Canto IV della Bhagavad Gìta. Il questo canto il Dio Krishna parla ad Arjuna, ed il tema della discussione è "Che cos’è l’agire? Che cos’è il non agire?"
Colui che sa vedere nell’agire il non agire e nel non agire l’azione, questi fra tutti gli uomini possiede la vigilanza della mente, quegli è unificato nello yoga, quegli assolve tutti i suoi compiti.
Quegli, le cui imprese sono affrancate dal desiderio e da progetti [interessati], è lui che chiama saggio la gente avveduta, quegli il cui agire è bruciato dal fuoco della conoscenza ...
Abbandonando ogni attaccamento al frutto dell’atto, eternamente soddisfatto, non cercando alcun appoggio [esterno], anche se si impegna nell’atto, non “fa” assolutamente nulla.
Non domandando né aspettando nulla, padrone della propria mente e di tutta la propria persona, poiché ha rinunciato a ogni appropriazione e non compie atti se non corporalmente, non cade in errore alcuno.
Soddisfatto di quanto riceve per caso, avendo superato le coppie dei contrari, esente da egoismo, sempre uguale nel successo come nell’insuccesso, anche se agisce non è legato all'atto.
Quando ogni attaccamento se ne è andato, ed egli è affrancato da ogni legame, e la sua mente è stabilita nella conoscenza [liberatrice] ed egli agisce in vista soltanto del sacrificio, tutto intero il suo atto si dissolve.
Quando non si aderisce più agli oggetti dei sensi né agli atti, è allora che avendo rinunziato a ogni “progetto interessato”, si è detti aver terminato l’ascesa dei gradi dello yoga.
Nessun commento:
Posta un commento