Il buddhismo in Vietnam e la vita di Thich Nhat Hanh.
Un approccio sincretistico ancora più pronunciato è rinvenibile negli insegnamenti di un’altra figura di spicco della scuola Lin Chi del Ch’an, considerato da molti la voce più importante del buddhismo contemporaneo dopo il Dalai Lama: il maestro vietnamita Trung Quang Nhat Hanh (al secolo Nguyen Xuan Bao, nato nel 1926; come di uso per i monaci nella sua patria, al nome viene premesso l’epiteto onorifico Thich, che denota l’appartenenza al clan gentilizio degli Śākya, il lignaggio del Buddha). La sua esistenza s’intreccia con le vicende del buddhismo del Vietnam. Fattosi monaco nel 1949 nel tempio di Tu Hieu presso l’antica capitale imperiale di Hue, si scontrò con gli ambienti più conservatori, finendo per stabilirsi in un monastero abbandonato nei dintorni di Saigon. In seguito divenne direttore dell’organo ufficiale della General association of Vietnamese buddhists (GAVB) costituita nel 1951. La sua entusiastica predicazione di un buddhismo unificato, disapprovata dai più, portò alla chiusura del periodico. L’incessante attività del personaggio in quest’epoca comprende la fondazione del monastero delle Foglie di palma fragranti (Phuong Boi) nel Vietnam centrale, della casa editrice La Boi e della prima Scuola superiore buddhistica del Vietnam, in grado di fornire un’alternativa alle strutture educative francesi. Con la partizione sancita dagli accordi di Ginevra, nel nord la General association of Vietnamese buddhists veniva disciolta d’autorità nel 1957 e i suoi fautori imprigionati o soppressi, mentre una Association of unified Vietnamese buddhists, creata sul modello cinese, garantiva il controllo del Partito comunista su strutture e istituzioni buddhistiche nella neonata Repubblica del Vietnam. A sud il prestigio internazionale del Thich Nhat Hanh, che per due anni si era distinto studiando religioni comparate a Princeton e insegnando alla Columbia university, gli valse alla fine una legittimazione da parte dell’establishment monacale e fu chiamato a contribuire alla fondazione, nel 1964, dell’università buddhistica di Saigon, che prendeva nome dal vicino tempio delle Mille benedizioni (Van Hanh), ed era destinata a divenire un prestigioso focolaio di iniziative politiche e culturali. Validamente coadiuvato dalla sua discepola Cao Ngoc Phuong (nata nel 1938), ritornata allora in patria dopo essersi laureata in biologia a Parigi, egli creava altresì, con un gruppo di professori e studenti, la School of youth for social service, un corpo di 10.000 volontari operante nelle aree arretrate e martoriate dalla guerra del Paese, per la riedificazione di villaggi distrutti, per la costruzione di scuole e ospedali e per l’insegnamento delle tecniche agricole progredite ai contadini. Una tale attività appariva filocomunista agli occhi del governo e non mancarono arresti ed esecuzioni sommarie di attivisti. Nel 1964, simultaneamente alla trasformazione della General association of Vietnamese buddhists nell’Unified buddhist church of Vietnam (il Vien Hoa Dao), il maestro fondava l’Order of interbeing (Tiep Hien), termine da lui coniato per rendere la catena di cause e condizioni che nella visione buddhistica forma l’orizzonte del divenire impermanente, qui considerata sotto un profilo decisamente positivo. Di lì a poco il Thich Nhat Hanh ritornava negli Stati Uniti, chiamato dalla Fellowship of reconciliation per rendere edotto il pubblico americano sui terribili effetti della guerra, contro la quale si era battuto per anni attirandosi odi e diffidenze nei due campi avversi. Le sue posizioni emergono da una conferenza stampa del 1° giugno 1966 indirizzata al presidente Lyndon B. Johnson e al suo Gabinetto: egli richiedeva che gli Stati Uniti sospendessero i bombardamenti, riducessero o arrestassero temporaneamente le altre azioni militari e, nel caso di una risposta positiva dei Vietcong a queste iniziative, annunciassero il ritiro delle loro truppe dal Vietnam. In seguito essi avrebbero sia dovuto comprendere che la dittatura militare non era l’unica alternativa al comunismo sia sostenere il popolo vietnamita nel suo desiderio di un governo nazionalista conforme alle loro aspirazioni, non compromesso con la persecuzione dei buddhisti; questi non consideravano gli Stati Uniti come un nemico, ma come un alleato, un alleato per la pace e non per la guerra. Nel 1965 aveva scritto a Martin Luther King una lettera aperta intitolata Searching for the enemy of man, giustificando il suicidio con il fuoco di alcuni suoi confratelli, tra cui il venerabile Thich Quang Duc (1897-1963), per protestare contro la discriminazione nei confronti della maggioranza dei vietnamiti (fra il 70 e il 90% a seconda delle stime) costituita dai buddhisti, da parte del dittatore cattolico Ngo Dinh Diem. Dopo l’incontro King si impegnò a osteggiare la guerra nel Vietnam, avanzando nel 1967 la candidatura di Nhat Hanh al premio Nobel per la pace, che non gli fu conferito in quanto quell’anno non fu scelto alcun candidato. La giustificazione fornita fu che lo stesso King aveva pregiudicato la nomina preannunciandone pubblicamente l’esito. Nel 1969 Nhat Hanh ottenne il ruolo di principale esponente della delegazione per la pace della Unified buddhist church of Vietnam, che a Parigi partecipava ai colloqui destinati a porre fine al conflitto; contemporaneamente teneva lezioni alla Sorbona. In Francia fondò quello stesso anno una sua Église bouddhique unifiée. Nel 1973, una volta giunti alla pace, il maestro, considerato assieme a Chan Khong, che nel frattempo l’aveva raggiunto, persona non grata dal governo vietnamita, fu di fatto esiliato. Quando, nel 1975, ebbe luogo la riunificazione del Vietnam sotto il regime comunista trionfante, la sua situazione non mutò. Ponendo come suo quartier generale la Communauté des patates douces, situata in una fattoria non lontano dalla capitale dove teneva frequentatissimi corsi di meditazione, egli si era adoperato per organizzare aiuti ai profughi che cercavano di fuggire per mare dal Vietnam del Sud, dalla Cambogia e dal Laos, i cosiddetti boat people, desistendo alla fine a causa dell’ostruzionismo dei governi del Sud-Est asiatico coinvolti nella vicenda. Mentre il suo prestigio restava intatto, come provano i riconoscimenti internazionali che si sono susseguiti negli anni dell’esilio, la sfera d’influenza del personaggio andava restringendosi, anche perché veniva meno il ruolo pubblico della Unified buddhist church of Vietnam, fatta oggetto di dure repressioni nel tentativo di estendere il controllo, già vigente al nord del paese, alle strutture e istituzioni buddhistiche del sud. A questo fine veniva creata, nel 1981, la Vietnam buddhist church (VBC) poi ribattezzata Vietnam buddhist Sangha, organo del Fronte patriottico del Partito comunista del Vietnam e sola voce ufficiale dei buddhisti vietnamiti in patria e all’estero.
A partire dal 1982, trasferito il centro della sua organizzazione al Village des pruniers in Dordogna, il Thich Nhat Hanh è venuto accrescendo la propria attività in Occidente. Accanto ai programmi di insegnamento estivi in Francia, seguiti da 2000 persone all’anno, ha intrapreso diversi viaggi, segnatamente negli Stati Uniti, fondando 230 centri di meditazione. Lo troviamo tra i promotori della dichiarazione da parte dell’Assemblea generale dell’ONU del periodo dal 2001 al 2010 (International decade for a culture of peace and non-violence for the children of the world) e, in collaborazione con diversi assegnatari di premi Nobel per la pace tra i redattori del Manifesto 2000 dell’UNESCO sulla pratica di tali valori. I libri scritti e dettati dal maestro, che è anche poeta, sono circa 40, inclusa una voluminosa vita romanzata del Buddha, Old path white clouds. Walking the footsteps of the Buddha (1991). La sua carica rivoluzionaria, che cerca una sintesi tra le posizioni delle diverse scuole soprattutto in una ortoprassi rinnovata secondo le esigenze del mondo contemporaneo, si può cogliere dall’attenta revisione durata cinque anni dell’intero Vinaya (il minuzioso codice formato da prescrizioni ascritte al Buddha in persona che regola ogni aspetto della condotta degli asceti) da parte del Concilio dei maestri del Dharma (Dharmācārya) del Village des pruniers presieduto dallo stesso Thich Nhat Hanh. Il risultato è stato promulgato solennemente il 31 marzo 2003 alla Choong Ang Sangha university di Seoul.
Dopo trentanove anni d’esilio, nel 2005 Nhat Hanh è finalmente ritornato in Vietnam. Le sue condizioni per avvalersi del visto finalmente concesso dalle autorità, desiderose di migliorare la propria immagine presso l’opinione mondiale, comprendevano l’essere accompagnato da un seguito di duecento tra monaci e monache e la facoltà di parlare in pubblico. Ciò gli è stato accordato sotto forma di una conferenza da tenersi presso la Scuola dei quadri del Partito comunista, seguita, grazie all’approccio conciliante del maestro nei confronti dell’ideologia dominante, da una serie d’incontri coronati da un certo successo, durati quattro mesi. Un suo nuovo viaggio in Vietnam ha avuto luogo nel 2007, con una cerimonia pubblica di ‘gran compianto’ per i caduti della guerra, da lui stesso officiata. La sua intesa abbastanza cordiale con il regime ha portato a critiche da parte degli esponenti della Unified buddhist church of Vietnam, tuttora sotto attacco da parte dello Stato e considerata ormai espressione di una minoranza tra i dieci milioni di buddhisti vietnamiti.
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