- Il disagio e malessere che proviamo di fronte a determinate situazioni (o se vuoi il suo opposto, la serenità) non dipende dalle situazioni o dalle circostanze ma dalla nostra reazione ad esse.
- Non sono gli altri che creano la nostra sofferenza ma la nostra reazione alle loro azioni.
- Il pensiero che produce sofferenza o disagio NON è volontario, è prodotto dal nostro inconscio.
- Insicurezze ed ansie sono incise nella memoria e i pensieri le riproducono.
- Noi siamo dominati da tutto quello con cui ci identifichiamo.
- Possiamo raggiungere uno stato di tranquillità interiore solo con l’osservazione distaccata dei pensieri e mettendo sotto controllo la mente (eliminando i pensieri negativi e costruendo pensieri positivi) aiutandoci con la tecnica del controllo del respiro.
- Non arrecare sofferenza agli altri è un imperativo categorico che non può essere scisso dall’impegno di non generare sofferenza dentro di sé.
- Il voler eliminare la sofferenza degli altri (o voler aiutare gli altri) a tutti i costi o il farsi carico delle sofferenze degli altri non è positivo (è nevrotico).
- Occorre dare priorità al cercare di togliere la sofferenza dentro di noi.
- Non dobbiamo farci carico di tutti i problemi del mondo.
- Se qualcuno chiede aiuto aiutiamolo ma non bisogna diventare schiavi del complesso del boy scout.
- Gli altri hanno il diritto di essere come sono, indipendentemente dalle nostre aspettative.
- Spesso le paure sono immaginarie, create da noi stessi.
- Non sono gli altri che creano la tua sofferenza ma la tua reazione alle loro azioni.
- Spesso diamo all’altro la colpa della nostra sofferenza.
- Se una persona scappa, è dovuto spesso al fatto che non erano fatti l’uno per l’altra.
- Se qualcuno chiede aiuto daglielo.
Le quattro nobili verità nel buddhismo sono:
- L’esistenza della sofferenza (l’assenza di ciò che si ama, il desiderio)
- La causa della sofferenza (disagio) è l’attaccamento (alle cose o persone)
- La sofferenza può estinguersi con l’estinzione della causa della sofferenza stessa che è l’attaccamento.
- La via che conduce all’estinzione della sofferenza è l’ottuplice sentiero
Il nobile ottuplice sentiero è composto da:
- Retta comprensione (illuminazione, retta conoscenza, la realtà è un continuo divenire ed è impermanente).
- Retto pensiero (né confusione, né ira, né desiderio, né libidine). Pensiero positivo.
- Retta parola.
- Retta azione.
- Retti mezzi di sussistenza (esercitare una professione che non procuri sofferenza a noi e agli altri), condurre una vita NON contraria alla morale nella quale si è educati.
- Retto sforzo consiste nella volontà di attuare la retta concentrazione e osservazione dei pensieri
- Retta presenza mentale (consapevolezza), portare la presenza nella realtà, vivere il qui e ora.
- Retta concentrazione (osservazione distaccata dei pensieri)
Gli obiettivi del nobile ottuplice sentiero sono lo sviluppo dei seguenti poteri:
Controllo della mente. Il
pensiero è usato volontariamente per risolvere problemi pratici, il
KOAN zen serve a far capire all’allievo che il pensiero è inutile
e a far rivolgere l’attenzione alla realtà. Occorre
distinguere il mondo della mente dal mondo della realtà. Un
monaco zen ti chiederebbe “Mostrami la mano dove tieni la
sofferenza”.
Presenza nella realtà. Consapevolezza del cambiamento (è l’illuminazione). Tutto è in continua trasformazione, tutte le cose sono interdipendenti. Avere aspettative è causa di sofferenza. Un individuo dovrebbe riuscire a fare a meno di punti di riferimento. La sofferenza ha tre cause immediate:le aspettative, le paure e i sensi di colpa.
Non attaccamento. Ci sono due tipi di attaccamento: materiale ed affettivo. Non occorre avere una pretesa di possesso, volere essere amati, non pretendere ciò che non c’è, ma apprezzare e godere di ciò che c’è. La consapevolezza della precarietà della vita ti fa apprezzare di più le cose.
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