venerdì 30 dicembre 2022

La meditazione - Jiddu Krishnamurti.

Dal Livre de la méditatio et de la vie   di  J. Krishnamurti (1895-1986)

La meditazione è essenziale nella nostra vita, nella nostra esistenza quotidiana, allo stesso titolo della bellezza. La percezione della bellezza e la sensibilità alle cose, brutte o belle, sono essenziali – vedere un albero, contemplare un magnifico cielo di sera, vedere il vasto orizzonte dove si ammassano le nuvole al tramonto del sole.

La meditazione, non è solo la coscienza del sé permanente, ma anche l’abbandono permanente dell’ego. La meditazione nasce dal pensiero giusto, da dove parte a sua volta la tranquillità e la saggezza; è infine, in questa tranquillità che viene percepita la realtà suprema.

La meditazione è l’inizio della conoscenza di sé, e senza la meditazione, non c’è possibilità della conoscenza di sé. Se voi conoscete i meccanismi della mente, vi accorgerete che a volte è perfettamente tranquilla. In questa tranquillità totale della mente, non c’è un osservatore, e dunque l’esperienza non ha più un soggetto, non c’è più un’identità che assimila l’esperienza, quello che è l’attività della mente egocentrica. Non dite che è lo stato di samadhi. Perché ciò è totalmente assurdo, e voi lo conoscete solo attraverso le vostre letture, ma senza averlo mai sperimentato.

Meditare è depurare la mente della sua attività egocentrica, E se voi arrivate a questo stadio della meditazione, voi scoprirete che non c’è che silenzio, il vuoto totale. La mente cessa di essere contaminata dalla società, dall'esperienza, e non è sottomessa a nessuna influenza, né spinta da nessun desiderio. E’ assolutamente sola, e perché è sola è intatta, è innocente. E’ così che diventa possibile l’avvenimento di questa cosa fuori dal tempo, eterna. L’insieme di questo processo è la meditazione.

La meditazione fiorisce nella bontà e la meditazione comincia con la generosità del cuore. Se la vostra mente è tirannizzata dall’autorità, sottomessa, attaccata alla tradizione, voi non saprete mai quello che è meditare su questa bellezza straordinaria…   Per donare, indipendentemente da quelli che sono i mezzi, grandi o piccoli, di cui si dispone, è necessaria la qualità della spontaneità del dono, senza restrizioni, senza remore.  La meditazione è la fioritura della bontà.

Comprendere nella sua totalità questo processo dell’esistenza – le influenze, i problemi, le tensioni quotidiane, le attitudini autoritarie, gli atti politici, e così via, è questa la vita; e la meditazione, è il processo che porta  a comprendere tutto questo, e a liberare la mente. Se si capisce pienamente quello che è questa esistenza, allora il processo meditativo, il processo contemplativo, non si interromperà mai – ma questo non è qualcosa su cui si medita. Avere coscienza di tutto questo processo dell’esistenza, osservarlo, immergerci senza cedere alla passione, poi liberarsene, questo è la meditazione.

L'esperienza della trascendenza - Karlfried Graf Durckheim

L'Expérience de la Transcendance di Karlfried Graf Durckheim (1896-1988).

"Il maestro è la risposta all'appello di colui che cerca la via".

Uno dei segni della nostra epoca, è che le persone che fanno l'esperienza della Trascendenza, che è loro immanente, sono sempre più numerose. Fanno l'esperienza di un Essere che in loro e attraverso loro desidera manifestarsi nel mondo. Queste esperienze erano un tempo definite come mistiche. [...]  Oggi, il pensiero scientifico non è più chiuso all'esperienza della Trascendenza, al contrario, si realizza pienamente in essa quando raggiunge i limite delle proprie possibilità.   Sono quattro i mezzi offerti all'uomo per accedere all'esperienza Sopra-sensibile: 1- la natura, il silenzio delle foreste, il cielo stellato;  2- l'arte che va al di là delle parole; 3- l'erotismo quando la tenerezza fisica chiama l'uomo a un allargamento della sua aurea; 4- la religione, quando c'è un incontro interiore con il Divino che ci è immanente. 

La meditazione prende, in Occidente, un'importanza sempre più grande, e questo mostra bene che in ragione della meccanizzazione della vita, l'uomo prova una nostalgia e un bisogno crescente di entrare in contatto con il Trascendente. E' stato concesso all'uomo di conoscere il livello incondizionato, fuori dal tempo e dello spazio, che trascende ogni capacità umana. Questa esperienza permette all'uomo, se si impegna nella via della realizzazione del Sé, di testimoniare nell'esistenza condizionata spazio-temporale il mondo sopra-sensibile.  Le esperienze attraverso le quali l'Essere essenziale penetra nella coscienza dell'uomo sono di natura molto diversa: vanno dal leggero soffio di consapevolezza alla possente irruzione della Trascendenza che libera immediatamente l'uomo dalla sua schiavitù dell'io esistenziale. Comunque il tratto comune è una nuova presa di coscienza. E' la ripetizione di certe attitudine precise che può creare le condizioni favorevoli all'apertura al Divino. Dall'altra parte, nessun esercizio, anche praticato per anni, può forzare l'Essere a rivelarsi e ad agire.

Nella meditazione, fondata sulla ripetizione, la respirazione gioca un ruolo importante. E' in sè, l'eterno ricominciare di un movimento in trasformazione. Se non riduciamo la respirazione ad un movimento fisico, ma se la esercitiamo coscientemente, come un'attitudine del corpo che siamo, può diventare un mezzo di trasformazione attraverso il quale l'Essere può penetrare in noi.   La pratica meditativa è come un tuffo silenzioso, e nello stesso modo tutte le attività quotidiane condotte in modo meditativo, conducono alla liberazione delle forze dell'Essere al di là della vacuità.  Quando l'uomo, attraverso la cancellazione del suo Ego, avrà vissuto il risveglio dell'Essere e si sarà ancorato a lui, non troverà nella sofferenza una ragione per lamentarsi, ma un mezzo per migliorarsi. 
In Occidente, c'è oggi, la riscoperta della necessità per l'anima di una ricerca spirituale. E l'incontro con la tradizione orientale gioca un ruolo fondamentale in questa nuova tendenza. E' soprattutto dopo la prima guerra mondiale che la spiritualità orientale penetra in Occidente. Molte persone erano ritornate dal fronte dopo quattro anni durante i quali la morte e la distruzione erano onnipresenti. Era l'epoca in cui i giovani leggevano Siddharta di Herman Hesse, o gli scritti di Paul Bruton sull'esperienza del vero Sè che aveva fatto in India, o quelli di Daisetzu Suzuki che trasmettevano il messaggio del buddhismo zen. Lo spirito dell'Oriente veniva trasmesso attraverso i libri ma anche grazie agli esercizi pratici dello yoga e dello zen.
L'uomo occidentale soffre dello stress, la vera causa di questa malattia è l'assenza di contatto con il  proprio essere interiore. Solo l'unificazione dell'uomo con il proprio essere interiore potrebbe dargli un sentimento di sicurezza, di una coscienza profonda. La realtà interiore è di un altro peso e di un altro ordine che la realtà del mondo esterno, più importante di questo e destinata a prevalere.
La mente occidentale è sempre rivolta verso la realizzazione del mondo, la realizzazione interiore non è quasi mai sviluppata. Oggi, l'occidentale ha bisogno di un aiuto oltre quello destinato a ripristinare la sua salute fisica e psichica. Del resto anche psicologi e psicoterapeuti si stanno orientando verso nuove strade. L'influenza più importante che l'Oriente abbia esercitato sull'Occidente riguarda gli esercizi pratici per  la realizzazione del Sè. 
Per l'Oriente esistono due tipi di esercizi pratici che mirano alla realizzazione dell'essere interiore. 1- una forma di meditazione passive come lo za-zen o la ripetizione dei mantra, o la meditazione trascendentale oppure 2- una forma di meditazione attiva come l'hatha yoga, tai-chi-chuan, esercizi del buddhismo zen, tiro con l'arco, la pittura o altre arti. Ma spesso questi esercizi vengono proposti eliminando l'aspetto iniziatico e allora lo yoga diventa puro esercizio fisico e la ripetizione di un mantra diventa un esercizio di rilassamento. Quando l’hatha yoga è insegnata come ginnastica, non ha più niente a che vedere con la Via, può essere utile alla salute, e al rilassamento, ma solo quando sarà praticata come esercizio sulla Via, potrà portare ad una relazione con l’Assoluto e alla Trascendenza. Le stesse considerazioni valgono per la meditazione Za-zen.
 
I giapponesi usano il controllo delle capacità esteriori come mezzo di sviluppo dell'uomo interiore. Più la tecnica è sotto controllo, meno il praticante ha bisogno dell'Io. Il principio fondamentale sul quale riposano tutte queste pratiche è lo stesso per tutte le pratiche iniziatiche del mondo. Il piccolo "Io" deve morire, al fine di liberare la via verso una nascita di un Sè più profondo. Questa è la via della trasformazione interiore, staccarsi dall'Io esistenziale per arrivare ad ancorarsi all'Essere essenziale. Questo stato è chiamato Hara in giapponese. Migliorare le performance esteriori per arrivare a mettersi in cammino verso la maturazione  interiore. Lo spirito dell'Oriente, basandosi sull'esperienza della sofferenza umana, è essenzialmente centrato sulla liberazione per l'esperienza dell'essere essenziale, del Tutto-Uno. Mentre, la mente occidentale è più preoccupata di controllare le condizioni della vita esteriore. L'integrazione di questi due poli porterebbe allo sviluppo simultaneo delle capacità di realizzazione nel mondo e della maturazione spirituale.

L’esercizio ben compreso è il cammino che l’uomo compie per accedere, tappa dopo tappa, alla Via, alla sua vera natura, la natura di Buddha, attraverso il quale l’uomo libera il suo vero Essere. È una via verso lo stato più elevato di coscienza a cui l’uomo può arrivare, e attraverso il quale si apre al contatto con l’Assoluto vivente nel suo nucleo essenziale. E’ attraverso una severa disciplina e un’azione umilmente ripetuta senza sosta che l’uomo diviene poco a poco permeato dell’Essenza vivente di tutte le cose nella profondità incosciente del suo sé individuale e si prepara alla Grande Unione. 
 
Heugene Herrigel ha portato un contributo inestimabile alla comprensione dello zen e a tutte le sue pratiche. Ad esempio, il tiro con l’arco è una via che deve condurre, grazie a un tuffo metodico preparato, al più profondo dell’anima, a una presa di coscienza, poi ad un’unione con “il senza fondo al di là di tutte le forme”. Per arrivare a questo è importante l’attitudine interiore, e il centro dell’opera interiore è il “lasciare andare”, la liberazione dell’Io.   
Un saggio zen ha detto: "Perché ci sia un’implicazione religiosa o spirituale in un’azione, occorrono due cose; la semplicità e la possibilità di ripeterla in continuazione". Nel tiro con l’arco e nelle arti marziali, all’inizio c’è una profonda concentrazione, la scomparsa della tensione tra il praticante e l’oggetto, l’unione finale con l’oggetto fino a trascendere l’oggetto stesso e l’Io, Solo questa scomparsa permette l’emergere dello Spirito (nel senso di forza essenziale sopra-personale e sopra-individuale). Quando il praticante ha la gioia di percepire questa forza con la coscienza purificata, può arrivare a conoscere il suo Sé più profondo. Sotto l’effetto di questa gioia, la performance diventa secondaria. E quando si percepisce questo pienezza e profondità non preventivate che la persona afferma: “Quello che ho vissuto ha un valore talmente incontestabile che per me, da adesso , non ho alcun dubbio, che devo impostare la mia vita per far si che possa ritrovare quello che ho provato là, solo per un istante”. Solo quando abbandoniamo tutte le difese naturali, accettiamo l’inaccettabile, e ci abbandoniamo coscientemente all’ineluttabile, è allora, che qualcosa di incredibile si produce, di un solo colpo la paura sparisce, la paura della morte sparisce. E’ solo grazie ad una presa di coscienza e una grande perseveranza che la dimensione trascendente trova, quando è sperimentata, la sua vera realtà nell’uomo. Quando questo si verifica, l’uomo accede a quello che viene chiamata la Via, ossia lo sviluppo al quale è destinata la sua essenza.

E' per l'esperienza di una Realtà accessibile all'uomo, che lo supera e lo trascende, che la Trascendenza, punto di partenza di una nuova vita, diventa il centro della realizzazione umana. La parola trascendenza ha due significati diversi: può designare sia una realtà che supera i confini ristretti dell'umanità, sia un modo di elevare tutto il contenuto della coscienza in un altra dimensione. Per arrivare ad una dimensione trascendentale occorre disponibilità e spirito di apertura all'interiorità profonda del nostro essere, per permettere a questo Essere, che desidera manifestarsi in noi e, attraverso noi, nel mondo, di rivelarsi. La sola cosa che si oppone ad un rapporto vero con il Divino, è la menzogna per la quale io mi mostro differente di quello che sono.

Solitudine

Secondo me, molte persone non sopportano la solitudine, questa li rende folli. Sono pronte a fare qualsiasi cosa pur di non ritrovarsi da sole.

È  come se avessero paura di ritrovarsi con sé stesse, e non capiscono che altri possano aver voglia o amare di ritrovarsi con sé stessi. 

La solitudine è come una lente d’ingrandimento: se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male stai malissimo. 

Poche attività mi procurano piacere e rasserenano il mio animo come il camminare da soli nella natura; si fanno esperienze gradevoli: i tramonti, il cambio dei colori durante le stagioni, l'immensità, il tempo, il vento, le nuvole, la pioggia, l'orizzonte, ... tutto cambia, tutto il tempo.  Ma per la grande maggior parte del tempo, non si incontra nessuno e contrariamente a quello che le persone credono, non è mai la stessa cosa.

In questa vita, si direbbe che tutti cerchino qualcuno, o qualcosa per delle buone o cattive ragioni... l'amore, i soldi, la vendetta, di dimenticare... la lista è infinita...   o anche siamo noi stessi ricercati da persone più o meno ben  intenzionate.


venerdì 23 dicembre 2022

Mindfulness immaginale

 Mindfulness Immaginale, pratiche di meditazione immaginale

Selene Calloni Williams, Silvia C. Turrin.   

Colui che conosce il Brahman supremo diviene il Brahman. Dalla Mundaka-Upanishad  

Esperienza di meditazione raccontata da Selene Calloni Williams.  Mindfulness è la traduzione del termine sati, che in pali significa consapevolezza ed attenzione, ovvero attenzione cosciente.  Mindfulness è un corpo di pratiche meditative che riunisce in sé, buddhismo, zen, pratica e meditazione yoga.  A Sri Lanka, dove ho fatto un eremitaggio di sei anni, incontra il grande Maestro Michael Williams. Qui incontra anche il reverendo Gotatuwe Sumanaloka Thero, eremita di tradizione Therevada.

La mindfulness immaginale nasce dall’unione della meditazione buddhista, delle conoscenze dello yoga sciamanico, e della visione immaginale, che è propria della psicologia del profondo, in modo particolare di James Hillman, psicanalista e filosofo svizzero. La visione immaginale è particolarmente efficace con gli occidentali che vogliono avvicinarsi alla meditazione, ne semplifica l’applicazione e ne potenzia i benefici. E' un invito al sacro, al darsi, all’offrirsi, al trascendere la propria individualità separata per trovare l’unione con l’universo.  L’individuo e il tutto sono dentro l’uno nell’altro, inscindibilmente uniti, distinti, ma non separati.  Quando sei in meditazione dai te stesso, annullati, sciogli la mente nella sensazione senza giudicarla. Sciogli l’attaccamento.

L'obiettivo è raggiungere il samadhi (lo stato di unione con il tutto) che si può raggiunge a mezzo dell’immobilità prolungata nella postura meditativa. Alla fine vi è solo lo svanire, nel buddhismo si raggiunge  il Nirvana che significa appunto estinzione. Il più grande insegnamento che si apprende dalla meditazione è che l’amore è la sola verità, tutto il resto è illusione. Gli insegnamenti ricevuti, si trasformano da concetti in pura esperienza di beatitudine.  

Il meditante deve vincere gli attaccamenti (upadana) e deve avere un’incrollabile fede nel fatto che le immagini e gli avvenimenti che gli si presentano sono chittamaya, impressioni della coscienza che si manifestano col solo unico scopo di permettergli di darsi, sciogliendo gli attaccamenti di cui è prigioniero. Nell’immobilità prolungata, i vayu, le correnti energetiche che direzionano il prana si acquietano fino ad arrestarsi e ciò provoca la sospensione del respiro. Ad un certo punto il respiro si sospende e ci si trova a viaggiare nello spazio siderale, dentro e fuori di noi. Si raggiunge così il chitta samadhi, il samadhi della coscienza.  Quando ci si accorge di non respirare, in quello stesso istante, il primo respiro  entra  in noi dissolvendo lo stato di samadhi per riportarci nel mondo con una consapevolezza nuova.     -------------------------------------

 Introduzione di Silvia C. Turrin.  Le mie pratiche si sono manifestate attraverso il cankamana, la meditazione camminata nel Trentino, mi abbandonavo a Madre natura, e a volte inconsapevolmente praticavo Anapanasati, la meditazione sul respiro quando raggiungevo i rifugi ad alta quota. Una parte di me mi ha spinta ad avvicinarmi allo yoga e alla meditazione. In seguito mi sono avvicinata alla meditazione frequentando centri legati alla tradizione Mahayana.  La prima esperienza spirituale l’ho fatta facendo un pellegrinaggio nel nord dell’India, territori pieni di spiritualità, dove risuona continuamente il mantra “Om namah shivaya”,  Un cammino che mi ha portato alle sorgenti del Gange mi ha permesso di vivere profondamente l’esperienza dell’unione con le energie sottili. Asceti, pellegrini, monaci, meditanti cercano di essere prossimi al cielo. Successivamente ho seguito un corso di Mindfulness immaginale mi ha permesso di entrare nel cuore della pratica meditativa e sentire la centralità della presenza mentale.  Di riflesso questo cammino di consapevolezza mentale mi sostiene nella vita quotidiana. Ho incontrato Selene ed ho avvertito che non era un’insegnante comune. Ha cercato con un’abilità rara di unire i saperi orientali e quelli occidentali.  Si può sintetizzare il lavoro e la ricerca di Selene con questa frase “Possa la pace prevalere sulla terra”.   Se ogni persona si fermasse ogni giorno compiendo su di sé un lavoro introspettivo, praticando la meditazione, i semi della pace si spanderebbero diffusamente e con maggiore facilità.  Il cammino spirituale è lungo, e come ho appurato, è un viaggio da compiere senza fretta. Non a caso il grande mistico Milarepa affermò: “Affrettati lentamente, arriverai presto”.                      -----------------------

Il samadhi è uno stato di fusione con il Tutto, ciò che conduce al samadhi, è il superamento dello stato mentale. Più siamo nella mente, più siamo limitati. più siamo nell'amore, più siamo illimitati. La compassione buddhista è una forma d'amore e il mezzo della vera conoscenza. Ciò che sperimentiamo in vita è solo miraggio, apparizione e la reale natura di tute le cose è impermanenza.  Ed è proprio questo carattere evanescente, impermanente della natura che esprime il sacro. Il Dio Shiva Nataraja con la danza manifesta il processo ritmico della vita, dove si alternano creazione, conservazione, morte e rinascita. Nel buddhismo lo stesso concetto è espresso con la ruota del samsara, ossia la ruota del divenire.  Il cammino che libera dall'inganno della coscienza ha inizio con una presa di consapevolezza dello stato dei fatti, e cioè che tutto è anima.  

La meditazione con il suo satipatthana o cammino dell'attenzione cosciente, ti conduce ti conduce con la massima intensità nell'attimo presente. Entrare nell'attimo presente è risvegliarsi dall'inganno del tempo, uscire dalla ruota del samsara. Se cambi il mito del tempo tutto il mondo si dissolve come una nuvola in un soffio di vanto: non c'è più causa e non c'è più effetto. E dopo questo crollo l'amore è tutto ciò che rimane.

Vorticose e stressanti attività indebolisco l'essere umano e lo svuotano sul piano fisico-energetico e mentale.  Bisogna capire che non si può continuare a correre e lasciarsi condizionare dal mondo esterno. La mindfulness ci viene in aiuto per ricondurre le energie al Sè e per risvegliare la vera natura di ogni essere senziente. Le sensazioni di vuoto, spossatezza, smarrimento sono dovuti a stili di vita frenetici, che poi portano a stati ansiosi e depressivi e ciò è dovuto anche alla mancanza di connessione con la natura. Con la mindfulness riportiamo l'atttenzione al qui e ora, ci aiuta ad essere consapevoli e a sanare  stati psicofisici.  Neuroscienziati come Richard Davidson hanno evidenziato che la morfologia dle cervello è modificabile e di conseguenza anche la percezione del mondo e di noi stessi. Aurobindo uno dei più grandi maestri spirtuali dell'India afferma "Noi siamo i maestri delle cose e non le vittime delle loro reazioni".

La mindfulness immaginale si inspira alla tradizione buddhista Theravada che è considerata la corrente più antica, ed è a Sri Lanka che questi insegnamenti del Buddha sono meglio conservati (gli insegnamenti, denominati il canone Pali, venivano trascritti su foglie di palma). La scuola Theravada racchiude diversi sentieri come quello chiamato dei monaci della foresta, che abbandonano lo stile di vita mondano e con la rinuncia, al disciplina e la meditazione cerca di arrivare alla liberazione.  La mindfulness immaginale ha anche dei riferimenti al buddhismo Mahayana e in modo particolare al buddhismo tantrico-sciamanico detto Vajrayana diffuso soprattutto in Tibet, Bhutan e Mongolia che utilizza il ritualismo, la mistica e pratiche esoteriche. Grandi pensatori del buddhismo Mahayana sono stati Nagarjuna (autore della dottrina di mezzo, Asanga e Santideva autore della Bodhicaryavatara.

Questo tipo di mindfulness utilizza un metodo simbolico-immaginale ed è un approccio non terapeutico per un viaggio interiore. La meditazione ha il compito di dissolvere la maschera e liberare l'individuo dei veli dell'illusione dell'io raggiungendo il Nirvana o NIbbana, ovvero l'estinzione dell'io e della sensazione di esistere quali esseri distinti e separati dal tutto.  La parola samadhi significa mettere insieme, e fa riferimento all'unione dle meditante con il tutto. La meditazione quindi ci porta verso il benessere totale e ci spinge ad uscire dall'individualità ed andare oltre l'illusoria idea dell'Io. La prima fase della meditazione è calmare la mente che come una scimmia è in continuo spostamento, rimane sospesa tra ricordi del passato, speranze nel futuro, paure, emozioni. Per fare questo occorre scegliere la postura più adeguata che è quella del loto, una posizione che ci permette di protrarre l'immobilità portando il corpo ad uno stato in cui perde i suoi confini.

Astenersi dal male, praticare la perfetta virtù e domare del tutto la mente, è la dottrina del Buddha. 

Satipatthana, la via della presenza mentale ci addestra ad essere consapevoli e coscienti di ogni gesto che si compie, di essere nel momento presente, vivere le esperienza senza giudizio. E' una meditazione esistenziale che si può praticare in qualsiasi momento e circostanza. La meditazione della presenza mentale consiste nel rivolgere l'attenzione al corpo, alle sensazioni, allo stato mentale e ai fenomeni o oggetti mentali come emozioni, pensieri, ecc... Ciò porta alla consapevolezza della chiara luce della mente. La meditazione porta allo scioglimento dei nostri attaccamenti, che sono all'origine di tutta la sofferenza umana. Spesso quando meditiamo sorge un fastidio: al collo, al ginoccchio, alla schiena ecc, ad un certo punto il fastidio si trasvaliuta e diventa forza e visione profonda. I requisiti della meditazione sono: depersonalizzazione/disidentificazione, smaterializzazione, pacificamente della mente, rallegramento della mente, attenzione cosciente, assenza di giudizio, lasciar fare, la trasvalutazione ossia la capacità di attribuire un giudizio diverso agli eventi e a ciò che ci accade, uscire dalla costrizione tremenda che è la nostra personalità (la gabbia del'IO).

Tra le tecniche meditative per calmare la mente troviamo il controllo del respiro o Anapasati. Ana è l'inspirazione, pasa è l'espirazione, sati è il controllo. Il respiro, come dicono i buddhisti è uno degli oggetti privilegiati su cui indirizzare la mente. Altro tipo di respirazione altamente rigenerante è Cankamana o camminata. In questo caso meditare significa porre l'attenzione e la consapevolezza su ciascun passo. La camminata è estremamente lente, le mani dietro la schiena, e una mano tiene il polso dell'altra e ci si focalizza su alzo- abbasso il piede, oppure alzo-avanzo-abbasso. Quando si termina il ciclo bisogna restare immobili per qualche istante, ascoltando la risonanza lasciata dai movimenti.

Ogni cosa esistente è impermanente (anicca in lingua pali). Comprendendo ciò, vai al di là della sofferenza, Questo è il cammino della purezza. Dal Dhammapada. 

Dal punto di vista buddhista gli eventi, le sensazioni, le emozioni sono il rpodotto della nostra psiche. E ciò è sempre riportato nel Dhammapada. Siamo ciò che pensiamo, Tutto ciò che siamo è il prodotto della nostra mente. Ogni parola o azione che nasce da un pensiero torbido è seguita dalla sofferenza come la ruota del carro segue lo zoccolo del bue.   Siamo ciò che pensiamo, Tutto ciò che siamo è il prodotto della nostra mente. Ogni parola o azione che nasce da un pensiero limpido è seguita dalla gioia come la tua ombra ti segue inseparabile.

Da ciò emerge che la mente è il punto di partenza per modificare la nostra esperienza di vita. Il primo passo è conoscere la nostr amente, il secondo passo è modellare la mente e renderla più flessibile creando un centro interiore forte e ben ordinato che ci permette di placare interferenze e distrazioni. Il terzo passo è quello di liberare la mente da costruzioni mentali e stereotipi, non si è più schiavi delle condizioni esterne visto che la nostra vera natura è pace nel qui e ora.

La meditazione immaginale è strutturata in tre fasi: si inizia con la concentrazione e acui segue una meditazione su la fiamma della candela e poi ci si concentra su deu colori.  Concentrarsi sulla fiamma significa percepire calore, eenrgia e soprattutto osservare un simbolo dell'impermanenza. La meditazione kasina è una tecnica di contemplazione di alcuni oggetti. Nle canone pali sono suggeriti dieci oggetti su cui meditare circa 20 minuti: la terra, l'acqua, il fuoco, l'aria, il colori blù o verde, il colore giallo, il colore rosso, il colore bianco, lo spazio, la luce brillante della fiamma. La concentrazione avviene a occhi aperti, fissando lo sguardo sull'elemento prescelto, senza mai muovere lo sguardo. La meditazione sui colori ci permettere di entrare in contatto con le profondità della psiche.

Nel buddhismo Theravada, la meditazione nirodha è quella meditazione che ci porta all'estinzione di tutte le impressioni (samskara), permettendoci di raggiungere la vacuità, accompagnata da una profonda pace interiore e tranquillità psico-fisica.. Una zona luminosa dove la vita e la morte e tutti gli opposti si incontrano. Il monaco entrato in nirodha ha le funzioni corporee, mentali e della voce sospese, ma la vita non è finita, il calore vitale non è estinto e le facoltà non sono distrutte. Il corrispondente nella tradizione Mahayana è il nirvana nel samsara. La differenza è che la suprema liberazione dal ciclo del samsara si può ottenere solo al momento della morte nel buddhismo theravada, mentre nel buddhismo mahayana è contemplata la possibilità di raggiungere questa suprema liberazione anche in vita..

l'IMMA (Imaginal MIndfulness Meditation Approach) costituisce una serie di raccolte privilegiate di esercizi di meditazione e di risveglio ed è stata messa a punto da Selene Calloni Williams e dal monaco eremita Gotatuwe Sumanaloka Thero.  L'IMMA è un protocollo attraverso il quale si cerca di riportare il sacro nella terapia, e ristabilire un ordine universale, un equilibrio corpo e natura che l'illusione dell'IO ha rotto. Questo protocollo serve a curare stress, ansie e paure, problemi di relazione affettiva. 

________________    Selene Calloni Williams conobbe Gotatuwe Sumanaloka Thero a Sri Lanka in un eremo insieme al Maestro Ghata Thera.  Fu condotta all'eremo dal suo maestro di yoga e sciamanesimo Michael Williams. Qui Selene divenne monaca e restò a Sri lanka per sei anni. Poi studiò psicologia in Svizzera con uno dei più importanti maestri occidentali James Hillman..

Esercizi di meditazione e di risveglio nella mindfulness immaginale.

 Esercizi del protocollo l'IMMA (Imaginal MIndfulness Meditation Approach).

Yoga per adolescenti

L'adolescenza è un momento che può rivelarsi molto delicato. In questa fase della vita (tra i 13 e 19 anni) i ragazzi e le ragazze, con sfumature diverse, cercano di affermare la loro indipendenza. Durante il passaggio all'età adulta, gli adolescenti hanno problemi di identità, si sentono incompresi e hanno problemi di comunicazione. Assistono a un cambiamento fisico, dato dalle variazioni ormonali, e insieme intellettuale. Mettono in discussione il modo in cui hanno inteso tutte le relazioni fino a quel momento. Rabbia, frustrazione, confusione, inquietudine, gesti impulsivi, reazioni incontrollate, agitazione, sconforto e senso di inadeguatezza sono un denominatore comune di questo periodo della vita, per ogni essere umano. Lo yoga permette agli adolescenti di ascoltare il loro corpo e, insieme, i cambiamenti che da questo provengono. E' in grado di valorizzare i ragazzi per ciò che sono, senza giudizio. Attraverso il corpo e il respiro, lo yoga ridurrà le loro inquietudini e li aiuterà a canalizzare le loro energie in una direzione più costruttiva. Lo yoga contribuirà a migliorare il loro benessere emotivo, fisico, mentale.

Gli adolescenti, dovrebbero fare almeno 60 minuti di esercizio fisico, da moderato a vigoroso, al giorno per migliorare e rafforzare le ossa, i muscoli e il sistema cardiovascolare. In questo modo, supporteranno adeguatamente il loro sviluppo fisico. Lo yoga è una buona attività per gli adolescenti perché può essere modificato in base alle capacità di ciascuno e può essere praticato a varie intensità.  Lo yoga per adolescenti è un sistema completo che può aiutarli a regolare le loro emozioni e a superare meglio l'adolescenza. Ecco come fare:

  1. Lo yoga può aiutare a combattere l'obesità promuovendo una riduzione del peso graduale e moderata utilizzano sessioni di yoga lunghe e frequenti, e diete basate sullo yoga. La pratica dello yoga è associata alla riduzione dell'indice di massa corporea e può essere un modo sano per gli adolescenti di evitare il sovrappeso e vivere in modo più sano.
  2. Lo yoga può contribuire a migliorare l'autostima. La meditazione nello yoga può aiutare gli adolescenti a vedere i loro difetti sotto una nuova luce. Questo può aiutare a combattere il bullismo e dare la possibilità di costruire un rapporto migliore con se stessi, in modo da evitare di prendersela con gli altri. 
  3. Gli adolescenti spesso soffrono di acne al viso che è strettamente correlata a uno stile di vita poco sano. Una dieta scorretta, l'aumento di peso e lo stress, causano infiammazioni persistenti. Lo yoga  come attività rilassante e un'alimentazione più sana possono contribuire a  ridurre lo stress e l'infiammazione che causa l'acne.                                                                                                                 
  4.  Quasi tutti gli adolescenti soffrono di bassa autostima e hanno un'immagine corporea scadente che li porta a vedersi come inadeguati. Lo yoga è uno strumento per apprezzare il corpo, riflettere interiormente e fare del sano movimento, migliorando l'immagine corporea e la salute mentale dei praticanti. Aiuta a sviluppare la gratitudine per se stessi e per il proprio corpo, eliminando i pensieri negativi su di sé. L'insegnante di yoga dovrebbe fare attenzione agli impatti negativi dovuti al confronto con gli altri partecipanti alla lezione. Sarebbe opportuno privilegiare il lavoro in coppia con l'obiettivo della ricerca dell’incontro e del rispetto dell’altro. Moltissimi asana possono essere assunti e mantenuti in coppia. Lavorare con un’altra persona è utilissimo per testare se stessi e per rapportarsi con il compagno in modo armonico e cooperativo. Il compagno è visto come collaboratore o complice insostituibile  e non come qualcuno da invidiare (atteggiamento tipico dell'adolescenza).      
  5. Molti adolescenti sono stressati con relativo aumento della frequenza cardiaca, Lo yoga può aiutare a gestire lo stress promuovendo il rilassamento e insegnando la consapevolezza del corpo, della mente e del respiro. Inoltre, le aree del corpo più stressate sono il collo, le spalle e la schiena, che semplici posizioni e allungamenti yoga possono aiutare a sciogliere. Esercizi di respirazione o semplici posizioni yoga possono aiutare gli adolescenti nella vita quotidiana, ad esempio prima di un esame, prima di andare a letto o durante lo studio.                                                                                                                  
  6. Lo yoga è un modo eccellente per gli adolescenti di staccarsi dalla tecnologia e dagli schermi e concentrarsi su se stessi. Lo yoga motiva a cambiare uno stile di vita più sano, allentando la dipendenza da internet e dai videogiochi. Gli adolescenti iniziano a dormire meglio, a mangiare meglio, a comunicare meglio e ad aumentare le attività in cui sono coinvolti al di fuori delle mura domestiche. Questi cambiamenti possono dare agli adolescenti chiarezza mentale, aiutandoli a riconoscere il loro rapporto malsano con i videogiochi o i social media.
  7. Lo yoga è un'ottima attività da praticare in caso di abuso o dipendenza da alcol o sostanze stupefacenti. Lo yoga infatti è rilassante e aiuta a migliorare la connessione mente-corpo e la consapevolezza che viene compromessa dall'abuso di sostanze. Aiuta le persone a rimanere calme e a prendere decisioni migliori.

Per riepilogare i benefici dello yoga per gli adolescenti sono:
    • Migliora la salute fisica:    • Migliora l'ottimismo    • Sviluppare la disciplina e la consapevolezza
    • Migliora l'autostima e l'immagine del corpo    • Migliora la concentrazione.

I rischi dello yoga per adolescenti.  Gli adolescenti dovrebbero iscriversi a una classe poco numerosa in modo che l'istruttore possa prestare loro la giusta attenzione. Dovrebbero cercare di iscriversi a un corso che rispecchi le loro capacità. Evitare di iscriversi a un corso più avanzato. Se gli adolescenti non sono fisicamente preparati, questo può indurre stress e ansia, che sono l'opposto di ciò che dovrebbero ottenere dai corsi di yoga per adolescenti. Se i ragazzi sono affetti da patologie, è consigliabile che parlino con un medico prima di frequentare un corso di yoga. Una volta ottenuto il via libera dal medico, occorre informare l'istruttore di eventuali condizioni fisiche o limitazioni esistenti, in modo che possa fornire pose modificate, se necessario, prima di iniziare la sessione di yoga.

Posizioni e pratiche aiuteranno gli adolescenti a migliorare la respirazione, l'equilibrio e a ridurre lo stress attraverso il rilassamento come ad esempio la Respirazione a narici alternate, il Cane rivolto verso il basso (adho mukha svanasana)  e  Posizione dell'angolo reclinato (supta baddha konasana). Per ottenere dei risultati, ossia se si vuole aumentare la resistenza e la flessibilità, si deve praticare yoga almeno tre o quattro volte alla settimana. 

L'adolescenza comporta declinazioni diverse al maschile e al femminile. Un dato di fatto di cui tiene conto anche nella pratica che si propone in questa fase della vita. Spesso le ragazze riescono ad ascoltarsi con più facilità, rimanendo con meno difficoltà negli asana (“posizioni”) statici che si propongono. I ragazzi invece, nella maggior parte dei casi, sono più irrequieti, dinamici. Sono più propulsivi e hanno bisogno di esprimere le loro energie. Ecco perché eseguono più volentieri posizioni che richiedono un particolare uso della forza, in appoggio sulle braccia per esempio, oppure movimenti di agilità come i salti per passare da una posizione all’altra.
Generalmente, il rapporto maschi-femmine che si avvicinano allo yoga come strumento di crescita personale a partire dai 12-13 anni in su, è di 1 a 10. In entrambi i generi, però, la disciplina aiuta a fare luce dentro al caos interiore tipico di questo momento, mettendo un po' di ordine emotivo.

Lo yoga può aiutare a gestire i traumi e le emozioni e a raggiungere un maggiore equilibrio psico-fisico,  in particolare grazie alla pratica di alcuni asana come ad esempio l’albero (vrkshasana in sanscrito), il guerriero (virabhadrasana), l’aquila (garudasana), shiva danzante (Natarajasana). Queste posizioni permettono di trovare il proprio centro e di resistere alle oscillazioni, due peculiarità che fisiologicamente mancano in questo momento della vita. Mantenere posizioni come queste per diversi respiri, aiuta a vivere un momento di instabilità rimanendo centrati interiormente e controllando la propria respirazione. Sono posizioni di ascolto, di concentrazione e di radicamento.  Altre posizioni che possono contribuire a “cambiare” il proprio punto di vista sono le  asana in rotazione, come ad esempio  la posizione del nodo (matsyendrasana), in cui lo sguardo gira completamente, insieme alla colonna vertebrale;  o per esempio asana capovolte, come la posizione della candela  (sarvangasana) in cui la testa si trova più in basso rispetto ai piedi.  
Per superare senso di inadeguatezza, vergogna e timidezza saranno molto utili le posizioni di estensione all'indietro: la parte anteriore del nostro tronco viene profondamente aperta, il chakra del cuore è stimolato, invitandoci a diventare via via più empatici e capaci di sintonizzarci non solo con le proprie emozioni, ma anche con quelle degli altri.  Una pratica costante può contribuire a sviluppare in modo equilibrato il corpo, migliorare la postura e l’allineamento della colonna vertebrale, prevenire patologie a carico del rachide, sviluppando una muscolatura forte e allo stesso tempo mantenendola flessibile.

Per concludere: lo yoga può insegnare ai ragazzi il rispetto e l'importanza della relazioni con gli altri, anche per vivere una stagione così "turbolenta" in modo più equilibrato. Per fortuna, cominciano ad essere sempre più numerosi, i corsi che propongono uno yoga specifico per questa fascia di età.

Testi: 

  • Gisa Franceschelli, La Gioia di Crescere con lo Yoga. Compendio didattico pratico di pedagogia yoga
  • Lorena Pajalunga, Yoga per adolescenti. Semplici esercizi per crescere in armonia.

Pratica e teoria del buddhismo tibetano - Geshe Lhundup Sopa e Jeffrey Hopkins

Pratica e teoria del buddhismo tibetano di Geshe Lhundup Sopa e Jeffrey Hopkins è un libro che parla della meditazione e delle scuole buddhiste tibetane.  Il libro ospita due testi della tradizione Gelukpa, per la prima volta tradotti e annotati. Il primo testo, opera del quarto Panchen Lama, è un commento al sentiero dell'illuminazione in cui sono riassunte moltissime delle pratiche quotidiane osservate dai monaci e dagli yogi tibetani. Il secondo testo viene dal Collegio Gomang del Monastero Drepung di Lhasa, e fornisce una base per lo studio assiduo della filosofia buddhista.

La condizione di Buddha si consegue attraverso il metodo e la saggezza. Il metodo è l'aspirazione all'illuminazione per amore di tutti gli esseri viventi. La saggezza è la corretta visione della vacuità, della consapevolezza della non esistenza del sè e che tutti i fenomeni non esistono per virtù propria. ossia l'esistenza non intrinseca di ogni fenomeno. aspplicare in ogni contesto la compassione, ossia il desiderio che tutti gli esseri viventi siano liberi dal dolore.  La mente è condizionata dai tre veleni: desiderio, odio e ignoranza. I tre aspetti fondamentali del sentiero sono: pensare di abbandonare il ciclo dell'esistenza, l'aspirazione all'illuminazione per tutti gli esseri umani, la corretta visione della vacuità.  Durante la pratica e la meditazione  La devono essere coltivati i quattro incommensurabili: equanimità, amore, compassione e gioia.

Le due ali dell'uccello che vola verso la condizione di Buddha sono la saggezza e la compassione. La formula che si pronuncia durante il percorso è la seguente: "Mi rifugio, fino alla perfetta illuminazione, nel Buddha, nella Dottrina, e nella Suprema Comunità". Un altro passo importante è comprendere come l'Io è concepito dall'idea innata di un sè esistente intrensicamente. L'Io non è nessuno dei cinque aggregati presi separatamente, nè è ciascuno dei due, corpo e mente.Il buddhismo considera l’essere umano composto di cinque aggregati (skandha): forma, sensazioni, percezioni, formazioni mentali e coscienza. Essi compongono ogni cosa, sia dentro di noi che fuori, nella natura come nella società.

I quattro ordini tibetani sono Nyngmapa, Kagyupa, Sakyapa e Gelukpa. Tutte queste scuole hanno tre elementi distintivi: hanno un maestro che è arrivato all'illuminazione, i loro insegnamenti non sono dannosi al alcun essere vivente, sostengono l'opinione che il sè è privo di permanenza, di indivisibilità e di indipendenza.  Le scuole esterne al buddhismo, come le scuole filosofiche indiane e il jainismo,  sono criticate per le pratiche ascetiche rigide e la dottrina del sè individuale. La definizione di un proponente di dottrine buddhiste è una persona la quale sostiene i seguenti quattro principi: tutto è impermanente, tutte le cose contaminate portano all'nfelicità, tutti i fenomeni sono privi di sé,  il nirvana è pace. 

Le quattro tradizioni tibetane Nyingma, Sakya, Kagyu e Gelug, hanno molto in comune e la maggior parte delle differenze consistono nel modo in cui interpretano la vacuità e il funzionamento della mente. In India nacquero diciotto diverse scuole Hinayana e solo tre lignaggi principali di voti monastici sono ora esistenti. Questi sono:  Theravada – nel sudest asiatico,  Dharmagupta – in Asia orientale,     Mulasarvastivada – in Tibet e in Asia centrale.  Tutte e quattro le tradizioni tibetane condividono il lignaggio Mulasarvastivada per monaci completamente ordinati e per monache e monaci novizi; tutte e quattro sono praticate anche da laici. Monache ordinate si trovano solo nel Dharmagupta.

Tutte e quattro le tradizioni tibetane integrano lo studio di sutra e tantra con rituali e meditazione. Ci sono differenze comunque nell’interpretazione di alcuni punti importanti dei sutra.
Dopo aver completato con successo i loro studi, i gelugpa ricevono il titolo di “ghesce” e le altre tre tradizioni il titolo di “khenpo”. “Khenpo” è anche il titolo conferito agli abati. Tutte e quattro le tradizioni hanno anche il sistema “tulku”, i lama reincarnati. Sia i tulku che gli abati ricevono il titolo di “rinpoche”, indipendentemente dal loro livello di istruzione.
La pratica rituale in tutte e quattro le tradizioni comprende il canto, accompagnato da cimbali, tamburi e corni; l’offerta di dolci fatti con farina d’orzo e burro. Gli stili di canto e musica sono generalmente simili, anche se il canto gutturale contrabbasso con suoni armonici è più frequente tra i monaci gelugpa.
Tutte e quattro le tradizioni praticano il guru yoga che è una pratica devozionale tantrica in cui il praticante unisce il proprio flusso mentale con il flusso mentale del corpo, della parola e della mente del proprio guru. Il guru yoga è simile allo yoga della divinità poiché il guru viene visualizzato allo stesso modo di una divinità meditativa. La meditazione in ogni tradizione include una pratica quotidiana, brevi ritiri di pochi mesi e ritiri di tre anni. Differiscono per lo più rispetto al periodo della vita in cui il praticante svolge il ritiro: Sakya, Nyingma e Kagyu tendono a compiere il ngondro ( che si compone di quattro meditazioni e di quattro pratiche particolari) e i ritiri nella parte iniziale del loro percorso spirtuale, mentre i gelugpa li integrano successivamente, lungo il percorso.
La tradizione Nyingma possiede anche iniziazioni tantriche e sono specializzati nella meditazione e nell’esecuzione di rituali per la comunità laica.

Alcune delle principali differenze nelle spiegazioni fornite dalle quattro tradizioni sugli insegnamenti derivano dai loro modi di definire e usare termini tecnici, oltre che dalla loro presentazione del Dharma da diversi punti di vista.  Ad esempio le posizioni riguardo all’impermanenza o alla permanenza della mente sono molto diverse. Un’altra differenza è che i gelugpa spiegano il Dharma dal punto di vista degli esseri ordinari, i sakyapa da quello degli arya altamente realizzati sul sentiero, mentre kagyupa e nyingmapa dalla prospettiva degli esseri illuminati.
Tutte e quattro le tradizioni concordano sul fatto che la spiegazione della vacuità riportata nei testi Madhyamaka è la più profonda. I gelugpa sottolineano la meditazione rispetto all’oggetto, mentre Sakya, Kagyu e Nyingma rispetto alla mente.
Ogni tradizione insegna anche i propri metodi per raggiungere una comprensione non concettuale, e per accedere e attivare la mente più sottile. Quello che i gelugpa chiamano non concettuale, sakyapa, kagyupa e nyingmapa chiamano “al di là di parole e concetti”.  Tutti concordano sul fatto che la comprensione del ruolo del pensiero concettuale nel nostro modo di conoscere il mondo è essenziale per superare ed eliminare per sempre la nostra confusione e ignoranza sulla realtà – la causa più profonda di tutta la nostra sofferenza.

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Le scuole si dividono:

 in Mahayana     -----   Madhyamika  -----  Prasangika   e    Svatantrika

                          ------- Cittamatrin      -----  seguaci del ragionamento e della scrittura

  e Hinayana      ------- Sautrantika     ------ seguaci del ragionamento e della scrittura

                          ------  Vaibhasika 

Un Vaibhasika è una persona che non accetta l'autocoscienza e sostiene che tutti gli oggetti esterni sono realmente esistenti. Tutti gli oggetti di conoscenza sono compresi in cinque categorie: forme visibili, idee essenziali, fattori associati al mentale, fattori compositivi che non sono associati né alle idee, nè ai fattori mentali enon-prodotti.  Esistono due tipi di verità: 1- la verità convenzionale, che è un fenomeno tale che, se fosse distrutto o diviso mentalmente in parti, la conoscenza che lo percepisce sarebbe annullata;  2- la verità ultima, un fenomeno che se fosse distrutto, la coscienz ache lo percepisce non sarebbe annullata. 

 Un Sautrantika  è una persona che sostiene l'esistenza reale sia degli oggetti esterni sia dell'autocoscienza.  Sono chiamati esemplificatore perchè insegnano le dottrine mediante esempi.

Un Cittamatrin   è una persona che sostiene l'esistenza reale dei fenomeni dipendenti, ma non sostiene l'esistenza di oggetti esterni. Ci sono due gruppi i sostenitori dell'apparenza reale e i sostenitori della falsa apparenza.  Gli oggetti della conoscenza sono di tre nature: 1- fenomeni dipendenti,  2- fenomeni pienamente fondati, 3- fenomeni immaginari.  Sostengono, quindi, che tutti i prodotti sono fenomeni dipendenti, che le nature di tutti i fenomeni (le vacuità) sono fenomeni pienamente fondati e che tutti gli altri oggeti di conoscenza sono immaginari.

Un Madhyamika  che sostiene che non ci sono fenomeni realmente esistenti e neppure particelle. Sostengono una via mediana che è libera dagli estremi della permanenza e dell'annullamento. Propongono che i fenomeni non hanno nessuna entità cioè nessuna esistenza reale.   Si dividono in Svatantrika che è un individuo che propone la non-entità e che sostiene che i fenomeni esistono convenzionalmente per natura propria.   Un Prasagika è una persona che non propone alcuna entità e non sostiene che i fenomeni esistono in virtù della propria natura sia pure per convenzione. Sostengono che nessun oggetto esiste in virtù delal propria natura. Tutti gli oggetti sono soltanto attribuiti dal pensiero. Base fondata, oggetto e oggetto di conoscenza sono sinonimi.

sabato 17 dicembre 2022

Il mio viaggio in Malawi

Il mio viaggio in Malawi. Il mio primo viaggio con un prete, una grossa valigia e un gruppo.

Andiamo per ordine, il prete è Don Franco De Donno uno dei responsabili del Gruppo Studentesco di iniziativa sociale del Liceo Labriola di Ostia, il gruppo è costituito dai meravigliosi studenti ed ex-studenti del Liceo Labriola, e l’enorme valigia era piena di medicinali da portare alla popolazione del Malawi.

Sono arrivato al Labriola nel settembre 2011, e la prima sorpresa ed emozione è stata di ritrovare il venerdì pomeriggio un gruppo di 70-100 studenti provenienti dalle varie scuole superiori di Ostia a discutere su un tema da loro scelto (questa attività veniva definita Gruppo in cattedra) e programmare e coordinare le attività di volontariato da portare avanti sul territorio come l’aiuto alla mensa Caritas, il dare lezione ed aiutare i bambini in difficoltà nella Casetta di Rita, l’aiuto ai senza tetto, l’aiuto ai detenuti di Rebibbia, aiutare l’associazione ONLUS Ostia per l’Africa a raccogliere i fondi per il Malawi (anche questa composta da ex-studenti) ed aiutare l’Alternativa, un’altra associazione che portava conforto ai senza tetto e alle vittime di tratta. I docenti erano semplici partecipanti e per la prima volta assistevo ad una vera Peer to Peer education, spontanea, non pilotata o pianificata a tavolino. Mi ricordo con piacere il riepilogo illuminante del prof. Raffaele Romano detto "Lello", l’altro fondatore del gruppo, che sintetizzava in maniera divina gli interventi fatti durante gli incontri.  Spesso a questi incontri partecipavano anche il prof. Aldo Biondo e la prof.ssa Marina Plasmati.

Altri momenti di incontri spontanei e di vera autogestione erano i due brevi soggiorni (una o due notti) all’eremo di Montevirginio (vicino Manziana). Anche qui ho assistito a dei momenti molto toccanti, anche per uno come me che difficilmente si lascia trasportare dall’emozione. Davanti ad un fuoco acceso, i ragazzi che stavano per diplomarsi, a turno, con le lacrime agli occhi, condividevano con gli altri l’importanza di aver fatto parte del gruppo, importanza per la loro autostima, la loro realizzazione e crescita personale. Questi eventi hanno aiutato molto questi ragazzi ad affermare la loro identità, la loro indipendenza e  a migliorare la loro capacità di comunicazione.  Molti degli ex-studenti e componenti del gruppo venivano sistematicamente a questo appuntamento.

Ma ritorniamo al viaggio in Malawi, ed in particolare alla missione dei padri Monfortani di Balaka. Io, completamente ateo, che fino all’incontro con Don Franco avevo una grande diffidenza dei preti, che odiavo i gruppi, e abituato a viaggiare da solo o in coppia con un minuscolo zainetto, che avevo già viaggiato nei Paesi in via di sviluppo, che adoravo l’Oriente, mentre stavo per partire, mi sono chiesto “Ma chi me lo ha fatto fare”. Come educatore mi sono sentito in dovere di partecipare ad un’esperienza in cui i valori come solidarietà e altruismo venivano messi finalmente in pratica. Ripensando a quel viaggio, mi viene in mente la montagna di medicinali, omogeneizzati ed altro, che i ragazzi avevano raccolto e che erano negli enormi valigioni pronti ad essere imbarcati nella stiva dell’aereo ed essere consegnati ai bambini o all’ospedale di Balaka.

 

25/7/2014 – La sera della partenza. Mi ricordo la sera della partenza i volti preoccupati dei genitori all’aeroporto. La disinvoltura e l’incoscienza con cui questi ragazzi affrontavano le varie situazioni mi dava qualche apprensione, ad esempio all’aeroporto di Adis Abeba, dove eravamo in transito, sono rimasti al bar fino all’ultimo minuto prima dell’imbarco, confidando nel fatto che l’aereo non sarebbe partito senza di loro e che sarebbero stati comunque chiamati dagli altoparlanti.

26/7/2014 - Arrivo alla capitale Lilongwe. Comunque siamo riusciti ad arrivare stravolti dalla fatica a Lilongwe. Ad attenderci c’erano i missionari con un pickup e un pulmino, i bagagli sono stati caricati sul pickup e noi sul pulmino e lasciamo l’aeroporto e la città. Altre 4 ore di strada asfaltata per arrivare alla missione, appena ci allontaniamo dalla città cominciano ad apparire i primi villaggi e lungo la strada ci sono attività varie con le quali le popolazioni cercano di sopravvivere (ci sono tagliatori di pietra, mercati di verdura e frutta di tutti i tipi) e donne ed uomini che portano sulla testa di tutto. Per un lungo tratto passiamo lungo il confine del Mozambico e qui sono evidenti i danni della guerra, c’è una completa deforestazione. All’arrivo alla Casa del volontariato di Balaka, dove dormiremo, siamo accolti con danze e canti e tutti i bambini della zona si precipitano verso il pulmino. Quando scendiamo tutti si sentono il dovere di abbracciarci. Prima della cena, Padre Eugenio che chiamavamo "Bambo" e che sarebbe stata la nostra guida per l'intera permanenza in Malawi, recita la preghiera e un discorso un po’ particolare, ed allora i miei dubbi riaffiorano, le mie resistenze riemergono… Poi, però questo viene giustificato e spiegato “Quando qualcuno ti accoglie, propone le sue abitudini che non è prevaricazione”. Quindi, anche se siamo in una missione, l’iniziativa resta apartitica e aconfessionale che è lo spirito del gruppo del volontariato.

27/7/2014 – Assistiamo ad un matrimonio, partita a pallone, a cena con il missionario Pier Giorgio Gamba. Arriviamo al matrimonio, si sposano due coppie entrambe con figli. Sì, qui in Malawi ci si sposa in Chiesa solo dopo aver verificato che si possono avere figli, che lo sposo è in grado di costruire una capanna e coltivare un campo. La chiesa è tappezzata di foto di martiri africani. Durante tutta la cerimonia si alternano balli e canti. Le coppie di sposi sono vestite all’occidentale e solo qualche donna ha il costume tradizionale. Dopo la cerimonia, che è durata circa 3 ore, andiamo a mangiare nella sagrestia, il pranzo è all’africana, composto da polenta, riso, fagioli e pollo, e si mangia con le mani. Nel pomeriggio c’è la partita contro una squadra di giovani locali. La nostra squadra è composta da me, 6 ragazzi e 4 ragazze. Perdiamo 4 a 2. I nostri goals sono di Luca il geometra e di Diego. Subito dopo si è svolta una partita tutta al femminile, ed abbiamo perso ancora. Chi non giocava animava i tanti bambini curiosi a bordo campo con balli canti e girotondi.  Ceniamo con Pier Giorgio che chiamiamo "Bambo Gamba". Lui è una celebrità in Malawi, ha dovuto scappare in un bagagliaio all’epoca dell’indipendenza del Malawi. Alla cena partecipa anche il precedente vescovo di Balaka. Ci offrono una cena stupenda in cui viene servito anche del buon vino che non si sa da dove provenga. Pier Giorgio fa i complimenti a questi straordinari ragazzi che fanno anche parte di Ostia per l’Africa. Ostia per l’Africa è riuscita in due-tre anni a costruire una Scuola primaria a Balaka raccogliendo fondi in vari modi (concerti, partite a pallone, pizze, mostre, ecc). I ragazzi che sono qui, si sono pagati autonomamente il viaggio e il soggiorno lavorando per un intero anno e tutti i fondi raccolti vanno interamente alla scuola, non ci sono spese per stipendi, o altro. Quello che mi ha colpito è il parallelismo che fa Pier Giorgio con i membri delle varie organizzazioni internazionali, che vengono a trovarlo nella sua missione, con viaggi e hotel rimborsati, per portare delle penne o matite ai ragazzi della scuola. Poi la sera, Pier Giorgio accompagna me e Don Franco alla vicina missione dove alloggiamo, mentre i ragazzi si fermano ad una delle capanne del piccolo villaggio per farsi un rhum, con le iene che circolano intorno.

28/7/2014 - Inaugurazione della costruzione della scuola secondaria e visita alla scuola primaria. Padre Eugenio ci accompagnerà nella visita odierna. Si parte con il pulmino attraverso strade sterrate piene di animazione, costeggiando il mercato incontriamo molte donne con il velo mussulmano, oggi è la festa del ramadhan ed è la festa nazionale. In Malawi, la presenza dei mussulmani è molto forte ed è tra il 15-20%, poi costeggiamo una ferrovia dove un treno passa una volta alla settimana. Arriviamo al posto dove sorgerà la scuola secondaria di Matola, qui ci accoglie Eugenio il capocantiere che ha passato 20 anni in Malawi ed è lui che ha diretto la costruzione della scuola primaria e della Casa delle donne (un altro progetto di Ostia per l’Africa). Troviamo già tracciate le fondamenta della futura scuola secondaria. La scuola secondaria sarà dedicata a Lello Romano, uno delle anime del gruppo di volontari, ma che purtroppo è morto prematuramente di tumore. “Siamo i tuoi diamanti nel buio”: questa è la frase scelta ed incisa dai figli Stefano e Paola, da mettere sulla prima pietra della scuola secondaria che abbiamo iniziato a costruire e che sarà dedicata al loro padre il prof. Lello Romano. Iniziamo a lavorare; dobbiamo togliere la terra nelle zone dove sorgeranno i muri per costruire le fondamenta. Tutti si mettono a lavorare, ragazzi e ragazze, con una generosità incredibile. Poi visita alla vicina scuola primaria gestita da suore, i muri all’esterno della scuola primaria sono coperti dai nomi di tutti coloro che hanno fatto donazioni/ raccolto fondi per la costruzione della scuola tra cui professori del Liceo Labriola (E' stato Veltroni che nel 2007 a  progettare questo incontro tra scuole romane e Africa). Ci accolgono la Preside ed alcuni insegnanti (nonostante sia giorno di festa), ci mostrano le tre aule di cui è composta la scuola e la sala dedicata alla presidenza. Le aule sono pavimentate, ma il pavimento è già quasi scomparso, il tetto è di lamiera (sono le riparazioni effettuate dopo le intemperie), lo spazio è ristretto e i muri sono usati come lavagne. Improvvisamente mi si materializzano nella mente le immagini che ho visto tante volte su libri dedicati all’educazione nei Paesi in via di sviluppo. La Preside ci illustra il curriculum e le difficoltà che i ragazzi incontrano: l’alto tasso di ripetenze dovuto essenzialmente all’assenteismo, l’elevato numero di ragazzi per classe (la media è di 48 allievi) e un solo docente è di Matola. Offriamo loro penne, matite, quaderni e libri, ed un grande orologio per la presidenza. Anche qui ci offrono il pranzo composto da riso e polenta, pollo, fagioli. Questa volta ci servono in piatti e posate. Pomeriggio ripresa dei lavori nella scuola secondaria e poi ritorno verso la missione. Sosta al bar per la solita birra. Anche qui quello che mi stupisce è la facilità di questi ragazzi di interagire e socializzare con le persone del posto. Addirittura sfida a biliardo con i locali e i ragazzi che giocano con tutti i bambini e ragazzi che curiosi vengono verso di noi.

29/7/2014 - Incontro con Patrick Bwanali coordinatore della scuola secondaria privata. Visita del centro con il prof. Mashepa con il quale ci siamo confrontati sui sistemi scolastici dei due Paesi. In Malawi la percentuale di AIDS è una delle più alte in Africa. Abbiamo parlato di adozione a distanza, si può adottare un bambino con 7 euro al mese per la famiglia, in più si paga per malattie o iscrizione alla scuola secondaria. Nel Malawi erano state fatte 1490 adozioni in un anno, e comunque stavano diminuendo. C’è una cultura matriarcale e quando la madre muore, il padre ritorna a casa e si risposa subito. L’orfano, spesso, resta con i nonni. Pier Giorgio Gamba arriva in Malawi nel 1976 in piena dittatura (dal 1964 al 1994), opera in semiclandestinità, stampando opuscoli sulla prevenzione di AIDS e altro. Nel 1992 i vescovi cattolici scrivono la prima lettera di opposizione alla dittatura in tre lingue. La stamperia viene bruciata e Pier Giorgio è costretto a fuggire. Il Malawi, è uno dei pochi Paesi africani, dove c’è stato un passaggio alla democrazia in modo non cruento. All’epoca era il capo villaggio incaricava lo strillone per dare notizie. Il Malawi è ricco di Coctan, un minerale per microprocessori. Il presidente dell’epoca era Peter Mutharica. In Malawi c’era ancora la pena di morte, anche se non applicata in questi ultimi venti anni, Poi, con tutto il gruppo facciamo la visita alla stamperia rinnovata e al centro editoriale. Poi visitiamo la televisione e la Casa delle donne. Qui c’è la trasformazione della farina, semi di girasole, olio, polli e maiali. C’è una sartoria e una sala di conferenze senza sedie, macchine elettriche non attive per mancanza di elettricità. Mangiamo alla casa delle donne. Poi, visita alle produzioni di formaggio, marmellate e alla coltivazione di piante (il Chifund Herbal Project). Andiamo poi a visitare la casa di recupero dei detenuti per reati minori chiamata “La casa di metà strada, Half way house”, qui abbiamo contribuito alla costruzione di un'ala del carcere per ampliarlo. Qui abbiamo trovato esposta la frase “Chi non cammina, non alza polvere”. Sulla strada del ritorno a Balaka abbiamo visitato il centro artigianale di colorazione delle stoffe. A Balaka piove e fa freddo, serata con vino e birra.

30/07/2014 - Visita al college “Andiamo Tecnological Pole”. Tutte le mattine, prima di colazione, padre Eugenio raccontava una parabola, questa mattina ci ha raccontato la parabola dello scavare nel campo. “Occorre trovare il tesoro, trovare l’ideale della nostra vita, dare un senso alla nostra vita e lasciar andare le cose inutili. Ha fatto un parallelismo con il Contan, il minerale per i componenti elettrici, per utilizzarlo occorre depurarlo dalle scorie”. Occorre trovare persone con le proprie affinità, proiettarci all’interno e scoprire la sorgente della gioia e della tristezza. Facciamo visita all’ospedale, al reparto pediatrico, oculista, dentista gestito da una signora canadese. Qui alcune ragazze del gruppo, infermiere di professione, hanno portato il loro aiuto. Poi abbiamo visitato il college “Andiamo Tecnological Pole” nata da un’idea di padre Mario dei Monfortani nel 1984, con l’obiettivo di permettere ai giovani malawiani di esprimersi. L’attività della cooperativa si basa su quattro principi che sono: educazione, salute, sviluppo sociale, sport. Qui ho incontrato il docente Mashepa George che insegna informatica di base al college che è una scuola privata a cui accedono studenti con una discreta preparazione di inglese e le classi sono composte da soli 15 studenti. Poi abbiamo incontrato i componenti dell’Alleluja Band, che ha vinto la competizione di canti e danze nel Malawi ed è venuta anche ad Ostia a fare concerti. Per loro tutti i canti hanno un messaggio. Andrea uno dei ragazzi del nostro gruppo, si è esibito con loro come batterista. Il messaggio principale è il seguente: l’importanza dell’educazione nella lotta contro l’Aids, devi stare attento alla tua salute, vai dritto per la tua strada. Il pomeriggio lo abbiamo trascorso al mercato.

31/7/2014
- Visita dell’orfanotrofio. Siamo andati, accompagnati da padre Eugenio, a visitare l’orfanotrofio di Cancao gestito dalle suore Le poverelle di Bergamo. Gli orfani provengono da Lilongue e Concao e i parenti devono andare a trovarli almeno una volta al mese. Poi aiutiamo, in un villaggio vicino, a ricostruire il tetto di una casa di una anziana. Il tetto è in mattoni, quindi bisogna andare al fiume a prendere la sabbia e l’acqua, poi impastarle, costruire i mattoni e metterli ad essiccare. Poi passiamo il fiume Rivi Rivi e visitiamo un lebbrosario dove ci sono 40 lebbrosi. Nel pomeriggio visitiamo i villaggi dove vivono i due bambini, uno adottato da Ostia per l’Africa e l’altro da Laura ed Angelica che fanno parte del nostro gruppo, sempre accompagnati da padre Eugenio. Padre Eugenio è conosciutissimo in questi villaggi dove le capanne degli stregoni sono circondate da bandiere di vario tipo. Quando incontriamo i due bambini con le rispettive famiglie, si prova veramente una grande emotività, un grande sentimento di solidarietà. L’aiuto che va ai bambini serve in effetti, a sostenere l’intera famiglia.

1/8/2014 - Parco Nazionale di Liwonde che si trova a circa un’ora e mezzo da Balaka. Arriviamo ad un lodge dove prendiamo delle barche con la quale ci avventuriamo a gruppi nel fiume. Durante la traversata del fiume, vediamo sulle rive elefanti, ippopotami, coccodrilli, impala, antilopi, facoceri, uccelli di tutti i tipi, pellicani e cormorani. Pranzo al sacco stando attenti alle scimmie golose al lodge. Al ritorno visitiamo e prendiamo un tè all’ippo lodge dove dove abbiamo soggiornato nel 2007, in occasione dell'inaugurazione della scuola primaria. Qui ha soggiornato anche Veltroni nel 2007.  Padre Eugenio ci parla dei veri riti di iniziazione dei giovani del Malawi; i maschi vengono circoncisi nell’età che va dagli 8 ai 14 anni, e dell’introduzione alla sessualità delle ragazze. Ci parla degli stregoni e delle varie storie di stregoneria come quella della carbonella rubata che si trasforma in cadavere. O il granaio al quale è stata fatta una fattura per impedire il furto di grano.

2/8/2014
- Visita al mercato del legno di Liwongue e all’Ippo Lodge, Qui abbiamo comprato diversi oggetti di artigianato da rivendere ai nostri banchetti di raccolta fondi.

3/8/2014 - Inaugurazione della chiesa di Chikala. Partenza da Balaka alle 5 del mattino, siamo arrivati alla base della montagna alle ore 8,30, dopo due ore di marcia tutta in salita abbiamo assistito all’inaugurazione della chiesa, la cerimonia è durata dalle 11,00 alle 15,00. Ci sono stati i discorsi del capo villaggio mussulmano, di varie figure rappresentative, poi le mura esterne della chiesa sono state benedette. Don Franco ha battezzato 15 bambini. I mussulmani nel villaggio avevano costruito una scuola multigrado.

4/8/2014 - Escursione al lago Malawi e al parco nazionale. Qui abbiamo fatto bagni e sole ed abbiamo aspettato il magnifico tramonto. Abbiamo dormito in una piccola casetta in riva al lago piena di zanzare e abbiamo dormito sotto delle zanzariere.

5/8/2014 - Visita alla prigione di Mangoshi. Qui 150 prigionieri per aver commesso reati minori vivono all’aperto, cucinano, e fanno l’orto in riva al fiume, in un regime di semi-libertà. Abbiamo incontrato i detenuti in un cortile interno, il nostro gruppo di fronte al gruppo di detenuti con due guardie ai lati, il direttore della prigione e il rappresentante del governo di Balaka. I detenuti si sono esibiti in vari canti e cori e i ragazzi hanno distribuito loro sapone, dentifricio, dolcetti, cioccolata e pane. Poi siamo andati sul lago Malawi a mangiare al resort Makokola a 5 stelle gestito da romani.

6/8/2014 - Visita del Kungoni Art Craft Center. E’ il centro tradizionale del Malawi di cultura ed arte, ed è considerato il villaggio degli artisti. Qui abbiamo assistito a delle danze tradizionali in costume. IL centro è stato creato da Claude Boucher (Chisale) ed include l’area di Mua, Mtakataka, Kapiri e Golomoti. Nel centro vendite ho comprato il oibro di Claude Boucher When animals sing and spirits dance.

7/8/2014 - Partecipazione all’Inaugurazione della biblioteca al Cecilia Youth Center, qui gruppi di danzatori ci hanno accompagnato per tutta la cerimonia che è durata dalle 9,30 alle 13,30

8/8/2014 - Ritorno a Roma.

Considerazioni: E’ la prima volta che viaggio con due enormi valigie, viaggio in un gruppo, con un prete e un missionario, è una delle rare volte che ho vissuto la realtà di un Paese in modo così approfondito e con tante sfaccettature. Questo straordinario viaggio mi ha permesso di entrare in contatto in maniera quasi epidermica con la cultura, le tradizioni e lo spirito del popolo del Malawi. Quello che mi ha colpito in modo particolare è una frase di Pier Giorgio durante l’ultima sera che abbiamo passato insieme. “Non ho mai incontrato una realtà piccola come la vostra che si è impegnata nella realizzazione di un progetto così complesso come la creazione di una scuola secondaria. Questo vi dovrebbe riempire di orgoglio e darvi la forza e lo spirito per arrivare a compimento di questo grande progetto”.  Tre anni dopo la scuola secondaria era completamente costruita e gli studenti hanno iniziato a frequentare le  classi. Questi splendidi ragazzi erano riusciti a raccogliere circa 160.000 in tre anni. Questi 160.000 euro erano andati tutti nella scuola, nessuno aveva preso un centesimo per rimborso spese, viaggi, mansioni varie, ecc.

L’educazione e l’istruzione sono le basi per lo sviluppo di un popolo. Speriamo che il Malawi si avvii sulla strada di uno sviluppo consapevole, mantenendo in vita le tradizioni e lo spirito comunitario. Elementi che in Italia, come ha sottolineato Antonio Caliendo, sono ormai da tempo scomparsi.

Sono grato ai ragazzi di Ostia per l’Africa e ai missionari Pier Giorgio e padre Eugenio che mi hanno ridato la speranza che un mondo migliore è possibile.

Il nostro gruppo era formato da me, Don Franco de Donno, Antonio Caliendo e dai seguenti ragazzi: Luca, Giovanni, Andrea il batterista, Stefano e la sorella Paola, Gaia, Diego, Cheyenne, Sofia, Silvia, Elisa, l’altra Elisa, Laura e Angelica che hanno adottato un bambino, Ester, Marzia e Sara le due sorelle, Giulia e Giulia. A noi si è unito, durante il soggiorno, Davide un ragazzo di Bergamo. .

L'associazione Ostia per l'Africa ODV è ancora attiva e nel 2017 un piccolo gruppo di volontari si è recato nuovamente in Malawi per inaugurare e visitare la Scuola Secondaria ultimata. In quell'occasione i volontari e le volontarie hanno parlato con studenti e studentesse accogliendo il loro desiderio di avere un'aula magna dove svolgere attività extra scolastiche.
E' possibile sostenere i progetti dell'associazione attraverso il 5x1000 C.F. 97556130587, donazioni sul C/C postale 2011049 o diventando donatori mensili su Wishraiser, una piattaforma online di raccolta fondi www.wishraiser.com/ostia-per-l-africa-onlus

Vedi link:  https://www.youtube.com/watch?v=UiPLCYONMQg                     

https://www.youtube.com/watch?v=iWcY_KfF16Y 

 

giovedì 8 dicembre 2022

Il fascino del Buddhismo - Raimon Panikkar

 Dal sito di Gianfranco Bertagni:  http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/raimonpanikkar/fascinobud.htm      "La religione non è un esperimento ma un’esperienza di vita per mezzo della quale l’uomo partecipa all’avventura cosmica.»    Raimond Panikkar

Raimon Panikkar (1918-2010), nome completo Raimon Panikkar Alemany, è stato un filosofo, teologo, presbitero e scrittore spagnolo, di cultura indiana e spagnola. È stato una guida spirituale del XX secolo e innovatore del pensiero, teorizzatore e testimone del dialogo interculturale e dell'incontro tra le religioni.  E' stato un grande divulgatore e un personaggio importante per l'incontro tra Oriente e Occidente. Un altro grande personaggio che ha contribuito al dialogo tra Cristianesimo e Induismo è stato Henri Le Saux (1910-1973): monaco cristiano francese, dell'ordine benedettino, figura mistica del cristianesimo indiano.   Alcuni testi di Panikkar:  Buddismo;   Il silenzio del Buddha. Un a-teismo;  Tra Dio e il Cosmo;   Mistica e spiritualità;     Induismo e Cristianesimo.    Sito:  https://www.raimon-panikkar.org/italiano/home.html

Il fascino del Buddhismo - Raimon Panikkar

Un bel giorno, di buon mattino, un giovane principe che non era delle Asturie né della casa di Davide, ma di un piccolo clan che viveva a fianco delle montagne più alte del mondo da una parte e la piana del Gange che già da mille anni era un punto d'incontro di civiltà dall'altra, dopo anni di lotta e di dubbi, (non oltre la metà del VI secolo a.C.) fece un colpo di testa e andò a prendere Kanthaka, il suo grande cavallo bianco preferito, e Channa, il suo servitore personale, per uscire dalle porte del castello del regno di suo padre lasciando un bambino piccolo (suo figlio) e la principessa (la sua sposa), per provare a risolvere i problemi che fin dall'età di sei anni lo tormentavano. Passato il fiume che segnava il confine del suo regno e di quello di suo padre, si liberò anche del servitore e del suo cavallo bianco preferito, si cambiò d'abito, prese una ciotola da mendicante e si incamminò, senza sapere dove andare.

Fin da quando il bambino aveva sette anni, suo padre s'era reso conto che il figlio, nato con tutti gli auspici per essere un grande re che avrebbe rivoluzionato il mondo dei piccoli regni del nord dell'India, non aveva troppa voglia di utilizzare i poteri e i mezzi che aveva. Gli costruì un palazzo di primavera, un altro d'autunno e un altro d'inverno. Nel palazzo di primavera ci mise tutto quel che potrebbe desiderare un giovane adolescente. In quello d'inverno gli diede tutti i tipi d'insegnamento che i pandit del suo regno gli potevano dare, e in quello d'autunno gli mise a disposizione l'esperienza degli anziani del suo clan. Sembrava però che niente lo soddisfacesse. Aveva in mano la possibilità di utilizzare tutti i mezzi che permette il possesso di un regno. Avrebbe potuto cambiare il mondo se così avesse voluto, cambiare le cose se lo avesse ritenuto giusto. Ma sembra che disprezzasse tutte le agevolazioni del potere come un mezzo per fare il bene. E, come più tardi egli stesso darà ad intendere, rinunciò ad utilizzare il potere; e come più tardi anche un altro giovane, più o meno della stessa età, dirà «lascia che le pietre siano pietre e non volerle cambiare in pane; rispetta le cose e non utilizzare il tuo potere, nemmeno per fare il bene». E quel giovane di 29 anni che aveva visto (sembra) un vecchio, un malato, e un uccellino che portava nel becco un verme che non si poteva liberare e che più tardi si imbatté in un morto e in un funerale (malgrado suo padre, che lo stimava tanto, volesse evitargli le pene dell'esistenza), se ne andò senza sapere dove andare, ruppe i legami, fece il colpo di testa, lasciò correre tutto, disprezzò il potere, le occasioni e superò quello che in seguito lui stesso, quando stava sotto un albero, vide: la tentazione dei mezzi. Utilizzare i mezzi, il potere, per fare cose buone.

Trovò un primo maestro che lo introdusse nel mondo del monachesimo brahmanico del suo tempo e, con zelo di novizio, cominciò a seguirlo finché non s'accorse che quello non era il suo maestro. Lo lasciò perdere e ne andò a cercare un secondo, e poi un terzo. E si rese anche conto che qualsiasi sequela di un maestro non gli andava troppo bene. Quel giovane principe, che nascondeva la sua origine principesca nel seguire una strada, sembrava un po' ottuso, tanto da non sapere quale fosse. Continuò per sei anni a seguire gli insegnamenti di questi tre maestri e, con zelo di convertito, arrivò agli estremi, diminuendo ogni giorno i granelli di riso che mangiava finché, raccontano le scritture, lo sterno gli si vedeva da dietro, le costole erano trasparenti, ridotto in pratica a niente.

Attraversando un fiume, un giorno si imbatté in una bella ragazza, di nome Sujata, che in seguito tutti i canoni hanno ricordato, che gli diede da mangiare, mossa probabilmente a compassione. I cinque discepoli che alla fine di questo periodo lo accompagnavano, scandalizzati che accettasse da mangiare dalle mani di una graziosa ragazza, lo abbandonarono e si trovò solo (perché anche Sujata, dopo avergli dato da mangiare sparì). Continuò da solo, però capì che ogni estremismo ascetico è controproducente e che né il palazzo del re, né la capanna del povero erano per lui quello che cercava. Ma non sapeva quello che cercava, sapeva soltanto quello che non voleva: non voleva essere re, non voleva essere monaco, non voleva il potere, non voleva essere un rinunciante.

Smise dunque d'essere sannyâsi e continuò il suo peregrinare nella zona del Gange; passando per una delle capitali del suo tempo, Pâtaliputra, andò a stabilirsi in un luogo che oggi porta una parte del suo nome, Bodh-Gaya, e là, sotto un albero, la ficus religiosa, albero sacro della tradizione brahmanica, si fermò, tentando di ricollegare il mistero della vita, il mistero della morte, l'ingiustizia della povertà, la realtà del divino, il passato, il presente, e quando stette completamente quieto s'accorse di poter oltrepassare anche l'ordine temporale e vide anche il futuro. Là, dice la tradizione, stette a lungo immobile, doveva ancora superare la terza tentazione, dopo aver resistito alla tentazione di Mâra: la tentazione di fare il bene, la tentazione di convertirsi in un predicatore.

Brahmâ gli si accostò e gli disse: «Siccome ora hai già ottenuto la realizzazione, trasmettila anche agli altri» ed egli rispose di no, che non sarebbe servito trasmettere una cosa già fatta e digerita, e un messaggio idiosincratico, se gli uomini non avessero fatto l'esperienza personale e non fossero passati per là dove era passato lui. Voler salvare il mondo è la grande tentazione, voler salvare se stessi era il gran pericolo. Non fare niente era impossibile, fare piccole cose non lo convinceva. Fare tutto era quello cui aspirava. E quel giovane di circa 35 anni ricordava il passato, vedeva il presente e ancora non sapeva che fare. Continuò il suo peregrinare, camminò per circa 600 chilometri al di sopra del Gange, sentiero molto pianeggiante dopo che la stagione delle piogge era passata, e là, in un luogo dove il Gange, che andava verso l'ovest, per uno di quei capricci della natura che gli uomini interpretano in maniera differente, risale verso il nord, verso la propria sorgente, verso l'Himalaya e si converte perciò in un luogo sacro, là, forse mille anni prima che egli nascesse era stata fondata la città più santa della tradizione brahmanica, Vârânasî, fra i fiumi Asi e Varuna, affluenti del Gange.

Procurò di evitare la città, ormai non voleva vedere uomini santi, non voleva più conoscere il centro del brahmanesimo, e si ritirò un poco più verso il nord, prima di arrivare alla confluenza del Varuna col Gange, a un parco popolato di cervi. E là, a Sarnath, il caso volle che ritrovasse i cinque monaci che erano stati suoi discepoli e che aveva lasciato scandalizzati quando avevano visto che riceveva da mangiare da una ragazza. E allora, avendo superato la tentazione del santo, che è quella di fare il bene, la tentazione del politico, che è quella di utilizzare anche i mezzi per fare il bene, la tentazione del monaco, che è quella di rinunciare a tutte le cose per sentirsi bene e giustificato; allora, in quel parco dei cervi chiamato Îsipatana, riunì quei cinque monaci che aveva ritrovato e disse loro: «Questi due estremi si devono evitare. Quali sono questi due estremi? L'uno è ricercare e desiderare il piacere. Questo viene dall'attaccamento, è volgare, non è nobile, non porta alcun profitto, e conduce a rinascere. L'altro estremo è la ricerca dell'ascetismo, dello spiacevole, della sofferenza, della rinuncia, ed è ugualmente penoso e non porta alcun profitto».  Questi i due estremi che si devono evitare e proseguì: «Il Tathâgata (nome che non si sa se si dava egli stesso o gli diede la tradizione, ma il testo pâli lo riporta così) invece evita questi due estremi e cammina per la via di mezzo che è una via luminosa, bella e intelligibile, che è una via piena di serenità, che porta alla pace, alla conoscenza, alla illuminazione, al nirvâna. E qual è, o monaci, (si rivolgeva ai cinque che l'ascoltavano) questa via di mezzo che porta alla pace, alla conoscenza, al risveglio, al nirvâna? È questa o monaci la via di mezzo: questa è la nobile verità del dolore».
La parola che egli usò, e che è stata tradotta in mille maniere diverse, duhkha, può significare sofferenza, inquietudine, disagio, essere infelice, essere povero, essere miserabile. E si può assumere nel suo significato più originario, accorgendosi che il suo opposto è sukha, che vuol dire benessere, tranquillità, pace... e all'interno di una civiltà agricola i contadini del suo tempo sapevano che quando il carro dei buoi è bene ingrassato e le strade non hanno troppe buche, le cose vanno sukha, agevoli. Quando il carro dei buoi scricchiola perché gli manca il grasso, le strade son piene di buche, il carro fa rumore e allora è duhkha, non ha funzionato agevolmente, in maniera scorrevole. Proferì dunque questo discorso fondamentale di Vârânasî.
«Questa è la nobile verità del duhkha, dell'inquietudine, del dolore, della sofferenza della condizione umana: la nascita è dolore, invecchiare è doloroso, la malattia è sofferenza, la morte è dolorosa, il contatto con ciò che è spiacevole è doloroso, non ottenere quel che si desidera causa dolore, gli skandha (i cinque aggregati coi quali ci poniamo in contatto con la realtà come altrettante finestre della conoscenza) sono dolore».
«Questa è, o monaci, la nobile verità dell'origine del dolore, la sete, il desiderio che porta a cercare il piacere, il quale scatena la passione, e che cerca la soddisfazione qua e là, la sete di piacere, il desiderio di esistere e quello di non esistere. Questa è la nobile verità della cessazione del dolore, la soppressione completa della sete, la sua distruzione, lasciandola correre, abbandonandola, essendone liberati e standone distaccati. Questa è, o monaci, la via che conduce all'estinzione del dolore, questo è l'ottuplice sentiero (le otto strade, ashtângamârga), cioè la retta visione».... Traduco con retta ciò che si potrebbe chiamare serena, equilibrata, completa, perfetta, samyak, da cui viene anche armonia, la visione armonica. Diciamo dunque: La visione corretta, l'intenzione corretta, l'azione o condotta corretta, i mezzi o genere di sforzo appropriato, l'attenzione come ci vuole e concentrazione necessaria. Ciascuna di queste parole si potrebbe tradurre in maniere differenti e si dovrebbe spiegare in dettaglio, ma continuiamo con il testo.

«Finché questa triplice conoscenza e questa intuizione con le sue dodici divisioni non sono state purificate con le quattro nobili verità; fino allora, o monaci, in questo mondo con i suoi dèi, con Mara, con Brahmâ con gli asceti, i bramini, gli spiriti, gli uomini, gli animali e con tutte le cose, io non ho ottenuto lilluminazione completa e suprema». Queste sono le quattro nobili verità, che formano la pietra angolare e il punto d'unione di tutta questa tradizione che per venticinque secoli ha contribuito come poche altre a dare al mondo, non soltanto una, ma molte filosofie, molte civiltà e tutto un sentiero di vita.
Il Buddha, chiamato così dai suoi discepoli come colui che ha conseguito la pienezza della buddhi, della conoscenza, del risveglio, è il principe che ora ha già quasi una quarantina d'anni, forse 38 o 39, quando comincia ad essere seguito da un centinaio di discepoli. Ma egli non vuol fondare una religione, non vuol fondare fin dall'inizio neppure un ordine monastico, non ha lasciato la casa paterna per salvare il mondo, non ha voluto discepoli che lo seguissero perché ha qualcosa da dire loro, egli vuol vivere e ha scoperto una sola cosa: ha scoperto che al mondo c'è dolore; ha scoperto l'origine di questa sofferenza, ha scoperto che questa sofferenza può cessare e ha trovato la strada. E la strada complessa di queste otto dimensioni che portano alla cessazione del dolore, della sofferenza, all'appagamento di ciò che molte volte è stato tradotto come desiderio, ma che la parola tanto in pâli quanto in sanscrito vuol dire semplicemente sete; la sete di esistere, la sete di non esistere, la sete di voler essere perfetto, la sete di voler arrivare da qualche parte, l'inquietudine di non voler stare nel proprio posto, il desiderio di volere qualsiasi cosa. Ora, trascendere la volontà, questo non comprese Nietzsche, non è voler non avere volontà. Durante quasi una quarantina d'anni quest'uomo continua a vivere nelle pianure gangetiche del nord dell'India e pian piano là gente gli si riunì e gli si raggruppò attorno. Nella tradizione di quei tempi chi seguiva un uomo spirituale o un maestro si chiamava bhikkhu, monaco, sannyasi, sadhu, rinunciante.
Gôtama parla mentre cammina e i suoi discepoli si impregnano di quello che egli va dicendo: «Così come il vento soffia davanti e dietro e fa muovere le foglie del cotone, così la vera e inesauribile gioia mi sta muovendo, e in questa maniera compio tutte le cose». Che vuol dire essere uomo? Essere uomo vuol dire, secondo quel che ci dirà uno dei suoi discepoli, partecipare al festival gioioso di tutta l'esistenza. «Il profumo di un fiore non viaggia contro la direzione del vento, ma la fragranza di un uomo buono va anche contro la direzione del vento; un uomo buono penetra le quattro direzioni». Egli è molto convinto di quello che in seguito la tradizione commenterà: «ll santo non lascia tracce, è come il volo di un uccello, non lascia orme. Perciò è tanto difficile seguirlo».

Quest'uomo entusiasma. Discepoli lo seguono da tutte le parti. Anche le donne lo vogliono seguire, ed egli, che aveva fatto quella eccezione con Sujata, dice di no. Ma Ananda, il monaco più stimato da lui, dice al maestro che le accetti e allora egli le accetta. Ma non ha alcuna pretesa né di formare una religione, né di formare una setta, né di riformare il brahmanesimo, né di creare niente. Vuol vivere la propria vita, non pretende niente, non vuole dare neppure un nome alla sua comunità che sempre più si va formando. Quando muore, ottantenne, i discepoli s'accorgono che non hanno un luogo, che non sanno niente, che niente è regolato. Che cosa è accaduto? Allora, tre mesi dopo la sua morte, 500 anziani convocano il primo concilio del mondo buddista per vedere che cosa fosse capitato. E restano sorpresi nell'accorgersi che sì, erano capitate molte cose, che c'era stata una critica feroce alla spiritualità induista e brahmanica, che si erano costituiti gruppi che vivevano la vita del sangha o della comunità, che avevano preso spontaneamente come maestro uno che diceva soltanto di aver visto la realtà delle cose e la differenza che c'è tra loro.
In questo concilio si configurano due partiti. Gli uni sono quelli che cantano e gli altri sono quelli che stanno in silenzio. Questa è l'origine di quello che in seguito verrà chiamato un movimento, e che si chiama religione, che porta il nome di buddismo, e che ha, come tutti gli «ismi», un alto grado di astrazione. Quest'uomo non pretende d'essere profeta, non reclama nessun'autorità speciale, non si dice inviato da nessuno, evita sistematicamente il nome di Dio e quando una volta Râdha, un monaco, gli chiede di dire qualcosa di Dio gli dice: «Oh Râdha! Tu non sai quello che stai domandando, non conosci i limiti della tua domanda, non sai quello che domandi. Come vuoi che io ti risponda!». E nasce così quello che oggi noi, con questa facilità che abbiamo di appioppare etichette alle cose, chiamiamo buddismo o, meglio ancora, tradizioni buddiste, perché ce n'è sicuramente più d'una dozzina, ognuna con le proprie filosofie. Ma il Buddha non vuole niente di ciò. La sua via mediana non vuol essere né mondana, né religiosa, nel senso che a quei tempi sintendeva per religione; vuol essere la via di mezzo, dell'equilibrio, dell'armonia, dell'equanimità, della serenità.

Una madre addolorata lo va a trovare disperata perché sua figlia era morta, volendo un miracolo o sperando una consolazione. E Buddha la riceve, la guarda e le dice: «Mi accontento di poche cose». «Domandami qualsiasi cosa!» dice Kisâ Gautamî. «Portami tre granelli dì riso (o una manciata di semi di senape). Però valli a cercare in quella casa dove non ci sia mai stata alcuna disgrazia come la tua, dove non ci sia mai stato alcun dolore». E la giovane madre disperata, credendo che la cosa fosse relativamente facile, se ne va a cercare i tre granelli di riso e non trova casa che la morte prematura non abbia visitato. E torna dal Buddha dicendo: «Perché io volevo essere tanto speciale, perché misconoscevo la condizione umana? Perché non mi accorgevo che quello che io stavo patendo alla mia maniera è quello che ho trovato in tutte le case dove chiedevo un granello di riso? Mentre io credevo che non ci fosse stato alcun dolore, ho trovato che in tutte le case ce n'è stato. Grazie!». Più tardi entrò nell'ordine e divenne un arhant.
Senso comune! Non parla di Dio, non parla di religione, non vuol consolare con sentimentalismi, non dà spiegazioni. I discepoli della seconda generazione che lo seguono sono più intellettuali. Vogliono dottrina e soluzioni teoriche: Quel che io predico è come il caso di un uomo al quale hanno tirato una freccia e ora voi mi domandate che io continui la discussione: perché gli hanno tirato la freccia? E chi erano i suoi vicini? E chi ha visto il colpevole? E dov'è fuggito colui che l'ha tirata? Tutte discussioni teoriche. E intanto l'uomo ferito dalla freccia è morto, perché in quel momento l'unica cosa importante era estrargli la freccia dal corpo senza perdere tempo investigando le cause, domandando le ragioni, inseguendo il colpevole, cercando la giustizia, facendo il filosofo, cercando soluzioni. Prassi, azione immediata, spontaneità: estrarre la freccia dal corpo dell'uomo ferito, dal corpo dell'umanità gravemente ferita.
Il Buddha parla di silenzio sacro, utilizzando la stessa parola di quando, nel giardino vicino a Vârânâsi, egli parlava delle quattro nobili verità e del nobile silenzio. Ma il nobile silenzio non consiste nel tacere perché non si dice tutto quello che si avrebbe da dire o perché si vuol nascondere il segreto e la pietra filosofale che si è trovata. Il nobile silenzio è silenzio perché non ha niente da dire, e siccome non ha niente da dire non nasconde niente, né dice niente, né tace, ma placa le inquietudini che potrebbero sorgere da noi. Se domandiamo perché, è perché cerchiamo di trovare una risposta, ma questa risposta, a sua volta, genera un altro perché. Finché non distruggiamo la radice che ci fa domandare il perché, semplicemente finché domandiamo, non sorgerà la risposta adeguata. Ogni risposta è sempre informazione di seconda mano, risponde ad un problema che ci siamo formati, risponde a una domanda, non la risolve, non la dissolve, non fa che la domanda non sorga più.

Il mondo di Buddha è il mondo della spontaneità, della libertà, dell'estrarre la freccia senza chiedersi il perché, non perché non ci sia, ma perché qualsiasi domanda è un modo di far violenza all'esistenza, è domandare quel che c'è dietro, è fare quel che fanno le bambine quando si domandano che cosa c'è dentro la bambola e allora la rompono. E questa non è la cosa peggiore, il peggio è che non giocano più con la bambola che hanno rotto. Quando cerchiamo le cause non lasciamo più che gli effetti ci rallegrino la vita. Questo è lo spirito del buddismo. Tutto il resto è sorto da quest'uomo che non voleva niente, che non voleva fondare niente, che non voleva nemmeno riformare il brahmanesimo.
Io ricordo che relativamente pochi anni fa (gli anni 50) a Sarnath, lo stesso luogo dove nacque questo grande movimento, io domandavo a un monaco hindu, buddista theravada molto amico mio, (l'editore del Tripitaka in hindi e che in seguito diventò rettore dell'università di Nalanda) come mai in India non ci fossero buddisti, come mai in tutta l'India, la patria del Buddha, il buddismo come religione non esistesse più. E il bhikkhu mi guardava e mi diceva: «Ah sì? Non ci sono buddisti?». E io mi rimangiavo la domanda. Diciamo che non ci sono buddisti perché non c'è gente che ha firmato per il partito buddista, perché non c'è gente che si dichiara buddista, perché il buddismo come religione in India non esiste. Abbiamo perduto ormai lo spirito del vero buddismo.
L'India non ha buddisti, secondo le nostre statistiche, e secondo le nostre classificazioni non ci sono buddisti in India. E l'unico monaco buddista che c'era rimaneva sorpreso che io fossi ancora tanto stupido da chiedergli se in India ancora ci fossero o non ci fossero buddisti. O si prende sul serio quello che le tradizioni umane ci dicono dal punto di vista più profondo e più reale, oppure ne facciamo un'ideologia, un partito politico, o anche una religione. E certamente i buddisti delle statistiche classificatrici si trovano tutti fuori dell'India, eccetto forse i tre milioni di neo-buddisti del Dr. Ambedkar, i quali per ragioni sociali e politiche, per superare la schiavitù delle caste moderne, si stanno convertendo al buddismo, stanno accettando il buddismo come una delle grandi religioni, per potersi liberare dall'ignominia dei fuori casta e acquistare una certa identità. Vi si stanno verificando allora conversioni in massa al buddismo, ad un buddismo che farebbe sorridere anche il Buddha.

È prendendo rifugio nel Buddha , come uno dei tre gioielli (sangha e dhamma sono gli altri due) che si diventa buddisti. Ma prendere rifugio nel Buddha come ho fatto io, non vuol dire abiurare il cristianesimo o l'induismo o altro. Perché dobbiamo fare tutto sempre secondo le nostre categorie? Se l'induismo non ha un fondatore, il buddismo ne ha uno, benché il Buddha non fondi niente, dunque è piuttosto un simbolo. Egli che sorride quando gli si porge una domanda, egli che tace quando qualcuno fa una cosa cattiva.
Il Buddha ormai vecchio si trovava nel nord dell'India; lascia l'India centrale perché ha sentito dire che alcuni fratelli maltrattavano e disprezzavano un monaco che aveva preso una malattia repellente. Gôtama va laggiù, lo cura, e poi dice ai monaci: «Monaci, a me mi avreste curato! Quello che fate a qualsiasi uomo, lo fate a me». Questo succedeva più di quattro secoli prima che alcune parole simili fossero state pronunciate da un giovane rabbi di un'altra tradizione! Parlare dunque del buddismo implica parlare con una certa devozione. Il Buddismo non permette di farne soltanto un'ideologia, di spiegarne soltanto alcune dottrine, siano di filosofia o di logica. C'è tutta un'ideologia buddista, indiscutibilmente, ma lo spirito, incluso quello del più acuto forse di tutti i logici della tradizione buddista, Nâgârjuna, è sempre guidato da ciò che lui stesso dirà che è l'essenza del buddismo. Così come l'induismo non ha essenza, il buddismo ne ha una, e secondo la tradizione mâhâyanica si può riassumere in una sola parola, parola difficile da tradurre e ancor più difficile da praticare: Mahakarunâ, la grande compassione, cum patire, patire insieme con tutte le cose che esistono, senza far discriminazioni di alcun tipo.
Scoprire il pathos della cosa stessa e condividerlo. Sunt lacrimae rerum, diceva Virgilio. Mahakarunâ, la grande karuna, la grande compassione, è dove la tradizione mâhâyana ha riassunto l'essenza del buddismo, ma per una ragione: non per lasciarmi sofferente, ma perché io ho realizzato le quattro verità fondamentali e so che c'è sofferenza, che questa sofferenza ha un'origine, ma che può cessare, e che c'è una via per uscirne. E per questa cessazione la tradizione buddista usa la stessa parola classica di tutto lo yoga. Buddha utilizza la parola nirodha, la cessazione del dolore corrisponde alla cessazione della corrente mentale, del fiume di pensieri, della TV interna che ci distrae e non ci permette di fruire della verità della vita. Yogas citta vrtti nirodhah dice il secondo degli Yogasutra di Patañjali: yoga è la cessazione dei processi della mente.

Qualsiasi approssimazione al buddismo che non arrivi a toccare queste fibre della compassione universale, di rinunciare, come diranno i bodhisattva, alla mia salvezza personale in favore di tutti gli esseri viventi che ancora forse hanno bisogno del mio aiuto, non ha capito niente di quel che voglia dire il buddismo. Un grande arhant (e qui stiamo dentro l'ironia delle due grandi tradizioni buddiste), avendo compiuto la propria vita terrena sale al nirvâna, al cielo meritato, e il suo grande desiderio è di vedere il maestro e di sapere dove il maestro vive. E sale per tutti i cieli del nîrvâna, e si potrebbero descrivere le apsara , le ninfe e le cose preziose che trova, fino ad arrivare al settimo cielo. Qui le porte sono aperte e grida e cerca, perché vuole vedere Gôtama, il Buddha. Non lo trova e grida, ed esce un'apsara, esce una ninfa, una fanciulla che lo guarda tutta stupita. Egli le dice: Cerco Sakyâmuni, l'Adhibuddha. Essa gli risponde: «Ma tu non sai quel che cerchi, il Sakyâmuni, il vero, il Buddha non è mai venuto qui, è sempre rimasto tra gli uomini e ci rimarrà finché l'ultimo essere senziente non sia arrivato al nirvâna».
Il posto del Buddha è tra coloro che soffrono, tra gli uomini. La grande compassione che fa sì che si possa essere un bodhisattva, fa che si rinunci alla propria salvezza per collaborare col resto degli esseri viventi alla liberazione dell'universo. Il voto del bodhisattva che fa il monaco della tradizione mahayâna, dopo cinque anni di preparazione come minimo, è la rinuncia a qualsiasi beneficio e merito personale, di non farci caso e di non capitalizzarlo, finché l'ultimo essere vivente non arrivi alla propria pienezza. E quando si vuol costruire tutto un sistema filosofico quel che si vuole è sbancare tutta la forza della logica per dimostrare, logicamente, che qualsiasi costruzione intellettuale, distrugge se stessa quando si vuol formulare. Questo è lo spirito del buddismo.

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...