Come cambiare la tua mente è un testo del 2019 dove Michael Pollan, saggista gastronomico, presenta un modo totalmente innovativo per entrare nelle profondità della nostra mente, nel nostro sub-conscio o inconscio, ossia attraverso delle sostanze psichedeliche. Nella consistente letteratura generata dalla sua scoperta a oggi, le sostanze psicadeliche sono sempre state presentate come una via d'accesso privilegiata e niente affatto spiacevole ― a dimensioni della coscienza che ci sono precluse.
Nel testo Pollan riesce a portare il lettore con sé alla scoperta tanto della storia della psichedelia, quanto soprattutto dei suoi effetti, che prova in prima persona testando in modo illegale ma controllato varie sostanze, dalla psilocibina (il principio attivo dei funghi magici), all’LSD, passando per l’infuso amazzonico dell’ayahuasca e arrivando addirittura alla 5-MeO-DMT (la molecola psicoattiva presente nei rospi del genere Bufo), facendosi accompagnare nei test dalla supervisione di psicologi o psichiatri che, clandestinamente, consentono ai loro assistiti di provare queste sostanze, ritenute sin dagli anni ’60 un ottimo coadiuvante per il trattamento terapeutico.
Negli ultimi anni, tuttavia, la ricerca scientifica più avanzata lavora su virtù molto diverse degli «acidi», a cominciare dalla loro efficacia contro patologie infide quali le dipendenze, l'emicrania, le fasi acute della depressione. È un argomento molto difficile da affrontare. Il testo è un diario di viaggio e la cronaca di un lungo esperimento, dove Pollan incontra una serie di uomini e donne straordinari ― guru veri o presunti, scienziati serissimi, medici di frontiera ―, e poi decide di provare in prima persona gli effetti della sostanza stupefacente sulla mente e che cosa intendessero i profeti del lisergico per «toccare Dio».
Una delle caratteristiche delle sostanze psichedeliche è quella di portare, oltre un certo dosaggio, alla cosiddetta ego dissolution, una dimensione in cui crollando gli automatismi costruiti nel corso del tempo dal nostro Io, diventa possibile scoprire nuove possibili soluzioni al di fuori di schemi ormai irrigiditi. Queste dinamiche erano state intuite già da Aldous Huxley, che nel testo Le porte della percezione le aveva chiamate “valvola di riduzione”. Con questa metafora lo scrittore britannico indicava la capacità di una mente sotto l’effetto di psichedelici di scardinare il consueto assetto esperienziale, in un meccanismo che porta il soggetto a percepire l’intera gamma della varietà e complessità degli stimoli che incessantemente il mondo ci invia, senza passare attraverso il filtro di sintesi messo a punto dal cervello umano per ottimizzare il flusso degli impulsi e organizzare le singole decisioni (un sistema eccellente per la gestione della vita di tutti i giorni ma che tende a spingerci su percorsi già noti).
Queste dinamiche, un tempo solo intuite, sono state di recente dimostrate grazie al lavoro del gruppo di ricerca della Beckley Foundation di Londra, guidato da Robin Carhart-Harris, che ha mappato con la tecnologia del brain imaging (un sistema di osservazione che consente di studiare il flusso ematico e il consumo di ossigeno) il cervello di soggetti cui era stata fatta assumere della psilocibina. Dallo studio è emerso come nelle scansioni si osservasse un sorprendente “silenziamento” della DMN (la “rete della modalità di default”, anche nota come “connettività funzionale intrinseca”), ossia il direttore d’orchestra delle funzioni cerebrali. “Nel momento in cui l’attività di quest’ultima si riduce drasticamente” – ci spiega Pollan – “sembra che abbia luogo una temporanea scomparsa dell’ego, e che i consueti confini sperimentati tra sé e mondo esterno, tra soggetto e oggetto, si dissolvano tutti. Comunque sia, mettere fuori servizio questa rete particolare può darci accesso a stati di coscienza straordinari”, e succede anche dell’altro, mentre la DMN allenta la sua presa, le altre zone del cervello mostrano un deciso aumento di attività, iniziando a dialogare tra loro, saltando proprio l’intermediazione di quella che Huxley chiamava ‘valvola di riduzione’.
“Questa disinibizione” – continua Pollan – “potrebbe spiegare come mai, con gli psichedelici, materiali ai quali la coscienza non ha accesso nel normale stato di veglia – compresi ricordi, emozioni e, a volte, traumi infantili rimasti a lungo sepolti – affiorino invece alla superficie della nostra consapevolezza”. Grazie a queste scoperte la ricerca in corso negli ultimi anni è vista come una promettente nuova frontiera per il trattamento di tutta una serie di patologie, che tra loro hanno in comune analoghi meccanismi di rigidità sistemica. Tra questi figurano le dipendenze, l’ansia della morte nei soggetti afflitti da tumore, la depressione e anche le forme più resistenti di emicrania, in un contesto che vede ormai ridursi in modo drastico l’efficacia dei farmici a base di barbiturici e antipsicotici maggiori. Robin Carhart-Harris a riguardo cita una significativa affermazione del terapeuta psichedelico Stanislav Grof: “Gli psichedelici saranno per la comprensione della mente quello che il telescopio è stato per l’astronomia e il microscopio per la biologia”.
Il testo di Michael Pollan cerca anche di ricostruire in modo avvincente la storia della psichedelia, dalla scoperta casuale e quasi miracolosa di una molecola dagli effetti imprevedibili come quella dell’acido lisergico, da parte del chimico svizzero Albert Hofmann, al programma Mk-Ultra, il programma di ricerca top secret della stessa CIA che dal 1953 al 1964 ha cercato di capire se gli psicolitici potessero servire come siero della verità, come arma biologica o come agente per il controllo della mente. Pochi anni dopo e ancora nel pieno di questo fermento tutte le sostanze venivano messe al bando.
Un altro dei personaggi memorabili incontrati da Pollan, è il micologo Paul Statmets, massimo esperto mondiale del genere fungino Psilocybe. Anche i funghi giocano un ruolo decisivo in questa storia, e non solo per via di quelli provvisti di psilocibina, ma anche perché, benché molti lo ignorino, la stessa LSD è stata sintetizzata da Hofmann a partire da un fungo, ossia l’ergot (o Claviceps purpurea), un piccolo parassita della segale cornuta.
Pollan parla anche di Stamets un singolare personaggio che pratica «micorisanamento»” – “il termine indica l’uso di funghi per bonificare aree inquinate e risolvere problemi di scorie industriali” o usa i funghi come ‘micopesticidi’ per uccidere formiche o altri insetti. Stamets parla anche della rete creata dai miceti (la parte sotterranea dei funghi), una sorta di “internet naturale della Terra” la più vasta e intelligente del pianeta.
Oggi, osserva Rick Doblin (fondatore della MAPS, la Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies), si assiste ad una sorta di Rinascimento psichedelico, che consente finalmente anche in Italia di vincere decenni di pregiudizi e trattare questa materia (da cui possono sorgere, oltre alle soluzioni farmacologiche, sorprendenti rivelazioni mistiche) con consapevolezza. Bisogna ricordare che la diffusione degli psichedelici negli Stati Uniti tra anni ’50 e ’60 non era certo confinata all’area di protesta dei figli dei fiori, l’LSD era nelle università e nei salotti della New York bene, oltre a circolare tra gli attori del cinema hollywoodiano, come Cary Grant, o tra i grandi musicisti della scena rock (basti nominare John Lennon, Bob Dylan, Mick Jagger e Keith Richards, tra i tanti artisti che si recarono in Messico in pellegrinaggio dalla curandera Maria Sabina).
Michael Pollan ha dato al testo un taglio scientifico per inserirlo in modo più efficace, nell’attuale dibattito internazionale. Il libro negli Stati Uniti è stato in vetta alle classifiche del New York Times per diciotto settimane consecutive, imponendosi indubbiamente come il saggio dell’anno. Ma non credo che l’autore ignori che il potenziale di queste sostanze non sia da limitarsi agli impieghi medicinali. Nell’ultimo capitolo del libro lo scienziato Roland Griffiths dice: «Tutti noi dobbiamo affrontare la morte», «Sarà qualcosa di troppo prezioso per limitarlo ai malati».
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