giovedì 26 settembre 2024

Storia del Buddhismo - 1

Gli studi sul buddhismo in Occidente sono iniziati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, negli ultimi cinquant’anni sono progressivamente cresciuti gli studi socio-antropologici sul buddhismo. basati su scienze sociali – storia culturale, antropologia, sociologia e teoria sociale.     

L’inizio dell’interesse occidentale per il buddhismo può essere tracciato sul finire del XVI secolo, quando le missioni gesuite di Matteo Ricci (1552-1610) e Francesco Saverio (1506-1552) in Cina e in Giappone cominciarono a portare nel Vecchio Continente le prime informazioni sulle tradizioni e sulle pratiche buddhiste. 
Viene istituita la prima cattedra di sanscrito presso il Collège de France nel 1814, affidata ad Antoine-Léonard Chézy (1773-1832), L'ungherese Sándor Csoma de Kőrös (1784-1842) inizia ad esplorare il Tibet e il danese Rasmus Kristian Rask (1787-1832) Sri Lanka. Eugène Burnouf (1801-1852) fonda la  Société Asiatique parigina nel 1822 e redige l’Essai sur le Pali (1826) e, soprattutto, scrive Introduction à l’Histoire du Bouddhisme Indien (1844), testo con il quale si inaugura più propriamente il campo di quella che venne chiamata buddhologia.     
A partire dalla fine del XVIII secolo, con la fondazione della Asiatic Society of Bengal a opera del filologo britannico William Jones (1746-1794) si inizia a studiare la lingua sanscrita.
Comincia la vasta tradizione di studi filologici che si concentra tanto sulle relazioni storiche e strutturali tra le lingue indo-europee, e inizia la tendenza a romanticizzare la letteratura indiana come farà Arthur Schopenhauer (1788-1860) nella sua elaborazione filosofica.

L’orientalista inglese Rhys Davids fondò la Pali Text Society nel 1881, tra i cui obiettivi rientrava la traduzione dei testi theravada che lo studioso aveva avuto modo di analizzare nello Sri Lanka e la preservazione dei testi scritti su foglie di palma.  

Si costituisce la International Association of Buddhist Studies negli anni 1970, il cui l’indirizzo filologico-linguistico ha permesso un dialogo tra aree geografiche e disciplinari diverse. A titolo di esempio, si pensi all’attenta traduzione inglese del Dhammapada curata da John Carter e Mahinda Palihawadana (2000).
L’Oriente veniva considerato come la culla spirituale dell’umanità che avrebbe potuto rispondere alle grandi questioni esistenziali dell’Occidente razionalista. Come suggerisce Florinda De Simini (2013), lo studio occidentale delle dottrine buddhiste è stato caratterizzato da un “metodo scientifico imperfetto”, vale a dire da una ricerca basata su fonti di seconda mano e su una tendenza a decontestualizzare idee e dottrine disponendole in una diversa cornice ideologica.  

Durante la prima metà del secolo, molti studiosi ritenevano il buddhismo una tradizione il cui corredo simbologico e ascetico attraverserebbe, sostanzialmente inalterato, tutta la storia dell’umanità. In questa prospettiva, si devono almeno ricordare Hinduism and Buddhism (1943) di Ananda Coomaraswamy (1877-1947) e Peaks and Lamas (1940) di Marco Pallis (1895-1989), autori che portarono René Guénon (1886-1951) a rivedere la sua impostazione che vedeva nel buddhismo una deviazione dall’ortodossia tradizionale induista. 

Altri testi importanti da ricordare sono: The Life and Teaching of Naropa di Herbert Guenther (1963) e What the Buddha Taught di Walpola Rahula (1974), il dettagliato A Millenium of Buddhist Logic di Alex Wayman (1999) o The Path to Awakening di Shamar Rinpoche (2009).

Negli anni '70 iniziano studi e ricerche in una prospettiva inter-disciplinare più ampia e più incentrata sulle scienze sociali. Buddhism and Society (Spiro 1970) è il primo testo a utilizzare metodi propri dell’antropologia e della sociologia nello studio del buddhismo Theravada. Nell’anno seguente viene pubblicato Precept and Practice (Gombrich 1971), che esamina la pratica buddhista in Sri Lanka.

Sempre in quell'anno viene pubblicato Buddhism and the Spirit Cults in North - east Thailand (Tambiah 1970). In Living Buddhism (2015), Julia Cassaniti esplora la maniera in cui concetti centrali della dottrina buddhista come impermanenza, non attaccamento e intenzione vengano tradotti nell’agire sociale quotidiano nella Thailandia contemporanea. 

Uno dei testi di riferimento per studiare il buddhismo è Buddhism in the Global Eye (Harding, Hori e Soucy 2020).   Il buddhismo oggi non emerge solo dall’incontro tra Oriente e Occidente ma anche dagli incontri e scambi tra diversi “orienti” e diversi buddhismi. Il sociologo inglese Philip Mellor (1991) sottolinea come in Inghilterra l’adozione di forme religiose buddhiste non comporti una rottura radicale con le strutture e le influenze occidentali.

Le religioni e le filosofie (in particolare quelle orientali) all’interno delle società occidentali, sono progressivamente assoggettate a dinamiche di mercato, consumo e privatizzazione della relazione con il sacro. Una ricerca riflessiva sul buddhismo contemporaneo non può prescindere dallo studio del ruolo e delle influenze del capitalismo nella formazione delle istituzioni e delle rappresentazioni del buddhismo nelle società orientali e occidentali.  Un testo di riferimento di questo filone di ricerca è Buddhism under Capitalism (Payne e Rambelli 2022). 

L’origine del termine Engaged buddhism risale a una pubblicazione del monaco e attivista civile Thich Nhat Hanh (1926-2022) del 1964, anche se Hanh sostiene di avere sviluppato l’idea di buddhismo impegnato già negli anni cinquanta (crea i "Piccoli corpi di pace" inizi anni '60).  Thay propone che le cause della sofferenza non si trovino solo all’interno della mente, ma anche nella società, nell’oppressione politica e nella disuguaglianza sociale. Robert Fuller (2021) definisce Engaged buddhism come una trasformazione personale e sociale che implica anche l'ambiente.
Di particolare importanza all’interno dell’Engaged buddhism così definito è la sua alleanza con l’universo ambientalista ed ecologista (Darlington 2016; Gregory e Samah 2008). I tre pilastri delle diverse concettualizzazioni di Engaged buddhism sono azione, interdipendenza e compassione (Fuller 2021).  La sociologia buddhista, cerca di fornire una comprensione più etica e giusta del mondo sociale” (Marotta 2017).

Il cosiddetto “buddhismo secolare” è un tentativo di ripensare completamente il dharma dalle sue fondamenta per affrontare il mondo contemporaneo. Questa de/ri-costruzione del buddhismo in chiave laica e secolare è utilizzata da Winton Higgins (2012) per descrivere le nuove comunità buddhiste emergenti. Per Batchelor questo “buddhismo 2.0” o “aggiornamento secolare” si discosta da qualsiasi scuola o sistema dottrinale che operi all’interno della visione soteriologica dell’India antica.  Batchelor utilizza il  termine “secolare” nel campo buddhista riferendosi a tre sue dimensioni, le quali si sovrappongono tra loro: (1) nel senso popolare, per indicare ciò che è in contrasto o in opposizione al “religioso”; (2) nel senso etimologico facendo riferimento alle radice latina della parola saeculum, che significa “questa età”, per sottolineare la preoccupazione e la volontà di vivere al meglio il tempo e il mondo presente; e (3) in senso storico-politico, riconoscendo i processi storici occidentali che hanno portato al trasferimento del potere politico dalla Chiesa allo Stato, per indicare il principio di laicità. 
La nuova forma di buddhismo che sta prendendo forma in Occidente non abbandona i testi canonici del buddhismo, ma (nelle sue derive) sostituisce l’ideale soteriologico del nirvana con l’obiettivo secolare della prosperità, del benessere e della realizzazione umana in questo mondo. Questo progetto di riforma del buddhismo va ben oltre i suoi processi di psicologizzazione che stanno sviluppandosi in Occidente, come quelli centrati sulle potenzialità della pratica meditativa che hanno dato vita alla cosiddetta “mindfulness”.
Ci sono molti studi che esaminano, direttamente o più marginalmente, le conversioni al buddhismo nei Paesi occidentali, interrogandosi sulle ragioni del successo di questa religione. 
Ci sono anche delle ricerche più specifiche sul caso del buddhismo italiano. Mathé Thierry (2010) individua similmente tre principali causalità nell’incontro dei convertiti italiani con il buddhismo: (1) il vissuto di una situazione traumatica e la mancanza di risposte nella religione cattolica, ovvero la ricerca di una “religione compensativa” capace di offrire migliori “strumenti” per gestire le emozioni e affrontare problemi personali; (2) l’impossibilità di un contatto intenso con il sacro attraverso le pratiche del cattolicesimo;  un’insoddisfazione quest’ultima che può derivare anche dall'ignoranza dei suoi insegnamenti che vengono ridotti a costrizioni o dogmi; (3) la ricerca spirituale da parte di ex attivisti politici e/o  sindacali che trovano nel buddhismo un impegno sociale ri-orientato verso una nuova religiosità dopo il fallimento delle grandi ideologie del Novecento e del loro progetto di cambiamento sociale. 
Un aspetto importante è la capacità del buddhismo di non avere rapporti conflittuali con  il mondo scientifico, anzi grazie all'interessamento del Dalai Lama che ha creato l'Istituto Mind and Life nel 1991, il buddhismo ha cercato di trovare dei punti di contatto con la scienza.
Altro aspetto importante è il passaggio delle spiritualità da una definizione teologica, a una sociologica quale ricerca di una relazione con il trascendente costruita a partire dal Center for the Study of Global Christianity (Zurlo, Johnson e Crossing 2023).

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