Questo testo Tasma. Per non prenderti troppo sul serio è scritto dal monaco Ajahn Mhapanno del monastero Santacittarama (Rieti). Durante un insegnamento una partecipante chiese al monaco il significato della parola Tasma che il monaco aveva ripetuto spesso. Tasma significa "quindi" ed è la parola che dà il titolo a questa raccolta di insegnamenti.
https://santacittarama.org/2023/05/02/tasma/ https://santacittarama.org/wp-content/uploads/2023/05/Tasma-Ajahn-Mahapanno.pdf (testo completo in Pdf)
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"Respiro, quando noto un disagio mentale mi attivo seguendo un insegnamento del Buddha che riequilibri il cuore, volto al lasciare andare. Se non noto nessun disagio continuo a respirare e sono sereno. Altro non è che faccia".
I cinque precetti nel buddhismo sono: astenersi dall'uccidere altri esseri viventi, astenersi dal prendere ciò che non ci è dato, astenersi da una condotta sessuale scorretta, astenersi dal mentire, astenersi dall'assunzione di sostanze intossicanti.
Le nostre scelte sono inserite in un contesto ampio, e gli effetti dipendono dalla situazione e dalle scelte delle altre persone che interagiscono con noi. Il buddhismo è la scienza della mente e del cuore, l'obiettivo del Dhamma (o Dharma) è di andare oltre.
Per oltrepassare la soglia, per varcare il cancello di ciò che non muore, per fare quel passo dobbiamo lasciar andare tutto e aprirci al mistero. La Via non è la Meta. Il superamento di quella soglia è al di là di della logica. Il buddhismo è una disciplina scientifica, una filosofia, ma è anche una religione a pieno titolo perché mira alla trascendenza e all'incondizionato. Si deve andare oltre la visione limita e condizionata che portiamo illusoriamente dentro di noi, e aprirci alla dimensione dell'Incondizionato; è un salto qualitativo.
Che cosa ci fa veramente paura? E' rimanere senza soldi, malati, senza nemmeno avere la certezza che la nostra mente sia affidabile.
La delusione dell'Io". Occorre lasciar andare i nostri attaccamenti, trattenere, afferrare fa male, questa sofferenza, questo disagio non sono indispensabili. Il perno della pratica è il seguente: ovunque ci sia un attaccamento, c'è sofferenza. Se lasciamo andare tutto, avremo una felicità completa. Avremo realizzato nel nostro cuore una libertà incondizionata. Ogni pratica spirituale, che abbia un valore richiede in movimento di introspezione, un contatto diretto con il cuore e con la mente. Ciò non significa escludere il mondo esterno e isolarci perché, quello che dovrebbe cambiare è il nostro modo di relazionarci con i fenomeni interni e esterni.
Per lasciar andare gli attaccamenti c'è un processo da mettere in moto. Dobbiamo partire dalle nostre attuali condizioni mentali e fisiche, e dobbiamo riuscire a conoscerle attraverso un processo di consapevolezza. Se non attiviamo questo processo del "lasciare andare " con consapevolezza potremmo aumentare il nostro stato di disagio e di frustrazione alla situazione. E potremmo perdere fiducia in noi stessi e addirittura nel Dhamma. la soluzione è semplice: occorre fare un passo alla volta con gradualità. Ajahn Mhapanno porta la sua testimonianza di una serie di episodi chiave del suo percorso, quando subentra la frustrazione occorre usufruire del contatto con la natura per aiutare la mente a calmarsi e ritrovare un'armonia con l'ambiente esterno, per agevolare poi quella interiore. Nel sorridere e nel ricevere un sorriso il cuore si apre, la mente si calma, ci si sblocca e si ritorna nell'equilibrio di fondo, e magari si arriva anche a contemplare la morte.
Immaginiamo tanti puntini sparsi su un foglio, questi puntini rappresentano informazioni raccolte da libri e da insegnamenti, però non sappiamo ancora tracciare una figura, una forma partendo da essi, farne venire fuori un quadro generale. Se riusciamo a fare questo ( a strutturare le informazioni raccolte) siamo passati dall'informazione alla conoscenza intellettuale. Occorre andare ad un livello superiore, cioè passare dal chiuso della biblioteca all'esperienza diretta del Dharma nella vita, In questo momento ci convertiamo da praticanti spirituali a discepoli del Buddha. Dobbiamo far si che quei puntini non siano solo informazioni, che quei tracciati non siano solamente frutto di una conoscenza intellettuale, ma che combacino con la nostra vita e ci permettano di portare avanti una retta via. Comunque bisogna tener conto che non tutti i punti marcati sul foglio saranno necessari per ognuno di noi. Dobbiamo focalizzarci solo su quelli che racchiudono la nostra vita, su quelli di cui possiamo avere esperienza diretta.
Potrete trovare tutti i puntini, tutte le informazioni base, tutte quelle qualità e quei fattori che sostengono il processo di Liberazione, nella APP "Elenchi del Buddha" (Si può scaricare gratuitamente). Fate attenzione a non alimentare quegli elementi e fattori che ostacolano il Sentiero. Anche questi sono indicati dagli insegnamenti del Buddha.
Poi, dobbiamo fare un ulteriore passo avanti, Dobbiamo sporgerci al di là del foglio, perché per quante cose si possano scrivere su un foglio, per quanto belle esse siano, c'è per esse un inizio e una fine. Dobbiamo andare alla ricerca di Ciò che Non Muore - che non è fatto di condizioni - dell'Incondizionato. Dobbiamo sporgerci dal foglio e fare un salto nel vuoto, nel mistero, in quello spazio aperto dove un pennarello non può marcare nessun puntino. Dove l'"io" non può scrivere sé stesso.
Un altro aspetto importante, è coltivare una mente che osserva e senza farsi coinvolgere dagli attaccamenti. E' una mente in equilibrio, che non solo osserva ma sa anche come osservare al fine di non aggrapparsi ai fenomeni. E si può identificare con il Buddho, “Ciò che Conosce”. Buddho non è un mantra, anche se talvolta può essere associato al respiro come un mantra, ripetendo mentalmente “Bud”
nella fase di inspirazione e “dho” espirando. In tal caso è utilizzato come oggetto di concentrazione preliminare.
“Buddho” non significa essere illuminati, significa avere visto la mente in equilibrio, forse solo per un attimo e, grazie a quell’attimo, essere stati in grado di constatare che tutto convergeva verso questo equilibrio. Così, anche se solo per un attimo, abbiamo avuto la prospettiva dalla quale il Dhamma diventa realmente comprensibile. È una vera e propria rivoluzione nella nostra pratica … è in quel momento che comprendiamo che la mente non va calmata, che la mente è già calma, ma c’è un senso del sé che va ad agitarla promuovendo forme di avidità, avversione e illusione.
È il momento in cui vediamo la “rinascita” mentale, la gestazione dell’“io” che sfocia nel divenire e dà origine al saṃsāra. È il momento in cui le tecniche di meditazione perdono valore, perché assisti al comporsi del sé e non cerchi più una struttura che lo contenga, ma solo di capire le condizioni che lo sostengono e come rimuoverle. È il momento in cui perdi la fiducia nel mondo e nelle sue idee, prima fra tutte quella di un sé, di un “io”, per dare spazio al Dhamma. Magari è solo un momento, ma per quanto breve possa essere, dà fiducia, ci dice che ci sono potenzialità inaspettate e che il Sentiero può essere davvero percorso. È l’inizio della vera pratica. Abbiamo superato uno dei più grandi esami della pratica spirituale: comprendere Buddho.
Man mano si inglobano in sé tutti quegli elementi che concorrono alla Liberazione del cuore e al Risveglio della mente: la presenza mentale, la saggezza, la concentrazione, il samādhi, l’energia, la fede, tutto ciò che possa servire al vero cammino spirituale…
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