L’Obon, anche noto come festa delle lanterne, è il giorno giapponese dei morti, e, insieme al Capodanno, è una delle ricorrenze principali del Paese.
L’Obon è considerata una festa buddhista, ma, come spesso succede, incorpora anche elementi preesistenti o derivanti da altre tradizioni. Il culto degli antenati, infatti, in Giappone esisteva già prima dell’avvento del buddhismo ed è presente nello shintoismo, la religione “autoctona” del Paese, oltre che nel confucianesimo e nel taoismo.
In Giappone, nel culto degli antenati pre-buddhista, c’erano due feste principali in cui le anime dei defunti tornavano in questo mondo: il Capodanno e quello che oggi chiamiamo Obon. Nel tempo, il Capodanno è stato assorbito principalmente dalla sfera shintoista, e si è quindi dato risalto alle anime come “kami” (divinità o spiriti dello shintoismo), simboleggiate dalla figura di Toshigami.
Anche le famiglie di fede shintoista, comunque, festeggiano l’Obon.
Ufficialmente, l’origine dell’evento (e del nome) viene fatta risalire a “Urabon”, la traslitterazione del sanscrito “ullambana” (che vuol dire “appeso a testa in giù”, in riferimento al patimento delle anime tormentate). Il termine si riferisce a un sutra omonimo in cui si racconta la storia di Mokuren, un discepolo di Buddha che raggiunse uno stato superiore di conoscenza. Usando questa sua capacità, riuscì a scoprire che lo spirito di sua madre si trovava nel regno delle anime affamate. Mokuren cercò di darle da mangiare, ma appena prima di entrarle in bocca, il cibo prendeva fuoco.
Si rivolse quindi a Buddha per chiedergli come aiutarla, e lui gli rispose che nel quindicesimo giorno del settimo mese lunare avrebbe dovuto offrire cibo e bevande alla comunità monastica, e che quelle offerte si sarebbero trasmesse a sua madre.
Anche se questa storia è all’origine del nome ed è stata collegata alla festa, l’usanza di accogliere le anime dei morti e offrire loro del cibo non esiste nel buddhismo indiano, ma proviene da tradizioni preesistenti assorbite dal buddhismo stesso durante la sua diffusione in Cina e in Giappone.
Si dice che il primo Obon in Giappone sia stato organizzato nel VII secolo, ma per lungo tempo rimase un evento limitato alla corte imperiale e ai nobili.
Solo nel periodo Edo (1603-1868) iniziò a essere festeggiato anche dalle masse. Sembra che questa diffusione sia in parte dovuta alla produzione di massa e al successivo calo dei prezzi delle candele, che permisero a molte più persone di provvedere a lanterne e decorazioni. A metà Seicento, inoltre, il governo militare aveva istituito il sistema danka, per cui ogni famiglia doveva essere affiliata a un tempio buddhista. Fu così che l’Obon venne inglobato nei riti di questa religione.
L’Obon oggi è soprattutto una festa in cui si torna in famiglia, si sta insieme e magari si visitano le tombe dei propri cari. Solo pochi giapponesi mantengono le antiche tradizioni, che comunque variano enormemente da zona a zona.
Il primo giorno del settimo mese lunare viene anche chiamato “kamabuta tsuitachi”: è il giorno in cui gli inferi si “scoperchiano” e lasciano uscire le anime. Da questa data iniziano le visite alle tombe e si cominciano i preparativi per accogliere gli spiriti degli antenati.
In alcune regioni si taglia l’erba lungo i fiumi e ai margini delle strade che scendono dalle montagne. Questo serve per agevolare il passaggio delle anime che, secondo lo shintoismo, vivono sui monti, nei corsi d’acqua e nel mare. Ecco quindi un esempio di un particolare shintoista inserito in una festa considerata buddhista.
Con l’apertura degli inferi non escono solo le anime benevole degli antenati, ma anche gli spiriti “cattivi”. In alcune zone si diceva che da questo giorno bisognasse stare attenti quando si faceva il bagno nei laghi, nei fiumi e nel mare: si rischiava infatti di essere trascinati a fondo dallo spirito inquieto di qualche morto annegato.
Il 7º giorno è quello in cui iniziano ufficialmente i preparativi più concreti. Si dispone un altarino (shōryōdana) su cui verranno messe le offerte per gli spiriti in visita. In molte regioni del Giappone si preparano un cetriolo e una melanzana con 4 stecchini conficcati a mo’ di zampe per simboleggiare un cavallo e una mucca. Il primo, più veloce, serve a portare l’anima del defunto a casa; la seconda, più lenta, serve a farla tornare con calma nell’aldilà, magari carica dei doni ricevuti.
Il 13º giorno si accendono i fuochi di benvenuto (muakebi) per guidare le anime nel loro viaggio di ritorno a casa. Le modalità variano a seconda delle zone: ci possono essere lanterne appese davanti alle case (in questo caso, le lanterne bianche indicano che si tratta del primo Obon dalla morte del familiare), oppure fuochi lungo i fiumi, sulla spiaggia, nei cimiteri. La tradizione prevede anche che si accendano piccoli fuochi davanti a casa. Un tempo alcune famiglie, se vivevano vicino al cimitero, si recavano alla tomba dei loro cari con delle torce di paglia. Ne accendevano una sulla tomba, e poi una a ogni incrocio fino alla porta di casa, per evitare che le anime si perdessero.
Dalla sera del 13º giorno, inoltre, si mettono le offerte ai defunti sull’altare preparato in precedenza.
Intorno al 14º-15º giorno si invitano i monaci a recitare sutra. Per tutto il tempo in cui gli spiriti stanno in casa, ricevono 3 pasti al giorno, sempre serviti sullo shōryōdana.
La sera del 16º giorno (a volte del 15º) si accendono i fuochi di commiato (okuribi) per guidare le anime nel loro ritorno all’aldilà. L’evento più famoso è il Daimonji di Kyoto (ovvero il Gozan no okuribi), in cui 5 fuochi a forma di simboli giganti vengono accesi sulle montagne intorno alla città.
In alcune zone si usano anche lanterne fluttuanti sull’acqua o barche, dato che, come abbiamo visto, le anime vivono nei fiumi o nel mare. A Nagasaki, ad esempio, a portare via gli spiriti sono delle grandi barche che, dopo una processione per la città, vengono messe in mare. A Morioka, nella prefettura di Iwate, si appicca il fuoco a una barca di diversi metri che poi viene messa a galleggiare sul fiume.
Il 15º o 16º giorno si svolgono anche le famose bon-odori, le danze tipiche di questa festa. Anche se hanno origine nelle nembutsu-odori, delle danze religiose in cui al ballo si accompagnava un’invocazione a Buddha (chiamata appunto “nembutsu”), oggi l’elemento religioso è per lo più sparito e sono diventate delle grandi feste a cui partecipano tutti. Anche l’accompagnamento musicale è il più disparato, e si va dai taiko (i tamburi) alla musica pop. Per i giapponesi, le bon-odori sono anche un’occasione per rivedere i propri compaesani trasferitisi in città, o per gironzolare tra le bancarelle della festa. I tre principali eventi di bon-odori in Giappone sono quelli di Nishinomai, nella prefettura di Akita (a nord), l’Awa-odori nello Shikoku e il Gujō-odori nella prefettura di Gunma (nel centro). Nel 2022 alcuni tipi bon-odori, insieme ad altri balli tradizionali, hanno ricevuto lo status di patrimonio culturale immateriale dall’UNESCO.
A livello nazionale, la grande maggioranza delle persone festeggia l’Obon a metà agosto.
Anche
se, a differenza del Capodanno, l’Obon non è un giorno festivo, tante
aziende chiudono e molti giapponesi prendono ferie per tornare dalle
loro famiglie d’origine.
Prima l’Obon si teneva dal 13º al 16º giorno del settimo mese lunare, col passaggio al calendario gregoriano, nel 1873, alcune zone hanno
mantenuto il riferimento al settimo mese e hanno iniziato a festeggiarlo
a luglio. Altre, per evitare che la festa coincidesse con un un periodo
in cui c’è molto lavoro nei campi, hanno deciso di fissare una data più
vicina a quella del calendario lunare: dal 13 al 16 agosto. A Okinawa,
invece, si è continuato a osservare il calendario lunare, quindi la data
varia ogni anno.
Dal sito: https://volcanohub.com/
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