venerdì 28 aprile 2023

Le Upanishad dello yoga - 2

 Dal sito di Gianfranco Bertagni: http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/meditazione/upyoga.pdf

Le Upaniṣad dello Yoga dimostrano la parentela con almeno due tradizioni: le Upaniṣad classiche e i Tantra.
La grande confusione che è stata fatta dagli studiosi nel datare le YU, ha  generato grossi errori interpretativi, e questi preziosi testi sono stati lasciati ai margini degli interessi non solo della ricerca accademica ma anche dei praticanti o studiosi di Yoga. Le Upaniṣad dello Yoga rientrano nella più ampia categoria delle Upaniṣad minori. Le Upaniṣad vengono generalmente classificate in classiche e minori. Le prime risalgono all’era precristiana mentre le minori sono di diversi secoli successive – si tratta per la maggior parte di testi medievali composti tra il IX e il XV (ma fino al XVIII) secolo – e rispecchiano gli insegnamenti esoterici delle tante tradizioni del brahmanesimo medievale.    La data di composizione delle Upaniṣad minori è incerta per quasi tutti i testi. Alcuni studiosi considerano le Upaniṣad dello Yoga e le Samnyāsa Upaniṣad come testi scritti durante il V secolo dell’era cristiana (Yoga: Immortality and Freedom). Però la ricerca successiva ha dimostrato che questo è altamente improbabile, poiché sono troppi i riferimenti a testi medievali.
Una datazione errata può generare una catena di false conclusioni, errori che sconvolgono i flussi d’influenza, alterando completamente la storia dei movimenti religiosi e intellettuali.

Secondo il contesto e la data di creazione le YU sono divisibili in almeno due canoni:                            •canone settentrionale – 11 testi, composti tra IX e XIII secolo nel nord dell'India forse nella zona di Varanasi. I temi sono: mantra yoga, tāraka yoga                                                                                •canone meridionale.

Le Upaniṣad dello Yoga non rappresentano un’unica tradizione o un’unica scuola di pensiero, sono dei testi eterogenei. Ciò che le accomuna è il fatto di iscriversi nella tradizione vedāntina: la verità genuina sperimentata dall’individuo è la verità assoluta di tutto l’esistente. L’intero universo è brahman: aham brahmāsi, “io sono l’essere eterno”, so’ ham “ io sono Quello.
La disciplina dello yoga del suono, mantra e nada yoga, è il tema dominante nei testi del canone settentrionale, il corpo yogico viene descritto in termini di prāṇa (soffio vitale), manas (mente), śikhā (fiamma), vāyu (venti), marman (punti vitali), dvāra (porte del corpo sottile), tutti concetti che risuonano con immagini tantriche e haṭha yogiche dello stesso periodo.  
Lo yoga descritto è, quando specificato, un sistema a sei limbi, uguale a quello che troviamo per la prima volta nella Maitrāyaṇīya Upaniṣad (e successivamente associato allo yoga tantrico buddhista e allo yoga di Gorakh).
Brahmavidyā Upanishad – Gli insegnamenti segreti dell’arcana scienza di Brahman. L’haṃsa che sale e scende 21600 volte al giorno è conosciuta come So’ham, Io sono Quello.
La Kṣurika Upaniṣad si concentra sulla descrizione della pratica e degli effetti della pratica di dhāraṇā, che, come un coltello/rasoio trancia i legami che tengono prigioniera l’anima-haṃsa permettendole di uscire dal ciclo delle rinascite. La pratica inizia in un luogo appartato e silenzioso. Qui l’adepto assume una postura di meditazione e ritira i sensi all’interno (pratyāhāra), proprio come una tartaruga ritira le proprie membra. Grazie allo Yoga delle dodici misure (mātrā) e all’uso della sacra sillaba Oṃ, egli riempie progressivamente il corpo d’aria. Chiude le porte del corpo, trattiene l’aria inspirata, poi l’espira lentamente attraverso le narici, facendola salire verso l’alto. Dominati i sensi, divenuto maestro di sé stesso, pratica il controllo del respiro.
Ci sono 72000 altre nāḍī, l’adepto deve tagliarle con la meditazione, con la pura forza dello yoga, lasciando intatta solo la suṣumṅā. Chi realizza l’identità con il Brahman attraverso la suṣumṅā è liberato dal ciclo delle rinascite. Quando il rasoio della fissazione-della-mente (dhāraṇā), della sillaba Oṃ, affinato dalla pratica del controllo del respiro (prāṇāyama) e affilato sulla pietra della rinuncia, taglia la trama della vita, l’adepto è liberato per sempre dai suoi legami, esce dal ciclo delle trasmigrazioni, diviene immortale.
Nella Nādabindu Upanishad la meditazione non conduce alla condizione di jīvanmukta, liberato in vita, ma “educa”, prepara, ad uno stato che può essere raggiunto solo con la morte (videhamukti). I versi 18-20 spiegano lo yoga come un percorso graduale: la mente (manas) si libera progressivamente dalla tirannia dei guṇa e dei sensi, e si dissolve nella pura coscienza.
Amtabindu Upanishad – il Jiva (cioè il Sè contenuto nel corpo sottile e grossolano) resta immutabile e non viene toccato dai cambiamento.  Questa Upaniṣad porta il lettore nell’universo del mantra yoga proprio della tradizione vedāntina medievale. Ha una vocazione prettamente dottrinale e l’unica tecnica cui fa riferimento è la meditazione sulla sillaba aum (e oṃ). Il punto di partenza della riflessione è la mente (manas): “Della mente si dice che sia di due tipi: pura e impura. Impura se è posseduta dal desiderio, pura se è liberata dal desiderio”. La mente legata agli oggetti dei sensi è causa di schiavitù, la mente libera dal desiderio per gli oggetti dei sensi è alla base della liberazione dell’uomo.
Dhyānabindu Upanishad  -L’oṃ è l’arco, la mente la freccia e il Brahman il bersaglio. Grazie all’attenzione concentrata la mente colpirà come una freccia il bersaglio del Brahman.  Lo Yoga  riguarda la recitazione della sacra sillaba oṃ. Su una scala di importanza ascendente vengono prima i fonemi (akşara) a, u e m, seguono poi ānusvara (il bindu), la risonanza (nāda) e infine il silenzio in cui si dissolve il suono.
Si dice che nello spazio di un giorno e di una notte, il Jīva mormora il mantra Haṃ-sa 21600 volte: respirando ripete incessantemente “Io sono Quello”. Questo è Ajapā Gāyatrī, il mantra che porta gli yogī al nirvana e non ha eguali. Anche kuṇḍalinī viene ricordata: la dea addormentata alla base della suṣumṇā ne chiude con la bocca la base, la porta che conduce alla sede del Brahman. Quando l’unione di agni, manas e prāṇā la risveglia, buca il passaggio e risale verso l’alto. Ottiene la liberazione colui che con le mani unite in preghiera, il corpo stabile in padmāsana, il mento premuto con forza contro il petto, la mente fissa in dhyāna inspira e trattiene in kumbhaka. Quando la kuṇḍalinī sale fino alla gola (al viśuddha cakra) lo yogī fa esperienza delle prime siddhi (poteri soprannaturali). Jālandharabandha impedisce che il nettare cada su agni bija e che vāyu diventi instabile. Viene poi descritta khecarīmudrā che consiste nel portare la lingua indietro e inserirla nella cavità del cranio.
Hamsa Upanishad. Il tema centrale dell’Upaniṣad è la teoria dell’Haṃsavidyā, che viene introdotta attraverso un dialogo tra Gautama e Sanatsujāta. Gautama chiede a Sanatsujāta di spiegarli il cammino della brahmavidyā, l’arcana scienza dell’assoluto e questi gli risponde descrivendogli la teoria dell’Haṃsa. Si tratta di un sapere segreto, un tesoro che porta beatitudine e salvezza e può essere comunicato solo al ricercatore sincero che abbia le passioni sotto controllo, sia devoto al guru e sempre in contemplazione dell’haṃsa. L’haṃsa viene descritta come l’ātman: pervade i corpi delle creature viventi come l’olio è presente nel seme e il fuoco nel combustibile. La conoscenza dell’haṃsa è raggiungibile attraverso lo yoga: contraendo l’ano lo yogī fa risalire il soffio vitale attraverso i sei cakra: mūlādhāra, svādhiṣṭāna, maṇipura, anāhata, viśuddha, e infine ājñā . Qui meditando raggiunge lo stato Nir-vikalpa-samādhi e beve il nettare generato dall’unione di Luna, Sole e Fuoco.
La meditazione sull’ajapā-mantra-haṃsa porta a sperimentare Nāda-Brahman nel centro del cuore (anāhata). Il suono si manifesta in 10 caratterizzazioni diverse, simile a una campana, un flauto, un’arpa, e così via. A ognuna corrispondono effetti precisi ma solo il decimo suono, quando Nāda somiglia al tuono, va tenuto in considerazione: è su di esso che lo yogin deve focalizzarsi per diventare Parabrahman.
 Advayatāraka Upanishad. Il testo espone concisamente e in uno stile simile a quello aforistico delle Upaniṣad settentrionali la dottrina segreta del tāraka yoga, il cui fine è il superamento dei cicli di morte e rinascita  e il raggiungimento dell’Assoluto non duale (advaya).    
Vengono anche elencate le caratteristiche del vero maestro (deve conoscere i Veda, essere devoto di Viṣṇu, libero dalla gelosia, puro, conoscitore dello Yoga e dei suoi intenti) e viene fornita una spiegazione etimologica della parola guru. Gu sono le tenebre, Ru significa distruttore. Il vero Maestro è quindi colui che dissipa le tenebre.
Darśana Upanishad. L'Upanishad inizia con un'invocazione al Divino: Insegnami, o Signore, la scienza dello Yoga, completa dei suoi otto gradini, poiché so che conoscendola posso diventare un liberato-in-vita. Il testo si presenta come una lunga e dettagliata esposizione dell’ottuplice yoga di Patañjali, arricchita con una descrizione della geografia del corpo sottile e della rete delle nāḍī.             Le dieci sezioni (khanda) di cui si compone si dividono nel modo seguente:
1.yama (25 śloka): non violenza, aderenza al Vero (tutto è Brahman), astinenza dal furto, castità, compassione, equanimità, autocontrollo, fermezza (nel considerare i Veda come l’unico modo per superare le sofferenze dell’esistenza e nel credere “Io sono l’ātman e nient’altro”), moderazione nella dieta, pulizia del corpo e della mente (contemplazione)
2. niyama (16 śloka): tapas o penitenze come prescritte nei Veda, soddisfazione, fede nella Śruti e nella Smṛti, generosità, devozione a Īśvara (che significa avere un cuore libero dalle passioni, parlare sincero, azione libera da violenza), fede nelle Scritture, modestia nelle azioni, preghiera
3. āsana (13 śloka): Svastikāsana, Gomukhāsana, Padmāsana, Vīrāsana, Siṃhāsana, Bhadrāsana, Muktāsana, Mayūrāsana, Sukhāsana
4. corpo sottile e nāḍī (63 śloka)
5. estensione del quarto khanda e tecniche di purificazione interiore (14 śloka)
6. prāṇāyāma (51 śloka)
7. pratyāhāra (14 śloka)
8. dhāraṇa (9 śloka)
9. dhyāna (6 śloka)
10. samādhi (12 śloka)
“Bisogna mettere impegno nelle āsana” dice l’Upaniṣad poiché “ad averne la padronanza si regna sui tre mondi; ma poi bisogna provare a padroneggiare il prāṇāyāma” (3.12). Prima di passare al prāṇāyāma il testo si dilunga nella descrizione del corpo sottile e del sistema delle nāḍi. Delle 72000 che percorrono il corpo solo 14 sono importanti: Suṣumṇā, Piṅgalā, Īḍā, Sarasvatī, Pūṣā, Varuṇā, Hastijihvā, Yaśasvinī, Alambusā, Kuhū, Viśvodārā, Payasvinī, Śaṅkhinī e Gāmdhārā. Di queste Suṣumṇā, Piṅgalā e Īḍā sono le più importanti e una è la più importante di tutte: Brahma nāḍi, la Suṣumṇā, corrispondente alla spina dorsale, Vīṇā-daṇḍa.
Durante l’inspirazione (addominale attraverso Īḍā) la mente rimane focalizzata sulla lettera A (del praṇava mantra oṃ), durante la ritenzione sulla lettera U, durante l’espirazione (attraverso Piṅgalā) sulla lettera M. Allo stesso modo si ripete inspirando da Piṅgalā ed espirando da Īḍā, la mente concentrata sulle lettere A-U-M. Questa pratica va ripetuta quotidianamente. La settima sezione è dedicata a pratyāhāra, che consiste nel forzare violentemente i sensi a ritirarsi verso l’interno.
Di dhyāna vengono date nella nona sezione due brevi descrizioni: meditazione sul Brahman qualificato (è la meditazione sul Signore Īśvara, la verità, l’esistenza, il Brahman trascendente, Colui che ha ribaltato verso l’alto il corso del Retas, il seme virile) e sul Brahman non qualificato (la verità non duale , il puro, l’eterno, senza inizio né fine, il non grossolano e il non-sottile, l’intangibile, l’impercettibile, l’immisurabile, che è Essere, Coscienza, Beatitudine. La pratica di dhyāna porta alla conoscenza del Vedānta. Samādhi è la nascita di coscienza relativa all’identità e unità di Jīvātman e Paramātman. Così come lo spazio nel vaso è uguale allo spazio intorno a te, allo stesso modo non c’è che un unico ātman. Così deve ripetersi lo yogī: “Non sono il corpo, né i soffi vitali, né i sensi, né la mente. Io sono il testimone, io sono Śiva”, questo è il Samādhi. Come le onde e la schiuma che sorgono dall’oceano e in esso di nuovo scompaiono, così il mondo nasce e si dissolve in me. La mente separata non esiste. Quando la coscienza risplende nella mente lo Yogin raggiunge il Brahman. Quando vede nel suo ātman tutti gli esseri, e in tutte le creature il suo ātman, egli diviene Brahman.

Per la Tattva Upanishad, la più importante, vedi articolo successivo.

Nessun commento:

Posta un commento

Introduzione al Blog

Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...