venerdì 5 novembre 2021

Il processo evolutivo dalla Vita alla Via - Gurdjieff

Georges Ivanovič Gurdjieff (1866-1949) è stato un filosofo, scrittore, un sufi, un mistico e "maestro di danze" armeno.  Di origini greco-armene, visse a lungo in Turchia e in Francia.

Il Sufismo è un movimento religioso di carattere mistico e ascetico nato nel mondo islamico a partire dall'XI secolo, in prevalenza fra i sunniti – benché comprenda anche confraternite e membri sciiti.

Secondo Gurdjieff la Pratica psicosintetica viene definita “la scala dalla vita alla via”. L’uomo è in balia di forze esterne, sottoposto ad influenze (la vita) che tendono a soffocare gli influssi che provengono dalla sorgente dell’Essere. Il primo gradino della scala è trovare un maestro, quando l’allievo è pronto il maestro arriva. Non è possibile l’ingresso nella via senza un maestro, chiunque è in grado di stimolare l’apprendimento ad un determinato stadio, può essere un maestro o una guida. Questa guida può collocarsi ad uno stadio di coscienza più o meno elevato che corrisponda al livello dell’allievo. Più il maestro è grande, più è difficile seguirlo, e l’allievo troverebbe delle difficoltà insormontabili. Il maestro è indispensabile all’allievo, tanto l’allievo è indispensabile al maestro, il maestro non può progredire senza l’allievo. Senza sintonia tra maestro e allievo l’insegnamento diventa routine ed è male per entrambi. Una volta che ti sei immesso sulla via non puoi più ricadere nella vita ordinaria. Il cercatore sulla via rischia ad ogni passo di perdere l’equilibrio, tra un gradino e l’altro esistono delle barriere che costituiscono punti di non ritorno. 

Come riconoscere il proprio maestro? Se di fronte a lui alterni momenti in cui ti senti disorientato e infastidito ed altri in cui ti senti profondamente appagato è il maestro giusto. Se non provi nulla di tutto ciò, cerca qualcos’altro. Può anche darsi che tu non stia cercando alcun maestro, ma semplicemente un luogo di aggregazione, dove farsi sentire riconosciuto ed accettato. Le persone spesso dimenticano che sono lì per imparare, anzi ci sono una moltitudine di allievi arroganti che pretendono di stabilire il metodo, la frequenza delle lezioni e i sistemi di valutazione.    I veri maestri spirituali non vogliono attrarre persone con le quali sanno che perderebbero solo tempo.   L’allievo deve essere sincero e obbediente, ascoltare con rispetto e attenzione. Il maestro va testato, provocato seriamente, ma una volta fatto questo bisogna lasciarsi andare, non si può rimanere sempre sulla soglia. Se sei in grado di gestirti autonomamente non hai bisogno del maestro, ma sei in grado di farlo? 

Il lavoro in un gruppo è importante per mettere alla prova il nostro ego ed intraprendere uno studio di sé, ed in questo caso i membri del gruppo operano da specchio. Libri, conferenze, seminari servono a preparare il terreno, se gli individui che si definiscono alla “ricerca” non portano avanti questo impegno preliminare non hanno molte possibilità di fare un reale avanzamento. Il gruppo costituisce un’esperienza umana correttiva di eventuali blocchi o traumi psichici e ti fa sentir parte di una unità più vasta. Mentre nei rapporti esclusivi o a due è più difficile mettersi in gioco e in queste dinamiche prevale il narcisismo o l'appoggiarsi all'altro.  E' molto importante, quando si è sul cammino della ricerca conoscersi perchè  a volte, svolgere azioni altruistiche soddisfa gratificazioni puramente egoiche, e si tratta di auto-inganno e ipocrisia.

Spesso per metterci in cammino è necessaria una certa dose di delusione. Spesso si è spinti dal bisogno di considerazione.  La considerazione interiore è una vera e propria schiavitù che nasce dall’estrema importanza che dai all’opinione e al giudizio degli altri. In questo modo l’uomo diventa vulnerabile. Bisogna anche rinunciare al desiderio di conquistarsi un merito nel percorso, perché questo, non fa altro che rendere l’ego ancora più rigido e superbo.

La conoscenza di sé non è qualcosa che si può acquisire attraverso un libro o delle teorie ma nasce dall’esperienza reale dei molti io che tiranneggiano la personalità, è il lucidare lo specchio. Non puoi capire se non hai fatto esperienza. Anche se si fa esperienza non necessariamente si comprende. Chi è allora che diventa illuminato? L’illuminato è colui che fa bene il proprio dovere, rendendosi conto che c’è qualcos’altro oltre l'esperienza ordinaria. L’impegno e la disciplina sono fondamentali nel percorso spirituale, nel Lavoro. La vera disciplina si manifesta in un comportamento che esprime autocontrollo e disciplina interiore. Un obiettivo del percorso spirituale e il raggiungimento di un fondamentale equilibrio secondo le leggi naturali dell’esistenza.

Molte scuole, cosiddette spirituali, sono nate dalla new age, sfruttando l’inquietudine esistenziale dell’uomo contemporaneo per fare soldi, promettono risultati strabilianti senza il minimo sforzo, basta che lasciarsi andare e scoprire la natura divina oppure eliminando i blocchi energetici e ritrovando la spontaneità del vivere. Senza un duro impegno non c'é realizzazione, né spontaneità, né libertà spirituale. La volontà è il segno di un essere che ha un livello di esistenza elevatissimo rispetto all’essere di un uomo ordinario. I rischi in cui incorre una persona elevata spiritualmente, una volta raggiunti determinati obiettivi, è che sviluppi un ego spirituale, un disprezzo, aperto o velato nei confronti dell’uomo ordinario. La disciplina si dice nel Buddhismo è come una zattera che ti permette di attraversare il fiume, una volta raggiunta l’altra sponda la devi abbandonare. Se la tua personalità si è sufficientemente armonizzata, la disciplina non serve più, sei diventato la disciplina.

La disciplina rappresenta uno stadio del Lavoro su di sè, del percorso, che, se non viene al momento opportuno abbandonato, ci invischia in un pantano in cui non c’è movimento, né gioia, né realizzazione. La dieta alimentare, gli esercizi fisici, lo studio accurato, la pratica meditativa si prestano inevitabilmente a costituire una narcisistica autoesaltazione della volontà, cioè dell’ego.

Il maestro spirituale trasmette al discepolo la baraka (il potere spirituale) che lui stesso ha ricevuto dal maestro. Il modo migliore per allenare la volontà è l’attività corporea. Nel lavoro fisico il movimento, la postura, l’espressione emozionale, la percezione del corpo sono uniti in uno sforzo di attenzione e consapevolezza. L'attività corporea è la scuola elementare della volontà, serve come modello per la mente. Il cambiamento nell’atteggiamento psichico porta con sé un cambiamento nel corpo e viceversa i risultati raggiunti con il corpo influenzano il sentimento e la psiche.

Anche l'alimentazione gioca una importanza fondamentale e costituisce un lavoro di consapevolezza di sé. La preparazione del pasto deve essere paragonata ad un'attività sacra. Si deve cucinare con le energie giuste, masticare bene il cibo e respirare profondamente durante la masticazione. Il secondo tipo di nutrimento è la respirazione corretta che genera un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti e agli organi. Il terzo tipo di nutrimento sono le impressioni che riceviamo attraverso film, letture, musica, ecc. Questo è il nutrimento più sottile, quello che determina maggiormente il livello d’Essere di un individuo.

Nella fase iniziale il sistema che funziona, poi questo sistema diventa il sistema e viene identificato con la conoscenza, nella fase finale spesso si perde di vista a cosa mirava il sistema e l’obiettivo diventa la perpetuazione del sistema, e non il raggiungimento della conoscenza e della verità.

Il processo evolutivo dalla Vita alla Via consiste nell’acquisizione della disciplina necessaria e un graduale processo di rinuncia alle nostre identificazioni. Meno si è identificati ma non disinteressati, intorno a qualcosa, più si riesce ad imparare dalla situazione. Non bisogna confondere il piano mentale dal piano intellettuale, essere esperti, eruditi, raffinati nelle argomentazioni non significa nulla sul piano spirituale. È necessaria una certa polarizzazione mentale,  espressione per indicare il superamento di un certo livello emotivo e l’acquisizione di un certo distacco psichico. Un altro aspetto importante dell’imparare ad imparare è che il ricercatore deve rinunciare alla propria libertà. L’uomo teme di perdere una parte essenziale di se stesso se rinuncia alle sue opinioni, alle sue scelte, alle sue abitudini, e così via; finché non comprende che in tutto questo di suo c’è ben poco. Senza sacrificio nulla può essere raggiunto, anche se si deve sacrificare solo ciò che immaginiamo di avere e che non possediamo affatto.

Spesso ci mettiamo in relazioni che riflettono sempre gli stessi schemi, relazioni che prima ti entusiasmano, poi conflittuali e sofferte, e spesso si concludono con una rottura. Perché ci riproponiamo lo stesso copione? Che cosa è che ci spinge ad evitare legami intimi, anche se ci sentiamo soli? Non è forse la paura di mettersi in gioco in modo più nuovo e creativo, ed evitare vecchie e nuove ferite? Sembra strano ma è la sofferenza a tenere legato l’uomo ai suoi vecchi schemi di pensiero, agli atteggiamenti autodistruttivi, alla sua incapacità di imparare e amare. Rinunciare alla sofferenza è un impegno ineludibile lungo la Via, più che la rinuncia al desiderio. Il desiderio fa parte della natura umana, la quale reclama giustamente i sui diritti. Basta semplicemente non identificarsi con i bisogni inferiori. I desideri sul piano spirituale non scompaiono, ma non sono più invasivi, non sono più “bisogni”. Anche il ricercatore avanzato prova desideri, come quello di ammirare un tramonto, di gustare un cibo, di fare l’amore, di meditare, ecc.  Questi desideri vengono e vanno, ma la sua vita non è imprigionata da questi desideri. Non facciamo l’errore ascetico secondo il quale i desideri sono sbagliati! Fanno parte della nostra natura umana, perché negarli? Bisogna solo evitare desideri deviati, ossessivi e malsani … che ci fanno perdere la lucidità necessaria.

Il ricercatore deve non essere schiavo della mentalità ordinaria, pur essendo nel mondo. Significa che deve essere nel mondo e non rinunciare ad esso, ad esempio deve cercare di eccellere nel proprio lavoro, di essere un buon padre, ecc.  La spiritualità non deve essere confusa con un’ascesi alla mortificazione. Non c’è nessun bisogno di rinunciare alla carne, alla lettura, ai normali impegni sociali, praticare il celibato. Oggi purtroppo il campo della spiritualità è contaminato da occultisti umili e pronti alla sottomissione, da nevrotici e persone che sentono di dover rinnegare il proprio sviluppo intellettuale, emotivo ed affettivo.

L’apice del percorso spirituale consiste nell’impegno concreto e costruttivo nel mondo attraverso una coscienza rinnovata e tale impegno consente il definitivo ingresso dell’uomo nella Via. Operare nel mondo, assistendo e sostenendo gli altri, dedicarsi allo sviluppo degli altri come un moderno Boddhisattva.

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