sabato 25 settembre 2021

Empatia - Matthieu Ricard

Matthieu Ricard parla dell' Empatia suddividendo la trattazione in tre parti:

  1.  Definizione generale di empatia, 
  2.  L’empatia secondo Matthieu Ricard (definizioni tratte dal libro “Il gusto di essere altruisti”, Collegamento tra empatia e altruismo, 
  3.  Frasi sull’altruismo e sulla relazione tra altruismo e felicità.  

Parte 1- Definizione di empatia. L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è "sentire dentro", ad esempio "mettersi nei panni dell'altro", ed è una capacità che fa parte dell'esperienza umana ed animale. La capacità di porsi nella situazione (immedesimarsi) di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro. 

L’empatia è una risorsa fondamentale per rinforzare i legami sociali che, a loro volta, sono fondamentali per il benessere psicofisico. Provare empatia aiuta a migliorare le nostre relazioni, rendendole più sincere e profonde, e instaurare un senso di intimità con l’altro. L’empatia è la capacità di comunicare efficacemente con chi sta soffrendo. Non sono abilità scontate, tuttavia, secondo ricerche recenti, possono essere apprese e sviluppate. Secondo l’ultimo manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5), bassi livelli di empatia o una mancanza totale di questa, possono essere sintomi di narcisismo o antisocialità. Comunque, essere poco empatici non significa in automatico avere un disturbo di personalità. Per una diagnosi di questo tipo è necessario, infatti, mostrare una serie di pensieri e comportamenti peculiari e pervasivi, di cui l’assenza di empatia è solo un aspetto.

Come si fa a mostrare empatia? Il punto principale da tenere in considerazione, quando chi sta soffrendo si confida con noi, è non banalizzare. Glen Gabbard, noto psichiatra americano, ha sostenuto che in una psicoterapia con persone depresse, cercare di incoraggiare il paziente focalizzandosi sugli aspetti positivi è controproducente. Dire, per esempio “lei non ha motivo per essere depresso, ha molte qualità” sortirebbe l’effetto di far sentire l’altro ancora più solo e incompreso. Al contrario, un buon modo di stare vicino a una persona depressa consiste nel trasmettere l’idea che esistano molti buoni motivi per essere tristi e che quella sofferenza ha senso di esistere. Elizabeth Dorrance Hall, studiosa americana di relazioni familiari e comunicazione, ha proposto alcuni punti da tenere a mente quando si affrontano conversazioni con chi sta soffrendo:

  • Scegliere messaggi personalizzati. Le persone amano ascoltare messaggi ‘ritagliati su di loro’, che legittimano come si sentono e li aiutano a esplorare le proprie emozioni. Se vogliamo aiutare qualcuno a superare un momento difficile, potremmo sottolineare alcune sue risorse. Una frase efficace potrebbe essere: “Riesco a sentire che per te è un momento difficile, ma sei una persona tenace e puoi venirne fuori”. Attenzione: è importante che la qualità che sottolineiamo sia reale (in questo caso, la persona deve essere veramente tenace).
  • Alterna sostegno e “sfida”. Le persone gradiscono quando si sentono, nello stesso momento, accettate e stimolate (in modo gentile). Utile in special modo quando pensiamo che una persona possa superare un momento difficile attraverso un cambiamento o chiedendo aiuto. L’accettazione, cioè l’ascolto senza giudizio, trasmette calore e fa sentire all’altro che ci teniamo e che ha un valore. Accanto a questo messaggio rassicurante è possibile suggerire di esaminare il proprio comportamento, per capire cosa sta andando storto e cosa potrebbe essere fatto diversamente in futuro. Bisogna però essere delicati, o faremo sentire l’altro in colpa e solo.
  • Evita ansia e facili soluzioni. Le persone non amano messaggi minacciosi, che implicano l’essere giudicati in modo negativo o che restringono la propria libertà di scelta. Per esempio, se pensiamo che qualcuno sia troppo stressato a causa del lavoro, dirgli “mio cugino ha avuto un infarto per lo stress sul lavoro, devi prenderti una pausa!” sortirà un effetto negativo, perché creerà urgenza e farà sentire l’altro poco ascoltato. Potremmo invece suggerire attività alternative a quelle lavorative, in modo che non si senta pressato o angosciato e senta di conservare libertà di scelta.
  • Non giudicare. Risultiamo più empatici quando siamo in grado di sospendere il giudizio. Per chi sta soffrendo, infatti, sarà più facile sentirsi compreso e accettato, se evitiamo di esprimere un’opinione su quanto il suo vissuto possa essere giusto o sbagliato secondo noi.

Oltre a questi punti, è importante evitare una tendenza tanto diffusa quanto irritante per chi sta soffrendo: la frase “ma almeno..”. Quando qualcuno è triste, a volte si tende a spingerlo a focalizzare l’attenzione su elementi positivi della sua vita. Per esempio, se l’altro ci dice “il mio matrimonio è un disastro”, possiamo essere tentati di rispondere “ma almeno hai dei figli fantastici”. In realtà, questo tentativo di consolare l’altro lo fa solo sentire ancora più incompreso. In questo caso, infatti, non solo non stiamo riconoscendo la sua sofferenza, ma lo stiamo anche facendo sentire in colpa. Il vero messaggio che comunichiamo è: “sei triste perché non sei in grado di vedere ciò che hai di buono”. Una modalità di consolare che può risultare arrogante.

Si può imparare a essere più empatici?  La risposta è sì (anche se non è semplice). Alcuni studi hanno dimostrato che perfino persone con autismo – un disturbo che include deficit nell’interazione e comunicazione sociale, ridotta condivisione di interessi, emozioni e sentimenti – possono imparare a mostrare più empatia nelle relazioni sociali attraverso un allenamento specifico.
Il ricercatore scozzese, David Jeffrey sostiene che professionisti in ambito medico dovrebbero fare un uso maggiore dell’empatia nella relazione con i pazienti. L’autore ha avanzato alcune proposte su come raggiungere tale obiettivo. Tra queste, alcuni suggerimenti sono applicabili nella quotidianità: Come si sente l’altro? Esercitarsi nell’assumere la prospettiva altrui non significa pensare “come mi sentirei io in quella situazione?”. Ciò infatti può portare all’urgenza di distogliere il pensiero dalle sensazioni negative. L’idea è immedesimarsi nell’altro e assumere la sua prospettiva, tenendo conto del suo contesto e della sua storia di vita.

Le attività in grado di aumentare le capacità empatiche sono: meditazione, scrittura creativa,  ‘role playing’.  In particolare, il ‘role playing’ consiste nel giocare a recitare la parte della persona che sta soffrendo, in modo da assumere la sua prospettiva e comprenderla a fondo. È possibile aumentare le capacità empatiche anche costruendo una storia su un personaggio immaginario. Seguire in prima persona le vicende del protagonista del racconto che inventiamo induce a immedesimarsi in un punto di vista diverso dal proprio e a “esercitarsi” nel provare empatia per le vicende che affronta. Infine, la meditazione e i corsi di mindfulness sembrano essere utili per entrare più a contatto con le proprie e altrui emozioni in modo non giudicante.

Per concludere, l’empatia è una capacità innata, legata a specifici circuiti cerebrali, che tuttavia può essere allenata e migliorata nel tempo, al fine di connetterci in maggior misura agli altri e favorire l’intimità. Non sempre è facile provare empatia, in special modo quando chi soffre è stato scorretto nei nostri confronti o è un estraneo. Tuttavia, vale la pena allenarsi a esercitarla per migliorare la qualità delle nostre relazioni. L’empatia è un’arte, un’eccezionale capacità geneticamente programmata nel nostro cervello con cui ci sintonizziamo con i sentimenti e le intenzioni altrui. Tuttavia, ed ecco che si presentano i problemi, non tutti riescono ad accendere quella lanterna che illumina il processo di costruzione delle relazioni più solide ed appaganti.

Spesso sentiamo dire frasi come “quella persona non è empatica”, “quel tizio è un egoista ed è totalmente privo di empatia”. Ebbene, una cosa molto importante da chiarire subito è che il nostro cervello dispone di un’architettura molto sofisticata mediante la quale favorisce questa connessione. In fin dei conti, l’empatia è una delle strategie con cui garantiamo la sopravvivenza della nostra specie: ci permette di capire l’individuo che abbiamo davanti e ci dà la possibilità di stabilire un rapporto profondo con lui. “Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà.” La struttura cerebrale in cui la neuroscienza colloca la nostra empatia si trova nella circonvoluzione sopramarginale destra, un punto situato tra il lobo parietale, quello temporale e quello frontale. Grazie all’attività di questi neuroni, in determinati momenti riusciamo ad accantonare il nostro mondo emotivo e le nostre cognizioni per essere più ricettivi nei confronti degli altri.

Chiarito questo punto, la seguente domanda da porsi è: se tutti disponiamo di questa struttura cerebrale, perché ci sono persone più empatiche ed altre meno empatiche, e perché in alcune l'empatia sembra essere totalmente assente? Sappiamo, ad esempio, che la principale caratteristica del disturbo anti-sociale della personalità è la mancanza di connessione emotiva con gli altri. Tuttavia, tralasciando l’aspetto clinico e psicopatologico, sono molte le persone che semplicemente non riescono a sviluppare quest’abilità.

Le esperienze della tenera età, i modelli educativi e il contesto sociale debilitano questa meravigliosa capacità a favore di un egocentrismo sociale molto marcato. Una ricerca realizzata presso l’Università del Michigan ci dice che gli universitari di oggi sono un 40% meno empatici degli studenti degli anni ’80 e ’90. Al giorno d’oggi la vita ha così tanti stimoli e distrazioni per i giovani e i meno giovani da aver smesso tutti di essere pienamente consapevoli del momento presente e persino della persona che abbiamo davanti a noi. La gente è più attenta ai suoi dispositivi elettronici che ai sentimenti altrui, e questo è un  problema su cui dobbiamo riflettere. Il tempo passato sui social misura l’inadeguatezza di noi stessi, l’incapacità di affrontare la vita reale, il tempo passato sui social network è un parametro spesso associato alla depressione.

Parte 2 - L’empatia secondo Matthieu Ricard (definizioni tratte dal libro “Il gusto di essere altruisti”, Collegamento tra empatia e altruismo.   Monaco buddista da quasi quarant'anni, Matthieu Ricard utilizza la sua duplice formazione in discipline scientifiche e filosofiche occidentali e in quelle contemplative e meditative orientali per dimostrarci che, nell'era della globalizzazione, l'altruismo non è un pensiero utopico, ma una necessità, e che una vera attitudine altruista può avere un dirompente effetto positivo sulle nostre vite a livello individuale e, di conseguenza, sull'intera società. L'appello di Ricard, ripreso dai principali economisti e pensatori, tra cui Amartya Sen e Joseph Stiglitz, è il frutto di anni di ricerche, esperienza, osservazione e riflessione. 

L'empatia è un termine che è stato sempre più utilizzato dagli scienziati e nel linguaggio comune ed è generalmente confuso con l'altruismo e la compassione. La parola empatia comprende in realtà diversi stati mentali. La parola empatia è una traduzione della parola tedesca Einfühlung che si riferisce alla capacità di "sentire gli altri dall'interno". E 'stato utilizzato in primo luogo dal psicologo tedesco Robert Vischer nel 1873 per designare un oggetto esterno a cui si era soggettivamente identificato, ad esempio: una casa, un vecchio albero nodoso o una collina modellata dal vento (iv). Successivamente, il filosofo Theodor Lipps ha ampliato questo concetto per descrivere la sensazione di un artista che attraverso la sua immaginazione si proietta non solo su un oggetto inanimato, ma anche sull'esperienza di qualcun altro.

L'empatia può essere innescata da una percezione affettiva dei sentimenti degli altri o dall'immaginazione cognitiva di ciò che hanno vissuto. In entrambi i casi la persona fa una chiara distinzione tra ciò che sente e ciò che sente l'altro, che è diverso dal contagio emotivo durante il quale detta differenziazione è imprecisa. L’empatia affettiva appare dunque spontaneamente quando entriamo in risonanza con la situazione dei sentimenti di un'altra persona, con le emozioni che si manifestano attraverso le espressioni facciali, lo sguardo, il tono della voce e del comportamento.

La dimensione cognitiva dell'empatia è nata, evocando mentalmente un'esperienza vissuta da qualcun altro, immaginando ciò che quella persona prova e come è influenzata dall'esperienza o immaginando ciò che sentiremmo al suo posto. Empatia potrebbe portare ad una motivazione altruistica, ma anche, quando ci si confronta con la sofferenza degli altri, generare una sensazione di impotenza e il desiderio di evitare la situazione.

L'empatia cognitiva senza altruismo può anche portare alla strumentalizzazione dell'altra persona sfruttando le informazioni che fornisce sul suo stato mentale e sulla situazione. Portato all'estremo è una delle caratteristiche degli psicopatici. I significati attribuiti da diversi pensatori e ricercatori alla parola "empatia" così come ad altri concetti simili come la compassione sono molto vari e possono quindi essere fuorvianti.

Tuttavia, la ricerca scientifica condotta da 70-80 anni, soprattutto da psicologi come Daniel Batson, Jack Dovidio e Nancy Eisenberg, e più recentemente da neuro-scienziati come Jean Decety e Tania Singer, hanno contribuito a chiarire le sottigliezze del concetto e analizzare i suoi collegamenti con l'altruismo.  Lo psicologo americano Daniel Batson ha mostrato che i diversi significati della parola "empatia" alla fine portano a due domande: "come posso sapere che cosa pensa e sente un altro essere?" E "quali sono i fattori che portano a preoccuparsi di qualcosa che capita e rispondere con gentilezza e sensibilità? ".  Batson ha elencato otto diverse forme della nozione di "empatia" che sono correlate, ma senza costituire diversi aspetti dello stesso fenomeno (vii). Analizzandoli, ha concluso che solo una di queste manifestazioni che chiama "gentilezza empatica" è necessaria e sufficiente per generare una motivazione altruistica.

  • La prima forma è la conoscenza dello stato interiore di un altro essere, che può fornirci argomenti per provare gentilezza nei suoi confronti, senza che ciò sia sufficiente, né indispensabile per generare una motivazione altruistica. Pertanto, puoi essere consapevole di ciò che l'altro pensa o sente e rimane indifferente alla sua situazione.
  • La seconda forma è l'imitazione motoria e neuronale. Preston e Waal furono i primi a proporre un modello teorico per i meccanismi neurali che sostengono l'empatia e il contagio emotivo. Secondo questi ricercatori, il fatto di percepire qualcuno sotto una certa situazione porta il nostro sistema neurale ad adottare uno stato analogo al vostro, che genera un corpo e la mimica facciale accompagnato da sentimenti simili all'altra persona (ix). Questo processo di imitazione osservando i comportamenti fisici è anche la base dei processi di apprendimento che vengono trasmessi da un individuo all'altro. Ma questo modello non distingue chiaramente l'empatia, in cui confondiamo le nostre emozioni con quelle degli altri. Secondo Batson, questo processo può aiutare a produrre sentimenti di empatia, ma non è abbastanza per spiegarli. In effetti, non sempre imitiamo le azioni degli altri; Ad esempio, reagiamo intensamente quando osserviamo un calciatore che segna un goal, ma non ci sentiamo necessariamente inclini a imitare o ad entrare in risonanza emotiva con qualcuno mentre organizziamo i loro documenti o mentre mangiamo un piatto di cibo che non ci piace.
  • La terza forma è la risonanza emotiva, che ci consente di sentire esattamente ciò che sente l'altro, sia che si tratti di un sentimento di felicità o tristezza (x). È impossibile vivere esattamente la stessa esperienza di qualcun altro, ma possiamo provare emozioni simili. Non c'è niente di meglio per metterci di buon umore che guardare un gruppo di amici felici di vedersi; e al contrario, il fatto di osservare le persone che soffrono intensamente ci commuove e ci fa persino piangere. Sentendo in modo approssimativo ciò che un'altra persona vive può generare una motivazione altruistica, ma come detto sopra, questo tipo di emozione non è indispensabile o sufficiente (xi). In certi casi, sentire le emozioni di un'altra persona può inibire la nostra gentilezza. Se di fronte a una persona terrorizzata cominciamo a provare paura, è possibile che siamo più influenzati dalla nostra stessa ansia di quello che succede a quella persona (xii). Inoltre, affinché tale motivazione si verifichi, è sufficiente essere consapevoli della sofferenza dell'altro, senza che sia necessario soffrire allo stesso modo.
  • Il quarto modo è di proiettarsi intuitivamente nella situazione dell'altra persona. È l'esperienza a cui Théodor Lipps fa riferimento usando la parola Einfühlung. Tuttavia, per essere influenzati da ciò che accade a qualcun altro, non è necessario immaginare tutti i dettagli della loro esperienza, è sufficiente sapere che essi soffrono. Inoltre, corri il rischio di immaginare cosa provi l'altro.
  • Il quinto modo è quello di creare una rappresentazione molto chiara dei sentimenti dell'altra persona grazie a ciò che lei ci dice, ciò che osserviamo e la nostra conoscenza di quella persona, i suoi valori e aspirazioni. Tuttavia, il fatto di creare una rappresentazione dello stato interiore di un'altra persona non garantisce l'emergere di una motivazione altruistica (xiii). Una persona calcolatrice e maliziosa può usare la sua conoscenza della nostra esperienza interiore per manipolarci e farci del male.
  • Il sesto modo è immaginare quello che sentiremmo se fossimo nel posto dell'altra persona, con il nostro carattere, le nostre aspirazioni e la nostra visione del mondo. Se uno dei tuoi amici è un grande fan dell'opera o del rock and roll e tu non apprezzi quel tipo di musica, sarai in grado di immaginare di provare piacere e sentirti felice per lui, ma se fossi seduto in prima fila sentiresti irritazione. Per questo motivo, George Bernard Shaw afferma: "Non facciamo agli altri ciò che non vorremmo che loro facessero a noi, perché gli altri non hanno necessariamente gli stessi nostri gusti ".
  • La settima forma è la sofferenza attraverso l'empatia, che è ciò che senti quando sei testimone o hai evocato la sofferenza di un'altra persona. Questa forma di empatia può far ignorare la situazione invece di assumere un atteggiamento altruistico. In realtà, in questo caso, non si tratta di prendersi cura dell'altra persona, o di mettersi al loro posto, ma di un'ansia personale generata dall'altra persona (xiv). Tale sensazione di sofferenza non genera necessariamente una reazione di gentilezza o una risposta appropriata alla sofferenza dell'altro, specialmente se possiamo ridurre la nostra ansia rimuovendo la nostra attenzione dal dolore che prova la persona. Alcune persone non sono in grado di vedere le immagini in movimento. Preferiscono distogliere lo sguardo dalle immagini che li feriscono invece di vedere la realtà. Tuttavia, il fatto di fuggire fisicamente o psicologicamente non aiuta affatto le vittime, sarebbe meglio prendere coscienza dei fatti e agire per risolverli. Quando viviamo principalmente preoccupati di noi stessi, diventiamo vulnerabili a tutto ciò che può influenzarci. Essendo prigionieri di questo stato mentale, il nostro coraggio è influenzato dalla contemplazione egocentrica del dolore degli altri, che viene vissuto come un peso che aumenta solo la nostra sofferenza. Al contrario, nel caso della compassione, la contemplazione altruistica della sofferenza degli altri moltiplica il nostro coraggio, la nostra disponibilità e la nostra determinazione a trovare una soluzione a questa sofferenza. Se la risonanza con la sofferenza dell'altra persona ci causa sofferenza personale, dovremmo dirigere la nostra attenzione verso quella persona e riattivare la nostra capacità di esprimere gentilezza e amore altruistico.
  • L'ottava forma è la gentilezza empatica, che consiste nel divenire consapevoli dei bisogni degli altri e nel provare un sincero desiderio di aiutarli. Secondo Daniel Batson, la gentilezza empatica è l'unica risposta che è diretta verso gli altri e non verso noi stessi, che è necessaria e sufficiente per produrre una motivazione altruistica. Infatti, quando è presente la sofferenza di un'altra persona, è essenziale adottare un atteggiamento che gli dia conforto e decidere quale sia l'azione più appropriata per porre rimedio alla sua sofferenza. Il fatto che ci commuove o che sentiamo o meno le stesse emozioni che questa persona è secondaria.

Daniel Batson conclude che le prime sei forme di empatia possono contribuire individualmente alla creazione di una motivazione altruistica, ma nessuna di esse garantisce l'emergere di tale motivazione, al massimo costituiscono le loro condizioni indispensabili. La settima forma, cioè la sofferenza attraverso l'empatia, è chiaramente contro l'altruismo. Solo l'ultima forma, vale a dire la gentilezza empatica, è necessaria e sufficiente perché la motivazione altruistica nasca nel nostro spirito e ci stimoli all'azione.

Risonanze convergenti e divergenti.  L'empatia affettiva consiste, quindi, nel risuonare con i sentimenti dell'altra persona, sia di gioia che di sofferenza. Tuttavia, questo processo è distorto dalle nostre stesse emozioni e dai nostri pregiudizi che agiscono come filtri. Lo psicologo Paul Ekman distingue due tipi di risonanza affettiva. La prima è la risonanza convergente: soffro quando tu soffri, provo rabbia quando provi rabbia. Se, ad esempio, tua moglie torna a casa sconvolta perché il suo capo si è comportato in modo inappropriato verso di lei, ti senti indignato e le dici con rabbia: "Come osa trattarti così?"  Nella risonanza divergente, invece di provare la stessa emozione di tua moglie e arrabbiarsi, ripensi la situazione e rispondi: "Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare qualcuno così scortese. Cosa posso fare per te? "Vuoi una tazza di tè o preferisci che facciamo una passeggiata?" La sua reazione accompagna le emozioni della moglie ma sotto un diverso registro emotivo.

Parte 3 - Frasi sull’altruismo, sulla relazione tra altruismo e felicità.  Quasi tutte le frasi sono prese dal libro “Il gusto di essere felici” di Matthieu Ricard. Dalla Quarta di Copertina: «In un'epoca di sfide come la nostra, una delle maggiori difficoltà sta nel riuscire a conciliare gli imperativi di economia, ricerca della felicità e rispetto dell'ambiente. Imperativi che corrispondono rispettivamente al breve, medio e lungo periodo e cui si sovrappongono tre diversi tipi di interessi: i nostri, quelli di chi ci è vicino e quelli di tutti gli esseri viventi.»

Nel mondo che celebra la competizione, Ricard ci propone la sua lettura dell'altruismo: non virtù individuale bensì come comportamento utile alla nostra vita e a quella di tutta la società. Un'opera che racchiude anni di riflessioni e di ricerche e utilizza filosofia, psicologia, neuroscienze, economia, ecologia per lanciare un messaggio verso un impegno altruistico che aiuti a risolvere i problemi attuali e il loro impatto sul nostro pianeta.  Ecco alcune frasi prese dal testo:

  • Affinché la gioia sopravviva e maturi serenamente, occorre che sia associata ad altre componenti della felicità come la bontà.
  • Le persone più felici sono anche più altruiste.
  • L’Altruismo è un termine inventato da Auguste Comte nel 1830 in opposizione ad egoismo,
  • Cercare la felicità mantenendosi indifferenti alla sofferenza degli altri è un tragico errore.
  • E’ essenziale comprendere che realizzando la felicità degli altri si ottiene la propria.
  • Quando si prova benevolenza, la mente tutta intera finisce per essere impregnata in questo sentimento, la disponibilità verso gli altri sarà rafforzata e sarete capaci di accogliere le sofferenze degli altri in maniera costruttiva, questo non è il caso dell’empatia, che può portare la persona che la prova a una forma di angoscia.
  • È possibile definire l'amore altruistico come "il desiderio che tutti gli esseri trovino la felicità e le cause della felicità".
  • Questo desiderio altruistico è accompagnato da una disponibilità costante per gli altri e dalla determinazione di fare tutto ciò che è in nostro potere per aiutare ciascuna persona ad ottenere la loro autentica felicità.
  • La compassione è la forma che l'amore altruistico assume di fronte alla sofferenza degli altri. Il buddhismo lo definisce come "il desiderio che tutti gli esseri siano liberi dalla sofferenza e dalle sue cause". Questa aspirazione deve essere accompagnata dall'applicazione di tutti i mezzi possibili per porre rimedio a tali tormenti.
  • L'empatia è la capacità di entrare in risonanza affettiva con i sentimenti degli altri e di prendere cognizione della loro situazione cognitivamente. L'empatia ci avvisa soprattutto della natura e dell'intensità della sofferenza che altri sperimentano. È possibile affermare che ciò catalizza la trasformazione dell'amore altruistico in compassione.
  •  L'altruismo salverà l'umanità anche dal punto di vista economico.

E adesso, per fare in modo che le cose cambino in fretta, bisogna osare l'altruismo.

  • Osare dire che il vero altruismo esiste, che può essere coltivato da ciascuno di noi.
  • Osare anche insegnarlo nelle scuole come strumento per realizzare il nostro innato potenziale di benevolenza.
  • Osare affermare che l'economia non può accontentarsi della voce della ragione e dello stretto interesse personale.
  • Osare prendere seriamente in considerazione il futuro delle generazioni a venire.
  • Osare, infine, proclamare che l'altruismo non è un lusso ma una necessità.

L'amore altruistico deve cercare lucidamente, il modo migliore per procurare il bene agli altri. Questa estensione contiene due aspetti principali. Da un lato, vengono identificati i bisogni di un numero maggiore di esseri, in particolare quelli che sono considerati stranieri o nemici. D'altra parte, il valore è dato a un insieme molto più ampio di esseri senzienti, che supera la cerchia dei nostri parenti, del nostro gruppo sociale, etnico, religioso e nazionale, che si estende anche al di là della specie umana.

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