"Una volta trasceso il nostro sè, l'ignoranza e la penombra del nostro essere mentale cosciente vengono superate per entrare in un Sè di saggezza, nasciamo ad un nuovo stato d'animo, rivestiamo una nuova natura". Sri Aurobindo.
Il ricercatore arriva così al cuore dell'esperienza, il Supremo è in lui, intorno, e l'anima dimorante nel supremo, una con lui. E' questa l'esperienza fondamentale dell'essere mentale trasformato, sublimato e compiuto nella perfezione della gnosi. Nell'essere mentale l'intelligenza o senso morale è il principio che dirige. L'uomo è un essere mentale che non vive in un mondo mentale; egli vive soprattutto nell'esistenza fisica.E' una mente prigioniera nella Materia e da essa condizionata. Tutto cambia quando passiamo dalla mente alla gnosi, il cui principio centrale è una conoscenza inerente e diretta. Il primo passo per arrivare all'essere gnostico è quello di liberarsi dall'ego che limita e imprigiona (pag. 184). Dobbiamo sentirci uno con tutte le cose e gli esseri, e questa unità è la prima condizione per arrivare alla gnosi. Occorre che il Purusha esca dal corpo fisico e dal corpo mentale, elevandosi sino al corpo di Vijnanamaya. Ci immergiamo in una coscienza più vasta di quella dei nostri sensi fisici. Ciò che chiamiamo noi è divenuto la coscienza di un essere infinito che agisce sempre e universalmente, diventa impossibile pensare e percepire il finito fuori del senso fondamentale dell'infinito. Mediante questo doppio infinito arriviamo all'essere di Sat-chit-ananda, supremo Sè del nostro essere e totalità della nostra esistenza cosmica. In questo infinito ci eleviamo e ci dilatiamo, usciamo dall'ego e diventiamo per sempre l'immenso. "Lo stesso Dio, mediante la sua Prakriti, conosce, agisce, gode attraverso la mia individualità e i suoi simboli, e vi disvolge, al suo alto e divino livello, l'eterno gioco dell'infinito in questo universo che è eternamente Lui!.
L'essere mentale riceve e al più riflette il vero, il divino, l'eterno; l'anima gnostica si identifica con esso; si immedesima con lo spirito e il potere della suprema natura. Il dualismo Purusha Prakriti, dell'anima e della Natura spariscono come bi-unità nel mistero dinamico dell'Uno Supremo. Una volta che il Sè al di sopra della mente è raggiunto e tutti i sè inferiori sono tornati a Lui, c'è ancora un'ultima conquista: arrivare ad Ananda, suprema ed eterna beatitudine. Nell'Ananda il nostro spirito trova il suo vero sè, la sua coscienza essenziale, il possesso supremo del suo esserci al mondo. Quando l'anima raggiunge questa condizione, tocca l'infinita liberazione ed ultima perfezione. L'Ananda si può scoprire in tutti i piani, perchè è dappertutto il medesimo. Nell'Ananda, la conoscenza esce dal generato e ritorna alla pura coscienza di sè, la volontà si dissolve nella pura felicità dell'Infinito. L'esistenza gnostica si fonda sulla sostanza e sulla forma dell'Ananda. Nell'Ananda tutto si rovescia, tutto è, tutti siamo uno stesso essere, uno stesso e identico spirito. Si prova la gioia dell'identità assoluta in una innumerevole unità. Tuttoo è conoscenza beata dell'infinito, tutte le forme ed attività sono forme e attività della beatitudine dell'Infinito. L'anima unificandosi con la beatitudine dello Spirito trascendente e universale diventa lo Spirito stesso. Dato che l'amore è il potere e il simbolo beato dell'unità, l'essere supermentale si avvicinerà a questa unità accedendovi dalla porta dell'amore universale. Nella mente, nella vita e nel corpo il purusha è separato dalla Natura, è in conflitto con essa, mentre nella gnosi è invece con essa due in uno. Sulle altitudini della gnosi e dell'Ananda, non c'è più dualità tra Purusha e Prakriti, ma solo unità.
Dobbiamo cercare l'unità con Dio e con essa anche l'unità universale con il cosmo e con tutte le sue esistenze. Dobbiamo fare in modo che il nostro intero essere sia uno con Lui, pieno di Lui, fondersi con lui e ritrovarlo in tutte le relazioni. Mediante questa elevazione interiore possiamo trasformare tutta la nostra esistenza esteriore, avremo un vita, non dominata dalla materia ma dallo spirito. Esistono due tipi di conoscenze: quella inferiore che cerca di comprendere i fenomeni esteriori dell'esistenza, e quella che cerca di conoscere la verità dell'esistenza dall'interno per risalire alla sorgente. Sono due aspetti di una stessa ricerca. La scienza, l'arte, la filosofia, la storia sono mezzi per arrivare alla conoscenza delle opere di Dio nella Natura e nella vita. Ma anche la scienza, giunta ai suoi limiti, sarà obbligata a percepire nell'universo materiale l'infinito, l'universale, lo spirito, l'intelligenza e la volontà divina. La conoscenza inferiore è utile al sadhaka (il praticante) per cominciare a muovere i primi passi.
Lo yoga aiuta servendosi della conoscenza, delle emozioni e dell'azione al possesso del Divino. Lo yoga è ricerca cosciente e perfetta dell'unione col Divino (pag.205), tutto il resto è un'oscura ricerca su una via imperfetta. Lo yoga incomincia a separarsi dalle attività e dai metodi della conoscenza inferiore, ci richiama all'intimo e ci avvicina a Lui. Nello yoga il metodo di conoscenza consiste nel volgere lo sguardo verso l'interno e, penetrare le apparenze per raggiungere l'eterna realtà che le abita. Vi giunge con la purificazione, la concentrazione e l'immedesimazione. Lo scopo della purificazione è fare dell'essere mentale uno specchio in cui la realtà divina possa riflettersi. La concentrazione permette di lacerare il velo che la nostra comune mentalità ha creato tra la verità e noi stessi. L'identificazione è la conoscenza e il completo possesso. Solo i metodi speciali dello yoga possono operare la purificazione sistematica di tutto l'essere e permettergli di riflettere integralmente la realtà divina e di assorbirla.
La conoscenza è il punto di partenza per l'ascesa della conoscenza superiore. L'importanza del fenomeno di transe yogica o samadhi è intimamente legato allo yoga della conoscenza, il cui scopo rimane quello di sviluppare e spingersi ad una più alta e divina coscienza. In questa transe ogni attività di percezione viene abolita e nulla rimane della coscienza, l'anima s'immerge nel silenzio del Nirvana supremo senza possibilità di ritorno ad uno stato di esistenza illusoria o inferiore.
Nell'antica psicologia indiana divideva la coscienza in stao di veglia, di sogno e di sonno, con al di là un supremo ed assoluto Sè, il quarto o Turiya. Lo stato di veglia rappresenta la coscienza dell'universo materiale, lo stato di sogno è la coscienza dei piani sottili, vitale e materiale. Lo stato di sonno è una coscienza che corrisponde allo stato di gnosi, ad un piano supermentale particolare. Al di à, Turiya, è la coscienza della nostra pura esistenza in sè o essere assoluto, con cui non abbiamo alcun rapporto, ma ne riceviamo solo qualche riflesso. Questa scala di quattro gradi corrisponde ai gradi della scala dell'essere mediante la quale saliamo fino al Divino. Si dice che esistano certi supremi stati di transe da cui l'anima non può più ritornare se vi si trattiene troppo. Lo yogi ad un certo stadio di sviluppo, è in grado di abandonare definitivamente il suo corpo, senza passare per il normale stato di morte, ritira l'energia vitale pranica aprendo un passaggio nel brahmarandhara mistico situato nella testa. Abbandonando così la vita durante lo stato di samadhi, raggiunge direttamente il piano superiore a cui aspirava. Una volta raggiunto il samadhi bisogna cercare il più possibile di vivere questo stato nel campo della coscienza di veglia. In uno yoga che abbraccia tutta la vità, completamente e senza riserve, il samadhi non è veramente utile che quando le sue acquisizioni possono diventare esperienza normale e servire al risveglio integrale dell'anima incarnata nell'essere umano.
Esistono tanti mezzi per arrivare al samadhi quante sono le vie dello yoga. (Pag. 217) Lo yoga è un tentativo per arrivare all'unità col Supremo. Per fare questo occorre elevare la coscienza mentale ad una chiarezza e ad una concentrazione più alti di quelli che appartengono alla nostra comune mentalità e che le permettano di percepire il vero Essere. Esistono due grandi discipline in cui il samadhi riveste una grande importanza: il Rajayoga e lo Hathayoga.
Lo hathayoga è un sistema potente, ma difficile e oneroso, il cui principio si fonda sull'intima relazione esistente fra corpo e anima. Il corpo è la chiave, e contiene il doppio segreto della schiavitù e della liberazione. Per lo hathayogi il corpo non è una volgare massa di materia che vive, ma un ponte mistico tra l'essere spirituale e l'essere fisico. OM è l'immagine del corpo mistico umano. Lo yogi tenta, mediante determinati procedimenti scientifici, di dare all'anima del corpo fisico il potere, la luce, la libertà e tutta la gamma ascendente delle esperienze spirituali, come s evivesse in un corpo sottile. Lo hatha yoga è una scienza dell'essere consistente in un sistema psicofisico che conduce al Supremo, anche se il suo cammino è lungo, arduo e meticoloso. I metodi dello yoga seguono tre principi pratici (pag. 219): prima la purificazione, poi la concentrazione per utilizzare l'energia a scopi ben definiti, poi la liberazione dell'energia individualizzata per condurci all'unione con il Supremo. I due mezzi principali sono le asana per abituare il corpo all'immobilità e il pranayama per regolare le correnti di energia nel corpo. Le asana si basano su due idee, la prima è l'idea del controllo mediante l'immobilità fisica; la seconda quella del potere mediante l'immobilità. Il potere dell'immobilità e equivalente a quello dell'immobilità mentale nello yoga della conoscenza. Placare l'agitazione del corpo e obbligarlo a conservare l'energia pranica anzichè dissiparla è lo scopo di questa disciplina. Lo hatha yoga ha a disposizione circa ottanta asana per dare maggiore elasticità al corpo e modificare la relazione tra l'energia fisica del corpo e l'energia terrestre a cui il corpo è unito. Ciò porta a superare la fatica, il corpo grossolano si avvicina alla natura del corpo sottile e migliorano le sue relazioni con l'energia vitale. Si acquistano le siddhi e la vita cessa di dipendere dagli organi fisici e dal loro funzionamento (come il battito cardiaco e il ritmo della respirazione che potrebbero essere controllati a piacimento dello yogi). Il pranayama deve purificare il sistema nervoso e far circolare liberamente l'energia in modo da poter dirigere l'energia vitale dove si vuole. Questo costituisce la base per il percorso ulteriore del Rajayoga di cui la chiave è la mente. Le posizioni e il pranayama sono presenti in entrambi i sistemi ma assumono importanza diversa. Ognuno dei chakra è il centro di un particolare sistema di operazioni, di forze ed energie psicologiche che circolano nei nadi, questi centri sono solo parzialmenti aperti per il funzionamento della vita ordinaria. Per questo che l'anima incarnata sembra dipendere dalla vita corporea e nervosa. Ma l'energia è là, assopita è la kundalini shakti che quando si sveglia sale fino alla sommità della testa, si incontra con il Purusha nel lot dai mille petali, il brahmarandhra, in un profondo samadhi di unione in cui la coscienza si sveglia e si perde nel supercosciente. Questa energia, la vera energia si sveglia con la pratica del pranayama. Tutte le discipline e religioni dell'India che si richiamano a metodi principalmente psico-fisici dipendono più o meno dal tantrismo, nelle loro pratiche. Il Rajayoga si basa su una purificazione morale e mentale. La purificazione morale si divide in due categorie: cinque yama e cinque niyama. Yama sono delle regole per il controllo del sè nella condotta morale. Le niyama sono una disciplina mentale, la più alta è la meditazione sull'essere divino. Quando questa base è assicurata, le asana e il pranayama cominceranno a dare frutti perfetti. La posizione utilizzata è quella di mantenere in linea la testa e il dorso e il pranayama apre i sei centri al percorso della shakti. Accoppiato con l'uso dei mantra, introduce nel corpo l'energia divina e facilità la concentrazione in stato di samadhi che è il coronamento del Rajayoga.
Il vero scopo è quello di ritirare la mente dal mondo esteriore per unirsi all'Essere divino. Per le prime tappe è meglio servirsi di un mezzo, un appoggio mentale come un oggetto, una forma, un mantra simbolizzante il divino; e questo è il metodo tradizionale. Altri metodi tendono ad osservare la mente che vagabonda qua e là, oppure si può adottare un altro metodo più vigoroso che è quello di escludere ogni pensiero diretto verso l'esterno ed immergersi in una tranquillità assoluta, che riflette il puro Essere o sparire in una esistenza supercosciente. I metodi sono diversi ma lo scopo è lo stesso tranquillizzare le onde di coscienza e le loro molteplici attività, chittavritti, e sostituire la confusione rajasica con la calma luminosa di attività sattviche, arrestando poi ogni attività. Il rajayoga può portare ad acquisire le siddhi, poteri occulti, e questi possoo rappresentare delle distrazioni che deviano dal percorso che è l'unione con il Divino.
Per lo yoga integrale i metodi del Rajayoga e dello Hathayoga possono essere utili in certi stadi dello sviluppo, ma non sono affatto indispensabili.
Nessun commento:
Posta un commento