Il ramo esoterico del buddhismo, noto come Vajrayāna o "Veicolo del Diamante", nasce in India nel VII secolo e si diffonde successivamente in Tibet grazie al grande maestro Padmasambhava. Questa tradizione sostiene che sia possibile raggiungere la liberazione nel corso di una sola esistenza, attraverso l'impiego di potenti mezzi di trasformazione sia fisici che psichici.
Fondamentale in questo percorso è l’iniziazione del discepolo, che deve avvenire per mano di un maestro spirituale, chiamato guru o lama. La pratica liturgica del Vajrayāna è ricca di simbolismi: prevede gesti rituali codificati, la recitazione di mantra, e la visualizzazione di divinità, elementi tutti integrati nel processo di trasformazione interiore.
Tra le divinità più celebri e temute vi è Mahavajrabharava. Le figure divine femminili, invece, rappresentano la saggezza e la conoscenza; un esempio emblematico è quello delle dakini, termine che significa “coloro che danzano nel cielo”. Le dakini sono spesso interpretate come donne che hanno raggiunto un elevato grado di realizzazione spirituale.
L’iconografia tibetana include anche rappresentazioni dei mahasiddha, i grandi realizzati: asceti e yogi vissuti in India tra il VI e l’XI secolo, il cui insegnamento ha avuto una profonda influenza sullo sviluppo del buddhismo tibetano. Tra essi si ricorda Naropa (1016–1100), associato alla pratica yogica del tummo, una tecnica attraverso la quale le energie interne dei canali laterali vengono canalizzate nel canale centrale, accompagnata da visualizzazioni e tecniche di respirazione. Questa pratica conduce l’adepto all’esperienza della “felicità-vacuità”.
Un importante supporto alla meditazione è costituito dai thangka, pitture religiose realizzate secondo rigide regole iconografiche. Queste opere, pensate per essere arrotolate, possiedono anche una funzione protettiva.
Tra gli oggetti rituali utilizzati vi sono il vajra (simbolo di fulmine e diamante), emblema dell’indistruttibilità, della purezza e dell’illuminazione, e la campanella. Questi strumenti sono impugnati rispettivamente con la mano destra e la sinistra: la prima rappresenta il principio maschile e la compassione, la seconda il principio femminile e la conoscenza. Nei monasteri tibetani si tengono anche cerimonie con danze rituali in maschera (cham), eseguite dai monaci, che mettono in scena divinità e maestri spirituali, come ad esempio Padmasambhava.
Nel corso dell’XI secolo, durante il consolidamento del buddhismo in Tibet, si sviluppano i principali ordini monastici, sostenuti da importanti famiglie nobili. L’ordine dei Nyingmapa, il più antico, trae origine dall’opera di Padmasambhava e include sia monaci sia yogi laici e sposati.
Un altro importante lignaggio è quello dei Kagyupa, all’interno del quale si distingue il ramo del Karmapa, strettamente legato agli insegnamenti dei Mahasiddha indiani. Tra le figure di riferimento spicca il poeta mistico Milarepa (XI secolo), noto per aver condotto una lunga vita di ascesi ed eremitaggio.
L’arte tibetana, comprendente statue e dipinti, è realizzata secondo precise regole iconografiche e ha la funzione di supportare la pratica meditativa. Queste opere rappresentano le energie spirituali evocate per contrastare le forze che ostacolano il risveglio.
Tra i reperti rituali tibetani figurano anche i phurba (o pourba), pugnali rituali ritenuti dotati di potere magico. Secondo la tradizione, il semplice toccarli potrebbe portare grandi sventure.
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