venerdì 11 febbraio 2022

Riflessioni sull'io - Juddu Krishnamurti

Non so se vi siete mai sentiti isolati, sentite improvvisamente di non avere rapporti con nessuno e di essere completamente separati. Ogni forma di pensiero o emozione è bloccata. Non c'e' nessuno a cui rivolgersi; gli dei, gli angeli se ne sono andati oltre le nuvole e, scomparendo le nuvole, sono scomparsi anch'essi. Siete completamente isolati..
Non uso la parola 'soli', perché solo ha un significato diverso, ha una sua bellezza. Essere soli indica qualcosa di completamente diverso. E dovete essere soli. 
Quando una persona si libera dalla struttura sociale dell'avidità, dell'invidia, dell'ambizione, dell'arroganza, dell'ottenimento e dello status, quando si libera da tutto ciò, allora e' completamente sola. Questo è totalmente diverso. Allora c'e' una grande bellezza, il senso di una grande energia.
Ma l'isolamento non e' questo. Isolamento e' appunto il senso di essere isolati da tutto. Non so se l'avete provato. Più siete svegli, più indagate, osservate, chiedete e domandate, più ne diventate consapevoli: nel profondo della vostra coscienza, a tutti i livelli, vi sentite completamente tagliati fuori. Ed è una delle più grandi sofferenze: non essere capaci di andare oltre e rimanere intrappolati in questa terribile sensazione di isolamento, con la sua immensa energia.
Possiamo essere terribilmente intelligenti e scrivere dei libri su questo senso di isolamento, oppure fuggire, correre a divertirci e non entrare mai in contatto con questa sensazione. Perciò rimane lì, nascosta; rimane in attesa come una ferita purulenta. Bisogna entrare in contatto con essa, non verbalmente, ma nella realtà.
Questo isolamento e' una forma di morte. C'e' morte non solo quando la vita giunge al termine, ma quando non c'e' risposta, non c'e' via d'uscita. 
Anche questa e' una forma di morte: essere nella prigione della vostra infinita attività incentrata sull'io, essere imprigionati nei vostri pensieri, nel vostro strazio, nelle vostre superstizioni, nella vostra mortale routine quotidiana. 
E continueremo a farlo per altri cinquant'anni o più. Le stesse brutali attività incentrate sull'io: ambizione, competizione, ricerca di status, posizione, potere, avidità e invidia.
Credo che quasi tutti noi ne siamo consapevoli di tanto in tanto, forse molto raramente, perché siamo così tremendamente attivi, che la mente e' vuota. Essendone consapevoli, abbiamo paura di quel vuoto. Non abbiamo mai esaminato questo stato di vuoto, non vi siamo mai entrati in profondità. 
Ne abbiamo paura e lo rifuggiamo. Gli abbiamo dato un nome, lo definiamo 'vuoto' , 'terribile', 'doloroso', e questa stessa denominazione ha creato una reazione nella mente, una paura, una fuga.
Può la mente smettere di fuggire e non dare un nome, non assegnare significati verbali come 'vuoto', legati a ricordi di piacere e dolore? 
Possiamo guardarlo, può la mente essere consapevole di questo vuoto senza fuggire, senza giudicarlo, ma semplicemente rimanendo con esso? Perché allora e' la mente. Non c'e' un osservatore che guarda, non c'e' un censore che condanna, c'e' solo quello stato di vacuità, che conosciamo benissimo ma cerchiamo continuamente di evitare.
Quando tutte le eccitazioni, le illusioni, le paure e le fughe finiscono, e voi non date più un nome e quindi non condannate, l'osservatore e' diverso dalla cosa osservata? 
Dando un nome condannando, la mente ha creato un censore, un osservatore esterno a se stessa. Ma quando la mente non da' un nome, una definizione, non condanna e non giudica, non c'e' osservatore; c'e' solo lo stato di quella cosa che abbiamo chiamato 'vuoto'.
Mi chiedo se siamo consapevoli di dipendere psicologicamente dagli altri. Non che dipendere dagli altri sia necessario, giustificato o sbagliato, ma in primo luogo siamo consapevoli di essere dipendenti? Molti di noi sono psicologicamente dipendenti, non solo dalle persone ma dalle proprietà, dalle opinioni, dai dogmi.  
Siamo consci di questo fatto? Se sappiamo di dipendere da qualcosa per la nostra felicità psicologica, per la nostra stabilità interiore, per la nostra sicurezza, possiamo chiederci perché.
Perché dipendiamo psicologicamente da qualcosa? Ovviamente, perché dentro di noi siamo manchevoli, poveri, vuoti. Dentro di noi siamo straordinariamente isolati ed e' questo isolamento, questo vuoto, questa estrema povertà e chiusura interiore che ci rende dipendenti da una persona, dalla conoscenza, dai possessi, dalle opinioni e da tutte le cose che riteniamo indispensabili.
Può la mente essere pienamente consapevole del fatto di essere isolata, manchevole, vuota? 
E' molto difficile essere consapevoli, essere pienamente consci di questo fatto, perché lo fuggiamo continuamente.
Per conoscere il vostro vuoto dovete guardarlo, ma non potete farlo se la vostra mente cerca continuamente distrazioni al fatto di essere vuota. 
E queste distrazioni assumono la forma dell'attaccamento a una persona, all'idea di Dio, a un dogma o una credenza specifica, e così via.
 
Può la mente smettere di fuggire, di scappare, senza limitarsi a chiedere come fare per smettere di fuggire? Infatti, la stessa domanda 'come fa la mente a smettere di fuggire?' diventa un'altra fuga. 
Se so che una certa strada non porta da nessuna parte, non la imbocco; non ho bisogno di chiedere come si fa a non imboccarla. Allo stesso modo, se so che nessuna fuga, nessuna evasione potrà mai risolvere questo isolamento, questo vuoto interiore, smetto di fuggire, smetto di cercare distrazioni. Allora la mente può guardare il fatto del suo isolamento senza paura. E nel processo di fuggire che la paura si manifesta.
Quando la mente comprende la futilità, l'assoluta inutilità di tentare di riempire il proprio vuoto attraverso la dipendenza, la conoscenza e le idee, allora può guardare senza paura. E può la mente continuare a guardare quel vuoto senza nessun giudizio? 
Quando la mente e' pienamente consapevole che sta fuggendo, scappando da se stessa; quando comprende l'inutilità di fuggire e vede che lo stesso processo del fuggire crea la paura; quando vede la verità di tutto ciò, allora può vedere 𝘤𝘪𝘰' 𝘤𝘩𝘦 𝘦'.
 
Che cosa intendo con vedere 𝘤𝘪𝘰' 𝘤𝘩𝘦 𝘦'? 
Intendo starvi davanti, guardarlo giudicandolo, interpretandolo o formando opinioni? 
Opinioni, giudizi e interpretazioni impediscono soltanto alla mente di guardare il fatto. Se volete comprendere il fatto, non serve farsi delle opinioni su di esso. Possiamo quindi guardare, senza nessun giudizio, il fatto del nostro vuoto, del nostro isolamento psicologico, che crea così tanti problemi?
Penso che la difficoltà stia nell'incapacità di guardare noi stessi senza giudizio, senza condanna, senza fare paragoni, perché ci e' stato insegnato a paragonare, giudicare, valutare e a formarci opinioni. Solo quando la mente vede l'inutilità, l'assurdità di tutto questo, e' in grado di guardare se stessa. 
Allora, ciò che temevamo fosse vuoto, isolato, non e' più vuoto. 
Allora non c'e' più dipendenza psicologica da niente; 
Allora l'amore non e' più attaccamento ma qualcosa di completamente diverso e il rapporto assume un altro significato.
Se siamo capaci di guardare questo isolamento senza condanna o giudizio; 
vedere, comprendere, ascoltare l'intero contenuto del 'me', di questo isolamento; 
solo allora e' possibile avere una forza che non e' del 'me'. 
Solo allora e' possibile creare un mondo diverso o una cultura diversa.

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