venerdì 21 ottobre 2022

Samyama

"Yoga è trattenere la mente dall'assumere varie forme. Nel tempo della concentrazione la mente riposa in se stessa. Negli altri momenti la mente si identifica con le modificazioni. la modificazione è controllata con la pratica ed il non-attaccamento. La pratica è la lotta continua per tenere la mente sotto controllo".                                                                                                                                          "Il non attaccamento è quell'effetto che raggiungono coloro che hanno abbandonato la sete per gli oggetti.   La mente dello Yogi che medita diviene libera sia dalle piccole che dalle grandi cose."              --- Patanjali.

La parola yoga deriva da una radice sanscrita che significa unione, il microcosmo dell'individuo si unisce con il macrocosmo. Lo yoga è un percorso di autocontrollo per ritrovare armonia con se stessi e il mondo che ci circonda; permette di migliorare anche la qualità della nostra vita. Lo scopo dello yoga è realizzare il vero Sè ed unire lo spirito individuale con lo spirito assoluto.

Nel capitolo III, 4 degli Yoga Sutra di Patanjali, si legge: ‘trayam ekatra samyamah’, samyama è una parola tecnica per indicare l'integrazione di concentrazione (dharana), meditazione (dhyana), e assorbimento su un unico oggetto, evolvendo da un'interrota attenzione al samadhi. 

In samyama il praticante viene sempre più vicino al conosciuto e, fondendosi in essso, perde la sua separazione.  Sam significa perfetto e yama significa controllo, perciò samyama è la completa padronanza della concentrazione mentale. Seguendo gli Yoga Sutra di Patanjali, uno yogin vittorioso nel samyama sconfigge tutti gli "oscuramenti cognitivi", i cinque ostacoli - klesha che sono i seguenti:

  •     Avidya: indica l’ignoranza o la falsa comprensione della vera natura delle cose.
  •     Asmita: si riferisce alla coscienza del proprio sé che provoca egoismo.
  •     Raga: è l’attaccamento nei confronti delle idee o degli oggetti.
  •     Dvesha: è l’avversione verso quei pensieri legati a esperienze dolorose vissute nel corso dell’esistenza.
  •    Abhinivesha: indica sia l’attaccamento istintivo alla vita, sia la paura della morte.

Quindi tale termine, ‘samyama’, riferito agli Yoga Sutra di Patanjali, indica le ultime tre tappe del percorso dello yogin: dharana, dyana e samadhi. Queste tre ultime tappe non è possibile disgiungerle, visto che sono passaggi mentali dalla contemplazione di un oggetto alla fusione totale con esso, cioè dal vedere l’oggetto ‘fuori da sè’ al divenire l’oggetto stesso. 

Alcuni testi traducono samyama come la ‘disciplina perfetta’, altri come ‘comunione’ o ‘costrizione’. Patanjali sostiene che praticare samyana su un qualunque oggetto ci porta a conoscere l’oggetto per quello che è; se si pratica sui pensieri di una persona si può scoprire cosa pensa; esercitando samyama sulla forma del corpo, il corpo dello yogin diventa invisibile, etc.( libro III, Yoga Sutra).

Quindi per Patanjali, in un certo stadio del cammino dello yogin, la contemplazione, la meditazione e il samadhi sono dei processi attivi di una mente che non si riconosce più con le percezioni dei cinque sensi, almeno come siamo abituati a conoscerli, e con i pensieri che la attraversano. Si potrebbe dire che lo yogin, che intraprende le ultime tre tappe, fa esperienza attingendo all’intelletto superiore, o Vijnanamayakosha – ‘involucro fatto di intelletto puro’. Parlando il linguaggio dello Yoga di Mère, "quando le porte dell’essere sono spalancate al Divino", che implica un cambio radicale nelle aspirazioni del praticante rispetto a quando ha iniziato il percorso. Patanjali parla di un intelletto (sattva) reso, dalla pratica yoga, puro come il Purusha stesso, o ‘pura coscienza’ o ‘il Sè’ (Yoga Sutra, III, 55).

Il fine ultimo della pratica Yoga, il cui significato è ‘unione’, è quello di divenire un’ unica cosa con la pura coscienza. Spesso lo Yoga è stato letto come una separazione dal mondo, un rifiuto della fisicità e della mente non ‘illuminata’, ma nella possibilità di divenire una coscienza pura come il Purusha, si sottintende una non-dualità tra ciò che è l’uomo e ciò che è il ‘divino’. Si tratterrebbe , attraverso la pratica costante (abhyasa) e la non identificazione con i pensieri e le sensazioni che ci attraversano (vairagya), di rendere pura la nostra coscienza, magari trasformando la nostra natura. (Vedi lo Yoga Integrale di Aurobindo, la tradizione dei Siddhi, i saggi dell’Himalaya; il pensiero di Gurdjieff, e il pensiero dello stesso Patanjali). Nel verso 2 del libro IV degli Yoga Sutra si legge : jaty antara parinamah prakrity apurat che può essere interpretato in questo modo: La trasformazione fisica genera l'evoluzione delle proprie potenzialità interiori.
Il risveglio dell'energia kundalini è un processo sia fisico che spirituale e, in questa accezione, prima fisico e poi spirituale. La fisiologia sottile, il viaggio del prana attraverso i sette chakra e l'illuminazione che ne consegue alla fine del percorso, sono un processo che riguarda il corpo, la mente e lo spirito.

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