martedì 29 agosto 2023

L'anima indistruttibile - Geoffrey Parrinder (parte 1)

"Da ciò che Non è guidami a ciò che é, Dalla tenebra guidami alla luce, Dalla mortalità guidami all'immortalità". dalla Brihad-aranyaka Upanishad.

Questo bel libro L'anima indistruttibile di Geoffrey Parrinder (1910 - 2005), professore di Studio comparato delle religioni nell'università di Londra, è  riuscito a mettere a fuoco le differenze tra le varie filosofie indiane, spesso esposte in modo molto confuso e a volte contradditorio. E' un'eccellente opera divulgativa che spiega in maniera chiara la differenza tra sè, anima, atman, Brahman, ecc. 

I pensatori indiani hanno concentrato i loro studi sulla natura dell'uomo e, fatte pochissime eccezioni, le varie scuole hanno affermato che nell'uomo c'è un sè interiore o anima e che è eterno e indistruttibile. 

La Natura non è prodotta, Lo Spirito non è nè producente nè prodotto. La natura non è prodotta nè si evolve da altro, ma è in un stato di continuo movimento in ciascun ciclo cosmico e produce tutte le creature. Lo spirito al contrario, trascende movimento, casualità, tempo e spazio; non è prodotto da nulla, ma non produce nulla. La natura, pra-kriti, pre-agente non ha principio e fine e nel suo stato di quiete è il non manifesto. Poi si manifesta in 23 produzioni, prima a emergere dalla natura è la mente o coscienza (buddhi), da questo deriva l'ego, centro della personalità, e dall'ego deriva la ragione o intelletto. Questa è la base della filosofia sankhya, quando la natura ha prodotto i 23 elementi (25 se includiamo Natura e Spirito), alla fine li riassorbe, mentre lo spirito sta a guardare inattivo. Il sistema sankhya non fa riferimento a Dio, nè a un essere supremo, nè a dei minori (così come il gianismo e il buddhismo). Non nega Dio, perciò non è formalmente ateo, nè è materialistico, poichè tanto lo Spirito quanto la Natura sono eterni.

Lo yoga, come sistematizzato negli Yoga sutra di Patanjali (2 secolo a.C- 3 secolo d.C), era più interessato allo scopo pratico della salvezza mediante l'attività disciplinata piuttosto che la teoria metafisica e accettava lo schema Natura - Spirito del sankhya. Anche se non c'era un Creatore, lo yoga ritenne necessario introdurre il culto di Dio o del Signore nella ricerca della perfezione.  "Il Signore (Ishvara) è uno speciale tipo di Spirito, non toccato dalla sofferenza, dalle azioni (karma) o dal risultato di azioni o impressioni. In lui è la più alta conoscenza di tutte le cose: Egli fu maestro (guru) degli antichi e non è limitato dal tempo".  Questo signore fu aggiunto come ventiseiesimo alle categorie del sankhya ed era di ausilio alla meditazione e alla concentrazione, sebbene non fosse Dio nel senso più pieno. Il sankhya e lo yoga erano abbastanza critici degli antichi scritti e rituali vedici.  Le nuove teoria asseriscono che queste due filosofie derivino dalla antica religione non-ariana o dravidica (2500 a.C).  I veda la cui radice significa conoscenza, erano raccolte di inni agli dei dei guerrieri e sacerdoti ariani che invasero l'India intorno al 1500 a.C.   La filosofia vedica cominciò realmente col Ved-anta, la fine dei Veda, composto tra  l'800 e il 300 a.C. chiamato Upanishad, 'sessioni private'.  Qui i re, i saggi, i sacerdoti discutevano sulla creazione del mondo, sull'anima, la vita dopo morte, ecc.   Le upanishad dichiarano che in principio c'era l'anima, che era l'essere vero, intelligente e unico, e che dal suo pensiero furono prodotte tutte le creature. "In principio, questo universo non era che l'Essere, unico, senza secondo". Solo nelle upanishad più recenti veniva accennata la filosofia sankhya che viene ripresa e sviluppata nella Bhagavad Gita. La Gita dal secondo capitolo fa riferimento al sankhya come credenza di anime indistruttibili, dice che le qualità naturali agiscono in ogni tipo di attività e tutte le creature derivano dalla Natura che appartiene al Signore, e a lei ritornano dopo un ciclo cosmico.   "Alla mia natura materiale tornano tutti gli esseri, quando un ciclo termina; e quando un ciclo inizia, di nuovo io li emetto". Nelle upanishad il nome Brahman fu applicato all'Essere assoluto, qui nella Gita si parla di Brahman come madre o matrice, in cui il padre, Dio getta il seme. Qui Brahman è come la Natura, ma il Signore è diventato Dio nel senso più completo di attivatore e meta di tutti gli esseri. "Il grande Brahman è la mia matrice, e in lui getto il mio seme, donde proviene ogni essere che lì prende origine". La natura continua a essere eterna, ma l'attivazione dipende interamente da Dio, la cui opera può essere chiamata creazione. In tutte le filosofie indiane, ci sono creazioni e dissoluzioni dell'universo, gli anni degli dei si dividono in quatttro età (yuga). La prima il krita dura 4800 anni, il treta 3600, il dwapara 2400, il kali 1800 anni il peggiore ed è quello in cui viviamo dove predomina il pessimismo, il tramonto delle religioni. 

La scuola logica (Nyaya) insegnava che la fine del mondo verrà per l'azione del Signore (Ishvara), non per crudeltà ma per il desiderio di dare tregua alla sofferenza degli esseri viventi. Quando vorrà fare di nuovo una creazione lo farà per mezzo di una deità creatrice: Brahma

I buddhsiti ritenevano sterile speculare se il mondo fosse eterno o non-eterno, quello che interessava loro è la via della liberazione. Il buddhismo giunse a considerare che non c'era niente di permanente, che le cose erano mutevoli e che non c'era un essere identificabile. 

Dopo molti secoli di polemiche tra differenti filosofie nasce il Vedanta. Deve essere distinta dalle Upanishad, ma è chiamata Vedanta perchè dal nono al tredicesimo secolo, questi maestri basarono il loro insegnamento sulle upanishad (il primo vedanta) e su un'opera chiamata Brahma sutra (chiamato anche Vedanta sutra). Questo testo mette in rilievo il desiderio di conoscere Brahman, l'essere supremo, l'origine di tutto. Il vedanta differiva dal Sankhya in quanto nessuno sosteneva che la Natura esisteva come indipendente dall'Essere divino. Le anime individuali accennate dal Sankhya venivano viste come manifestazioni dell'unica suprema anima o Sè. Molte speculazioni furono fatte sulle parole che chiudono il commento del grande filosofo Ramanuja al Vedanta sutra: "C'è uno spirito supremo la cui natura è assoluta beatitudine e bontà, che è la causa del mantenimento e della dissoluzione del mondo, che è onniscente, ecc.".

pag. 21. Il sankhya tenta di dimostrare l'immortalità dell'anima o spirito (purusha) che deve necessariamente esistere, se la natura è composta ed esiste in funzione, e se c'è qualcosa al di là delle tre qualità della natura. Anzi comincia a pensare che lo spirito non è uno ma molti, come molte sono le anime o monadi separate dell'essere. Ogni anima, in sè completamente immateriale e libera, è accompagnata da un corpo sottile (linga). Lo spirito era chiamato testimone, neutro, inattivo ma il suo legame con il corpo sottile, lo faceva apparire attivo. Anche la Gita propone questa tematica dicendo che il vero sè non agisce, un guerriero non può uccidere e non può essere ucciso. Il rapporto tra natura è spirito è spesso illustrato dalla storiella del cieco che porta sulle spalle lo zoppo e lo zoppo guida i suoi passi per avanzare. La natura è il cieco, perchè non vede, e lo spirito è lo zoppo, perchè non agisce. E' il solo corpo sottile (natura) che trasmigra e lo spirito è immoto e spettatore.

Per i gianisti (jina significa conquistatore) l'intero universo si poteva dividere in anime viventi (jiva) e non viventi (a-jiva). Il principio di vita era questa anima distinta dal corpo, la principale caratteristica dell'anima, distinta dalla non anima, era la consapevolezza e questa era una valida prova della sua esistenza. I gianisti credevano che l'anima riempisse tutto il corpo e che le anime fossero reperibili in tutta la materia vivente: animali, piante, dei e uomini. Questi esseri trasmigravano in altre vite secondo il risultato delle proprie azioni e alla fine le anime illuminate otterrebbero la liberazione nel Nirvana. Per il Vedanta le anime sono in realtà una sola.  La credenza di questa anima indistruttibile appare spesso nelle Upanishad ed è essenziale nella tesi della Gita. Spesso è raffigurata della misura di un pollice e ha sede nel cuore delle creature. Nella Gita si parla di anima incarnata che prende un nuovo corpo ma si parla anche dell'anima in sè che partecipa o è identica all'essere divino assoluto, Brahman, e questa non può nascere, nè morire. Ammette che questa teoria dell'anima permanente è una teoria sankhya e poi passa a insegnare lo yoga.  La Gita parla del'anima vitale identica al sè racchiuso nel corpo: Una parte di Me, nel mondo della vita, diviene un'anima viva, eternaQuesto Me è Krishna, che è considerato il sommo e unico Dio, l'Essere assoluto, e l'anima vitale è considerata una parte del divino.  Shankara. mille anni più tardi, si domandava come fosse possibile che l'Assoluto, che è indivisibile, avere una parte divisa da sè. Nella Gita si ribadisce che Dio fosse infinito e indivisibile e tuttavia avesse parti di sè nel mondo e assumesse le vesti di un avatar o incarnazioni di un divino.

La filosofia sankhya e i gianisti non credevano in un dio creatore o un essere supremo, sebbene il sankhya yoga aveva accettato l'idea di un essere speciale ma credevano in un'anima indistruttibile e i buddhisti giunsero anche ad attaccare l'idea di un'anima e insegnavano il Non-sè o Non-anima (an-atta), nulla in questo effimero mondo può essere chiamato 'io' o 'sè'.  Questo insegnamento passò nell'induismo attraverso la Gita (nella stesura dei prima capitoli si avverte l'influenza buddhista): "L'uomo che allontana tutti i desideri, così da far cessare eogni passione, e non pensa "io sono questo" o 'questo  è mio', raggiunge la pace".   Un importante e popolare testo Le domande di re Milinda cerca di dare risposte ai problemi spirituali ed è il dialogo tra un sovrano greco e un monaco buddhista di nome Nagasena. E anche qui è riportato che le vite erano concatenate tra loro dal karma. Si sottolinea l'avversione verso la speculazione filosofica e l'importanza data alla religione pratica e alla morale. Nei testi buddhisti antichi, mentre si nega un sè identificabile, si afferma anche l'eterna esistenza dell'essere o stato indescrivibile:  "C'è un Non-nato, non divenuto, non-fatto e non-composto, ... ".

Accanto a queste diverse credenze o negazioni delle anime indistruttibili c'erano poderose dottrine vedantiche sull'anima individuale (atman), l'anima cosmica (Brahman) e la loro unione o identificazione. Ma furono ignorate dai buddhsiti, contraddette dai giainisti, modificate in teismo personale nella Gita. Poi questo panteismo o monismo finì per dominare il pensiero indù

Nei testi indù la parola atman significa tanto l'anima dell'uomo quanto l'anima dell'universo, nei Veda è usato nel senso di soffio vitale, mentre nelle Upanishad la parola atman è usata a proposito dell'uomo e Brahman come spirito universale. Nelle traduzioni molti autori traducono atman con anima.   La credenza dell'anima significa la supremazia dello spirito, ed é ritenuta fondamentale nella spiegazione del mondo.  "In principio l'universo era l'Essere solo, uno, senza secondo .... Allora pensò: possa io diventare molti!"  Gli dei passarono da 3306 a 33, quindi a tre e poi a un dio unico: Brahman, che è chiamato Quello, il Tutto, la totalità dell'esistenza, un Essere immutabile.  L'immutabile realtà che si cela dietro l'effimero mondo visibile era chiamata Brahman e fu considerata identica all'essenza dell'uomo atman. Questa entità fu messa in rapporto con un dio creatore Brahma e con i sacerdoti brahmini.

Una serie di intuizione nascono dalle innumerevoli meditazioni sulla natura dell'universo e dell'uomo: - L'anima nel cuore dell'uomo è Brahman, che è la sua origine e la sua meta. E' interna, immanente e infinitesimale, ed è anche trascendente. - L'anima rimane libera dalle sofferenze del mondo. Nella terra c'è il luminoso, immortale Spirito (purusha) che è l'atman-Brahman. - Le differenze sono dovute solo a nomi e forme.   

pag. 36 Il saggio Uddalaka comunica la figlio la verità interiore: "dove si ode ciò che non si può udire, si percepisce ciò che non si può percepire, e si conosce ciò che non si può conoscere, dietro le modificazioni degli oggetti individuali c'è una singola essenza o essere e, quando questa è conosciuta, ogni altra cosa è conosciuta". "L'intero universo l'ha come sua anima, Ciò è la Realtà. Ciò è l'Anima. E tu stesso lo sei".   E termina con la frase: "Tu sei Quello, quello sei tu (Tat twam asi)".  Questa celebre frase è stata oggetto di infiniti commenti ed è stata presa come sommario della dottrina del Vedanta e perfino dell'induismo. L'essenza dell'uomo è tutt'una con l'essenza dell'universo, è la dottrina della non-dualità (a-dwaita) che è stata chiamata anche monismo (o monismo panteistico)  in quanto asserisce il Sè universale, l'unicità soggiacente,  piuttosto che panteismo dove il divino è tutto e tutto è il divino.

Sebbene Brahman-Atman non sia Dio nel senso personale, è considerato la realtà suprema e conscia. è trascendente e immanente, è mente e spirito, più tardi viene chiamato Sat-Chit-Ananda l'essere supremo, la sapienza più alta, la beatitudine più profonda. L'anima liberata arriva al Nirvana, la sua coscienza limitata diventa la coscienza suprema senza tutte le limitazioni dell'umanità.

Ci sono delle upanishad come la Kheta e Shavetashvatara che introducono l'idea di un teismo e parlano di un Creatore, di un'intelligenza non spiegata da composizioni materiali. Questo Dio supremo finisce per l'identificarsi con Rudra, e nel suo attributo Shiva, che diventera l'oggeto di culto di milioni di indù. Sorprendentemente nella Gita, che è posteriore, viene ignorato Shiva, e presenta Krishna come l'Uno supremo e non manifesto al di sopra di BrahmanLa Gita combina le filosofie sankhya e vedanta ma piegandole al suo chiaro monoteismo. Usa la parola spirito (purusha) presa dai testi vedici e sankhya ma lo trasforma in Spirito altissimo e la Deità suprema  e nel capitolo dieci la dichiara come la più importante di tutte le classi di dei e uomini. Inoltre, non allude mai alla frase "Tu sei quello"; ma parla di Quello, esso è (tat, sat) come Realtà ed Essere, legandoli al dovere pratico e all'eternità.

I grandi maestri delle scuole vedantiche commentarono la Gita, le Upanishad e il Vedanta sutra, tra questi Shankara (monista , 788-820 circa) cominciò con l'affermare l'esistenza del sè, in quanto tutta la conoscenza deriva dall'auto esperienza; la base dell'esperienza è Brahman, conosciuto come il sè di ciascuno. L'apparenza del mondo è attribuita a maya, potenza illusione, irrealtà (il concetto di maya è appena accennata nelle upanishad). Il mondo esiste mediante maya, ma non è esistenza, è un vuoto, che scomparirà con la piena illuminazione e l'unione dell'anima con Brahman. L'anima si fonde con il divino, realizzando la propria vera natura. L'anima rimane anima individuale finchè non si libera dall'ignoranza e si esprime nella forma "io sono Brahman".  Shankara fu l'espressione completa del monismo e del neo-vedanta rifiutando il dualismo dell'anima e del divino.  Altri maestri come Ramanuja (teista , undicesimo secolo) ritenevano che il mondo e l'anima sono reali, non sono delle illusioni, ma dipendono da Dio e da una unità, dal momento che esistono come corpo di Brahman.  Nelle upanishad si trova scritto: "Colui che risiedendo in tutti gli esseri, pure da tutti gli esseri è diverso, che tutti gli esseri non conoscono, il cui corpo sono tutti gli esseri, che dall'interno regge tutti gli esseri". Questo è l'immortale reggitore, che pur essendo chiamato Anima, non può essere l'anima individuale dell'uomo.  Ramanuja insegnava un Non-dualismo qualificato, la comunione o unione delle anime con Dio, ma non la loro identificazione con lui. Insegnava la credenza di un Dio che potesse essere accettato come Dio personale identificando Brahman con Visnù e dando il via al risveglio della devozione per Visnù. Un altro grande filosofo vedantico fu Madhva (tredicesimo secolo) e proponeva un dualismo (dwaita) di Dio e uomo. Identificava Brahman con Visnù che è immanente nel mondo (reggitore delle anime) e trascendente (reggitore del mondo). l'anima è limitata e soffre a causa del proprio karma, tutte le anime sono differenti e trovano la liberazione in virtù della grazia di Dio. Madhva riconosceva che in molti testi delle upanishad era scritto "Tu sei quello", ma sottolineava anche altri testi parlavano di Dio e dell'anima come separati.   Parallelamente al culto di Visnù si sviluppò il culto di Shiva che è visto come il reggente dell'universo e abitante in tutti gli esseri; il non dualismo o monismo è respinto, e cacciata via l'ignoranza, l'anima ritrova la propria natura, e si ha l'unione con Dio, che non è però identità. C'è una perdita di egoismo e gli uomini abitano in lui.

 

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