martedì 29 agosto 2023

Una via occidentale allo zen - Christian Humphreys (parte 1)

Christian Humphreys (1901-1983), l'autore del libro, fondò nel 1924 a Londra la Buddist Società, la più vasta organizzazione d'Europa.

Una buona parte delle citazioni del libro sono di D.T. Suzuki, uno dei massimi studiosi buddhista. Il buddhismo zen è giunto in Occidente nella forma della scuola Rinzai Zen, che fa largo uso del sistema koan. Lo Zen fu fondato nel sesto secolo dopo Cristo e include la scuola Ch'an della Cina e la scuola Zen del Giappone. Lo Zen verte su una sola cosa: la consapevolezza dell'assoluto nel cuore dell'uomo, una delle facoltà importanti per arrivare a questa consapevolezza è prajna o buddhi,  in Occidente l'intuizione. Lo Zen è il sistema di disciplina morale fondato sul satori, dobbiamo spingere lo sviluppo dell'intelletto fino ai suoi limiti e preparare la mente all'esperienza del satori, alla diretta esperienza della realtà non duale. Al momento giusto si scoprirà che il  nirvana è qui e ora. Si potrà così balzare dall'aria dualistica di questo mondo individualista all'altra riva del nirvana.  
Il Buddha trasmise questo messaggio: "non ho maestro, sono il pienamente illuminato, andrò a Benares a mettere in moto la Ruota della legge, percuoterò il tamburo dell'immortalità nell'oscurità del mondo". Questa è l'affermazione su cui poggia il buddhismo. Ciò significa che: 1- il nirvana deve essere ottenuto qui e ora, 2-  quello che un uomo può fare, tutti lo possono fare, 3- l'immortalità, il Non-Nato, il non creato può essere raggiunto dall'uomo, ed è qui e ora. Nel buddhismo non c'è nessun dogma, nessuna affermazione di salvezza, il praticante deve portare il fardello della libertà spirituale. Dobbiamo partire dall'uomo per arrivare a un principio, al principio del Buddha interiore. "Guarda dentro di te, tu sei il Buddha". 
Questo concetto è ereditato dall'induismo dove ogni uomo è già in un certo senso Brahman, in virtù dell'Atman che è  in ogni mente, la cui luce è un raggio del Non Nato. L'elevato stato di coscienza porta all'illuminazione e alla consapevolezza di tutte le cose come parti di un Tutto inseparabile, non c'è separazione e l'anata (il non sè) è sentito come vero. 
Le due colonne del buddhismo sono la saggezza e la compassione e che le due sono una sola; queste due facoltà  vanno messe al servizio del genere umano. I principi della scuola Thevarada furono sviluppati dal pensiero indiano: l'anata fu trasformato in sunyata, la vacuità;   metta l'amicizia fu trasformata in compassione che è  una sola cosa con la saggezza, il Non nato fu visto come una sola cosa con il nato. Il nirvana è qui nel samsara dove sarà conosciuto. 
Siamo già esseri illuminati, ma inconsapevoli, l'avidità, l'ignoranza ci impedisce di vedere. Il buddhista attraverso la compassione è al servizio del genere umano, e alla fine attraverso l'unicità della prajna (saggezza) e karuna (compassione) trova la 'porta senza porte' che conduce all'ultimo sentiero: scoprire che tutti i Buddha e tutti gli esseri senzienti non sono altro che l'Unica Mente oltre la quale nulla esiste.  
Pag. 26.  Tra tutti i percorsi filosofici o religioni, solo il buddhismo conferisce un'importanza fondamentale alla sofferenza. Il Buddha insegnava il dolore è la fine del dolore. Nell'uomo non esiste nessun principio permanente o anima o sè che sia immortale e immutabile; in ogni uomo c'è la scintilla del Divino o Assoluto che il Buddha chiamò il 'Non nato' non originato, non formato, questo principio o atman non è soltanto suo. 
Quale è la causa di tutta questa infelicità? Nel canone Pali si dice: "è quella brama che genera la nuova rinascita, e legata alla lussuria e all'avidità trova, ora qua, ora là, sempre nuovo piacere. Il desiderio, può  comunque essere indirizzato e trasformato in compassione!. 
D. T. Suzuki sottolinea che l'addestramento buddhista consiste nel trasformare il trisna nel karuna, l'amore egocentrico in universale.  Nel processo di crescita l'individuo diventa antisociale, cattivo, sviluppa desideri che portano a sofferenza e la causa è essenzialmente avida, l'ignoranza. 
La grande eresia della separatezza distoglie dal resto. Non ci son altri, non c'è differenza. La totalità del samsara è tutto ciò  che è in esso e  non rivela altro che l'assoluto. Il samsara agli occhi dell'assoluto è maya. 
Ma come posso liberarmi dell'ego? Come posso io liberarmi di me? 
Sempre Sukuzi ha scritto: "l'illuminazione consiste nel vedere l'ego assoluto come riflesso nell'ego relativo è che agisce attraverso di esso". 
Perché  percorriamo il sentiero? Dovremmo cercare di metterci al servizio del genere umano, è  preferibile manifestare amore che ottenere un rapimento estatico, non è un sacrifico ma solo un'opportunità  di servire. Si devono giudicare gli uomini in base ai loro moventi e all'effetto morale delle loro azioni. 
Per quanto riguarda il Sè, la scuola Theravada afferma che non esiste nessun sè di alcun tipo, ma Suzuki sottolinea che la negazione dell'atman si riferisce all'ego relativo e non all'ego assoluto, ossia l'ego dopo l'esperienza dell'illuminazione. Il sentiero dovrebbe essere percorso fin dal principio con una mente che si risveglia alla saggezza e un cuore che si risveglia alla compassione, infatti i due sono uno solo. La scuola della giusta azione sul sentiero è la vita quotidiana. 
Hui-neng il fondatore della scuola Zen dice: coloro che desiderano allenarsi spiritualmente possono farlo in casa, e superfluo vivere nei monasteri. R.B. Blyth dice: 'la perfezione significa non azioni perfette in un mondo perfetto, ma azione appropriata in un mondo imperfetto'. In verità nessuna azione ci lega, ma solo il nostro atteggiamento verso di essa. 
In The root and the flower, l'autore A. L. Myers faceva dire ad un vecchio maestro: "nessun uomo può  dare ai suoi simili maggior beneficio che con la forza del proprio esempio". Prima di meditare dovremmo essere in grado di controllare noi stessi, e questi metodi possono portare a qualche esperienza al di là di tutta la dualità, dell'assoluto, che il Buddha chiamò il Non nato
Esperienza indimenticabile ma incomunicabile. Tutto è nella mente: il percorso,  il pellegrino e la metà. Nulla è tranne la mente del Buddha
E la metà? Silenzio, e un dito indica la Via. Lo scopo del buddhismo è la liberazione dalla rinascita, dall'attaccamento, a cui ci lega il desiderio fino a che è minimamente 'egoistico'. Il discepolo viene allenato a ricordare le proprie vite precedenti. L'uomo non può sfuggire alle sue azioni malvagie, perciò tutto ritorna all'an-atta, il falso sè che costruisce la casa dell'illusione. 
Il Buddha  proponeva la dottrina del nessun Sè e l'impermanenza dell'individuazione e l'altruismo. Mrs Rhys Davids, una delle prime studiose di Pali dice: "l'uomo vero e proprio, sè, spirito, anima, purusa, non è reale". Il primo buddhismo propose una dottrina della rinascita in una forma ben definita. Il sostenere o negare un Sè non conduceva alla pace della mente. Nei cinque skanda (i cinque aggregati sono: forma, rūpa; sensazione, vedanā; percezione, saññā; formazioni karmiche, saṅkhāra; coscienza, viññāna) che sono gli elementi costituenti la personalità, non si può trovare alcun Sè permanente, il resto è silenzio, infatti nulla di utile si può dire del Non Nato, di cui l'Atta è un riflesso. 
Nel canone Pali viene indicato un sè minore e un sè maggiore chiaramente distinti, e il più grande sè è descritto come abitatore dell'incommensurabile. Il sè è signore del sè, e il sè è destinazione del sè.  Il Sè che è in te, sa ciò che è vero e ciò che è falso. 
I primi monaci attaccarono il concetto di atman (degradato ai tempi del Buddha fino a una cosa della dimensione di un pollice, nel cuore umano), si spinsero troppo oltre dichiarando "nessun se, nessun sè" che poi prese piede.  Secondo il Buddha i praticanti dovrebbero dirigersi verso il Più finché non si affrancano dall'attaccamento alla Ruota della rinascita nella conscia consapevolezza dell'immutabile. Allora cosa rinasce? Secondo l'autore potrebbe essere un continuum separato di impulso karma oppure un raggio della luce del Non Nato, Quello che rinasce non è immutabile e quindi non rinasce certo l'anima immortale.  L'uomo è un mero groviglio di skanda, nuovo di momento in momento, di nascita in nascita, (che possiamo chiamare carattere) finché non è disperso con l'estinzione del desiderio. Ma finché ciò non accade l'individuo è un essere con un passato definito che può ricordare grazie a un appropriato allenamento. E' l'individuo che deve compiere lo sforzo, il Buddha indica solo la via. 
La dottrina Anatta non è di alcun impedimento alla dottrina della rinascita. Il Buddha ha insegnato che due sono i sè, Atta e Non-Atta ( il Sè è il signore del sè) ed entrambi sono le manifestazioni, come ogni altra cosa, del Non Nato, Non originato, Non formato, il Parabrahman dell'induismo, lo spirito di San Paolo.  
Il Mahayana non si è mai curato della noiosa questione della scelta tra rinascita e anatta, mentre il Theravada ha molto insistito sul concetto del nessun sè, nessun sè. L'autore preferisce la libertà e la gioia del processo universale, la sua unità vivente con il Non nato da cui proviene.
Il Sè è, e nulla è non sè in essenza e il Sè, l'essenza della Mente pura come l'ha chiamato Hui-neng, è il Buddha interiore, proprio come gli skanda, grevi di illusione, non sono coscientemente il Sè: "questo non è il Sè di me!". 
 

Tre libri sulla vita del Buddha:

  • Life of the Buddha di Mrs Adam Beck;  
  • Life of the Buddha di E. H. Brewster;  
  • The life of Buddha in Legend and History di E. J. Thomas.

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