In generale, si può dire che, sulla scia del pensiero Vedānta, il Buddhismo delle origini determina la mente
come antahkarana, ossia come “organo” interno, dotato delle funzioni che consentono il darsi delle sensazioni, dei pensieri, dei ricordi e della capacità di distinguere. Con questa valenza generale non viene intesa come autocoscienza, ma, come uno speciale organo di senso, come “base sensoriale” che ha per oggetto le idee e che controlla le altre cinque “basi” sensoriali, cioè l’attività dei cinque sensi.
Tuttavia il concetto di “mente” viene determinato in modi più specifici, secondo denominazioni particolari che rinviano a funzioni particolari. Nella ruota della vita, Bhavachakra la mente viene associata alla raffigurazione di una scimmia che salta di qua e di là, per indicare quanto la mente sia sottoposta alle sollecitazioni che le derivano dai sensi e dagli istinti.
Differentemente dall’approccio occidentale, quel che noi chiamiamo “coscienza” nel Dharma è una formazione unitaria che consta tuttavia di tre differenti aspetti o modalità: citta, manas e vijnana.
- Citta è il terreno, la base fondamentale da cui sorgono manas e vijnana. Citta indica in generale l’equivalente di manas e di vijnana ma, in particolare, viene ad essa attribuita la facoltà di conferire consistenza ai fenomeni. Col termine cetasikā si indicano nel dettaglio le attività della coscienza presenti nei fattori mentali concomitanti agli atti conoscitivi.
- Manas a sua volta è la mente soggettiva. Col termine manas viene indicata la capacità di pensare, nel senso di cogliere e raccogliere le impressioni provenienti dal mondo esterno; dubitare delle certezze acquisite; prendere delle decisioni.
- Vijnana è la coscienza intesa come operatrice di distinzioni dualistiche entro il campo dei dati esperienziali. Col termine vijnana si indicano due realtà: i processi interni della coscienza; e lo spazio interiore nel quale tali processi si producono, si dispiegano e si dissolvono. Con questa funzione, vijnana si definisce come luogo centrale in cui confluiscono tutti gli atti della percezione, della rappresentazione e della memoria che sono determinati, in modi e a livelli diversi, dalla forza dei desideri.
La coscienza è intesa come la capacità di vedere, sentire e comprendere il momento presente. Le scuole buddhiste individuano una rete ottuplice di coscienze primarie. L’ottava coscienza, contiene l’energia potenziale, positiva e negativa, creata dai nostri pensieri, parole e azioni. Questo potenziale di energia, o tendenza vitale profonda, viene chiamata karma. L'ottava coscienza è perciò talvolta definita “deposito” del karma, il luogo dove questi “semi” karmici vengono “accumulati”.
Il testo Mahayana-Sraddotpada Shastra di Asvaghosha (I-II secolo d.C) individua almeno cinque momenti di tale formazione, che sono altrettanti livelli o aspetti in cui manas e vijnana si enucleano dalla base di citta.
1) La mente attivante. E’ quel tipo di mente del tutto inconscia che sorge come “ignoranza fondamentale” e che spezza l’equilibrio originario e primordiale. (Inconscio profondo)
2) La mente che evolve. Si tratta del tipo di mente che sorge in seguito alla rottura dell’equilibrio e che si pone come polo soggettivo nei confronti di un polo oggettivo fenomenico.
3) La mente riproduttiva. E’ la mente che riproduce come uno specchio e immediatamente l’intero mondo degli oggetti. ( elaborazione “archetipica” della mente inconscia, studiato da Jung)
4) La mente analitica. Stabilisce continuamente distinzioni tra “buono” e “cattivo” ( quasi anticipa storicamente l’enunciazione freudiana del super-ego).
5) La mente che continua. E’ la coscienza vera e propria che crea ininterrottamente il karma attraverso l’infinita catena della vita.
Il Dharma tuttavia non fa della “coscienza” una semplice struttura, ma la pone all’interno di una dinamica in cui tutti i suoi aspetti si producono ed autoriproducono continuativamente in una mutua interdipendenza. Questo è l’elemento essenziale che determina la distanza fra i due approcci (occidentale e orientale) : nella tradizione occidentale le dinamiche della coscienza vengono affrontate soprattutto nel loro impatto relazionale (interno-esterno o psicologico-ambientale).
Nel Dharma esiste una relazione strettissima – nell’economia della coscienza – fra aspetto cognitivo ed aspetto emozionale, fra energia cognitiva ed energia delle passioni. In termini buddhisti: fra mente e karma.
Il karma infatti se da un lato è quell’energia di oscurazione che sta alla base della mente attivante (primo livello di formazione), dall’altro è il prodotto dell’attività della mente che continua (quinto livello di formazione): i due momenti si saldano fra loro.
La mente che continua (che è la coscienza vera e propria o vijnana) oscura con la sua attività la base fondamentale, provocando così quella scissione soggetto-oggetto che rappresenta il momento iniziale della formazione della coscienza stessa (mente attivante).
Il testo di Asvaghosha individua sei livelli di attestazione del karma oscurante. Questi vanno dai più superficiali ai più profondi, la cui risoluzione è direttamente proporzionale all’avanzamento lungo il sentiero del Dharma.
I primi due livelli di oscurazione karmica sono i più superficiali e si situano a ridosso dell’ego e della mente che continua, mentre il terzo sta alla base della mente analitica.
Questi primi tre livelli di karma sono detti “uniti” con i rispettivi aspetti della mente, nel senso che permeano contemporaneamente il polo soggettivo e quello oggettivo, producendosi e riproducendosi dunque dopo l’avvenuta scissione soggetto/oggetto.
Gli altri tre livelli sono i più profondi e si attestano rispettivamente alle basi della mente riproduttrice, della mente che evolve e della mente attivante e sono descritti come “disuniti” da quegli stessi aspetti profondi della mente che si sono enucleati e dunque sono da considerarsi anteriori alla scissione dei poli soggettivo ed oggettivo.
Questi livelli di attestazione del karma sono funzionali al momento di riproduzione della mente nel suo complesso e la loro mutua interrelazione costituisce la trama karmica che la coscienza egoica percorre nelle sue continue trasmigrazioni, come risultato del suo partecipare alla dinamica complessiva dell’intera mente.
Secondo la definizione buddhista, la mente è mera lucidità e consapevolezza e si riferisce all’attività mentale, soggettiva e individuale, di sperimentare le cose. Lucidità significa dare origine ad apparenze cognitive di cose, simili ad ologrammi mentali, e consapevolezza si riferisce all’interazione cognitiva con essi. Mera implica che questo avviene senza un “io” monolitico, separato e inalterato che sta controllando oppure osservando questa attività. L’“io” esiste, ma meramente come una designazione basata su una continuità di momenti mutevoli in cui si sperimentano cose mutevoli.
I modi di essere consapevoli di qualcosa includono tutte le tipologie di attività mentale. Essi includono:
• Le coscienze primarie.
• I fattori mentali.
• La consapevolezza riflessiva (solo alcune scuole la propongono)
La consapevolezza riflessiva accompagna ciascun momento di cognizione non concettuale e concettuale di un oggetto, sebbene essa stessa rimanga sempre non concettuale. Essa si concentra e conosce soltanto le altre consapevolezze della cognizione – vale a dire la coscienza primaria e i fattori mentali – nonché la loro validità.
Essa non conosce gli oggetti delle coscienze primarie e dei fattori mentali su cui si focalizza.
A differenza della visione occidentale della coscienza come una facoltà
generale che può essere consapevole di tutti gli oggetti sensoriali e
mentali, il Buddhismo differenzia sei tipologie di coscienza, ciascuna
delle quali è specifica ad un campo sensoriale o al campo mentale.
- Coscienza visiva
- Coscienza uditiva
- Coscienza olfattiva
- Coscienza gustativa
- Coscienza tattile
- Coscienza mentale.
Una coscienza primaria conosce meramente la natura essenziale di un oggetto, che significa la categoria del fenomeno a cui qualcosa appartiene. Ad esempio, la coscienza visiva conosce una vista semplicemente come una vista.
Alcune scuole aggiungono due tipologie ulteriori di coscienza primaria per formare una lista di una rete ottuplice di coscienze primarie:
- La Consapevolezza illusa conosce il suo fattore di maturazione come un falso “io”. Ad un livello grossolano, essa lo conosce come un “io” che esiste come un’entità statica, monolitica, indipendente dai suoi aggregati. Gli aggregati si riferiscono ai cinque fattori aggregati che comprendono ciascun momento della nostra esperienza. I cinque sono le forme di fenomeni fisici (incluso il corpo), la sensazione di un livello di felicità, la distinzione, le altre variabili influenzanti (emozioni eccetera), e la coscienza primaria.
- Coscienza fondamentale, onnicomprensiva, coscienza deposito. Essa porta con sé le eredità karmiche e le impressioni mentali delle memorie. La continuità individuale cessa con l’ottenimento dell’illuminazione.
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