venerdì 6 agosto 2021

I testi fondamentali del Buddhismo

Tra i testi fondamentali del buddhismo troviamo sicuramente il Dhammapada, il cammino del Dharma  e il Bardo Tödöl,  noto nei paesi occidentali come Libro tibetano dei morti  e rielaborato come Il libro tibetano del vivere e del morire da Sogyal Rinpotché.

 Il Dhammapada buddhista.    Testo in Pdf            Testo completo in inglese 

Il Dhammapada è uno dei testi più importanti del buddhismo, ed è molto popolare in tutte le sue scuole e tradizioni, specialmente Theravada. Il Dhammapada è stato considerato l’espressione più sintetica della dottrina del Buddha e una sorta di suo testamento. “Dhammapada”, in Pali, significa porzioni, aspetti, o sezioni del Dhamma (o Dharma). È così chiamato perché, nei suoi 26 capitoli, enuncia i molteplici aspetti dell’insegnamento del Buddha.

Alcuni versi del testo:

  • Siamo ciò che pensiamo.
  • Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
  • Ogni parola o azione che nasce da un pensiero torbido è seguita dalla sofferenza, come la ruota del carro segue lo zoccolo del bue
  • Siamo ciò che pensiamo, Tutto ciò che siamo è prodotto dalla nostra mente.
  • Ogni parola o azione che nasce da un pensiero limpido è seguita dalla gioia, come la tua ombra ti segue, inseparabile.
  • «Mi ha insultato, mi ha aggredito, mi ha ingannato, mi ha derubato.» Se coltivi questi pensieri vivi immerso nell'odio.
  • «Mi ha insultato, mi ha aggredito, mi ha ingannato, mi ha derubato.» Abbandonando questi pensieriti liberi dell'odio
  • In questo mondo l'odio non può porre fine all'odio. Solo l'amore è capacedi estinguere l'odio. Questa è la legge eterna

Nell'intero vastissimo canone delle scritture buddhiste, non abbiamo nulla che possiamo indicare con certezza come testuali parole del Buddha. Ma non c'è dubbio che questi testi riflettono lo sforzo dei discepoli diretti, di tramandare il più fedelmente possibile le parole del Buddha.  Significativamente certi testi cominciano con le parole:    "Così ho udito ... "  e  Non "Così ha detto Buddha".
Il Dhammapada è una raccolta, compilata parecchi anni dopo la morte di Buddha, di aforismi tramandati e ricordati come parole del maestro.  Non è proprio una raccolta organica  e le frasi, affermazioni ed esortazioni, sono raccolte per temi (la consapevolezza, la mente, la gioia, il piacere, l’ira, ecc. ) e spesso sono state alterate da interpretazioni successive. Questo libricino, il più amato e il più letto dell'intero canone buddhista, è un tesoro inestimabile perchè anche se filtrato o modificato riporta l'insegnamento del Buddha.

L'insegnamento del Buddha.  Il primo e fondamentale di questi concetti è proprio quello del risveglio, bodhi, illuminazione o liberazione. 'Risveglio' significa superare lo stato della nostra coscienza ordinaria.  La nostra ordinaria percezione del  mondo è  fondamentalmente 'illusione' come è  illusione l'esistenza di un 'sé', come qualcosa di individuato e separato dal tutto. Alla base di questa illusione primaria c'è l'ignoranza: uno stato di offuscamento in cui non siamo in grado di percepire la vera realtà delle cose.  Perduti in questo ciclo del samsara, dell'esistenza illusoria, gli esseri si trascinano di vita in vita.
Alla base della filosofia buddhista ci sono le 'quattro nobili verità, di Buddha. Esse sono: l'esistenza è sofferenza; questa sofferenza ha un'origine; essa ha anche una fine; il cammino che conduce al risveglio porta alla fine della sofferenza. Questa sofferenza ha la sua origine nell'ignoranza e nel desiderio.
Altro elemento importante è il concetto del karma, secondo cui ogni azione lascia delle tracce sottili nella coscienza di chi la compie, in un ciclo di trasmigrazioni. Il concetto di reincarnazione può essere anche interpretata in maniera psicologica. La vita del nostro corpo e della nostra coscienza è un flusso costante: in un certo senso moriamo e rinasciamo in ogni momento.  E ogni momento rinasciamo portando con noi le tracce del nostro passato, il nostro karma istante per istante.  In questo senso il Dhammapada è un invito a concentrare tutta la nostra attenzione, tutta la nostra energia, tutta la nostra consapevolezza, tutta la nostra capacità di risveglio in ogni attimo di vita. 

Enunciati come 'l'esistenza è sofferenza' o l'invito a trascendere ogni desiderio, possono essere letti in chiave pessimistica come negazione della gioia e della bellezza, e come conseguenza dedicarsi totalmente all'ascetismo. Ma fortunatamente, i buddhisti interpretano diversamente questi enunciati e considerano la sofferenza come un'esperienza della mente, che sorge quando l'IO non ottiene quello che desidera.  I buddhisti considerano che questo IO non ha un'esistenza reale, non esiste come entità autonoma e permanente. Quindi perchè dovremmo soffrire? Anche nella reincarnazione questo IO è visto come un continuum, un  flusso di coscienza che si trasmette. Poi non bisogna dimenticare che proprio il Buddha raggiunse l'illuminazione, quando abbandonò le pratiche ascetiche e adottò la cosidetta terza via.  Un ostacolo all'illuminazione potrebbe essere proprio il desiderio dell'illuminazione.  Perciò, dice l'ultimo capitolo del Dhammapada, il bramino 'non desidera nulla, né in questo né nell'altro mondo'.

 Il libro tibetano del vivere e del morire di Sogyal Rinpotché, include una grande parte dedicata proprio alla preparazione alla morte, all'aiuto ai morenti, e al processo della morte. La morte rappresenta l'ultima e inevitabile distruzione di quello a cui noi siamo attaccati di più: noi stessi. Si vede come gli insegnamenti sul non-ego e la natura della mente possono aiutare. Conviene quindi, all'avvicinarsi della morte, cercare di coltivare il non-attaccamento, l'altruismo, la gioia. Noi preferiamo non pensare alla morte, ma il pensiero della morte non ha niente di deprimente, se lo utilizziamo come un richiamo,  allo scopo di restare coscienti della fragilità dell'esistenza e dare un senso ad ogni istante della vita. Un maestro tibetano ha detto: "Contemplando costantemente la morte, porterete la vostra mente verso la pratica spirituale, rinnoverete il vostro ardore verso la pratica, e vedrete la morte come l'unione con la verità assoluta".

Bardo è una parola tibetana, composta da “bar” che significa “fra, che sta in mezzo” e “do”,  ovvero “posto, isola”. Così bardo può essere tradotto “il posto che sta in mezzo” o “stato intermedio”. Il Bardo significa quindi transizione, stato intermediario, ce ne sono diversi di questi stati intermediari nella vita:

  • Bardo della sfera esistenziale (luogo di nascita),    
  • Bardo dello stato onirico,    
  • Bardo della meditazione,     
  • Bardo dell'esperienza di morte,     
  • Bardo dell'esperienza della realtà,    
  • Bardo nella ricerca della rinascita.

 Uno è il bardo della vita, lo stato intermediario tra la nascita e la morte; poi c'è il bardo al momento della morte, al momento in cui la coscienza si separa dal corpo, in questo caso si parla di due fasi: la dissoluzione esteriore delle capacità fisiche e sensoriali, e la dissoluzione interna dei processi mentali. La prima è comparata al riassorbimento dei cinque elementi che costituiscono l'universo (terra, acqua, fuoco, etere, aria), quando l'aria è riassorbita cessiamo di respirare, non possiamo muoverci e perdiamo conoscenza, riviviamo la nostra vita nella nostra mente. Poi c'è il bardo del divenire, è qui che cominciano ad apparire le modalità del prossimo stato di esistenza. 

Alcuni versi del Bardo della morte:  “oh figlio ... ora è giunta per te l’ora di cercare una via. Nell’attimo in cui il tuo respiro svanisce, sorge la cosiddetta Chiara Luce del primo Bardo. Ricorda le parole del tuo maestro. Questa è la luce della Dharmata vacua e profonda come lo spazio, luce che splende nuda, pura, senza centro ne luogo, immacolata Coscienza assoluta. Riconoscila, entra in lei e riposa in quello stato che io stesso verrò a rivelarti”.

Il Bardo Tödöl  noto nei paesi occidentali come Libro tibetano dei morti risale all'VIII secolo d.C. ed è stato composto per aiutare chi si accinge a trasmigrare di vita in vita e ad affrontare, in piena consapevolezza, questo cruciale momento.   Sintesi        Vedi testo

Il Bardo Thodol, questo il titolo originale, è un testo classico del Buddhismo tibetano e fu composto in sanscrito, come detto,  dal grande maestro Padma Sambhava, una figura semileggendaria, nell’VIII o nel IX secolo, ma fu occultato e venne riportato alla luce solo nel XIV secolo dallo “scopritore di tesori” spirituali Karma Lingpa. Il testo descrive le esperienze che l'anima cosciente vive dopo la morte, o meglio nell'intervallo di tempo che, secondo la cultura buddhista, sta tra la morte e la rinascita. 

Il libro tibetano dei morti è una delle più imponenti opere della cultura di tutti i tempi, uno dei testi della spiritualità orientale che ha avuto maggiore influenza anche sul pensiero occidentale. Tra i primi a commentare in Italia questo testo fu, negli anni Trenta, il famoso orientalista Giuseppe Tucci. Da allora si sono succedute a ritmo frenetico riedizioni e commenti sempre nuovi. Giuseppe Tucci lo traduce con “Il libro della salvazione", e invece Evans Wents, che per primo lo tradusse in inglese nel 1927 e lo divulgò in Occidente, gli diede il titolo più suggestivo di "Libro tibetano dei morti" e da allora è conosciuto così.  Chi lo ha letto è rimasto smarrito o scosso. L'abissale profondità del pensiero tibetano ha già turbato diverse generazioni in Occidente; in modo particolare l'occidentale è rimasto turbato dalle strane visioni descritte da Alessandra David-Neel e dalla traduzione di W. Y. Evans Wentz, dei libri tibetani dei morti.   Alessandra David-Neel era una esploratrice francese, una delle prime donne ad entrare in Tibet e Wentz era un antropologo e scrittore americano pioniere nello studio del buddhismo tibetano.

Grazie anche ai suoi versi di commovente bellezza, il libro costituisce un raro messaggio di saggezza, una guida completa all'esistere che insegna a trasformare in profondità la nostra realtà quotidiana. Redatto in forma di breve trattato iniziatico, Il libro tibetano dei morti è una summa del sapere esoterico, in cui si tratta diffusamente di ogni possibile aspetto della via tantrica alla liberazione, del ciclo infinito di nascita e morte, con un'approfondita descrizione del processo di morte. Oggi il Tibet, anche se si sta lentamente dissolvendo, sia come realtà geografica che come realtà antropologica, continua a vivere come una grande aspirazione all'eterno mistero, in un'epoca, povera come la nostra, segnata dall'assoluta mancanza di misteri e dalla smitizzazione.

Durante il  Bardo, abbiamo la possibilità di rivedere i nostri progressi e di definire le opportunità di crescita successiva. Le nostre azioni, intenzioni, pensieri, desideri e decisioni del presente plasmano e ridefiniscono istante per istante i contorni del nostro futuro in svolgimento. Siamo quindi co-creatori della realtà che sperimenteremo. Ritroviamo questo concetto anche tra i sufi persiani del XII secolo: essi attribuivano molta importanza alla visualizzazione del pensiero, in grado di alterare e riplasmare il nostro destino. Definivano tale sottile sostanza del pensiero alam almithal.  I mistici tantrici tibetani, per analogia, sostenevano che tsal, ovvero la sostanza dei pensieri fosse costituita da onde energetiche prodotte dalle azioni mentali. Anche Yogananda suggeriva che la volontà era in grado di materializzare i pensieri anche in forma di esperienze nella dimensione materiale. Per questo consigliava alle persone di visualizzare il futuro che desideravano esperire e di caricarlo con l'energia della concentrazione. 

La moderna teoria dell'universo olografico di Bohm  è conforme a queste tesi sostenendo che la psiche partecipa alla realtà fisica, nella quale si esprime sotto forma di "sincronica sintropicità", usando la terminologia dello stesso studioso. Oggi anche la stessa ricerca scientifica,  ha cercato di gettare uno sguardo se non proprio sull’aldilà, almeno su ciò che accade in prossimità della morte. È interessante capire fino a che punto gli studi sulle esperienze di pre-morte si concilino con antiche trattazioni che illustrano le tappe del viaggio iniziatico per eccellenza: quello che conduce alla vita ultraterrena.  Il Libro tibetano dei morti è strutturato su simboli archetipici, e molte esperienze segnalate in Tibet trovano corrispondenza con le attuali teorie psicologiche.

Concludendo si può dire che il contrasto fra morte e vita viene qui relativizzato come raramente è stato fatto in Occidente.  Il Bardo Thodol insegna che alla morte ogni uomo è posto di fronte al mondo ultraterreno  ed assicura che il morire è un nascere alla luce, non uno sprofondare nella notte. Il passaggio dal buio alla luce è proprio il tema che attraversa le “testimonianze” raccolte tra coloro che sono stati sul punto di morire. Queste testimonianze hanno in comune una serie di costanti: la persona “sente” i medici che annunciano la sua morte,  guarda il suo corpo dall’esterno; sperimenta una sensazione di grande pace; attraversa un tunnel buio; sperimenta una avvolgente “Luce”. Questi racconti non possono certo proporsi come criteri di oggettività scientifica; tuttavia la loro ricorrenza stupisce.   La parola Bardo significa morte, trapasso. La parola Todol significa liberazione. Questo poema simbolico parla di una tecnica iniziatica per compiere un viaggio interiore e giungere alla liberazione dalla paura della morte e malgrado la denominazione, quest'opera è scritta per i vivi e non per i morti; insegna a non tenere la morte e vivere la vita in pienezza. 

 Il Tripitaka? E' un termine sanscrito che significa 'tre canestri' ed indica le tre grandi sezioni in cui è diviso il Canone Pali buddhista, l'insieme dei testi sacri del Buddhismo. Il primo tratta della disciplina monastica, il secondo (Sutta Pitaka)  sono 'i discorsi del Buddha', il terzo (Abhidhama-Pitaka) è il più antico compendio della psicologia e dell'etica buddhiste. In particolare, raccoglie gli insegnamenti, i sermoni, le parabole e i detti del Buddha, le regole di vita all'interno del Sangha (la "comunità" dei fedeli, sia monaci che laici) e le tecniche per il raggiungimento del Nibbāṇa, ovvero l'"estinzione", intesa come liberazione dal saṃsāra, l'eterno ciclo karmico di nascita, morte e rinascita a cui sono soggetti tutti gli esseri senzienti.

*** I testi sacri del Buddhismo, suddivisi in tre canoni: il Canone pāli, il Canone cinese, e il Canone tibetano così denominati in base alla lingua degli scritti. 

Sebbene la religione buddhista sia divisa al suo interno in numerose scuole di pensiero, di cui le tre correnti maggioritarie sono il Theravāda, il Mahāyāna e il Vajrayāna, che hanno sviluppato dottrine contrastanti e prodotto testi altrettanto diversi, i canoni di tutte le scuole condividono alcune dottrine fondamentali, impartite dal Buddha stesso, che costituiscono il Dharma, la "legge morale" o "condotta di vita" che deve rispettare ogni fedele buddhista, e sono:
  •  le Quattro nobili verità;
  •  il Nobile Ottuplice Sentiero;
  •  l'Ahimsa (compassione o nonviolenza);
  •  la Meditazione, che conduce alla Bodhi (illuminazione);
  •  il Nibbāṇa, estinzione della sofferenza.

Riferimenti

  • Su questo sito trovate testi scaricabili sul buddhismo  Vedi sito
  • Testi sul buddhismo dal sito di Gianfranco Bertagni    Vedi sito

Letture consigliate 

  • Annalisa A. (a cura di): Bardo. Il risveglio dal sogno. 
  • Laird T., -Gyatso T. (Dalai Lama): Il Mio Tibet. Conversazioni con il Dalai Lama,
  • Lamparelli C. (a cura di): Padmasambhava. Il Libro Tibetano dei Morti.
  • Pincherie M.: Libro Tibetano dei Morti - Bardo Todol, 
  • Thurman R.A.F.: Il libro tibetano dei morti,
  • Trungpa C., Fremantle F. (a cura di): Il libro tibetano dei morti. La grande liberazione attraverso l'udire nel Bardo,
  • Tucci G.: Il libro tibetano dei morti,
  • Wallache A.: Le Cinque Meditazioni Tibetane dell'Autentica Felicità,
  • Trungpa – Il libro tibetano dei morti.

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