sabato 28 gennaio 2023

Differenze tra il buddhismo Mahayana, Hinayana, Theravada, Vajrayana

Uno dei concetti fondamentali del Buddhismo è quello di metta, uno stato di benevolenza e compassione universale verso ogni essere vivente, da mettere in pratica nella vita di ogni giorno, che andrebbe condotta in armonia con l’intero creato.
La pratica in sé stessa, invece, si fonda sull’ottuplice sentiero – il cui obiettivo è un comportamento eticamente corretto in diverse aree della propria vita – presupposto per concentrare la mente e , attraverso la meditazione, raggiungere una nuova visione della realtà ispirata al non attaccamento, alla benevolenza e alla saggezza. .

I termini Hinayana (veicolo minore, veicolo modesto) e Mahayana (veicolo superiore, grande veicolo) apparvero per la prima volta nei Sutra della Prajnaparamita (Sutra della consapevolezza discriminante di vasta portata, Sutra della perfezione della saggezza) approssimativamente nel I-II secolo d.C. Questi sutra erano tra i primi testi del Mahayana e usavano i due termini per sostenere che lo scopo e la profondità dei loro insegnamenti superavano di gran lunga quelli delle precedenti scuole buddhiste.  Dato che alcune delle scuole Hinayana apparvero dopo il Mahayana, non possiamo chiamare l'Hinayana “primo Buddhismo” o “Buddhismo originale” né il Mahayana “tardo Buddhismo.”
Il buddhismo Theravada è l’unica delle antiche scuole buddhiste ad essere sopravvissuta fino ai nostri giorni e il cui canone – l’antico canone pali – ci sia giunto completo. Fino a non molto tempo fa questa scuola era nota in Occidente con il nome più generico di Hinayana – composto di hina  “piccolo”  e yana  “veicolo” – terminologia che designava nel suo insieme ben 18 scuole o correnti differenti. Una du queste, la Dharmaguptaka si diffuse nell'Asia centrale e in Cina dove appaiono anche ordini monastici. Poiché la scuola Theravada si diffuse in Ceylon, Birmania, Thailandia e Cambogia, talvolta è detta anche Scuola Meridionale (anche se come abbiamo visto non è propriamente corretto) , per distinguerla dalla Scuola Settentrionale – o Mahayana o “grande Veicolo”, che si sviluppò in India nei primi secoli dell’era cristiana e fu un grande movimento di monaci e laici, oggi molto diffuso in Cina, Giappone, Corea, Tibet e Mongolia, Nepal, Bhutan (in Indonesia non è più presente). Quindi anche chiamare l'Hinayana “Buddhismo meridionale” e il Mahayana “Buddhismo settentrionale” è inadeguato.


 
Diffusione del Buddhismo Mahayaha e Theravada – da appliedbuddhism.com

Il Theravada è la scuola più vicina al buddhismo originario, pur non identificandosi completamente con esso. Il nome Theravada, più rispettoso e preciso del termine Hinayana, infatti si compone di due parti: thera – “anziani” – e vada – “dottrina”- , da cui  “dottrina degli anziani”.
Nel Theravada l’obiettivo della pratica, rigorosamente monastica, è il raggiungimento della condizione di Arhat secondo gli insegnamenti del Buddha. Un discepolo ha lo scopo di divenire un arhat, cioè colui che ha raggiunto il Nirvana e non rinascerà mai più. Questo stadio, richiede un’esistenza assolutamente rigorosa e di rinuncia del mondo.  Per il Theravada, come per tutte le scuole del buddhismo antico, la morte del Buddha è reale e segna il suo definitivo distacco da questo mondo. Attraverso la morte si raggiunge infatti il Nirvana, l’estinzione della sofferenza, e si sfugge al Samsara, il ciclo delle morti e delle rinascite.
Comunque entrambe le scuole, sia quella Hinayana che quella Mahayana, delineano i sentieri per i praticanti di come raggiungere lo stato purificato di un arhat  o essere liberato ( hinayana)   e  di un bodhisattva, (mahayana) cioè colui che ritarda l’entrata nel Nirvana per aiutare altri nella via della salvezza. Il Mahayana comprende molte e differenti tradizioni che divergono anche sulle specifiche modalità con cui si possa raggiungere questo obiettivo.
Nell’ambito del Mahayana furono composti molti testi che, benché scritti molti secoli dopo la vita terrena del Buddha,  e sono considerati «sutra», cioè discorsi del Buddha stesso. Ad esempio il Sutra del Loto, il corpus chiamato Prajnaparamita o della Perfezione della Saggezza,  ecc.
Per molti secoli le tradizioni Mahayana e Hinayana coesistettero nei vari paesi e talora negli stessi monasteri. Intorno al VII secolo d.C., all’interno del buddismo indiano, si sviluppò la proposta di un terzo «veicolo», il Vajrayana, la via della folgore adamantina o del diamante, che si diffuse in Cina, in Giappone e soprattutto in Tibet e Bhutan, Mongolia. Il Vajrayana ritenne che vi fosse la possibilità di conseguire l’illuminazione qui e ora, in questo corpo e in questa vita e creò una forma di culto più orientata all’esoterismo e molto influenzata dal Tantra, che significa «telaio o trama» e indica varie dottrine e i loro testi di riferimento, di origine indiana.

 L’Hinayana comprende diciotto scuole. Le più importanti sono il Sarvastivada e il Theravada.  Il Sarvastivada era diffuso nell’India settentrionale quando i tibetani iniziarono a viaggiare in quelle aree e il Buddhismo cominciò ad essere trapiantato in Tibet.

C’erano due principali divisioni del Sarvastivada, in base alle loro differenze filosofiche: Vaibhashika e Sautrantika. I sistemi studiati nelle università monastiche indiane come Nalanda e, successivamente, dai mahayanisti tibetani, discendono da queste due scuole. Il lignaggio dei voti monastici seguito in Tibet proviene da un’altra suddivisione del Sarvastivada: il Mulasarvastivada.
C’è una differenza piuttosto significativa tra le presentazioni Hinayana e Mahayana degli arhat e dei bodhisattva. Entrambe concordano sul fatto che gli arhat, o esseri liberati, sono più limitati di quanto lo siano i bodhisattva, o esseri illuminati. Il Mahayana formula questa differenza in termini di due insiemi di oscurazioni: quelle emotive, che impediscono la liberazione, e quelle cognitive, che impediscono l’onniscienza. Gli arhat sono liberi solo dal primo insieme, mentre i bodhisattva sono liberi da entrambi. Questa divisione non si trova nell’Hinayana: è una formulazione puramente Mahayana.

Per ottenere la liberazione o l’illuminazione, l’Hinayana e il Mahayana affermano che è necessaria la cognizione non concettuale della mancanza di un’impossibile “anima”. Tale mancanza è spesso chiamata “mancanza di sé”: anatma in sanscrito – e anatta in pali.
Le scuole Hinayana affermano che la mancanza di un’impossibile “anima” fa soltanto riferimento alle persone, e non a tutti i fenomeni.
Il Mahayana afferma la mancanza di un’impossibile “anima” fa riferimento a tutti i fenomeni, oltre che alle persone. Tale mancanza è chiamata “vacuità”.  All’interno del Mahayana, il Madhyamaka Prasangika afferma che anche gli arhat possiedono tale comprensione. Questo aspetto della vacuità  nelle quattro tradizioni tibetane è spiegato in modi diversi. Alcune affermano che le due vacuità sono uguali altre dichiarano che l’ambito dei fenomeni cui si applica la vacuità dei fenomeni è più limitato per gli arhat di quanto lo sia per i Buddha.  
Inoltre, i bodhisattva si adoperano per diventare insegnanti buddhisti universali; gli shravaka non lo fanno – sebbene ovviamente, in quanto arhat, insegnino ai discepoli. Secondo la scuola Theravada, tuttavia, i  bodhisattva superano gli arhat nell’avere maggiore abilità nei metodi per condurre gli altri alla liberazione, e nell’ampiezza della conduzione dell’attività di insegnamento. Secondo la scuola Vaibhashika i Buddha sono totalmente onniscienti del passato, presente e futuro. Inoltre nella visione del Mahayana, tutto è interconnesso e interdipendente.
L’Hinayana sostiene che il Buddha storico abbia raggiunto l’illuminazione durante la sua vita e che, come un arhat, il suo continuum mentale sia terminato con la morte.  Il  Mahayana sostiene che il Buddha storico abbia ottenuto l'illuminazione in una vita precedente, grazie allo studio con insegnanti buddhisti. Sotto l’albero della bodhi avrebbe dunque semplicemente dato una dimostrazione dell’illuminazione.
Per quanto riguarda i Buddha, un’altra importante differenza è la seguente: soltanto il Mahayana afferma l’esistenza dei tre corpi, di un Buddha mentre l’Hinayana non la sostiene. IAll'interno del buddhismo Mahayana e in particolar modo quello esoterico (Vajrayana), si dice che i Buddha abbiano tre corpi (kaya): il Dharmakaya (Corpo di Verità), il Sambhogakaya (Corpo di Fruizione) e il Nirmanakaya (Corpo di Emanazione).
- Dharmakaya: Esso è la natura stessa dei fenomeni, ossia la loro mancanza di esistenza intrinseca, indipendente, assoluta ecc... viene generalmente rappresentato come la totalità dello spazio o come Buddha Vajradhara di colore blu ed ha un duplice aspetto:
- Il "Corpo di Essenza" (Svabhavikakaya), che rappresenta sia la mancanza di esistenza intrinseca nel flusso mentale di un Buddha (e dal momento che anche la nostra mente manca di esistenza intrinseca e può quindi cambiare e trasformarsi nella mente di un Buddha, possediamo anche noi questo aspetto  ed è ciò che ci permette di diventare appunto dei Buddha), sia l'assenza di oscurazioni nel flusso mentale di un Buddha (questa non è già presente in noi, ma si sviluppa solo quando si diventa dei Buddha e si eliminano le oscurazioni dalla mente).
- Il "Corpo di Gnosi" (Jnanakaya), che è il flusso mentale onnisciente del Buddha (dove per "onniscienza" si intende la capacità di percepire simultaneamente i fenomeni e la loro vacuità di esistenza intrinseca in un unico atto mentale).
L’Hinayana e il Mahayana affermano che gli stadi del progresso verso lo stato purificato, o “bodhi”, di un arhat o di un Buddha comportano lo sviluppo di cinque livelli di mente-sentiero – i cosiddetti “cinque sentieri”. Essi sono i seguenti:1- una mente-sentiero che accumula, o sentiero dell’accumulazione; 2- una mente-sentiero che si applica, o sentiero della preparazione; 3- una mente-sentiero che vede, o sentiero della visione; 4- una mente-sentiero che si abitua, o sentiero della meditazione; 5- un sentiero che non richiede ulteriore addestramento, o sentiero del non-più-apprendimento. Quando gli shravaka e i bodhisattva raggiungono una mente-sentiero che vede, entrambi diventano degli arya, ossia esseri altamente realizzati. Entrambi hanno una cognizione non concettuale dei sedici aspetti delle quattro nobili verità.

L’Hinayana non fornisce una spiegazione esauriente delle menti-sentiero del bodhisattva. Il Mahayana, tuttavia, spiega che il percorso di un arya bodhisattva verso l’illuminazione implica il progresso attraverso lo sviluppo di dieci livelli di mente-bhumi, ed essi non appartengono al sentiero degli shravaka.
L’Hinayana e il Mahayana concordano sul fatto che il sentiero del bodhisattva verso l’illuminazione richieda più tempo, per essere percorso, rispetto a quello dello shravaka verso lo stato di arhat.  Soltanto il Mahayana, tuttavia, parla dell’accumulazione di meriti per arrivare all’illuminazione - per tre immensi eoni.  Gli shravaka, invece, possono raggiungere lo stato di arhat solo in tre vite. Nella prima, uno shravaka diventa colui che è entrato nella corrente; nella seconda vita, diventa colui che torna una volta; nella terza vita, diventa colui che non ritorna, raggiunge la liberazione, e diventa un arhat.  
Gli arhat, tuttavia, hanno la possibilità di aiutare gli altri in misura più limitata di quanto possano fare i bodhisattva. Entrambi, in ogni caso, possono aiutare soltanto chi ha il karma adeguato e è predisposto a ricevere il loro aiuto.
Il Mahayana afferma che in questo “eone fortunato” esistono mille Buddha che daranno inizio alle religioni universali, e sostiene che in altre epoche del mondo ci sono stati, e ci saranno, molti altri Buddha. Il Mahayana afferma anche che tutti possono diventare dei Buddha, perché tutti possiedono i fattori della natura di Buddha che permettono tale conseguimento. L’Hinayana non affronta il tema della natura di Buddha, comunque il Theravada afferma che ci saranno innumerevoli Buddha anche in futuro – incluso Maitreya, che sarà il prossimo – e che chiunque può diventare un Buddha, se pratica i dieci atteggiamenti lungimiranti.

l Mahayana afferma che i dieci atteggiamenti lungimiranti sono praticati solo dai bodhisattva, e non dagli shravaka; mentre  secondo il Theravada, sia i bodhisattva che gli shravaka praticano i dieci atteggiamenti lungimiranti.  Anche l’elenco dei dieci atteggiamenti lungimiranti differisce leggermente tra il Theravada e il Mahayana. La lista Mahayana è la seguente:

•    Generosità   •    Autodisciplina etica
•    Pazienza
•    Perseveranza
•    Stabilità mentale (concentrazione)
•    Consapevolezza discriminante (saggezza)
•    Mezzi abili
•    Preghiera d’aspirazione
•    Rafforzamento
•    Profonda consapevolezza.

La lista Theravada omette i seguenti atteggiamenti: stabilità mentale, mezzi abili, preghiera d’aspirazione, rafforzamento e profonda consapevolezza. Aggiunge, al loro posto, i seguenti:
•    Rinuncia
•    Fedeltà alla propria parola
•    Risoluzione
•    Amore
•    Equanimità.

Sia l’Hinayana che il Mahayana insegnano la pratica dei quattro atteggiamenti incommensurabili di: amore, compassione, gioia ed equanimità. Entrambi i veicoli definiscono l’amore come il desiderio che gli altri possiedano la felicità e che siano liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza.  L’Hinayana inizia con il dirigere l’amore verso chi già amiamo, e quindi con l’estenderlo, a tappe, a uno spettro di altri esseri via via sempre più ampio.

Le definizioni di gioia incommensurabile ed equanimità sono diverse nell’Hinayana e nel Mahayana. Nell’Hinayana, la gioia incommensurabile si riferisce al rallegrarsi per la felicità degli altri, senza alcuna invidia e desiderando che essa aumenti. Nel Mahayana, la gioia incommensurabile è il desiderio che gli altri godano della gioia dell’illuminazione, che è senza fine.
L’equanimità è lo stato mentale che è privo di attaccamento, repulsione e indifferenza. Nel Theravada, l’equanimità è diretta verso il risultato del nostro amore, della nostra compassione e della nostra gioia. L’esito dei nostri tentativi di aiutare gli altri dipende in realtà dal loro karma e dai loro sforzi. Nel Mahayana, l’equanimità incommensurabile implica il desiderare che tutti gli altri siano liberi da attaccamento, repulsione e indifferenza, perché tali emozioni e atteggiamenti disturbanti li portano a soffrire.
Sebbene nessuna delle scuole Hinayana parli della vacuità di tutti i fenomeni, esse affermano che, per ottenere la liberazione, è importante comprendere non solo concettualmente i veri fenomeni più profondi. Qui la trattazione si avvicina a quella del Mahayana.  ----  Gli insegnamenti possono essere esposti in una grande varietà di forme, adattati ad ogni tipo di mente e ad ogni stadio di sviluppo spirituale. Secondo la dottrina Mahayana, l’Illuminazione può essere raggiunta da qualsiasi essere senziente, accessibile sia al personale monastico che ai laici.  I testi fondamentali (canoni) sono rimasti inaccessibili per lungo tempo a gran parte della popolazione. Tra i testi mahayanici più antichi troviamo i seguenti Sutra:

  •     Perfezione della Conoscenza
  •     Il Diamante
  •     Il Cuore
  •     Il Loto del Vero Dharma
  •     La Ghirlanda del Buddha

Per tale motivo il Buddhismo Vajrayana (Veicolo adamantino o del Diamante) è anche chiamato Tantrayana ("Veicolo dei Tantra").  Il Vajrayana condivide le premesse filosofiche del Mahayana; si sviluppò in India nel corso VI-VII secolo d.C. ed  è costituito dai Tantra, testi sacri caratterizzati da un mix d’insegnamenti indiani spirituali ed esoterici.  A differenza della scuola Mahayana, nella quale l’illuminazione poteva essere raggiunta esclusivamente grazie ad una vita di “perfezionamento continuo”, la dottrina Vajrayana utilizza anche tecniche tantriche  di purificazione a livello fisico ed energetico che consentirebbero il raggiungimento dell’illuminazione attraverso una via più rapida. Il Buddismo Vajrayana è particolarmente diffuso in Tibet, Mongolia, Bhutan e Giappone (Scuola di Shingon).  Il termine "Vajrayāna" nelle lingue estremo orientali indica gli insegnamenti "segreti" o esoterici e questo tipo di buddhismo è anche chiamato Mantrayāna ("Veicolo dei Mantra segreti").  Il termine sanscrito vajra (lett. diamante o folgore) indica l'infrangibilità, l'immutabilità e l'autenticità della Verità ultima. Corrisponde anche alla vacuità e quindi alla vera essenza di tutti gli esseri e dell'intera realtà. La trasparenza del diamante indica anche che la mente illuminata è "chiara", "limpida" e vuota (trasparente). Le tradizioni indiana e tibetana lo indicano come terzo veicolo, considerandolo come uno sviluppo del Mahāyāna.

-------  Dal sito   https://studybuddhism.com/it/studi-avanzati/abhidharma-e-i-sistemi-di-principi/confronti-tra-tradizioni-buddhiste/hinayana-e-mahayana-a-confronto

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