sabato 11 febbraio 2023

La sintesi dello Yoga, la conoscenza integrale - Sri Aurobindo

 Dal testo La sintesi dello Yoga - Sri Aurobindo, II - Lo yoga della conoscenza integrale.

Tutte le ricerche spirituali muovono verso qualcuno o qualcosa di eterno, d'infinito, di assoluto che non è la realtà a cui siamo sensibili. Mirano a uno stato di conoscenza e ad una coscienza diversa e più elevata. Si deve abbandonare tutto ciò che è individuale e mondano per arrivare alla Verità assoluta e il solo oggetto di conoscenza spirituale è il supremo Sè o l'assoluto Nulla.  

Per giungere alla conoscenza del Sè è indispensabile una completa passività intellettuale, il potere di allontanare ogni pensiero; bisogna che la mente abbia il potere di non pensare, come descritto nella Gita. Solo quando la mente si fa immobile come un'acqua chiara e senza increspature scendendo nella purità di una perfetta pace, e l'anima trascende il pensiero, il Sè affiora nella pura essenza del nostro essere, sorgente e superamento di tutto il divenire. Solo nel silenzio completo si ode il Silenzio; solo in una pace assoluta si svela l'Essere.

In India la concentrazione implica il ritirarsi del pensiero da tutte le attività obbligandolo a concentrarsi sull'idea dell'Uno, per cui l'anima può elevarsi ed uscire dal mondo dei fenomeni per entrare nell'unica Realtà. Un valido aiuto alla concentrazione, secondo le Upanishad, è rappresentato dalla sillaba mistica AUM, le cui tre lettere rappresentano il Brahman nei tre gradi del suo stato (L'anima di veglia, di sogno e di sonno).  Colui che pratica il Raja yoga, la via regale, il metodo di disciplina spirituale che si serve del dominio della respirazione e dell'attività mentale, deve avere un grado elevato di purezza morale e spirituale. La concentrazione è il mezzo mediante il quale, l'anima individuale s'immedesima col Sè e questa unificazione col Divino è la condizione per raggiungere la conoscenza divina ed è il principio dello yoga della conoscenza. Il samadhi non è uno stato che ci permette di ritirarci dal mondo esteriore, ma una condizione che deve persistere anche quando siamo in stato di veglia.

Se la disciplina delle diverse parti del nostro essere, mediante la purificazione e la concentrazione, è il braccio destro dello yoga, la rinuncia ne è il braccio sinistro. La rinuncia è uno degli strumenti indispensabili per la nostra perfezione. L'attaccamento e il desiderio devono essere quindi interamente rifiutati. Non bisogno però rifiutare l'amore, tenderemo quindi ad un amore universale sereno ed intenso, oltre la passione. Uno dei più grossi ostacoli o resistenze è l'Ego. Dobbiamo scovarlo e portarlo alla luce per distruggerlo. L'altruismo e l'indifferenza sono i suoi travestimenti preferiti.

Lo scopo della Conoscenza è il ritrovamento del Sè, nostra vera esistenza. Il Sè è la realtà e l'universo una realtà del Sè, una realtà della coscienza del Sè e non solamente una formazione materiale, che tuttavia è reale.   Lo yoga della conoscenza per arrivare alla conoscenza del Sè ha messo a punto due metodi (pag. 55): il metodo negativo consiste nel ripetere continuamente "io non sono il corpo, la vita, la mente, i movimenti, i sensi e il pensiero". E il metodo positivo che consiste nel ripetersi "Io sono Quello, il puro , l'Eterno, il beato". Concentrandosi su questo saremo in grado di rinunciare all'esistenza individuale e al cosmo.

Per arrivare ad una vera relazione col Sè, il mezzo più semplice è separare Purusha e Prakriti. Il Purusha o anima deve ricordarsidella sua natura ed essere consapevole che il corpo non è che un'operazione di Prakriti e la mente, una volta disciplinata, imparerà ad avere un'attitudine corretta con il corpo fino ad arrivare a percepire il corpo come qualcosa di esterno e  separabile. La mente assume un sereno distacco. Nella sua ascesa l'anima deve non solamnete separarsi dalla vita nel corpo, ma anche dall'azione dell'energia vitale sulla mente. (Pag 69) Il Purusha dopo essersi servito della mente pensante per liberarsi dalla identificazione con la vita, col corpo e con la mente di desiderio, di sensazioni ed emozioni, chiuderà il circolo e affronterà la mente pensante dicendo "Non sono nemmeno questo". In questo modo si crea una divisione tra la mente che pensa e vuole, e la mente che osserva. Il Purusha diventa il semplice testimone.  Ma è necessario il silenzio, è nel silenzio e non nel pensiero che si scopre il Sè e per ottenere questa ascesa è necessario liberarsi del senso dell'ego nella mente.

Il pensiero umano è diviso in due estremi opposti: uno mondano e prammatico che considera la soddisfazione del senso dell'ego mentale, vitale e fisico dell'individuo o della collettività, come lo scopo della vita e non riesce ad andare oltre. L'altro spirituale, filosofico o religioso,ha come obiettivo la conquista dell'ego da parte dell'anima. Nel primo caso ci sono due posizioni: 1- l'ego è una creazione della mente e si dissolverà al momento della morte: 2- l'ego è il supremo compimento della natura, anche se transitorio, cercando di nobilitarlo convinti che la sua soddisfazione sia lo scopo della nostra esistenza.

(Pag. 71) Nei percorsi spirituali si ritrovano delle divergenze: il buddhismo che nega l'esistenza di un ego e nemmeno ammette quella di un essere universale e trascendente. L'Advaita Vedanta dichiara che l'anima individuale in apparenza, non è altro che il Sè supremo o Brahman; la sua individualità è un'illusione e sbarazzarsi dell'esistenza individuale è la sola e vera liberazione. Altri sistemi, affermano che la durata eterna dell'anima umana, in cui vedono una base di multipla coscienza dell'Unico o un ente dipendente anche se separato dall'Unico, attribuendogli, in ogni caso, una realtà costante e imperitura. Il ricercatore deve scegliere il percorso, ma se lo scopo è la liberazione, è indispensabile superare la ristretta cerchia dell'Ego. Una purificazione dall'egoismo è necessaria, non fosse altro che per il progresso e l'elevazione morale, o per il bene sociale, la perfezione sociale; ma ancora più indispensabile per la pace, la purezza e le gioie interiori.

(pag. 72) Dobbiamo uscire fuori dal mondo dell'ego, l'ego deve fondersi in un più grande Io, nell'immensità dell'Io cosmico che contiene tutti questi piccoli sè o nel Trascendente di cui anche il Sè cosmico non è che un'immagine ridotta. Trovare, conoscere e possedere l'esistenza divina, la coscienza e la natura divina e vivere per il Divino, è il nostro vero scopo e la sola perfezione a cui dobbiamo aspirare.  Bisogna sbarazzarsi di ogni senso dell'ego e ritornare al Purusha su cui si appoggia, e di cui è l'ombra; L'ombra deve sparire e si rivelerà la limpida sostanza dello Spirito che il pensiero europeo chiama monade e la filosofia indiana Jiva o Jivatman, l'ente vivente, il sè della creatura vivente. Questo Spirito è lo stesso Sè del nostro sé, l'Unico, l'Altissimo, il Supremo che dobbiamo realizzare, l'Esistenza infinita in cui dobbiamo entrare.  Il Java deve liberarsi del senso dell'ego che proviene dalla natura inferiore o Maya.

(pag. 75) Il ricercatore monista si immergerà nel Supremo, il dualista punterà alla sparizione dei molteplici nell'Uno, il devoto avrà come scopo l'essere assorto nell'amore e nella gioia del Supremo. Ma il percorso sarà veramente completo quando il ricercatore vive la sua unità essenziale ed integrale col Supremo.   Tutto sarà l'Uno e ogni Persona o ogni Purusha sarà per il ricercatore, l'Uno sotto una delle sue innumerevoli forme, o piuttosto sotto uno dei suoi innumerevoli aspetti. Il Java rimane uno col Signore, e non c'è più legame nè illusione. E' in possesso del Sè e liberato dell'ego.  Dobbiamo accogliere tutti gli esseri e tutte le cose nella nostra nuova coscienza cosmica, una col tutto e non più separata da una egoista individualità. Dobbiamo accettare di essere la coscienza cosmica, dobbiamo identificare il nostro essere con l'Infinito, base e sostanza dei mondi, dimorante in tutte le esistenze. Il nostro Sè non è l'essere mentale dell'individuo, che è solo immagine, apparenza, il nostro vero Sè è cosmico, infinito, uno con tutta l'esistenza e dimorante in tutte le esistenze. Dobbiamo aiutare la mente, attraverso la concentrazione e la meditazione, a desistere di pensare che le cose e gli esseri esistano separati gli uni dagli altri e considerare sempre l'Uno in tutto e tutto nell'Uno.   Non vivremo nella vera Verità finche non vivremo nella vera Unità.

(Pag. 82) La realizzazione che tutto è Dio o Brahman, presenta vari aspetti. In primo luogo il Sè in cui tutti gli esseri esistono. Lo Spirito, il Divino che si manifesta come Essere infinito esistente in sè, puro e libero da tempo e spazio che sono immagini della sua coscienza. Rifiutando le nostre resistenze dell'intelletto dobbiamo sapere (tramite la nostra conoscenza completa e integrale) che il Divino abita tutte queste forme in divenire e ne è il vero Sè, lo Spirito cosciente e questo bisogna sentirlo per esperienza personale. La nostra mente, corpo e vita sono espressioni del divenire del Sè.

La scienza e l'arte dello yoga (pag. 85) tentano di conoscere l'Altissimo e di unirsi a lui, vivere nel Sè, unirsi col Divino ed esprimere questa Verità in tutto ciò che siamo e facciamo.  La Gita asserisce che lo yoga il samkhya sono necessari alla conoscenza integrale. Ogni essere individuale è il Sè, il Divino, malgrado le limitazioni esteriori  in cui si presenta nel mondo.  Esiste un vero e stabile potere del nostro essere che dobbiamo conoscere e preservare affinché attraverso di esso, l'Infinito possa manifestarsi.  

Tutto è purusha e Brahman, ma il purusha è mutevole, un fenomeno dell'Eterno, non la sua stabile realtà. La Gita distingue tre Purusha, che costituiscono la totalità del Divino nella sua immobilità e nel suo movimento: il mutevole, l'immutabile, e il supremo al di là dell'uno e dell'altro e che li comprende entrambi. Il Supremo è il Signore in cui viviamo, il Sè supremo nostro e di tutti. L'immutabile è il Sè silenzioso, uguale, inattivo, senza cambiamenti, che raggiungiamo quando passiamo dall'attività alla passività. Il mutevole è la sostanza e il motivo immediato del flusso continuo della personalità. 

La filosofia indiana, a proposito di questo triplice modo dell'Essere, distingue fra il Brahman con attributi e senza attributi, come il pensiero europeo fra il Dio Personale e Impersonale. Il Nirguna senza attributi ma non incapace di attributi, si manifesta nel saguna e nell'anantaguna dagli infiniti attributi. Esistono tre gradi di avvicinamento al Dio personale: il primo è concepito con forma e attributi particolari, che sono il nome e la forma della Divinità, il secondo in cui Egli è la vera persona, la personalità totale, l'ananta-guna; il terzo è quello che ci riporta alla radice di ogni idea e di ogni realtà personale, ed è ciò che l'upanishad deisigna Lui senza attributi.

(Pag. 93) Il Samkhya è l'aspetto della conoscenza che si occupa della realizzazione astratta e analitica della verità, mentre lo yoga è l'aspetto della conoscenza quale realizzazione concreta e sintetica. Lo yoga della conoscenza porta ad una perfetta ed efficace conoscenza di cui la pace è l'eterno fondamento. Tutto è Chit perchè tutto è Sat; tutto è un vario moto della Coscienza originaria, perchè tutto è un moto variato dell'Essere originario. Se scopriamo, vediamo o conosciamo Chit, scopriamo che la sua essenza è Ananda o gioia in sè dell'esistenza. Il Divino, che si manifesta nella totalità degli attributi o senza attributi è sempre SatChitAnanda.

Esistono due specie di realizzazioni del Sè o SatChitAnanda: quella che è indifferente al fenomeno infinito dell'universo e lo osserva senza parteciparvi  e quella che sostiene la manifestazione, governandola liberamente senza esserne legata. E' il Trascendente nella sua essenza e questo è l'oggetto della realizzazione del sadhaka dello yoga integrale. Questa rapporto tra statico e dinamico è la base della filosofia Samkhya, che insegnava che il Purusha  o Anima Cosciente è un'entità passiva, inattiva, immutabile, e che la Prakriti o Anima della Natura (in cui sono comprese la mente e l'intendimento) è attiva, mutevole e si riflette nel Purusha, che si immedesima con ciò che in esso si riflette prestandogli la luce della propria coscienza. Quando il Purusha impara a non più identificarsi, la Prakriti incomincia a perdere impulso e ritorna all'equilibrio e al riposo. Anche nella filosofia Vedantica c'è la concezione del Sè inattivo o sola realtà il Brahman, mentre le altre cose vengono considerate con nomi e forme che cadono su di Lui e gli si sovrappongono in virtù di un'illusione mentale. (pag. 110).  Da qui emergono due attitudini: o rimanere inattivi testimoni del gioco cosmico (lo yoga ascetico), oppure agirvi meccanicamente, senza la partecipazione del sè cosciente ( in modo passivo, indifferenza, assenza di emozioni).     Oppure si può raggiungere il simultaneo stato di libertà completa: di passività interiore ed attività esteriore. Lo yogi, come dice la Gita agisce senza agire, non è lui che agisce ma la Natura universale guidata dal Signore della Natura. Egli non è legato al risultato delle sue opere che non lasciano in lui traccia alcuna.

L'essere divino si fonda sull'unità e la trascendenza, sulla totalità; l'essere umano si fonda sulla molteplicità separata delle cose di cui si fa suddito. Fra i due piani esiste un velo che impedice all'umano di conoscere il Divino. Mediante un processo d'allargamento del sè e di trasformazione si può passare dall'uomo materiale all'uomo divino o spirituale. Il sadhaka che ha seguito la discipla necessaria a ritirare il sè dalla sua identificazione con l'ego, la mente, la vita e il corpo, arriva mediante la conoscenza, alla realizzazione di una pura, immobile Esistenza autocosciente, senza divisioni, tranquilla, inattiva, non turbata dall'azione del mondo. (Pag. 109) - Lo yoga integrale esige, invece un ritorno divino all'esistenza nel mondo e il suo primo passo deve essere la realizzazione del Sè come Tutto, sarvam brahma, Tutto ciò che esiste per la mente e i sensi è l'immagine di un mondo che esiste nel puro Sè che, per la nostra coscienza, siamo divenuti.

Vivere il Brahman attivo ed unirsi a Lui, significa passare dalla coscienza individuale a quella cosmica , più o meno perfettamente a seconda che l'unione sia totale o solo parziale. La realizzazione sulla via della conoscenza è nella dissoluzione della personalità nel Sè universale e il fondersi nella coscienza cosmica è fondersi in SatChitAnanda e in questa dimensione l'esperienza e la valutazione delle cose dell'Universo risulta radicalmente cambiata. Mediante la conoscenza integrale perveniamo al nostro vero essere, eterno, immutabile, all'Esistente in sé, che ogni "io" nell'universo rappresenta oscuramente, e che annulla ogni differenza nella grande certezza: "So aham", "io sono Lui"; e ci conduce nello stesso tempo alla nostra identità con tutti gli esseri umani. Le nostre opere saranno equanimi, non legate nè alla azione nè ai risultati.

(Pag. 142) Una salvazione individuale non è il nostro obiettivo, anche la liberazione degli altri è cosa che ci concerne intimamente, altrimente la nostra unione con gli altri non avrebbe senso. Scoprire l'illusione dell'egoismo è la prima vittoria, scoprire l'illusione della felicità dei cieli, è la seconda vittoria, scoprire la grande illusione dell'evasione dalla vita è l'altra grande vittoria. Elevare gli uomini verso il Divino è il solo mezzo efficace per aiutare l'umanità.

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