Gli
studi sul buddhismo in Occidente sono iniziati a partire dalla seconda
metà dell’Ottocento, negli ultimi cinquant’anni sono
progressivamente cresciuti gli studi socio-antropologici sul buddhismo.
basati su scienze sociali – storia culturale, antropologia, sociologia e
teoria sociale.
Comincia la vasta tradizione di studi filologici che si concentra tanto sulle relazioni storiche e strutturali tra le lingue indo-europee, e inizia la tendenza a romanticizzare la letteratura indiana come farà Arthur Schopenhauer (1788-1860) nella sua elaborazione filosofica.
L’orientalista inglese Rhys Davids fondò la Pali Text Society nel 1881, tra i cui obiettivi rientrava la traduzione dei testi theravada che lo studioso aveva avuto modo di analizzare nello Sri Lanka e la preservazione dei testi scritti su foglie di palma.
Si costituisce la International
Association of Buddhist Studies negli anni 1970, il cui l’indirizzo
filologico-linguistico ha permesso un dialogo tra aree geografiche e
disciplinari diverse. A titolo di esempio, si pensi all’attenta
traduzione inglese del Dhammapada curata da John Carter e Mahinda Palihawadana (2000).
L’Oriente veniva considerato come la
culla spirituale dell’umanità che avrebbe potuto rispondere alle grandi
questioni esistenziali dell’Occidente razionalista. Come suggerisce Florinda De Simini (2013), lo studio
occidentale delle dottrine buddhiste è stato caratterizzato da un
“metodo scientifico imperfetto”, vale a dire da una ricerca basata su
fonti di seconda mano e su una tendenza a decontestualizzare idee e
dottrine disponendole in una diversa cornice ideologica.
Durante la prima metà del secolo, molti studiosi ritenevano il buddhismo una tradizione il cui corredo simbologico e ascetico attraverserebbe, sostanzialmente inalterato, tutta la storia dell’umanità. In questa prospettiva, si devono almeno ricordare Hinduism and Buddhism (1943) di Ananda Coomaraswamy (1877-1947) e Peaks and Lamas (1940) di Marco Pallis (1895-1989), autori che portarono René Guénon (1886-1951) a rivedere la sua impostazione che vedeva nel buddhismo una deviazione dall’ortodossia tradizionale induista.
Altri testi importanti da ricordare sono: The Life and Teaching of Naropa di Herbert Guenther (1963) e What the Buddha Taught di Walpola Rahula (1974), il dettagliato A Millenium of Buddhist Logic di Alex Wayman (1999) o The Path to Awakening di Shamar Rinpoche (2009).
Negli anni '70 iniziano studi e ricerche in una prospettiva inter-disciplinare più ampia e più incentrata sulle scienze sociali. Buddhism and Society (Spiro 1970) è il primo testo a utilizzare metodi propri dell’antropologia e della sociologia nello studio del buddhismo Theravada. Nell’anno seguente viene pubblicato Precept and Practice (Gombrich 1971), che esamina la pratica buddhista in Sri Lanka.
Sempre in quell'anno viene pubblicato Buddhism and the Spirit Cults in North - east Thailand (Tambiah 1970). In Living Buddhism (2015), Julia Cassaniti esplora la maniera in cui concetti centrali della dottrina buddhista come impermanenza, non attaccamento e intenzione vengano tradotti nell’agire sociale quotidiano nella Thailandia contemporanea.
Uno dei testi di riferimento per studiare il buddhismo è Buddhism in the Global Eye (Harding, Hori e Soucy 2020). Il buddhismo oggi non emerge solo dall’incontro tra Oriente e Occidente ma anche dagli incontri e scambi tra diversi “orienti” e diversi buddhismi. Il sociologo inglese Philip Mellor (1991) sottolinea come in Inghilterra l’adozione di forme religiose buddhiste non comporti una rottura radicale con le strutture e le influenze occidentali.
Le religioni e le filosofie (in particolare quelle orientali) all’interno delle società occidentali, sono progressivamente assoggettate a dinamiche di mercato, consumo e privatizzazione della relazione con il sacro. Una ricerca riflessiva sul buddhismo contemporaneo non può prescindere dallo studio del ruolo e delle influenze del capitalismo nella formazione delle istituzioni e delle rappresentazioni del buddhismo nelle società orientali e occidentali. Un testo di riferimento di questo filone di ricerca è Buddhism under Capitalism (Payne e Rambelli 2022).
L’origine del termine Engaged buddhism risale a una pubblicazione del monaco e attivista
civile Thich Nhat Hanh (1926-2022) del 1964, anche se Hanh sostiene di
avere sviluppato l’idea di buddhismo impegnato già negli anni cinquanta (crea i "Piccoli corpi di pace" inizi anni '60). Thay propone che le cause della sofferenza non si
trovino solo all’interno della mente, ma anche nella società,
nell’oppressione politica e nella disuguaglianza sociale. Robert Fuller (2021) definisce Engaged buddhism come una
trasformazione personale e sociale che implica anche l'ambiente.
Di
particolare importanza all’interno dell’Engaged buddhism così definito è
la sua alleanza con l’universo ambientalista ed ecologista (Darlington
2016; Gregory e Samah 2008). I
tre pilastri delle diverse concettualizzazioni di Engaged buddhism sono
azione, interdipendenza e compassione (Fuller 2021). La
sociologia buddhista, cerca di fornire una comprensione più etica e
giusta del mondo sociale” (Marotta 2017).
Ci sono molti studi che esaminano, direttamente o più marginalmente, le conversioni al buddhismo nei Paesi occidentali, interrogandosi sulle ragioni del successo di questa religione.
Ci sono anche delle ricerche più specifiche sul caso del buddhismo italiano. Mathé Thierry (2010) individua similmente tre principali causalità nell’incontro dei convertiti italiani con il buddhismo: (1) il vissuto di una situazione traumatica e la mancanza di risposte nella religione cattolica, ovvero la ricerca di una “religione compensativa” capace di offrire migliori “strumenti” per gestire le emozioni e affrontare problemi personali; (2) l’impossibilità di un contatto intenso con il sacro attraverso le pratiche del cattolicesimo; un’insoddisfazione quest’ultima che può derivare anche dall'ignoranza dei suoi insegnamenti che vengono ridotti a costrizioni o dogmi; (3) la ricerca spirituale da parte di ex attivisti politici e/o sindacali che trovano nel buddhismo un impegno sociale ri-orientato verso una nuova religiosità dopo il fallimento delle grandi ideologie del Novecento e del loro progetto di cambiamento sociale.
Altro aspetto importante è il passaggio delle spiritualità da una definizione teologica, a una sociologica quale ricerca di una relazione con il trascendente costruita a partire dal Center for the Study of Global Christianity (Zurlo, Johnson e Crossing 2023).
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