martedì 21 ottobre 2025

Intervista a Malala - Ottobre 2025

Malala: “Dopo l’attentato dei talebani e il Nobel, vi racconto chi sono davvero
Articolo di  Antonello Guerrera pubblicato sul Venerdì di Repubblica. Ottobre 2025 

Malala Yousafzai, è pachistana, ed è la più giovane premio Nobel per la pace, diventata un monumento mondiale a 15 anni dopo esser sopravvissuta alla brutale esecuzione dei talebani. Che, il 9 ottobre 2012, nel distretto pashtun di Swat, le spararono in testa per il suo impegno in nome dell’istruzione femminile e dei diritti delle bambine del suo Paese.  Chi è Malala?», chiese il terrorista talebano quando salì sul suo scuolabus.

Oggi Malala non è più una bambina. A 28 anni continua a battersi per le nuove generazioni di tutto il mondo. Ma ormai è una donna. Si è laureata a Oxford, si è sposata con l’amato Asser Malik, conosciuto all’università. Intanto però, dietro le quinte, ha combattuto fantasmi, dolori, problemi mentali, come rivela nel suo ultimo libro, Finding My Way. Un diario ottovolante di sogni, speranze, illusioni, dilemmi esistenziali tra party universitari e dogmi dell’Islam, interventi chirurgici e iniezioni di botox per avere un volto «più simmetrico» dopo il nervo facciale reciso dallo sparo. Ma anche un eccezionale romanzo di formazione della star di milioni di ragazze nel mondo, che finalmente ha trovato la sua strada. 

 

L'intervista all’attivista pachistana,  rivela il lato invisibile del coraggio: la paura, la guarigione, il matrimonio e la scoperta della propria umanità. Una bambina diventata donna

LONDRA – «Non ho mai parlato di me in pubblico, delle mie emozioni, della mia vita privata. Ma è venuto il momento di farlo».  Si confessa in in questa intervista. 

Perché questo libro ora?
«Perché molte persone pensano che io sia ancora una bambina. Invece, quello era solo l’inizio del mio viaggio per diventare donna. Dunque, vorrei dire al mondo chi sono davvero».

E chi è, davvero, Malala?

«Una persona in pace con se stessa, anche grazie all’università, il primo momento in cui ho iniziato a vivere senza genitori. Certo, avevo sempre la scorta con me, ma finalmente lì ho iniziato a conoscere me stessa: non mi era più negato andare a una festa con le amiche, o persino parlare di ragazzi maschi. Per la prima volta, mi sono sentita trattata dagli altri coetanei come un’amica, e non come “l’attivista mondiale Malala”. Così è arrivata anche la mia liberazione: non dovevo più essere sempre perfetta in ogni cosa che dicevo, o pensare due volte prima di esprimere un pensiero».

E ora, cosa si aspetta dal futuro? Magari, dopo essere diventata donna, diventare madre?
«Non lo so. Dieci anni fa non pensavo di sposarmi così presto. Ma una cosa è certa».

Cosa?   «Ho imparato che, nonostante le nostre grandi passioni, non bisogna rinunciare all’amore e ai nostri amici. Anni fa credevo che, per fare l’attivista mondiale, avrei dovuto essere inappuntabile, annullare tutta la mia vita privata, rinunciare agli affetti. E magari trovare un compromesso sull’amore, perché in Pakistan non puoi convivere con un uomo prima del matrimonio. Non è così. Per essere dei bravi attivisti, bisogna essere anche se stessi, ed essere in pace con se stessi. E non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto. Io l’ho fatto, quando ho sofferto di problemi mentali – che mai mi sarei aspettata di avere».

Quando sono sorti?
«Dopo aver fumato per la prima volta della marijuana, con amici, a Oxford. Sono stata molto male: il corpo si è paralizzato, mi sentivo come se i talebani mi avessero sparato di nuovo. Il cuore continuava a battermi forte, sudavo e avevo paura di chiudere gli occhi. Temevo, dopo averla scampata una volta, di non risvegliarmi più. Sono andata in coma farmacologico. Pochi giorni dopo ho iniziato ad avere attacchi di ansia, panico, e continui flashback del mio tentato assassinio, nonostante 13 anni fa pensavo di aver rimosso tutto. Invece, quell’orrore è tornato. Per me è stata una doppia tragedia, anche perché una donna in Pakistan non può permettersi di avere problemi mentali o soffrire di depressione, altrimenti viene esclusa, diventa una paria».

Per fortuna era già in Inghilterra quando è successo.

«Sì, ma non sapevo comunque cosa fare. E quando ne parlavo con i miei genitori, mi dicevano di passare oltre e pensare positivo. Sono stati gli amici a farmi uscire da quel tunnel. Una di loro mi ha consigliato uno psichiatra con il quale sono stata molto meglio».

E soffre ancora di quei flashback?
«Purtroppo sì, e sono imprevedibili. Di recente, anche in Sudafrica, durante un evento dedicato a Nelson Mandela. Pensavo di morire, ma per fortuna stavolta c’era mio marito con me (Malala si è sposata, l'annuncio su Twitter il 09 Novembre 2021). Sono sempre stata etichettata da tutti come coraggiosa e audace. Ma, in quei momenti di panico, sentivo che non lo ero affatto. Alla fine però ho capito: il vero coraggio è ammettere le proprie debolezze, rialzarsi e continuare. Non è affatto coraggioso chi sopprime i propri sentimenti e le proprie fragilità».

La fama dopo l’attentato, e il fatto di essere un modello per tante bambine, sono stati un peso per lei?
«Sì, ed è anche per questo che voglio dire la verità alle ragazze che stanno lì fuori. Che magari pensano che io sia perfetta, coraggiosa, invincibile, e che non possa sbagliare mai. Non è così. Perciò voglio metterle in guardia e dire loro che è normale avere momenti di difficoltà, e che non sono sole».

Nel suo recente libro Coltello, Salman Rushdie ha raccontato l’incontro in tribunale con il suo aggressore. Lei, se si ritrovasse faccia a faccia con i suoi killer, cosa gli direbbe?
«Di ribellarsi contro chi li ha addestrati all’odio e all’estremismo. I miei killer sono stati arrestati e poi tenuti in prigione per dieci anni, ora sono liberi. La soluzione non è mai la vendetta. L’unica vera risposta è dare ancora più potere e istruzione alle donne e alle bambine, contro gli estremismi che vorrebbero annullarle».

Come fa lei, anche in questo suo libro, ad avere ancora speranza? Per esempio: le donne afghane sono ripiombate nel Medioevo, dopo il fallimento americano nel 2021…
«Per me è facile perdonare qualcuno che mi ha fatto del male, a livello personale. Ma è più difficile con coloro che invece opprimono sistematicamente milioni di persone. Non riesco ad accettare che i Talebani siano tornati al potere in Afghanistan, a vessare milioni di donne e ragazzine, erodendo i loro diritti e libertà, giorno dopo giorno, con cento editti in quattro anni. Non possono più andare al lavoro, studiare o nemmeno parlare. E noi non possiamo abbandonarle. Con la mia fondazione, Malala Fund, sosteniamo l’insegnamento online e le scuole clandestine in Afghanistan. Ma i Paesi occidentali devono fare molta più pressione su terroristi come i talebani e contro questo apartheid sessista. Non ci possono essere compromessi sulla vita delle donne e delle bambine afghane».

Anche in Occidente, purtroppo, i femminicidi sono una piaga immane.
«È vero, e a volte sì, mi sembra di perdere ogni speranza. Ma poi la riconquisto perché non abbiamo tempo da perdere. Perché ogni giorno vediamo negare i diritti e il progresso a donne e ragazze in tutto il mondo, mentre la misoginia impera. I leader mondiali mi sembrano paralizzati, non fanno abbastanza per proteggerle, in Afghanistan ma non solo».

Nel suo libro, suo padre Ziauddin sembra molto più “liberal” di sua madre, Toor Pekai, che invece la redarguisce. Una volta, durante un evento, si permise persino di scacciare il braccio del principe Harry dalla sua spalla. Come mai?
«Perché mio padre ha vissuto da uomo, con molte più libertà di mia madre, che invece ha subìto il patriarcato per tutta la vita, non è potuta andare a scuola ed è dunque rimasta ossessionata dai diktat dell’onore di famiglia. Papà invece sa che cos’è la libertà, ed è perciò che mi ha sempre sostenuto nelle mie battaglie. È stato anche la liberazione di mia madre – con cui ancora oggi ogni tanto litigo: è una donna molto severa...».

Lei e la sua famiglia vi siete rifugiati in Inghilterra. Cosa prova di fronte ai continui attacchi verbali (e non soltanto verbali) contro immigrati e richiedenti asilo, da parte di Farage, che potrebbe presto diventare primo ministro qui a Londra, o di Trump in America?
«Essere rifugiati non è una scelta. Ho incontrato tante bambine e ragazze nel mondo sfuggite a regimi brutali, violenza, oppressione. Come insegna la mia storia, non avrebbero mai voluto lasciare le loro case, le loro città. Vogliono solo vivere in pace e dignità. Ma non era possibile. Dobbiamo parlarci di più tra di noi, ascoltare le tragiche storie di dolore e resistenza di queste persone prima di accettare la narrativa populista sui rifugiati. Perché non stiamo andando nella giusta direzione, niente affatto».

Lei di recente è stata in Egitto, per ascoltare anche le tragiche storie dei bambini di Gaza.
«Si, sono andata ad incontrare le famiglie palestinesi in fuga. Ad ogni bambina o ragazzina che ho incontrato, era stato ucciso o ferito un membro della famiglia, spesso davanti ai loro occhi. Sono traumi che noi non riusciamo nemmeno a immaginare. Non abbiamo fatto abbastanza contro questo genocidio. Doveva essere fermato prima. E bisognerà fare sempre più pressione su Israele, che dovrà pagare per le sue azioni. I leader mondiali hanno per troppo tempo abbandonato i palestinesi. In Egitto ho incontrato una bambina che cercava di disegnare qualcosa con la mano sinistra, perché non potrà più utilizzare quella destra che è stata gravemente ferita durante i bombardamenti. Però i bambini alla fine trovano sempre un modo per continuare a vivere. Nonostante tutto».

Nessun commento:

Posta un commento

Introduzione al Blog

  Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono c...