lunedì 20 dicembre 2021

La vita di Ramana Maharshi

La domanda centrale e unica che Ramana Maharshi chiedeva a chi si rivolgeva a lui era: "Chiediti, Chi sono io?Alcuni andavano da Maharshi, sperando di ottenere da lui una panacea per tutti i mali del mondo. Gli chiedevano quali soluzioni proponeva per i problemi della miseria, dell'analfabetismo, delle malattie, della guerra e cosi' via.  La risposta  che il saggio dava a tutti coloro che gli rivolgevano queste domande era: "Prima hai trasformato te stesso?"   Per trasformare se stesssi si deve passare per la soppressione dell'ego. L'ego non e' l'IO,  ma e' solo lo pseudo-io, responsabile di tutti i mali e di tutta l'infelicita' del mondo, e che la felicita' finale e duratura potra' essere realizzata solo quando sara' eliminata l'ignoranza, che è la causa dell'ego, e l'ego sarà purificato e attenuato. Percio', se non si ricerca il vero IO, non si puo' servire veramente la societa'. La trasformazione deve cominciare da se stessi.

Vedi siti:  http://www.ramana-maharshi.it/      https://www.sriramanamaharshi.org/

Ramana Maharshi nacque nel 1879 nel sud dell’India, ed è uno dei saggi più celebrati in India. Dall'età di 17 anni, visse ai piedi del monte Arunachala una delle montagne sacre dell'India, dove restò fino alla morte nel 1950. Davanti a lui è passata una folla immensa d’umanità, da filosofi, re, persone umili, anche solo per ricevere uno sguardo.  Numerosi ricercatori spirituali divennero suoi devoti e ricevettero i suoi insegnamenti.  In Ramana si manifestava l’Assoluto che irradiava lo spazio circostante, ed avvolgeva i suoi devoti.   Maharshi è un termine tamil equivalente al sanscrito maharishi; nome composto da maha: grande e rishi: saggio. Srì che precede il suo nome, significa santo, benedetto, ed era l'appellativo che si da ai Maestri.

La sua famiglia apparteneva alla casta dei brahmini;  alla morte del padre si trasferì a Madurai. Ramana non era un ragazzo come gli altri, non gli interessavano molto le cose della vita e approfittava di ogni minuto di tempo libero, per immergersi nella profondità del suo Essere. Non ci volle molto perché in lui maturasse il senso dell’inutilità di quello che faceva, dell’inadeguatezza della sua attuale condizione terrena.   Dopo un'esperienza dell'assorbimento nel Sé, Ramana lasciò la famiglia senza dire niente, prese il treno e si stabilì sulle pendici del sacro monte Arunachala, di cui diceva di essere stato attratto. Passò direttamente dalla condizione di studente a quella di rinunciante.  Il biglietto tutt’ora è conservato al Ramanasramam. Nel 1896 arrivò a Tiruvannamalai, dove raggiunse il grande tempio di Arunachalashvara, qui si manifestarono una serie di eventi particolari, stati di percezione particolari, fino alla sua illuminazione.

Insensibile agli stimoli esterni, rimase seduto immerso in meditazione senza dar segni di vita  in un sacrario sotterraneo per diversi mesi, ed è li che raggiunse la beatitudine del samadhi e le estreme vette dell’ascesi. In quel periodo veniva nutrito a forza da Palaniswami un sadhu, che viveva lì e che poi divenne suo discepolo.  Man mano che passava il tempo, sempre più persone venute in pellegrinaggio a Tiruvannamalai, notavano quel giovane asceta immobile, sempre immerso nel silenzio e in samadhi continuo. La sua fama ormai si era così diffusa, che i devoti arrivavano da tutta l'India per vederlo.
Alle tante domande, Ramana rispondeva scrivendo, ed è in questo modo che i devoti scoprirono il suo nome, da dove veniva e che conosceva l’inglese.  Solo successivamente Ramana scoprì che l'esperienza che aveva vissuto era descritta come "liberazione", nei libri sul Vedanta. I suoi parenti, sua madre e suo zio vennero a trovarlo cercando di persuaderlo a ritornare, ma lui rimase in rigoroso silenzio.
Dopo due anni e mezzo dal suo arrivo, Ramana ritornò a uno stile di vita “normale” e  si stabilì in una grotta sulle pendici della sacra montagna di Arunachala, che esercitava una “attrazione misteriosa” su di lui.  Per la maggior parte del tempo risiedeva nella grotta di Virupaksha.
«Lo scopo di tutte le scritture è l’indagine sul sé. In esse si dichiara che la Liberazione sta nell’annientamento del senso dell’Ego.  Se si riuscirà ad essere consapevoli dell“io nell’io”, "questa consapevolezza annienterà completamente il senso dell’“io” nel corpo e si arriverà a quello stato che saggi e scritture chiamano liberazione".  «La ricerca del sé»,  porta ad un sentiero diretto alla liberazione, che corrisponde al nucleo dell'Advaita Vedanta.  Ramana parlava con estrema parsimonia, al punto che i discepoli pensavano che avesse fatto voto di silenzio (muni) mentre lui riteneva che il Silenzio sul piano manifesto, è il simbolo più alto del Sé.

Tutte le domande fatte dai vari discepoli e le relative risposte, vennero riportate in un piccolo libretto dal titolo “Chi sono io” revisionato dallo stesso Ramana. Per esprimere la felicità, che è la nostra vera natura, è essenziale conoscere se stessi e per fare ciò, il mezzo migliore è rispondere alla domanda "Chi sono io?"

 Io non sono questo corpo fisico, né sono i cinque organi della percezione sensoriale;
 io non sono i cinque organi dell’attività esterna organi d’azione,
 né le cinque forze vitali i cinque “soffi” o prana,    e neppure sono la mente pensante.
Non sono neppure quell’inconscio stato di nescienza che conserva semplicemente le sottili vasana (potenzialità latenti della mente), pur essendo libero dall’attività funzionale degli organi sensoriali e della mente, rimanendo inconsapevole dell’esistenza degli oggetti della percezione sensoriale.
Perciò, respingendo in blocco tutti i succitati complementi fisici e le loro funzioni, dicendo: “ Io non sono questo; no, non sono né questo né quello”, ciò che allora rimane separato e da solo, quella pura Consapevolezza è ciò che io sono. Questa consapevolezza è per sua stessa natura Sat-Chit-Ananda (Esistenza-Coscienza-Beatitudine).


Ramana diceva che la mente non è altro che l’insieme dei pensieri e che il primo pensiero è quello dell’”io”. Ecco che, dissolto questo primo pensiero, resta solo il Sé che brilla incontaminato.
«Anche quando pensieri estranei spuntano durante tale investigazione, non cercate di completare il pensiero che sorge, ma invece investigatevi a fondo dentro chiedendovi: A chi si è presentato questo pensiero?"
«Per placare la mente non c’è un altro mezzo più efficace e adeguato della ricerca del Sé. Anche se la mente sembra placarsi con altri mezzi, sarà così soltanto apparentemente».
Ramana diceva  «La morte è inevitabile per chi è nato. Tutti incontreranno la morte un giorno. Non c’è bisogno di addolorarsi».
Dopo la grotta di Virupaksha, Ramana si trasferi a Skandashram, e sul pendio della montagna fu costruito l’ashramam il Ramanasramam e Ramana vi rimase fino alla sua morte. La madre lo raggiunse,  e morì nell'ashram nel 1922. 
Dopo diversi anni, nel 1947 il Maharshi cominciò ad ammalarsi. Mano a mano che il suo corpo si indeboliva, la sua magnifica aura e il suo sguardo splendente sembravano espandersi ancora di più.
Continuò  a dare insegnamenti (darshan) alla solita ora: dalle cinque alle sei del pomeriggio, fino alla sua morte.   All'annuncio che avrebbe dato il suo ultimo darshan, una folla enorme venne ad ascoltarlo all'ashram. Una stella cadente apparve nel cielo sopra il monte Arunachala proprio nel momento in cui Sri Ramana Maharshi esalò il suo ultimo respiro.

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