La Musica Indiana: Cenni di teoria musicale. Articolo scritto dal mio amico Roberto Dati
La Musica Indiana ha una tradizione millenaria e caratteristiche peculiari e sofisticate che la rendono estremamente affascinante sia ad un ascolto di tipo puramente spirituale, a cui è naturalmente indirizzata, sia a un’analisi musicale tecnico-teorica, obiettivo più complesso perché non è facile da codificare secondo gli schemi occidentali. ..
La distinzione della Musica Indiana in indostana, del nord dell’India, e carnatica, del sud dell’India è determinata dalla differente storia delle due aree, con conseguenti sviluppi nello stile e nella nomenclatura, pur avendo le caratteristiche di base comuni.
L’esecuzione della Musica Classica Indiana non si basa su partiture scritte, né su melodie strutturalmente definite tramandate per via orale, ma cornici, tramandate da insegnate ad allievo, entro cui il musicista improvvisa, chiamate raga.
Un raga è un brano musicale nella musica indiana, e la sua esecuzione produce ogni volta risultati diversi che sono il frutto dell’improvvisazione ispirata del musicista che è al contempo compositore estemporaneo e esecutore. Con le dovute distinzioni i raga nella musica indiana possono essere accostati agli ‘standard’ definiti da temi e sequenze armoniche su cui si improvvisa nella musica jazz.
Il materiale grezzo su cui si sviluppa il raga è di tipo melodico e ritmico.
Non è contemplata l’armonia com’è intesa nel sistema occidentale tonale con accordi di più note, le cadenze armoniche, tensione e risoluzione: al massimo è previsto un bordone o drone o basso continuo fondamentale, e questo rende la melodia del raga ancora più libera di svilupparsi a lungo in via monodica in modo aperto.
Il materiale melodico è costruito scegliendo le note da sequenze diatoniche che potremmo definire scale o modi, gli svara, che sono di 7 note, similmente alla scala maggiore e minore e ai modi utilizzati nel sistema musicale occidentale.
Nel sistema indostano sono presenti 10 scale di sette note, in quello carnatico 72, chiamate melakartas, un materiale ricchissimo a cui attingere.
I nomi delle sette note (analogamente alle italiane DO RE MI FA SOL LA SI, oppure in inglese C D E F G A B) nelle due principali tradizioni classiche indiane sono:
- - la indostana (Hindustani - India settentrionale): Sa Re Ga Ma Pa Dha Ni
- - la carnatica (Karnàtak - India meridionale): Sa Ri Ga Ma Pa Dha Ni
L'insieme delle 12 note della scala cromatica, a distanza di un semitono l'una dall'altra, talvolta viene così indicato (a partire da una nota qualunque scelta come nota di partenza): S-r-R-g-G-m-M-P-d-D-n-N-S'
Ma la musica indiana utilizza intervalli ancora più piccoli del semitono della scala cromatica, gli sruti. Sono previsti 22 sruti all’interno di un’ottava, la cui esatta ampiezza non è ben definita, ma viene realizzata attraverso i glissando e quindi dipende dall’esperienza e dall’istinto dell’artista.
Differentemente dalle consuetudini occidentali, che, sfruttando il principio dell'intonazione assoluta, attribuiscono un nome specifico ad una nota con altezza (frequenza) ben definita, nella cultura musicale indiana le note hanno invece nomi fissi che si adattano all'altezza della nota scelta come riferimento (in occidente questo approccio è simile alla solmisazione relativa o do mobile è un metodo di lettura, nato già intorno all’anno 1000 con Guido D’Arezzo e utilizzato da Kodály come mezzo didattico).
E’ singolare notare che tutte le 10 scale del sistema indostano e le 72 scale del sistema carnatico contengono il quinto grado, il Pa, non alterato, ma sempre all’intervallo di quinta giusta.
Ebbene i raga contengono il numero e la sequenza delle note delle scale (svara) da suonare in partenza, e un insieme di indicazioni che riguardano quale nota debba essere la "fondamentale", quali siano le note di "riposo" o quelle "dissonanti" e le variazioni micro-tonali (sruti) a partire dai gradi della scala. Spesso i raga utilizzano diverse scale, distinte per il moto melodico ascendente e per quello discendente.
Il raga è strutturalmente diviso in due metà: la prima, l’alapa (sorta di preludio o verse) è un’introduzione senza una precisa scansione ritmica, in cui gli schemi melodici prendono forma e il ritmo parte lentamente ed è accelerato. la seconda, il gat (il chorus) in cui si innesca il ciclo ritmico tala basato su metriche spesso complesse e asimmetriche, dove il dialogo tra i musicisti aumenta di intensità e ritmo.
Come nella musica occidentale vengono utilizzati i termini groove, swing, per indicare la personale oscillazione o spinta ritmica, così nella musica indiana una parte importante è la “sensazione” del ritmo che viene chiamata laya.
L’organizzazione del ritmo tala segue formule “additive”, nel senso che sono presenti dei patterns ricorrenti, il cui modulo temporale che si ripete non costituisce una durata da dividere necessariamente in parti uguali (come la battuta nella musica occidentale), ma un gruppo di elementi più lunghi e più corti, come dei segmenti temporali o modi ritmici che si ripresentano ciclicamente. I tala non solo possono essere molto lunghi e si caratterizzano anche per una peculiare suddivisione interna, che vede la somma di raggruppamenti non tutti uguali. La ritmica indiana si fonda sull’uso di un sistema di sillabazione, le cui sequenze verbali (es. Ta ka din – ta ka di na tam) hanno non solo un carattere onomatopeico, ma sono strettamente legate ai frammenti ritmici che rappresentano e hanno il compito di rafforzarne la fluidità e di conferirgli un senso e una struttura.
In conclusione la Musica Classica Indiana e i raga sono una fonte ricchissima di materiale di ispirazione.
Bibliografia:
- Derek Bailey: L’Improvvisazione, sua natura e pratica in musica, Trad. Francesco Martinelli, Ed. Arcana Editrice
- Paolo Annessi: Melakartas, 72 modi dell’India del Sud per chitarra, Ed. fingerpicking.net
- Vincenzo Caporaletti: Introduzione alla teoria delle musiche audiotattili. Un paradigma per il mondo contemporaneo, Aracne Editrice.
Nessun commento:
Posta un commento