Daisetz Teitaro Suzuki (1869-1964) è stato una delle più grandi autorità in materia di buddhismo Zen. D.T. Suzuki con questo testo, La dottrina zen del vuoto mentale (pubblicato nel 1958 e tradotto in italiano nel 1968), di non facile lettura, ha cercato di presentare le varie scuole e sfaccettature dello Zen in modo estremamente approfondito.
I buddhisti Zen hanno sempre messo l'accento sull'importanza della istantaneità. Secondo lo Zen l'uomo dovrebbe riuscire a coltivare in se stesso una presenza di spirito capace di condensare, un'esperienza infinita in un'intuizione immediata.
Uno dei più grandi maestri Zen fu Hung-jen ed ebbe come allievi Hui-neng e Shen-hsiu che furono i referenti di due scuole zen: quella Meridionale e quella Settentrionale. Due diretti discepoli di Hui-neng furono Ma-tsu e Shih-tou. La scuola Settentrionale con Shen-hsiu asseriva che tutti gli esseri sono dotati dell'illuminazione, proprio come la natura di uno specchio è quella di illuminare;
Questo corpo è l'albero del Bodhi, La mente è come uno specchio lucente;
Abbi cura di mantenerlo sempre pulito, E non lasciare che la polvere vi si accumuli.
Secondo Shen-hsiu quando le passioni fanno velo, lo specchio è invisibile come se fosse oscurato dalla polvere. Quando, secondo le istruzione dei Maestri, i pensieri erronei vengono soggiogati e annientati, essi cessano di formarsi ed allora la mente è illuminata. Questo spolveramento conduce al metodo quietistico della meditazione ed è ciò che questa scuola raccomandava.
La scuola Meridionale con Hui-neng proponeva invece la dottrina del vuoto o del nulla: “Ab initio nessuna cosa è “. E' l'Essere in sé che viene caratterizzato come vuoto, sereno ed illuminante.
Non vi è albero del Bodhi, Nè sostegno di lucido specchio,
Poichè tutto è vuoto, dove può posarsi la polvere?
Finchè il vedere è qualcosa da vedere, non è quello reale, solo quando il vedere è non vedere, diventa un vedere la propria autonatura che non essendo “nessuna cosa” è il nulla. L'autonatura è la natura del Buddha descritta nel Nirvana Sutra, nei termini del PrajnaParamita è Essenza assoluta (tathata) e Vuoto asssoluto (sunyata). Essenza significa l'Assoluto, qualcosa che non è soggetto alle leggi della relatività e perciò non può essere compreso per mezzo della forma. L'Assoluto è senza forma, Questo incondizionato, senza forma, e di conseguenza irraggiungibile, è il Vuoto (sunyata). Al di là della percezione, al di là della comprensione perchè il Vuoto è dal lato opposto dell'essere e del non essere.
L'irraggiungibilità di tutte le cose è la Realtà stessa, che è la più squisita forma del Tathagata nella sua essenza, un'esperienza vivente nel senso più profondo. Il vedere nell'Autonatura è diventare Buddha.
La Triplice disciplina buddhista è composta da Moralità (sila), Meditazione (dhyana) e Saggezza (prajna) che è il potere di penetrare nella natura del proprio essere, ed è anche la verità così intuita. Tutte e tre sono necessarie ad un buddhista devoto. Con il passare del tempo si verificò una separazione tra Meditazione e Saggezza.
Il messaggio apportato dalla scuola Meridionale e da Hui-neng è un ritornare all'origine e ribadire che Meditazione è Saggezza e Saggezza è Meditazione, e se non si afferra questa relazione di identità fra i due componenti non vi sarà emancipazione. La purezza del Tathagata è dove non vi è né nascita, né morte. Vedere che tutte le cose sono vuote è praticare la meditazione. Infine non vi è né raggiungimento, né realizzazione, tanto meno stando seduti a meditare.
Nel T'an-ching di Hui-neng, la natura del Buddha e l'autonatura sono oggetto continuo di riferimento. Esse significano la stessa cosa e sono originariamente pure, vuote (sunya), non dicotomiche e inconsce. Questo inconscio puro si muove e prajna viene svegliato e con lo svegliarsi del prajna sorge un mondo di dualismi. Tutte queste definizioni hanno il solo scopo di provare a rendere la nostra comprensione intellettiva più facile e chiara. L'autonatura non ha una corrispondente realtà nello spazio e nel tempo. Quest'ultima ha origine nell'autonatura. L'autore la chiama per convenienza Mente con la M maiuscola, e anche Inconscio. In questa autonatura vi è un movimento, un risveglio, e in questo modo l'inconscio diviene conscio di sé (anche se appare una contraddizione). Comunque qualunque cosa sia, abbiamo ora un Inconscio autocosciente o una Mente autoriflettente: così trasformata, L'Autonatura viene chiamata prajna.
L'Autonatura è la natura del Buddha, pura, incontaminata, presente in tutti gli esseri e riportata nel Nirvana sutra di cui sono fervidi credenti tutti i seguaci dello zen fin dal tempo di Boddhidarma. Occorre riconoscerla e liberarsi dall'errore, cioè dalle passioni.
Colui che comprende l'idea della vuotezza di pensiero ha una via perfetta per attraversare il mondo della molteplicità. Colui che comprende l'idea di vuotezza di pensiero vede il regno di tutti i Buddha, colui che comprende l'idea della vuotezza di pensiero raggiunge lo stadio della buddhità.
La cognizione di un oggetto esterno presuppone già la distinzione fra esterno ed interno, fra soggetto e oggetto, tra il percepiente e il percepito. Quando avviene questa separazione, la natura primaria dell'esperienza viene dimenticata e da ciò trae origine una serie infinita di confusioni, intellettuali ed emozionali. Spesso nella quotidianità emergono una serie di domande: Cosa, Perchè, Dove, Come Quando; domande irrilevanti per la fondamentale comprensione della vita.
La meditazione della spolveratura (togliere la polvere dallo specchio) secondo Hui-neng è l'arte di legarsi con una corda creata da noi stessi, una costruzione artificiale che ostacola il cammino verso l'emanciazione. In questo tipo di meditazione non è facile spingersi oltre lo stadio di tranquillità della mente, al massimo essa termina nell'autoconcentrazione e nella temporanea sospensione della coscienza, In questo tipo di meditazione non vi è alcuna conoscenza del sé, nessuna comprensione dell'Autonatura.
La sagezza (prajna) è strettamente collegata al vuoto (sunyata) soprattutto nel buddhismo Mahayana, che è basato essenzialmente sul vuoto e la vacuità. Il concetto del vuoto è presente anche nella filosofia Hinayana, ma questo vuoto non penetra così profondamente la coscienza.
Dhyana e prajna sono uno, non due: dhyana è il corpo di prajna e prajna è l'uso di dhyana, proseguono per mano nella pratica. Il non discriminante prajna è ciò che vi è di più fondamentale nell'umano intelletto ed è con questo che siamo in grado di vedere addentro l'autonatura, che tutti noi possediamo e che è conosciuta come la Natura del Buddha (Questo è il fondamentale insegnamento del buddhismo Zen specie della scuola Rinzai, tanto in Giappone che in Cina).
Le altre due scuole esistenti tutt'oggi sono Soto e Obaku. L'Autonatura è il prajna stesso non discriminante. Il prajna sprizza dall'inconscio e tuttavia non lo lascia mai; rimane inconscio di ciò. L'emancipazione si ha quando l'esterno ed interno diventano completamente diafani e l'uomo conosce da sé che cos'è la sua mente originaria. Quando l'emancipazione è ottenuta è il prajna-samadhi e quando questo è compreso, si è raggiunto uno stato di wu-nien, assenza di pesnsiero, vuoto mentale. Il satori, vedere improvvisamente, o vedere subito, non segue le regole generali della logica, ma avviene quando il ragionamento è stato abbandonato e prajna è contemporaneamente al di sopra e dentro il processo del ragionare.
Secondo Hui-neng ci sono tre concetti alla base del Buddhismo Zen, di cui uno è l'inconscio, gli altri due sono l'informe (essere nella forma eppur distaccati da essa) e il non permanente che è la natura primaria dell'uomo.
I Maestri zen spesso rispondono ai vari quesiti dei discepoli nei modi più imprevedibili ed incongruenti, come tirare calci, bastonare i discepoli, usando percosse, schiaffi, spintoni, urli,ecc. per riportarli in una dimensione fuori dalla logica. su un altro piano della vita.
L'atto del tirare calci è in realtà l'atto di vedere, in quanto entrambi procedono l'autonatura e la riflettono. E' vero che non possiamo fare a meno della logica e della filosofia, perchè anch'esse sono espressioni della vita; ed ignorarle sarebbe solo follia; ma ricordiamoci che vi è un altro piano della vita, dove può entrare soltanto colui che l'ha realmente vissuta. Ed è su questo piano che opera lo Zen. Penetrare quello che viene considerato il mistero dello Zen, è talvolta considerato la cosa più difficile al mondo, ma secondo l'opinione di molti maestri Zen, non è più difficile che prendere una tazza di tè.
Tutti questi mondo Zen possono sembrare semplicemente privi di senso, o volutamente mistificatori, ma il fatto straordinario è che questo culto dell'assurdo ha prosperato per circa millecinquecento anni attirando molte delle migliori menti dell'Estremo Oriente, ed anche dell'Occidente.
Lo Zen esercita ancora oggi, in varie forme, una grande influenza spirituale in Giappone. Gli iniziati, quando riescono ad entrare nello spirito che anima i maestri, vedono che tutto questo Non senso è l'espressione più preziosa dello Zen.
Termini usati nello Zen: wu-hsin (la mente vuota), wu-nien (pensiero vuoto), wu (vuoto), kung (abilità raggiunta in un determinato campo), wang.
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