sabato 4 giugno 2022

Consolazioni. Quelle che riceviamo e quelle che apportiamo - Christophé André

Questo bel libro pubblicato nel 2022 è un vero regalo per le persone in difficoltà, un vero inno alla vita. Ben più che un riconforto passeggero, la consolazione è un modo di vivere in mezzo alla tempesta, ci ricollega al mondo. Christophe Andrè, in questo libro intimo, ci parla della consolazione, delle difficoltà di accettarla e di proporla e del potere delle relazioni umane.  Molto toccante è la descrizione dell'amore fatta da Christophe: "la più grande risorsa esistenziale è l'amore, ricevuto, dato, da ricevere, da dare... o, per dirlo diversamente, le vere fondamenta di tutta la forza di fronte alle prove sono quelle dell'amore e delle consolazioni che porta"..

Le grandi avversità ci rendono più fragili, o più lucidi. In questo secondo caso si approfitta fino in fondo delle occasioni di gioia che ci troviamo a vivere nella quotidianità. L'esperienza di malessere ci ricorda il valore ed il sapore della felicità. Le avversità ci portano in eredità quello che si chiama crescita post-traumatica, una possibilità di maturazione e maggior consapevolezza.  Allora si prendono tutte le gioie che la vita ci offre come occasione di riconforto prezioso e si scopre che è una fortuna di essere in vita. Ossia niente è cambiato intorno a noi, ma internamente ci sentiamo consolati. 

Secondo Barbara Fredrickson, una ricercatrice nel campo della psicologia positiva "L'amore è l'emozione suprema, indispensabile, e dai benefici innumerevoli. Un amore durabile tra due persone non è niente altro che un rinnovo regolare di momenti di risonanza affettiva. Le emozioni non durano, e così l'amore, ma la ripetizione di momenti d'amore nutre le relazioni, le arrricchisce,  le consolida e le rendre gradevoli a vivere".  In questo senso, la consolazione è un atto d'amore, tra i più belli: quello che appartiene al campo della compassione. Ci si avvicina a qualcuno che soffre al posto di allontanarsi, e ci si avvicina in modo affettuoso (sostenendo un collega, manifestando gentilezza ad un vicino, usando parole affettuose con qualcuno).

L'attaccamento a cose o persone, oltre che fonte di soddisfazione, può essere anche fonte di sofferenza. E' bello aggrapparsi a quello che si ama, ma durante la vita, ogni attaccamento è fatto per essere eliminato. E' importante quindi attaccarsi con lucidità e con moderazione. Un attaccamento dolce o lucido significa amare, apprezzare, senza aggrapparsi; occorre assaporare la vita accettando che finirà con la morte...  Per coltivare il non-attaccamento, che è uno dei cardini della filosofia buddhista, occorre un allenamento costante, accettare ogni giorno di prendere le distanze da piccole cose che amiamo, dalle nostre certezze, dalle nostre piccole abitudini. Dobbiamo praticare una vigilanza tranquilla ma esigente verso tutti gli attaccamenti e tutte le nostre certezze. Dobbiamo riuscire a metabolizzare ed accettare che le persone che amiamo possano un giorno allontanarsi e vivere delle esperienze di vita senza di noi, avere altri amici, altri affetti e altri attaccamenti. E' evidente che il non-attaccamento è la sola filosofia di vita possibile. La sofferenza dovrebbe aiutarci a rimettere al centro della nostra vita i legami di affetto e le consolazioni. La vita è una successione di prove, di dolore e di perdite. Ma anche di gioie, di benessere e di grazia. Il modo in cui affrontiamo le prime influenza il modo in cui accogliamo le seconde.

L'ultimo non attaccamento è quello alla vita. Qualcuno ha detto: "Se a 70 anni avete paura della morte vuol dire che avete sprecato la vostra vita",   Non si tratta di essere ossessionati dalla morte, ultima desolazione, ma di apprendere a esistere con l'idea della morte per vivere meglio. La vita è sofferenza e terminerà con la morte. Una volta accettata questa idea, un benessere adulto e resiliente può allora nascere e consolidarsi perchè la vita è fondamentalmente bella. La paura della morte è allontanata, ma non la voglia di approfittare del tempo che resta da vivere, quale che sia la durata. Purtroppo la nostra società vuole cancellare la morte e anche la preparazione alla morte e all'invecchiamento del corpo. La saggezza allora è prendere coscienza che noi stiamo forse per vivere un'ultima volta, fermarsi per approfittarne e assaporare la vita ancora più profondamente, piuttosto che irrigidirsi nell'angoscia del rifiuto.  Come dice Jon-Kabat Zinn: "Se continuate a respirare, vuol dire che nella vostra vita ci sono più cose che vanno bene di quelle che vanno male".

Christophé parla anche della nostalgia, che rappresenta un rifugio consolatorio nel passato. Ma la nostalgia permette anche di nutrirsi del nostro passato rivisitato.  Riporta la frase di Gustave Thibon: "ricordi lontani più presenti di quelli attuali, i più umili dettagli dell'esistenza, vissuti un tempo come insignificanti, prendono un senso misterioso e smisurato, le emozioni lontane raggiungono la sorgente dell'essere, si rivive a fondo quello che si era vissuto solo superficialmente".   

Quando si è giovani si avevano dei ricordi, all'inizio della vecchiaia si ha un passato. Da giovani si vive in un presente aperto all'avvenire; nell'età adulta si vive in un presente aperto sul passato. Più l'incertezza e l'angoscia del futuro sono forti, più la sicurezza e la certezza del passato sono necessari. Occorre prepararci a lasciare questa vita, e ciò è facilitato se si hanno dei legami gioiosi con il proprio passato. Nella vecchiaia bisogna trovare il semplice piacere di durare, di continuare a vivere. In gioventù questo pensiero è triste e restrittivo, ma quando siamo nella vecchiaia c'è della saggezza dietro quello che sembra una rinuncia, ossia dimunuire le aspettative, man mano che diminuiscono le capacità.

Di fronte ad un evento traumatico, molte persone cambiano favorevolmente la visione del mondo e dell'esistenza assaporando meglio la loro fortuna di essere in vita. Per queste persone i riflessi psicologichi portano a tre tipi di comportamenti: 

  • Riuscire a sopravvivere e a vivere nella quotidianità, ma si è ancora mentalmente nell'avversità.
  • Rimettersi a vivere, sviluppando la resilienza e considerare l'avversità come passata.
  • Vivere meglio, ossia integrare l'avversità nella nostra storia e farla diventare fonte di arricchimento personale.

Per far si che il malessere sia un'esperienza e non un trauma, occcorre disporre di notevoli risorse personali e relazionali.

Spesso nella nostra vita, è la pace concreta, materiale che ci permette di rivolgersi verso la pace spirituale. Lo spirituale passa in primo piano solo quando siamo colpiti dalle avversità, e l'aiuto viene dall'immateriale. Gide dice: "l'esperienza istruisce sicuramente più che i consigli". La persona che ha attraversato l'inferno può guardare senza paura in direzione dell'avvenire: ci vedrà la vita che resta e non la morte che arriverà.  Spesso per scoprire il vero benessere occorre attraversare una prova ed aprirsi alla meraviglia del mondo. Il benessere è fragile e spesso siamo incoscienti della fragilità della condizione umana e della sua bellezza. 

Secondo il principio dell'impermanenza, caro ai buddhisti, tutto si rompe e tutto passa. Gli umani che la vita ha ammaccato, distrutti dalle avversità hanno incollato i loro pezzi, hanno pianto, sono stati consolati. Hanno lavorato per riuscire ad amare di nuovo la vita e gli umani, e poi, poco a poco le loro cicatrici psichiche si sono ricoperte dell'oro della benevolenza, della saggezza; quella saggezza che si incontra spesso nelle persone che hanno attraversato un pezzo d'inferno, e che ne sono uscite con la voglia di amare la vita.

La consolazione, in fondo, è la stessa cosa che la gioia, ma sotto la luce nera del malessere. E' accettare di lasciarsi toccare dalla dolcezza delle cose, la tenerezza degli umani, la bellezza del mondo, allora che siamo nella difficoltà e nell'angoscia e che tutto il benessere sembra inutile, derisorio, a volte offensivo.

Ma "Niente è mai finito. Basta una piccola gioia perchè tutto ricominci".

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