In seguito agli attacchi alle Torri Gemelle, Oriana Fallaci ruppe un silenzio durato dieci anni. Il 29 settembre 2001, la giornalista fiorentina lanciò la sua invettiva contro il fondamentalismo islamico e l’Occidente troppo tollerante dalle colonne del Corriere della Sera. Seguì una trilogia: La rabbia e l’orgoglio (2001), La forza della ragione (2004), Oriana Fallaci intervista sé stessa (2004).
La giornalista, “arrabbiata d’una rabbia fredda, lucida, razionale”, si lasciò andare a pensieri dirompenti, che divisero l’opinione pubblica italiana. Si scagliò contro il multiculturalismo, mettendo in guardia di fronte alla “fandonia dell’Islam moderato”. Descrisse i musulmani come una civiltà “che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate”. Bollò il Corano come un libro in cui, in qualunque edizione lo si legga, rimangono “la poligamia, la sottomissione, anzi, la schiavizzazione della donna.
Oggi, purtroppo, dopo l'invasione di Putin dell'Ucraina il 7 febbraio 2022 e dopo la vendetta di Israele, in seguito alla strage di civili perpetrata il 7 ottobre 2023 da combattenti di Hamas, la RABBIA e la GUERRA sono di nuovo di estrema attualità.
Tuttavia,
prese di posizione come “Rabbia e orgoglio” non ci aiuteranno a sconfiggere il terrorismo, nè a trovare soluzioni di problemi ancestrali come in Ucraina e Palestina. Solo con il dialogo e la comprensione dell'altro punto di vista si può cercare di arrivare a una soluzione accettabile, vedi il caso del SUD AFRICA. Dopo decenni di violenza e repressione, morti e vendette, la situazione venne affrontata dal presidente Frederik Willem De Klerk, leader afrikan del National Party, che il 2 febbraio 1990 riabilitò tutti i gruppi politici di opposizione al regime, compreso l'ANC. Nelson Mandela venne liberato l'11 febbraio 1990 e si arrivò ad una riconciliazione nazionale.
Questo era anche il pensiero di Tiziano Terzani in “Il Sultano e San
Francesco”, una lunga lettera aperta indirizzata alla Fallaci nell’ottobre 2001 (l’8 ottobre venne pubblicata sul Corriere della Sera). Terzani usò espressioni dure nei confronti di Oriana, scrivendo: “Nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana – la ragione; il meglio del cuore – la compassione”.
A detta del giornalista e scrittore, la collega si era comportata in maniera irresponsabile: grazie alla sua notorietà, la sua “brillante lezione di intolleranza” era arrivata dritta nelle scuole, influenzando tanti giovani e servendo a “risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto”.
Terzani chiese inoltre alla giornalista fiorentina se non le sembrasse di esagerare indicando “le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi”. E le rimproverò: “Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio se imparassero a lezione di religione anche cosa è l’Islam?”
Terzani criticò poi la Fallaci perché completamente disinteressata a capire le ragioni dei terroristi. “A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece… I kamikaze mi interessano perché vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio e cosa potrebbe fermarli”, scrisse Terzani.
Scrisse: “Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire; perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi ma eliminando le ragioni che li rendono tali”. Come il richiamo alla guerra della Fallaci, anche il messaggio di pace e tolleranza di Terzani provocò profonde divisioni nell’opinione pubblica. Tuttavia, le misure che verranno prese per arginare la minaccia terroristica non potranno non seguire il suo invito a “rifiutare il semplicismo intollerante”. Altrimenti, le tensioni non si assopiranno e la violenza terroristica tornerà a esplodere.
Gandhi diceva: "Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficle che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me". Ci vorrebbe un San Francesco ai tempi delle crociate. Il suo interesse era per gli "altri" per quelli contro i quali combattevano i crociati. Durante la quinta crociata, amareggiato dal comportamento dei crociati, sconvolto dalla vista dei morti sul campo di battaglia attraversò le linee del fronte. Fu catturato, torturato e portato al cospetto del sultano, era il 1219, peccato che non ci fosse ancora la CNN, perchè sarebbe interessantissimo rivedere quell'incontro. Dopo una chiacchierata che durò tutta la notte, al mattino il sultano lasciò che Francesco tornasse, incolume, all'accampamento dei crociati. San Francesco parlò di Cristo, il sultano lesse parti del Corano e alla fine si trovarono d'accordo sul messaggio "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mi diverte immaginare, che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma non possiamo rinunciare alla speranza. Anche Einstein divenne sempre più convinto della necessità del pacifismo.
Chalmers Johnson, un vecchio accademico della Berkeley University, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse, dà di questa storia una interpretazione completamente diversa: «Gli assassini suicidi dell’ 11 settembre non hanno attaccato l’America: hanno attaccato la politica estera americana» ( scrisse nel numero di The Nation uscito in ottobre 2001).
«Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate», scriveva in quei giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice di Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata e odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato la discussione mondiale su Osama bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi a un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide, responsabile dell’esplosione che nel 1984, nella fabbrica chimica di Bhopal, in India, fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse sì. Il terrorista che ora ci viene additato come il «nemico» da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamico fanatico, che in nome di Allah uccide sé stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo a una folla.
Dobbiamo però accettare che per altri il «terrorista» possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione e inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso la gente muore di fame? Questo non è relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare a una definizione comune del nemico da debellare.
Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso, così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. «Dateci qualcosa di più carino del capitalismo», diceva il cartello di un dimostrante in Germania. «Un mondo giusto non è mai NATO», c’era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo «più giusto» è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere.
Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità e ispirato ad un po’ più di moralità.
La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perché ora tornano comodi, è solo l’ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi.
Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo, e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche.
Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perché i musulmani si attendano in piazza del Duomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. È così perché anche Firenze s’è «globalizzata», perché non ha resistito all’assalto di quella forza che, fino a ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato.
Per questo sto, anch’io ritirato, in una sorta di baita nell’Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto nell’universo. La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. Guarda un filo d’erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia.
Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di Trovare pace. Perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.
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