giovedì 16 settembre 2021

Facebook: XCheck e sistema di influenze sulla legislazione europea

Facebook ha sviluppato un sistema che consente di applicare un trattamento speciale a molti utenti di alto profilo (politici, giornalisti e VIP in generale). Grazie al programma, noto come XCheck (cross check), queste persone possono violare le regole del social network, senza incappare nel controllo dei moderatori. Questo sistema è noto dal 2018.

In base ai documenti pubblicati dal Wall Street Journal, Facebook ha creato una whitelist che include circa 6 milioni di utenti,  e messo a punto un sistema che posiziona questa ristretta cerchia di utenti particolarmente famosi al di sopra di alcune regole.  Mark Zuckerberg ha spesso dichiarato che Facebook permette a tutti i suoi utenti di ricevere lo stesso trattamento, ma in realtà, queste persone “possono violare gli standard senza nessuna conseguenza“. Essendo molto popolari e influenti potrebbero rappresentare un rischio per le pubbliche relazioni se i loro contenuti venissero censurati.

Se un utente pubblica post che violano le regole, un sistema automatico elimina il contenuto o lo rende meno visibile nel news feed. In alcuni casi viene esaminato da moderatori esterni all'azienda. XCheck funziona in modo diverso, quando viene segnalato il post di una persona inserita al suo interno, non viene oscurato in maniera automatica, e poi eventualmente ripristinato dopo un reclamo, ma inviato a un gruppo di dipendenti di Facebook incaricati di valutarlo e decidere sul da farsi.  Questo sistema consente ad alcuni privilegiati di compiere azioni assolutamente sbagliate. Uno dei casi citati riguarda, ad esempio, Neymar, che nel 2019 pubblicò le foto di una ragazza nuda dopo che lei lo aveva accusato di stupro, esponendola alla gogna dei suoi milioni di follower. Ma ci sono anche personaggi pubblici verificati che hanno diffuso notizie false sui vaccini o su avversari politici di ogni schieramento, per non parlare di posizioni apertamente razziste.

I documenti relativi a XCheck mostrano che Facebook ha ingannato il Comitato per il controllo (Oversight Board). Quest'ultimo ha scritto su Twitter che aveva più volte manifestato preoccupazioni sulla mancanza di trasparenza del processo di moderazione, soprattutto nel caso degli account di alto profilo. Facebook ha dichiarato che il report del WSJ è basato su vecchie informazioni e che l'azienda ha già identificato i problemi del sistema XCheck ed è al lavoro per risolverli.

Inoltre,  Google, Facebook e Microsoft cercano di esercitare pressioni su parlamentari e legislatori europei.  Questi gruppi hanno regolarmente accesso alla Commissione europea; con loro rappresentanti sono stati presenti a 202 dei 271 incontri su DSA (Digital Services Act) e DMA (Digital Markets Act), i progetti di legge che puntano a limitare lo strapotere delle big tech. 

Solo di recente la Comunità europea ha stabilito alcune misure per rendere il processo più chiaro e trasparente. Stando ai dati presentati al registro per la trasparenza dell'UE fino a metà giugno del 2021, Google è al primo posto, con 5,75 milioni di euro in investimenti in lobby ( Gruppi di persone che sono in grado di influenzare a proprio vantaggio l'attività del legislatore e le decisioni del governo o di altri organi della pubblica amministrazione), seguita da Facebook (5,5 milioni), Microsoft (5,25 milioni), poi Apple (3,5 milioni), Huawei (3 milioni) e Amazon, sesta con 2,75 milioni. 

Secondo il rapporto “The Lobby Network- Big tech’s web of influence in the Eu”,  (vedi link:  https://corporateeurope.org/en/2021/08/lobby-network-big-techs-web-influence-eu)  pubblicato dal Corporate Europe Observatory e Lobbycontrol, 612 fra aziende, gruppi e associazioni spendono più di 97 milioni di euro l'anno per le politiche dell'economia digitale dell'UE. La tecnologia supera il settore farmaceutico, quello dei combustibili fossili, la finanza e la chimica, storicamente più inclini alle lobby.

"Dovrebbe essere motivo di preoccupazione il fatto che le piattaforme possano usare questa potenza di fuoco per assicurarsi di essere ascoltate - rispetto alle voci contrarie e critiche - nel dibattito su come costruire nuove regole per le piattaforme digitali", si legge nello studio.   

Sembrerebbe che ci sia  ancora molto da fare per democratizzare il processo di sviluppo delle tecnologie digitali.


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