ogni pensiero, ogni emozione, e ogni sensazione fisica è un'opportunità per portare la nostra attenzione all'interno e diventare un po' più familiari con la sorgente. Oltre il fango costituito da ignoranza, desiderio, avversione troviamo l'oro, la nostra natura di Buddha, che in essa stessa è oltre ogni descrizione.  Decenni di esperienze e fango non hanno cambiato la natura dell'oro e la nostra vera natura. Per molti, è un lento e graduale processo avvicinarsi e percepire queste qualità positive innate all'essere umano. Qualità che spesso abbiamo difficoltà a percepire in noi stessi. Alcuni si chiedono: "ma se io ho queste qualità, perchè sono sempre nervoso, ansioso, depresso, senza speranza, o litigo spesso con gli altri "?

 Le percezioni influenzano le esperienze, le esperienze influenzano il comportamento, i comportamenti rinforzano le esperienze e le esperienze rinforzano la percezione.   Il testo Abhidharma spiega l'insegnamento buddhista in dettaglio ed elenca  84 tipi di afflizioni mentali e emotive che ci impediscono di cambiare. Il testo Mahayana Uttaratantra riporta le abitudini che ci impediscono di percepire la nostra vera natura che possiamo chiamare "Buddha Nature Blockers". Questi blockers sono le modalità con cui rispondiamo alle esperienze e ci impediscono di rapportarci alla vita con saggezza e consapevolezza. Il primo blockers è la tendenza a autocriticarci e a giudicarci e a sentirci inadeguati, incompetenti, sbagliati. Bassa autostima, ansia da prestazione rientrano in questo primo caso. Alcool e droga provvedono un senso artificiale di sicurezza a persone che mancano di fiducia in loro stessi o con difficoltà a relazionarsi con gli altri.  Il secondo blockers è l'attitudine a giudicare gli altri. Le altre persone sono meno competenti di noi, sono sbagliate, sono in torto...  Rappresenta la difficoltà a vedere qualcosa di buono negli altri. Questo è anche quello che succede a varie coppie, dopo un lungo periodo di convivenza, i partner cominciano a vedere le imperfezioni dell'altro, e il partner diventa fonte di irritazione e dolore.  Il terzo blocco è quello di vedere il falso per il vero. I buddhisti lo chiamano 'eternalismo',  ossia la tendenza a considerare certi aspetti dell'esperienza come assoluti, e non una combinazione  temporanea di cause e condizioni. Il quarto è vedere il vero per il falso. il quinto blocco, che può essere considerato la base degli altri, è il mito di Sè stessi. Ci aggrappiamo alle nostre opinioni, nostre narrazioni senza mai metterle in discussione.  Questi blockers lavorano in sinergia, e condizionano il nostro modo di pensare e agire e dobbiamo anche essere consapevoli che questi blockers sono un prodotto del nostro modo di pensare.  Guardare al modo in cui guardiamo le cose è l'essenza di vivere sul sentiero. in questo modo i semi delle nostre qualità positive cominciano a germogliare.

 "La consapevolezza è un modo neutrale che permette di mantenere la nostra capacitò di riflessione anche quando ci troviamo in mezzo a emozioni turbulente". - Danile Goleman.  

L'obietttivo della pratica dell'attenzione o samatha è diventare consapevoli di essere consapevoli, La consapevolezza è la base, il supporto della mente. La consapevolezza ci permette di capire cosa stiamo provando a livello emotivo e cosa stiamo pensando. La prima tappa è quella di portare l'attenzione ai pensieri, alle sensazioni senza nessuno scopo o intenzione. Giusto arrivare a notificare cosa si  sta provando, pensando. La seconda tappa è la consapevolezza meditativa, ossia arrivare ad avvicinare emozioni e pensieri come oggetti di focus per stabilizzare la consapevolezza.  Spesso quando proviamo a prenderne consapevolezza, spariscono, e questo è un bel risultato perchè siamo arrivati ad essere consapevoli di essere consapevoli.   Se non spariscono è una buona opportunità di diventarne l'osservatore, lo spettatore.  Per incominciare dovremmo darci dei piccoli obiettivi, ossia cercare di focalizzarci su un suono o una forma, e poi passare ad allenarsi e focalizzarsi su piccole emozioni o pensieri che influenzano la nostra attuale esistenza (come ad esempio l'irritazione di fare la fila per un certo tipo di servizio). Solo dopo potremmo affrontare emozioni come la solitudine, l'autostima, ecc.     Terza tappa è cercare di prendere le distanze e cercare di guardare cosa si nasconde dietro un'emozione - che è il supporto all'emozione stessa.   Ad esempio se provi del panico, quello che ti può dare fastidio è la paura del panico. La stanchezza può essere ad esempio un segnale di depressione, ecc.   La quarta tappa è apprendere durante il periodo di sospensione della pratica. 

A volte è necessario sospendere la pratica di meditazione e fare altro quando il focus della meditazione diventa troppo intenso. Questo perchè le riserve fisiche, mentali, emozionali sono esaurite. E' importante quindi alternare periodi di pratica e periodi di riposo.  Lo stesso principio è valido quando si provano senzazioni positive e la mente diventa immobile. Dobbiamo avanzare lentamente e alternare periodi di riposo. Il periodo di riposo è importante tanto quanto il periodo di inizio pratica.

Guardando ad esempio l'aspirazione di una persona ad una relazione duratura,  si potrebbe scoprire che il vero focus dei suoi pensieri è il fatto di sentirsi non amabile e i ricordi della sua infanzia, quando non era invitata alle feste, ecc... Spesso dietro ad una aspirazione o desiderio c'è una vera trama. Considerare tutti questi singoli aspetti della trama, è un modo di meditare. La consapevolezza permette di scomporre il problemi in tanti piccoli sottoproblemi, il dolore in tanti piccoli pezzi.  E piano piano si prende consapevolezza che tali sensazioni non sono inamovibili o fissi. Si comincia a sentire una connessione con gli altri che trascende desiderio, gelosia e paura. Si comincia a riconoscere che tutti i fenomeni sono interdipendenti e composti da molte piccoli parti.

Oggi, la rabbia verso l'ex- partner, un collega di lavoro, un famigliare può durare degli anni. Se guardiamo le emozioni da vicino, come ad esempio la rabbia, vedremo che sono  costituite da una combinazione di parole e pensieri, e se inizio a separare queste parti, non trovo più la rabbia o per lo meno riesco ad attenuarla.  Un'altra opportunità per ammortizzare l'effeto di emozioni negative è quello di concederci l'opportunità di osservarle di nuovo. L'obiettivo di queste pratiche di interiorizzazione è rompere l'illusione della permanenza di un fenomeno o emozione e arrivare a capire quale componente dell'emozione ha fatto scattare un tale atteggiasmento.  Spesso si riesce a far emergere nella nostra coscienza, episodi dell'infanzia o altro che ci hanno reso sensibili  o vulnerabili davanti a certi episodi. Molte persone resistono a queste pratiche di interiorizzazione e trovano difficile smontare l'emozione negativa in piccoli pezzi. La resistenza principale è dovuta alla paura del cambiamento, la paura di perdere la nostra identità, ossia la tendenza a sentirsi senza speranza, soli, ansiosi o impauriti.  Molti hanno bisogno di drammi o situazioni conflittuali per vivere nella quotidianità, se vogliono cambiare, devono interiorizzare e scomporre questi sentimenti per riuscire a capire perchè!

Estendere l'empatia. Spesso se siamo stati feriti da qualcuno, rispondiamo con lo stesso atteggiamento. I maestri buddhisti indicano un'altra via percorribile "The High Road", ossia invece di rispondere in modo conflittuale, rispondere empaticamente, sperimentando una pace mentale cercando di aiutare l'altra persona. L'empatia ha un gusto differente, è un processo di trasformazione. permette di riconoscere che il comportamento dell'altra persona è stato provocato da emozioni conflittuali che avevano preso il sopravvento. Questa pratica nel buddhismo è chiamata Tonglen, si riconoscono le sofferenze degli esseri sensienti e si cerca di prenderle dentro di sé,  e  poi si immagina di portare all'esterno tutte le nostre qualità positive e di indirizzarle verso gli altri.  E' un percorso molto lungo, c'è bisogno di tempo per migliorare le nostre capacità di gentilezza amorevole e compassione.

 Le vere basi delle pratiche buddhiste sono: capire la capacità della mente di creare la percezione della realtà nella quale ci troviamo.  

La vera forza risiede nel percepire le nostre debolezze. Nell'affrontare le nostre emozioni disturbanti e i problemi che si verificano nelle nostre vite, scopriamo un'esperienza di benessere che si estende dentro e fuori di noi. Noi siamo tutti dei Buddha, soltanto non lo riconosciamo. Quando ci prefiggiamo di sviluppare la consapevolezza della nostra vera natura di Buddha, cominceranno dei cambiamenti nell'esperienza nella nostra vita quotidiana. Le cose che ci turbavano perderanno il loro potere su di noi. La saggezza consiste nel risveglio del cuore, il riconoscere la nostra connessione con gli altri, ed è la strada della gioia.

Nella tradizione Vajrayana del buddismo tibetano quando arriva il momento della morte, i grandi maestri si mettono nella postura meditativa (tuk dam). Tukdam è uno stato meditativo che si dice avvenga dopo la morte clinica in cui il corpo mostra minimi segni di decomposizione, mantenendo un aspetto realistico per giorni o addirittura settimane.  

Introduzione al Blog

  Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono c...