venerdì 1 agosto 2025

La ricerca radicale della spiritualità

 Non siamo nell'epoca della misura,  né del giusto mezzo: tutto è estremo; si va dall'iperconnessione , alle pressioni sociali, alla corsa al profitto. In questo contesto la ricerca della spiritualità è diventata un atto di resistenza radicale.   

Articolo di Eugenia Nicolosi   Vedi: https://www.alfemminile.com/salute-e-benessere/spiritualita-estrema-tra-ritiri-comunita-e-illusioni/?utm_source=firefox-newtab-it-it

Cosa è lo spirito? E cosa è la percezione dello spirito in un'epoca ipermoderna, iperconnessa, iperconsumistica, ipermaterialista? In un tempo dominato dal culto dell'io, dalla velocità e dalla sovrabbondanza informativa, la resistenza a queste stesse dinamiche è ugualmente estrema. Ecco perché la ricerca di una dimensione spirituale più autentica, profonda, a volte completamente slegata dai tradizionali riferimenti religiosi, si fa necessariamente radicale.

Non si tratta di una moda, non solo almeno, ma di un fenomeno globale che non poteva che trovare spazio nelle pieghe di un mondo sempre più logorato da stress cronico, alienazione e perdita di senso. Tanto ci siamo allontanate, allontanati, dalla dimensione spirituale, che oggi tentare di ritrovarla significa agire una rivoluzione interiore, oltre che esteriore.

Dappertutto si moltiplicano i ritiri spirituali — da quelli immersi nei boschi alle esperienze sensoriali nel deserto del Nevada — e non è raro che il/la manager, il/la creativo digitale o il/la professionista di turno, dopo ore passate tra Zoom e notifiche, scelga di spegnere tutto e cercare "un centro", qualunque cosa esso significhi. Yoga, bagni di suono, meditazioni Vipassana, digiuni, cammini, la "ayahuasca experience": le attività sono organizzate in contesti costruiti ad hoc per sembrare fuori dal tempo e dallo spazio. E nel caso dell'ayahuasca si esce davvero, dal tempo e dallo spazio.

Queste esperienze pensate per essere trasformative, rispondono a una domanda molto precisa: provvedere alla sopravvivenza dell'io spirituale in un mondo che quell'lo lo mortifica e ignora. Così, la fuga nel digitale, ora che il digitale è il posto reale, diventa una fuga nel rituale. 

Le comunità spirituali alternative esistono anche in Italia, lo sappiamo: è il caso di Damanhur, insediamento eco-spirituale nato negli anni Settanta tra le montagne piemontesi, fondato da Oberto Airaudi, e ancora oggi attivo.  Damanhur rappresenta uno dei tanti esempi di come il bisogno di spiritualità possa trovare espressione in forme comunitarie, auto-organizzate, a volte eccentriche ma profondamente strutturate. La parola "setta", in questi contesti, tende a emergere con facilità, spesso come giudizio esterno piuttosto che analisi oggettiva.

Certo, il confine tra comunità spirituale e deriva settaria può essere sottile, e la vigilanza è doverosa. Non mancano le testimonianze di sopravvissuti, sopravvissute a sette  in Italia - che raccontano di manipolazioni, abusi sessuali, psicologici ed economici, adescamenti e praticamente riduzione in schiavitù. 

Ma è altrettanto importante domandarsi, senza pregiudizi, perché queste realtà attraggono, chi è che le cerca, e cosa promettono: senso di appartenenza, contatto con la natura e la dimensione interiore, anzi, promettono uno spazio in cui la propria interiorità è il centro dell'esperienza. Che poi lo mantengano è altra questione.           

Tutto questo non può essere liquidato come fuga dalla realtà. È piuttosto un sintomo della fatica sempre più diffusa di vivere in un mondo costantemente acceso e che pretende, da chi lo abita, altrettanta performatività. Un mondo in cui ogni momento è potenzialmente produttivo e che sacrifica le emozioni che non possono essere monetizzate. In questo contesto è ovvio che il ritiro spirituale, l’appartenenza a una comunità fondata su dei valori e non sul profitto, anche solo la ricerca di un senso più grande possono essere visti come atti radicali, per quanto di legittima resistenza. 
La vulnerabilità di chi cerca un senso, una guida o una comunità può diventare riserva di caccia grossa per chi, consapevolmente o meno, sfrutta tale bisogno a proprio vantaggio. È impossibile non ricordare Osho: spiritualista carismatico, fondatore di una delle più note comunità alternative del Novecento, capace di attirare decine di migliaia di seguaci in tutto il mondo. Il suo ashram divenne negli anni Ottanta una città autonoma nel cuore dell’Oregon, Rajneeshpuram, che culminò in uno scandalo internazionale: accuse di frode, abuso di potere e un’inchiesta federale che portò alla sua espulsione dagli Stati Uniti.

Un caso estremo, certo, ma che restituisce con precisione chirurgica quanto la contaminazione capitalista si possa spingere oltre. La ricerca di spiritualità, come la promessa di comunità, non è immune da dinamiche di potere, dipendenza e sfruttamento. Per questo, se il bisogno di una dimensione interiore è legittimo — e forse più urgente che mai — è altrettanto necessario esercitare discernimento. Non ogni guida è illuminata, non ogni comunità è sana. Cercare il sacro, oggi, può essere un atto rivoluzionario soprattutto se fuori dalle dinamiche che ci hanno impedito, fino a oggi, di trovarlo.

Ma al domanda finale che io mi pongo è la seguente: Può esistere una comunità, non immune da dinamiche di potere, dipendenza e sfruttamento, in cui si possa mantenere la propria personalità, capacità di discernimento, possibilità di dialogo su alcuni principi base? 

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