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mercoledì 10 aprile 2024

Il Dhammapada commentato da Thomas Cleary

"Mediante l'energia, la vigilanza, l'autocontrollo e la padronanza di sè, il saggio fa di se stesso un'isola che le ondate non possono travolgere"

Il Dhammapada, gli elementi della dottrina, è costituito da una raccolta popolare dei detti del Buddha, una delle più antiche, un'antologia di affermazioni basilari della dottrina buddhista. Il testo originale è diviso in 423 aforismi,  divisi in XXVI capitoli.

Il Buddha non insegnò né rituali né dogmi, ripudiò il sistema ariano delle classi, e abbandonò le cerimonie e i culti degli antichi sacerdoti. Molti yogi e asceti entrarono nel nuovo movimento attirati dalla calma e dalla  chiarezza della via buddhista.

Gli insegnamenti furono trasmessi da monaci questuanti e dai cosiddetti dharmahara, detentori dell'insegnamento. La tradizione orale fu messa per  iscritto in Pali (sintesi delle lingue parlate dai primi buddhisti). Il centro dell'insegnamento del buddhismo è la purificazione del sè e la liberazione.

Nel contesto delle varie forme di buddhismo il processo di liberazione individuale e di pacificazione mentale delineato negli insegnamenti del Dhammapada, viene definito il viaggio Minore. La meta è chiamata Città magica. Da qui si apre la prospettiva del viaggio Maggiore la cui meta la conoscenza e la visione illuminante è definita Terra dei tesori. Poi c'è il Tantra. Il viaggio Minore è preparatorio e comunque sin dall'inizio i seguaci di questa via rifiutarono il Grande Veicolo.  Questa traduzione è stata fatta seguendo il punto di vista del Grande Veicolo.   

Thomas Cleary (1949-2021) è uno dei più noti orientalisti occidentali, ha insegnato lingua  e civiltà orientali a Harward. Ha tradotto in lingua inglese più di 25 opere di filosofia orientale, soprattutto zen.  Ha studiato i koan per trent'anni. Le sue traduzioni sono note per la loro eccezionale lucidità.

Il cap 1. Parla della contrapposizione tra bene e male,  Sii tu  a dominare la mente, non farti dominare da essa. L'illusione nasce quando ci si attacca a una realtà immaginaria creata dai sensi e dalle parole.  La contemplazione dell'impermanenza porta naturalmente all'aspirazione, all'illuminazione e alla liberazione.

Chi non di disciplina sarà sopraffatto dai tormenti causati da avidità, odio, illusione, orgoglio, dubbio e azioni arbitrarie. E causati dalla morte.  Se qualcuno parla molto del bene, ma non lo mette in pratica è negligente; se qualcuno parla poco del bene, ma si comporta nettamente, è giusto. C'è chi manca di autocontrollo e non è sincero, non si merita la veste gialla... L'avatamsaka-sutra paragona coloro che non praticano ciò che predicano a dei musicisti sordi o a pittori ciechi.   

 Il cap 2. La vigilanza.   Nirvana significa estinzione, ossia la fine delle afflizioni: avidità, odio, illusione, orgoglio, dubbio, opinioni arbitrarie. Mediante l'energia, la vigilanza, l'autocontrollo, e la padronanza di sè, il saggio fa di sé stesso un'isola che le ondate non possono travolgere. 

Cap 3. Stabilizzare la mente. Essere al di là della virtù e del peccato significa aver abbandonato ogni impulso a compiere il male, e ogni desiderio di ricompensa per le buone azioni. La compassione verso gli altri non è di nessuna utilità se non si è capaci di padroneggiare prima se stessi.  

Cap. 4. I fiori. Come l'ape secchia il nettare dei fiori senza danneggiare colore e profumo, così dovrebbe vivere il saggio nel suo villaggio.   Non guardare gli errori degli altri, o ciò che hanno fatto o non fatto, osserva ciò che tu stesso hai fatto o non fatto. Le belle parole sono come un meraviglioso fiore colorato ma privo di profumo, non recano frutto a chi non le mette in pratica. 

Cap. 5. Lo stolto. La compagnia degli stolti è dannosa. Le conoscenze di uno stolto tendono ad essere nocive. "Ho figli, ho denaro... ";  lo stolto soffre per questi pensieri. Ma se egli non appartiene nemmeno a se stesso, come potrebbero allora appartenergli i figli e il denaro? Dice il Corano "La competizione per avere di più vi distrae fino al momento in cui finite nella tomba".

Cap. 6. Il saggio. Non è l'uomo amato da tutti, ma l'individuo che predica e vive la verità. Il saggio è maestro di se stesso, non abbraccia le opinioni altrui, ha la mente chiara, segue i propri principi ed è libero da condizionamenti.      Se vedi un uomo che ti indica i difetti e ciò che è biasimevole, seguilo come un saggio intelligente, come uno scopritore di tesori.    A chi segue un simile individuo verrà bene, non male.  Il Tao te Ching dice: "Chi vince gli altri è potente, chi vince se stesso è invincibile"  I saggi non si fanno condizionare dalle parole.

Chi possiede una mente ben esercitata, libero dagli attaccamenti e legami, chi ha eliminato ogni condizionamento, ottiene il Nirvana in questo modo.   I fattori dell'illuminazione sono sette: raccoglimento, investigazione della realtà, diligenza, gioia, calma, concentrazione, equanimità.

Cap.7. Il santo. questo capitolo descrive l'arhat, l'individuo che ha completato il Viaggio Minore ed ha ottenuto la pace interiore del nirvana.

Cap. 8. Le migliaia. La consapevolezza dell'impermanenza dà spessore all'esperienza del mondo:  E' meglio vivere un giorno consapevoli dello stato immortale (nirvana) che cento anni senza esserne cosscienti. L'equanimità porta a vedere ciò che è presente in questa vita e ciò che è reale e vero in senso assoluto.

Cap. 9. Il male.  Non c'è posto dove si possa sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, ovvero alle leggi naturali di casualità.

Cap. 10. La violenza. Il capitolo parla della compassione, incoraggia la non-violenza e l'autocontrollo. Parla anche dell'inutilità delle pratiche ascetiche e della necessità di una vera trasformazione interiore. "Non l'andare nudo, non il digiuno, nè lo stare immobile, purificheranno il mortale che non abbia superato dubbio e desiderio..."    " Se uno, pur essendo ben ornato, è equanime, tranquillo, controllato, disciplinato e casto, egli è un sacerdote, un religioso, un monaco..."

Cap. 11. La vecchiaia.  Capitolo per preparare l'individuo ad affrontare la morte, a scomparire dopo aver realmente vissuto.  "Una persona che ha imparato poco invecchia come un bue, cresce la sua carne ma non la sua saggezza"   "io ho vissuto numerose rinascite cercando senza trovarlo il costruttore di questa casa; è penoso ricominciare sempre daccapo".

Cap. 12. Il sè.       Il capitolo sottolinea l'importanza di dominare se stessi prima di aiutare gli altri. Se l'individuo non si è reso psicologicamente indipendente, la compassione degenera in un inutile sentimentalismo. Ciò è visibile ad ogni livello, da quello dei rapporti individuali ai rapporti internazionali. 

Se ciò che si insegna agli altri si vuole diventare, prima occorre controllarsi, perchè il sè è difficile da domare.    Il sè è maestro di sè; chi altri potrebbe esserne il maestro?         Dal proprio sè il male è fatto, dal proprio sè si è danneggiati, dal proprio sè il male è disfatto, dal proprio sè si è purificati. Purezza e impurezza sono questioni personali; nessuno può purificare un altro. questi versi ammoniscono le persone che hanno fretta a trovare un maestro che risolva i loro problemi.   "Non si trascuri il proprio bene per quello degli altri, per quanto grande sia: riconosciuto il proprio bene, si cerchi di perseguirlo.  Non possiamo veramente aiutare gli altri se non abbiamo sufficientemente sviluppato la nostra comprensione e le nostre capacità. Dare una mano agli altri soltanto "per sentirsi buoni", non è un'azione altruistica, ma una forma di egocentrismo.  Persone superficiali che ascoltano queste affermazioni del Dhammapada hanno tipiche reazioni di insofferenza.

Cap. 13. Il mondo.  Se non si considera il mondo in qualcosa di transitorio e instabile si finisce nella delusione e nella sofferenza, condizioni che il buddhismo combatte per mezzo della consapevolezza e della sofferenza.

 Cap. 14. L'illuminato.  La paziente sopportazione è la suprema ascesi che il Buddha chiama Nirvana, non è un anacoreta colui che offende gli altri, non è un asceta colui che danneggia gli altri.

Non insultare, non danneggiare, sii controllato, sii moderato, vivi in solitudine, esercitati in meditazione: questo è l'insegnamento del Buddha.  I desideri non si saziano mai, nemmeno con una pioggia di monete. Chi sa che i desideri portano molta sofferenza e poca gioia, questi è un saggio.

Cap.15, La felicità.  Viviamo dunque felici, liberi da odio, malattie, ansie, senza possedere nulla; nutriamoci di gioia come degli esseri luminosi.   La vittoria provoca odio perchè lo sconfitto giace sofferente. Chi ha raggiunto la calma, vive serenamente, avendo superato vittoria e sconfitta.

Cap. 16. Il piacere. Non attaccarti a ciò che è piacevole, né a ciò che è spiacevole,   la sofferenza nasce dal desiderio. Per chi si è liberato del desiderio non c'è sofferenza.

Cap.17. L'ira.  Abbandona l'ira, scaccia l'orgoglio, vinci tutti gli attaccamenti, nessuna sofferenza colpisce chi non si attacca né a nome, né a forma.

Cap. 18. L'impurità.  Non c'è strada in cielo, non c'è ascetismo nelle pratiche esteriori; non c'è permanenza nelle cose condizionate, non c'è incertezza nei Buddha.

Cap.19. Il giusto. Un uomo non è saggio perchè parla molto; è saggio quando è calmo e privo di ostilità e paura.  Colui nel quale esistono verità, giustizia, non-violenza, autodisciplina e controllo, questi è davvero libero da impurità e saggio...   Non con le regole di condotta, non con le osservanze religiose, non con l'erudizione, non con la concentrazione e non con la vita solitaria raggiungerai la gioia della liberazione che sfugge all'uomo comune.

Cap. 20. La via.  Sei tu che devi compiere lo sforzo; i Buddha ti indicano come devi procedere.    Quando si vede in meditazione che tutte le cose sono insostanziali, ci si libera della sofferenza; questa è la via della purezza.   La saggezza si costruisce con l'impegno; senza sforzo essa scompare.   Cura la via che porta alla pace interiore, al nirvana indicato dal Felice (uno degli epiteti del Buddha).

Cap 21. Miscellanea.  Sedendo solo, dormendo solo, agendo da solo, l'uomo diligente si goda la foresta, dominando il sè.

Cap. 22. L'inferno.   Come un filo d'erba mal afferrato taglia la mano, così l'ascetismo mal perseguito porta all'inferno.    (L'ascetismo degli egocentrici, invece di ridurre i loro difetti, accresce orgoglio e presunzione)    Chi abbraccia false dottrine finisce male...

Cap. 23. L'elefante.  Chi è riuscito a vincere se stesso è paragonato a un elefante domato.  La mente era solita vagare là dove desiderava, là dove voleva, là dove le piaceva; ora la controllerò con saggezza, come il conducente controlla con l'uncino l'elefante.   Se trovi un compagno prudente, una persona saggia che si comporta bene, avendo superato ogni ostacolo, viaggia con lui, contento e consapevole;   altrimenti viaggia da solo.      E' meglio procedere da solo; uno stolto non è una buona compagnia.     Va' da solo, come un elefante nella foresta, con pochi desideri, senza compiere il male.

Cap. 24. Il desiderio. Il desiderio di un uomo che agisce senza attenzione cresce come una liana. egli salta qua e là, come una scimmia che cerca frutti nella foresta.     Proprio come un albero ricresce dopo essere stato tagliato, poichè le sue radici non sono state divelte e sono salde, così questa sofferenza ricresce finchè non sia stato sradicato il desiderio.   Liberati dal passato, liberati dal futuro, liberati dal presente, tendi alla trascendenza.  Quando la tua mente sarà del tutto libera, non sarai più soggetto a nascita e a vecchiaia.      Ho vinto tutto, conosco tutto, non sono influenzato da nessuna cosa. Abbandonando tutto, avendo distrutto ogni desiderio, sono libero.  - Perchè ho compreso da solo, chi altri potrebbe essermi maestro?

Cap. 25. Il monaco.   Buddha parlò più di qualità spirituali che di comportamenti rituali o di condizioni sociali.   Chi è libero da possessività verso ogni forma e nome non soffre, perchè non ha nulla: costui è chiamato monaco.   Il monaco che vive con benevolenza, con fede consapevole nell'insegnamento dell'Illuminato, raggiungerà la condizione della pace, la beatitudine in cui cessa ogni condizionamento.   Vuota questa barca, o monaco, quando sarà vuota, viaggerà più leggera. Sradicando passioni e odio, raggiungerai il nirvana.   Non c'è meditazione senza saggezza, non c'è saggezza senza meditazione.  Chi abbia sia la meditazione, sia la saggezza è davvero vicino al nirvana.   La meditazione senza la saggezza non solo è inutile, ma è anche pericolosa. come il gelsomino lascia cadere i fiori appassiti, così voi, o monaci, dovete lasciar cadere le passioni e l'odio.

Cap. 26. Il sacerdote. Nel sacerdote che ha raggiunto la metà mediante i due principi (fermare samatha e vedere vipassana), in lui che sa, tutti i legami giungeranno alla fine.  Colui per cui non c'è né l'altra sponda né questa sponda, né la trascendenza, né l'immanenza, colui che è libero dalla sofferenza, svincolato, questi io chiamo sacerdote.    Chi possiede verità e rettitudine, questi è benedetto, questi è sacerdote.    Evidentemente il Buddha non pensava che rifugiarsi in meravigliosi ashram portasse alla pace interiore....

Questa non è la fine del Dhammapada. Il Dhammapada è una ruota, non una linea. Ora torniamo all'inizio del testo...

venerdì 29 marzo 2024

Riassunto del libro Thich Nhat Hanh. Un sentiero tra le stelle

Estratto del libro Thich Nhat Hanh. Un sentiero tra le stelle. Autori: Roberto Fantini e Cesare Maramici.

Il monaco zen vietnamita Thich Nath Hanh (1926 - 2022), uno dei maggiori esponenti del pensiero buddhista contemporaneo, rappresenta uno di quei rari straordinari Maestri di Saggezza capaci di illuminare, con il proprio insegnamento e con il proprio impegno di vita, un’intera epoca, seminando un messaggio di Amore, Gioia e Compassione, rivolto a credenti e non credenti, in vista di un mondo rifondato sui valori della Consapevolezza, del Dialogo, della Nonviolenza e della Pace. Nel periodo presente, così denso di incognite oltremodo inquietanti e angoscianti, entrare in contatto con il messaggio di questo grande mistico potrà certamente costituire un messaggio di speranza. Con questo libro, seppur in maniera sintetica ed essenziale, si è tentato di presentare la ricchezza filosofica e la forte valenza pedagogica e terapeutica del suo pensiero.

Tra la fine del 1946 e il 1954, Thich Nhat Hanh assistette alla tragedia della guerra d’Indocina, poi divenuta, con l’intervento statunitense, guerra del Vietnam negli anni '60. Thich Nhat Hanh ha presto concepito una forma di buddhismo impegnato che potesse rispondere concretamente alle esigenze della società, dando vita al movimento di resistenza nonviolenta dei "Piccoli Corpi di Pace": gruppi di laici e monaci che si prodigavano per ricostruire i villaggi bombardati e tutto ciò che era stato distrutto dalla guerra. 

Si reca negli Stati Uniti e in Europa per sostenere la causa della pace e per chiedere la fine delle ostilità in Vietnam. E’ durante questo viaggio che incontra Martin Luther King, che, nel 1967, lo propone  come candidato al Premio Nobel per la Pace, definendolo “un apostolo della pace e della non violenza” e sostenendo che “le sue idee per la pace, se applicate, costruirebbero un monumento all’ecumenismo, alla fratellanza mondiale, all’umanità”.  

Nel 1975, Thay pubblica il libro Il miracolo della presenza mentale. Come ebbe a dire Jon Kabat-Zinn, è stato “il primo libro che abbia portato all’attenzione di un ampio pubblico di lettori l’argomento della consapevolezza. Ha aperto nuovi orizzonti nella scena della meditazione della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, portando la pratica fuori dalla sala di meditazione e mostrando in che modo la consapevolezza potesse trovare applicazione nella vita di tutti i giorni”. 

Nello stesso anno (1975), fonda la Comunità Sweet Potato (“Patata dolce”), vicino a Parigi, che, nel 1982, viene trasferita in una proprietà molto più ampia, il Plum Village (vicino a Bordeaux in Dordogna). Nel 2008, fonda Wake Up (“Svegliati!”), un movimento mondiale seguito da migliaia di giovani che si impegnano in pratiche di vita consapevole, e  lancia a livello internazionale un programma di formazione per insegnanti, le Wake Up Schools.  All'età di 80 anni dichiara: “Nel buddhismo vediamo che l’insegnamento si compie non solo parlando, ma anche vivendo la propria vita. La tua vita è ciò che insegni, è il messaggio che trasmetti”

In seguito all’ictus subito nel 2014, smette l'insegnamento diretto, anche se come lui stesso dice "Anche con l'esempio si può insegnare".  Oltre centomila praticanti hanno ricevuto i “Cinque Addestramenti alla Consapevolezza” al Plum Village.  

La pratica della consapevolezza è un “importante agente di trasformazione e di guarigione”, che può consentirci di smettere di essere vittime della distrazione, interrompendo di cercare “la felicità in qualche altro posto, ignorando e distruggendo i preziosi elementi di felicità che sono già presenti dentro di noi e intorno a noi.” La consapevolezza ci permette di cessare di innaffiare i “semi di infelicità” presenti in noi, spingendoci ad innaffiare, invece, con premurosa cura, “i semi della pace, della gioia e della felicità.

 Thich Nhat Hanh è noto per essere il padre della meditazione consapevole o  mindfulness, il suo insegnamento, pur restando pienamente inserito nel flusso della tradizione zen,  è volto a ridurre al minimo il formalismo rituale, favorendone, in tal modo, la comprensione da parte degli occidentali. Invece di usare i koan - interrogativi enigmatici che i maestri sottopongono ai loro studenti per stimolarne il risveglio – Thich Nhat Hanh ricorre alle metafore. Non cerca di fare proselitismo; chiunque ha la possibilità di assistere agli insegnamenti e chiunque è benvenuto nel "Sangha", la comunità dei praticanti.

The Miracle of Mindfulness, pubblicato nel 1975 (poi tradotto in italiano con il titolo Il miracolo della presenza mentale), presentava nuove pratiche meditative da lui sviluppate.  La “meditazione non deve essere intesa come evasione, ma come un incontro sereno con la realtà”, un modo di scoprire come vivere pienamente il momento presente: "Non lasciare che la mente divaghi nei ricordi del passato o nelle aspettative del futuro".

Tra gli insegnamenti chiave di Thich Nhat Hanh troviamo la consapevolezza del respiro e la camminata meditativa. Camminare in meditazione significa essere consapevoli ad ogni passo del contatto dei nostri piedi con il terreno e sincronizzare i passi al ritmo del nostro respiro: “Percependo la Terra come un bodhisattva cammineremo sul pianeta con lo stesso rispetto che avremmo nel camminare in un edificio di culto o in qualsiasi spazio sacro.”   

Punto chiave del suo insegnamento è la compassione che si estende anche alla natura e a tutto ciò che ci circonda, incoraggiandoci a coltivare "l'interessere", un ben preciso senso di interconnessione con tutto l'universo.  Thay ci invita a vedere come siamo tutti interconnessi e come le nostre azioni influenzino continuamente il mondo intorno a noi.  E’  fortemente orientato al non dualismo, e si propone di superare quella visione di noi stessi come entità separate dalle altre persone e dal resto della realtà che è fonte di enorme sofferenza, sia individuale che collettiva. Tutti i fenomeni dell’intero universo saranno quindi da osservare e da intendere alla luce dell’interdipendenza: “Niente può esistere di per sé.”

Il maestro vietnamita puntualizza che il meditante non dovrebbe mai  limitarsi a praticare soltanto per veder sorgere nella propria mente i cosiddetti “Quattro incommensurabili stati mentali” (amore, compassione, gioia ed equanimità), ma anche per far sì che essi penetrino nel mondo, per mezzo di parole e azioni.  Un altro punto cardine del suo insegnamento è che la pace interiore e la felicità sono disponibili solo nel presente. Una delle sue frasi più note è : "La presenza mentale aiuta a vivere in profondità ogni momento della vita".  Siamo chiamati a trasformare il momento presente nel “momento più meraviglioso” e possiamo riuscirci a condizione di imparare a fermare la nostra sciocca corsa verso il futuro e smettendo di torturarci per il passato.  E lo sviluppo della consapevolezza in quanto “nostra luce interiore” sarà facilitato dalla pratica della meditazione. Il nirvana - ci dice - è la liberazione da tutte le idee e le opinioni: “Quando entri in contatto con la realtà non hai più opinioni. Hai la saggezza”.  

Secondo Thich Nhat Hanh, la mindfulness buddhista è sempre socialmente impegnata, concentrata sul rimedio alle cause della sofferenza e dell'oppressione del mondo. E poiché i suoi obiettivi sono alleviare la sofferenza collettiva attraverso la riduzione dell'avidità, dell'odio e dell'illusione, la mindfulness buddhista può servire come pratica di sostegno per un sistema sociale più inclusivo e come forza profetica per sfidare le iniquità strutturali ed economiche che hanno schiavizzato gli oppressi, i poveri e gli affamati.  

Thich Nath Hanh è stato un maestro di eticità e il suo insegnamento è caratterizzato da:              

  • impegno sociale; 
  • comunicazione accessibile; 
  • geniale quanto coraggiosa capacità di mettere determinate tecniche meditative (adeguatamente semplificate ed essenzializzate, ma mai banalizzate o mercificate) a disposizione delle donne e degli uomini occidentali;
  • forte interesse pedagogico;
  • grande sforzo divulgativo;
  • straordinaria capacità di applicare gli antichi insegnamenti alle particolari problematiche del mondo contemporaneo.    
  • sincera disponibilità al dialogo inter-religioso;

In piena sintonia con il pensiero teosofico e con quello gandhiano, quindi, sostiene che nessuna singola tradizione religiosa  può ritenersi depositaria del monopolio dell’intera verità. “Dobbiamo cogliere - dice - i valori migliori delle diverse tradizioni e lavorare insieme per rimuovere le tensioni fra le tradizioni stesse: solo così potremo offrire un’opportunità alla pace. 

Altro tema particolarmente a cuore di Thich Nhat Hanh è l'ambiente e l'ecologia. Thay, con la sua Lettera d’amore alla Madre Terra, dopo avere espresso più volte commozione di fronte alla grande armonia del cosmo, denuncia l’operato dell’essere umano che sta creando squilibri, inquinando l’atmosfera, e gli oceani, invitandoci tutti a ritrovare il nostro vero ruolo che è quello di proteggere la Madre Terra. 

Thich Nhat Hanh affronta anche il rapporto tra dolore e sofferenza. Il dolore può anche essere inevitabile, ma il fatto di soffrire o meno dipende da noi. Soffrire è una scelta, noi scegliamo se soffrire o meno. Nascita, vecchiaia e malattia sono naturali. È possibile non soffrire a causa loro, ma soltanto se siamo in grado di accettarle come parte della vita. Possiamo sempre scegliere di non soffrire, benché vi siano dolore o malattia. La vita e la nostra particolare situazione dipendono dal nostro modo di guardare.

Attraverso la meditazione – puntualizza Thich Nath Hanh – potremmo arrivare alla conoscenza di un’unica cosa: "che nascita e morte non ci riguardano mai e in nessun modo.”  Se riuscissimo a osservare attentamente i grandiosi processi cosmici, non dovrebbe risultare difficile superare la paura della morte.  “La nostra vera casa è nel qui e ora. Il passato se n’è andato e il futuro non è ancora arrivato". 

Thich Nhat Hanh è autore di circa 130 libri, di cui una settantina tradotti in italiano, che vanno dai manuali classici sulla meditazione, la consapevolezza e il buddhismo impegnato, poesie, racconti per bambini e commenti su antichi testi buddhisti, frutto di una vita di insegnamento, di studio, di creatività e di realizzazioni spirituali.

Scrittore poliedrico, Thich Nhat Hanh ha affrontato svariate tematiche come l'Etica, le Relazioni, l’Ecologia, esplorando anche i possibili punti d’incontro tra le grandi tradizioni del buddhismo e del cristianesimo.

Con questo libro, seppur in maniera sintetica ed essenziale,  si è tentato di presentare la ricchezza filosofica e la forte valenza pedagogica e terapeutica del suo pensiero.

Il libro si può trovare al seguente link: https://www.edizioniefesto.it/collane/lumen/774-thich-nath-hanh-un-sentiero-tra-le-stelle 

Filmati su Thay:    https://www.youtube.com/watch?v=IZkjX_c4hm4

 https://www.youtube.com/watch?v=SNRvtJ6nQhw  Buddhist Chant Namo Avalokiteshvara a Plum Village

https://www.youtube.com/watch?v=t5Ka2RS0UC4  https://www.youtube.com/watch?v=eiaxqGsyld8

mercoledì 13 marzo 2024

Ricerca sul Buddhismo in Italia

Promossa dall’Unione Buddhista Italiana e realizzata in collaborazione con un gruppo di ricercatori delle Università di Padova e Torino, la ricerca "Il buddhismo in Italia" offre una riflessione sui cambiamenti all’interno del campo delle religioni contemporanee. I risultati della ricerca sono stati presentati il 12 marzo 2024. https://unionebuddhistaitaliana.it/comunicati-stampa/buddhismo-in-italia-ricerca-ubi/    Rapporto completo: https://unionebuddhistaitaliana.it/wp-content/uploads/2024/03/RAPPORTO-FINALE-UBI-2023.pdf


Perché si diventa buddhisti in Italia? Qual è la percezione che i praticanti buddhisti in Italia hanno di sé e della propria tradizione in Italia? Chi sono i buddhisti oggi? Cosa conoscono gli italiani del Buddhismo e come vedono coloro che si definiscono buddhisti?

Le domande che hanno guidato le varie tappe dell’indagine hanno restituito un’immagine a tutto tondo non solo dell’identità, delle pratiche e delle credenze dei partecipanti dei 64 centri UBI, ma hanno approfondito anche le percezioni e le rappresentazioni che gli italiani che non si identificano con questa religione hanno dei praticanti buddhisti in Italia, assieme alle opinioni dei buddhisti italiani che non afferiscono ai centri UBI (Unione Buddhista Italiana).

Secondo l’ultimo rapporto realizzato da CESNUR (2022) i praticanti di tradizione buddhista in Italia sono 342mila, pari allo 0,6% della popolazione residente. L'indagine è riuscita a combinare metodi qualitativi e quantitativi coinvolgendo più di 300 persone con interviste in profondità e a raccogliere più di 500 questionari di persone frequentanti i centri dell’Unione Buddhista Italiana in un contesto italiano caratterizzato da una forte presenza del cattolicesimo. La raccolta dei dati tramite strumenti qualitativi ha previsto la predisposizione di tre tracce di intervista a seconda che gli intervistati fossero buddhisti partecipanti alle attività dei centri UBI (137 interviste raccolte), buddhisti non afferenti all’UBI (51 interviste) oppure non buddhisti (130 interviste, tra le quali 30 con testimoni privilegiati).

“Questa ricerca rappresenta un unicum a livello italiano ed Europeo per tracciare i molteplici volti del Buddhismo in Italia” – sottolinea Filippo Scianna, Presidente dell’Unione Buddhista Italiana. “Il Buddhismo si inserisce in una società che, nella sua maggioranza, buddhista non è. Diventa quindi molto interessante capire come viene percepito internamente, da chi frequenta i centri UBI e dai buddhisti o centri che non afferiscono all’UBI, ed esternamente, dai non buddhisti. Dalla ricerca emerge come il Buddhismo offra la possibilità di dare risposte molto flessibili alle sfide della contemporaneità oltre a una straordinaria capacità di interpretare le istanze più diverse del contesto socioculturale in cui viviamo”.

Dall’indagine emerge come ad essere preponderante sia la componente femminile (58%) dei praticanti, e una presenza abbastanza consistente di over 60 (33%) rispetto a quella degli under 35 (26%). Dal punto di vista sociodemografico è possibile delineare un identikit del buddhista medio: donna di mezza età, con un profilo socioeconomico e culturale mediamente alto. La ricerca ha cercato di comprendere a quali categorie viene principalmente associato il Buddhismo. Il 36,3% degli intervistati lo considera una filosofia di vita, il 18,7% una religione, il 13,5% lo associa all’amore universale e alla compassione, e il 13,1% ad una scienza della mente.
Per la maggior parte degli intervistati la conoscenza del Buddhismo è avvenuta in modo autonomo tramite le reti familiari (6,6%), il partner (4,3%) o gli amici (13,9%).

L’adesione al Buddhismo è dettata principalmente da necessità individuali, spirituali e personali. Tra i principali motivi che hanno determinato l’avvicinamento alla pratica buddhista vi sono i benefici spirituali che questa potrebbe portare, la visione del Buddhismo come una via di salvezza alla sofferenza, la ricerca di risposte alle proprie domande e la convinzione che la morale buddhista possa davvero aiutare l’umanità a progredire. È interessante notare come il Buddhismo sia capace di evidenziare alcuni dei nodi rilevanti del cambiamento sociale e culturale che caratterizza le società contemporanee in Occidente. L’attenzione all’ambiente, la difesa dei diritti umani e una particolare sensibilità per le questioni di genere e le disuguaglianze sono alcuni degli elementi che conferiscono al Buddhismo una connotazione attraente per i non praticanti. Il Buddhismo impegnato sembra essere uno degli asset più importanti del capitale simbolico del Buddhismo in Italia.

Considerando ad esempio il tema della parità di genere gli intervistati mostrano un elevato grado di accordo (6.83/7) rispetto alla leadership religiosa femminile. Nella realtà dei fatti all’interno dei centri aderenti all’UBI ci sono 17 responsabili su 57 di genere femminile (pari al 30% del totale). Questo risultato si discosta in positivo dai dati che riguardano la maggioranza di altre organizzazioni laiche o religiose. 

Perché si diventa buddhisti in Italia? Sicuramente la ricerca spirituale e le sofferenze esistenziali giocano un ruolo preponderante nel far avvicinare le persone al Buddhismo. Tra le interviste raccolte emerge da parte delle persone un’insoddisfazione nei confronti dei valori dominanti della società accanto a una domanda di senso che fatica a trovare risposta. Il Buddhismo viene quindi scelto perché al suo interno si respira una più grande libertà nel ricercare un senso per la propria esistenza, una libertà che non preclude la possibilità di riscoprire le proprie radici cristiane e cattoliche ma in una luce diversa e con una prospettiva più inclusiva. Per il 58% degli intervistati l’apertura al pluralismo e la diversità religiosa sono verità importanti da trovare in tutte le religioni. L’adesione al Buddhismo per 7 intervistati su 10 non va letta in termini di conversione. Per molti, essere buddhista, non significa tagliare di netto con il passato quanto più intraprendere un percorso capace di allargare le proprie prospettive. 

Il buddhismo, a detta di chi lo pratica, sembra avere una capacità maggiore, rispetto al cattolicesimo, di rispondere alle esigenze della modernità, soprattutto sul versante del dialogo con la scienza e della fiducia nelle possibilità della mente dell’uomo. Le pratiche della meditazione e dello yoga, in questa prospettiva, vengono inserite in una cornice di autonomia del soggetto alla ricerca del benessere personale e della propria autorealizzazione.

La ricerca ha sottolineato che il Buddhismo in Italia suscita una curiosità dettata dal fascino dell’esotico, spesso le conoscenze sono del tutto approssimative tanto da arrivare a confondere il Buddhismo con l’induismo. A costruire l’immaginario collettivo, oltre alle figure di leader religiosi come il Dalai Lama, sono anche i film, la letteratura e la musica. A tutti sarà capitato di leggere Siddharta o di vedere al cinema sette anni in Tibet. Si tratta di suggestioni che consentono ai non praticanti di farsi un’idea di massima su questa religione. Tra le persone il Buddhismo è percepito come pacifico, non autoritario e poco interessato a fare proselitismo ed è guardato in modo favorevole perché portatore di valori che non mettono al centro la frenesia dell’efficienza, ma al contrario rispettano i ritmi della natura e i bisogni profondi degli individui.

Sintetizzando quanto raccontato dagli intervistati, nell’immaginario degli italiani il buddhismo sembra configurarsi secondo quattro tipologie: un buddhismo di matrice religiosa praticato da pochi; un buddhismo di moda legato a pratiche molto diffuse come lo yoga o la mindfulness; un buddhismo privatizzato e spirituale che risponde alla ricerca di senso individuale, slegato dai dogmi delle tradizioni religiose; un buddhismo terapeutico, legato al benessere psicofisico personale.

L'indagine è stata allargata anche ai non praticanti buddhisti e grazie a questo ampio sguardo è possibile comprendere la straordinaria capacità del Buddhismo di interpretare le istanze più diverse della nostra società offrendo risposte flessibili o comunque non dogmatiche alle sfide della contemporaneità”.

Di centri, associazioni e gruppi che in maniera più o meno stringente si ricollegano al buddhismo, ne sono stati individuati 478. Le più rilevanti organizzazioni buddhiste mappate sono il Buddhismo della Via di Diamante, la Soka Gakkai, l’Ordine dell’Interessere e Essere Pace.

venerdì 8 marzo 2024

Gautama Buddha

Gautama Buddha visse nel VI secolo a.C., un'epoca di straordinario fermento intellettuale e spirituale in tutto il mondo antico. All'incirca negli stessi anni in Cina due giganti del pensiero e della coscienza, Lao-Tze e Confucio, danno forma a quelle che resteranno nel corso dei millenni le caratteristiche fondamentali della riflessione filosofica, della cultura, dell'arte e della religione cinese.  In Grecia i filosofi presocratici gettano le basi del pensiero filosofico e scientifico di tutto l'Occidente.  In India ferve una ricerca filosofica e spirituale intensa, con grandi centri di sapere, innumerevoli scuole e accesi dibattiti, e nascono più o meno contemporaneamente in questi anni il buddismo e il jainismo.   

A partire più o meno dal 1000 a.C., accanto alla tradizione vedica e braminica, si è andata sviluppando un'importante corrente spirituale, che trova espressione nei testi delle Upanishad.  Ed è a questo mondo culturale, in particolare al mondo dei 'saggi della foresta', che appartengono i concetti fondamentali di cui Buddha si serve nel suo insegnamento.  In questo senso si può dire che egli sia stato non tanto portatore di una nuova visione, quanto di un approccio esperienziale dotato di una nuova freschezza e universalità, un approccio rivolto a tutti coloro che erano disposti a metterlo in pratica anziché a una ristretta cerchia di asceti e di mistici.  

La vita del Buddha è ampiamente circondata di leggende.  Ma abbiamo ragione di ritenere che queste leggende contengano un nocciolo di verità e alludano a una personalità storica relativamente ben individuata. La figura storica è quella del principe Siddhartha Gautama, nato nel 563 a.C., figlio del sovrano del piccolo regno del clan Shakya, ai piedi dell'Himalaya, nella regione che è oggi al confine fra l'India e il Nepal.  Era a quei tempi una regione prospera, a cavallo delle vie commerciali di accesso alla valle del Gange, che doveva quindi conoscere un notevole sviluppo urbano.
Buddha perciò crebbe in un ambiente ricco e raffinato, a contatto con quanto di meglio la cultura dei suoi tempi poteva offrire. Da questo mondo si staccò per diventare un 'monaco mendicante' (bhikkhu) e trascorse la seconda parte della propria vita in estrema semplicità, viaggiando per l’India e insegnando il cammino dei risveglio (Buddha è un appellativo che significa appunto 'risvegliato') a tutti coloro che si raccoglievano intorno a lui.  Morì verso il 483 a.C.

Intorno a questi dati fioriscono suggestive leggende del suo insegnamento. Una di queste, è la storia secondo cui il giovane principe sarebbe stato tenuto accuratamente al riparo da ogni contatto con tutto ciò che nella vita umana costituisce debolezza, infermità, bruttezza, sofferenza.  Per anni fu tenuto lontano da ogni esperienza riguardante la malattia o la morte.  Ma un giorno egli convinse il suo auriga a portarlo a fare un giro fuori dalle mura del palazzo.  In questa gita si imbatté prima in un malato, poi in una vecchia, poi in un cadavere.  Questi incontri furono per lui una specie di rivelazione.  Questa era dunque la realtà sottostante alle dorate apparenze della sua vita di svaghi e di piaceri.  Il quarto incontro fu con un bhikkhu immerso in meditazione. L’immagine di quell'uomo restò impressa nella memoria del principe Siddhartha e fu come un presentimento del cammino che lui stesso avrebbe più tardi intrapreso.

Un'altra storia suggestiva riguarda l'illuminazione, il momento del risveglio.  Lasciata la casa paterna, Siddhartha visse per anni nelle foreste, praticando forme estreme di ascetismo.  Era questa una nobile e antica tradizione di ricerca spirituale: per ottenere la liberazione dalla ruota karmica, che ci tiene vincolati all'esistenza condizionata, e prigionieri della sofferenza, occorre andare al di là di ogni attaccamento, e questo era appunto il senso delle pratiche ascetiche degli eremiti della foresta.  Siddhartha, si dedicò dunque con estremo rigore a queste pratiche, digiunando, dormendo sulla nuda terra, meditando incessantemente, fino a ridursi allo stremo delle forze e a un soffio dalla morte.  Invano, malgrado tutti i suoi sforzi, la porta della liberazione restava ostinatamente chiusa.  Finché giunse a perdere ogni speranza.  Capace appena di trascinarsi, si sedette ai piedi di un albero.  Tutto era vano.  Cessato ogni sforzo, caduto anche il desiderio della liberazione, si abbandonò semplicemente al puro 'esserci'.  Senza più cercare nulla, senza più sperare nulla, senza più desiderare nulla, Siddhartha semplicemente restò seduto ai piedi dell'albero. Era la notte della prima luna piena di primavera.  Una giovane contadina, scambiando quella figura per un dio, gli portò delle offerte di cibo.  Poiché il suo digiuno non aveva più ragione di essere, Siddhartha mangiò e in quell'abbandono una pace sconosciuta lo avvolse.  La sua coscienza divenne un lago limpido e immobile, uno specchio vuoto.  E quando la stella del mattino sorse sopra l'orizzonte egli non c'era più.  La fiamma dell'esistenza separata si era spenta in lui.  Ciò che pulsava in lui era il cuore dell'esistenza stessa. 1 suoi occhi erano diventati finestre sull'infinito.  Non c'era più in lui alcuna resistenza all'infinita danza della vita/morte/vita.  Nulla che si ponesse come separato rispetto al tutto.  Non c'era più un io, ma solo una presenza, Buddha, 'il risvegliato'.

Secondo una leggenda sarebbe stato il dio creatore stesso, Brahma, a convincere Gautama Buddha a prendere la via dell'insegnamento, a cercare di indicare agli esseri umani il cammino della liberazione che egli aveva trovato.  Questo divino intervento allude a una certa paradossale situazione in cui Buddha, come i mistici di ogni luogo e di ogni tempo, venne a trovarsi.  All'esperienza sublime che trascende ogni esperienza, si accompagna la chiara realizzazione che questa perfetta beatitudine è la natura intrinseca di tutti gli esseri.  Ogni essere umano, ogni essere senziente, è potenzialmente un Buddha. É un Buddha addormentato, un Buddha in attesa di svegliarsi.  Il passo che conduce dalla sofferenza alla gioia è brevissimo, anzi, non è nemmeno un passo.  E la beatitudine del Buddha è tanto grande, che vuole essere condivisa, trabocca, si riversa naturalmente verso tutti gli esseri viventi.  Come non condividere con tutti questo destino sublime che appartiene loro di diritto?
Eppure, nello stesso tempo, e qui sta il paradosso, come condividerlo?  Come comunicare un'esperienza che sta del tutto al di fuori della mente, una realtà che può solo essere sperimentata in uno spazio di non-mente?  Con quali parole esprimere l'inesprimibile, quando la mente a cui il linguaggio appartiene è l'ostacolo stesso all'esperienza che si vuole comunicare?  Ogni illuminato, a quanto pare, si trova di fronte a questo dilemma.  Il grande mistico cinese Lao-Tze inizia il suo libro, il Tao Te Ching, dicendo: «Il Tao di cui si può parlare non è l'eterno Tao».
Bisogna perciò, secondo la leggenda, che sia un dio a spingere Buddha a tentare l'impossibile, a comunicare l'incomunicabile, a fare del suo stesso essere un invito, un dito che indica la luna.  Il dito non è la luna e molti si attaccheranno al dito senza vedere la luna.  Ma alcuni che hanno occhi per vedere, vedranno.  E se anche un solo essere dovesse accogliere l'invito al risveglio, questo basterebbe a giustificare tutta una vita spesa a 'far girare la ruota del dharma', a parlare della legge eterna, dell'eterno essere-così delle cose.

Dhammapada, Il libro più amato dal Canone Buddista

Il Dhammapada, il 'cammino dei dharma', è una traccia dell'insegnamento del Buddha.  Nell'intero vastissimo canone delle scritture buddiste, non abbiamo nulla che possiamo indicare con certezza come testuali parole del Buddha.  Ma non c'è dubbio che questi testi, consegnati alla scrittura parecchio tempo dopo la morte dei maestro, riflettono lo sforzo devoto dei discepoli diretti e di quelli delle generazioni successive, di tramandare il più fedelmente possibile le parole del Buddha.  Significativamente certi testi cominciano con le parole:    «Così ho udito ... » É una locuzione che esprime insieme lo sforzo di fedeltà e l'umiltà di chi riferisce.  Non 'così ha detto Buddha', ma 'così ho udito'.  Fra il messaggio che viene dalla dimensione al di là della mente e quello che la mente è in grado di ricevere e di capire c'è uno iato: «Così ho udito ... ».



Il Dhammapada è una raccolta, compilata parecchi anni dopo la morte di Buddha (probabilmente fra uno e quattro secoli), di aforismi tramandati e ricordati come parole del maestro.  Non contiene nulla delle elaborate discussioni e narrazioni che caratterizzano i testi più estesi, Qui troviamo solo lapidarie e spesso poetiche affermazioni ed esortazioni, raccolte per temi (la consapevolezza, la mente, la gioia, il piacere, l’ira, eccetera).  Questi 'temi' sono a volte solo metafore ricorrenti (i fiori, le migliaia, l'elefante); a volte è solo la presenza di una certa parola a giustificare la collocazione di un aforisma entro un certo tema.  Non si può dire dunque che si tratti di una raccolta veramente organica.  A volte, inoltre, è lecito supporre che strati di interpretazioni successive si siano sovrapposti a ciò che 'è stato detto'.
Ciononostante questa piccola raccolta contiene un tesoro inestimabile, ci comunica qualcosa del sapore dell'insegnamento di quest'uomo straordinario.  In essa forse più che in ogni altro testo abbiamo la sensazione che Buddha stia parlando a noi direttamente, per 'ammonirci, guidarci, distoglierci dall'errore'.  Ed è probabilmente questa qualità che ha fatto di questo libricino forse il più amato e il più letto dell'intero canone buddista.

Il primo e fondamentale dei concetti trattati è proprio quello di risveglio, bodhi, illuminazione o liberazione.  'Risveglio' presuppone un sonno: il sonno, di cui qui si tratta, non è altro che lo stato della nostra coscienza ordinaria.  La concezione sottostante, è che la nostra ordinaria percezione di noi stessi e del mondo sia fondamentalmente 'illusione'.  Viviamo in un mondo di miraggi e di fantasmi, agiamo tutto un nostro teatro interno di sogni e di proiezioni.
Al centro di questo mondo c'è un'illusione o errore fondamentale: l'illusione dell'esistenza di un 'sé', l'illusione che ci fa credere di esistere come qualcosa di individuato e separato dal tutto. É un po' come se un'onda credesse di esistere separatamente dal mare.  Le onde si raccolgono, si frangono, si rimescolano nel mare.  L’acqua stessa che le forma non è mai la stessa. L’onda è solo un disegno che emerge e si dissolve nel caleidoscopico movimento complessivo dell'acqua.  Ma, se l'onda si identifica con la propria esistenza separata, essa viene a trovarsi inevitabilmente in una lotta disperata con la realtà della propria impermanenza.  Il sé, che si illude di esistere non può che attaccarsi a tutto ciò che nutre la sua esistenza separata e cercare di respingere tutto ciò che avvicina la sua dissoluzione nel tutto. L’illusione primaria dell'esistenza di un sé, è perciò immediatamente seguita da due movimenti della coscienza: attrazione e repulsione, desiderio e avversione, odio, paura.  L’illusione primaria è il nocciolo di quella che i buddisti caratterizzano come 'ignoranza': uno stato di offuscamento in cui non siamo in grado di percepire la realtà delle cose.  E questa terna, ignoranza, desiderio, avversione, si trova al centro della ruota della vita e della morte, un curioso mandala circolare che descrive simbolicamente il fatale avvicendarsi di nascita, crescita, invecchiamento, morte e rinascita.  Perduti in questo ciclo del samsara, dell'esistenza illusoria, gli esseri si trascinano di vita in vita, inseguendo un sogno impossibile, eternamente prigionieri della disillusione, della sofferenza e della morte.
La più lapidaria enunciazione di questo stato di cose è costituita dalle cosiddette 'quattro nobili verità, di Buddha.  Esse sono: l'esistenza è sofferenza; questa sofferenza ha un'origine; essa ha anche una fine; il cammino che conduce al risveglio porta alla fine della sofferenza.  Cioè: l'illusione di esistere separatamente, ci pone in conflitto con l'effettivo essere-così delle cose e ci pone perciò in una situazione cronica di sofferenza.  Questa sofferenza ha la sua origine nell'ignoranza, nel desiderio e nell'avversione.  Perciò chi va al di là di ogni desiderio e di ogni avversione, chi si risveglia dal sonno dell'ignoranza, trascende ogni sofferenza.  Non è più identificato con il proprio corpo e, anche se il corpo muore, la sua coscienza vive in tutto l'universo.  Ma, la sua coscienza, non è più questo frammento che si è illuso di esistere separatamente e che ha viaggiato di corpo in corpo: essa è semplicemente 'la' coscienza, la coscienza dell'universo, la coscienza del tutto.

L’idea sottostante almconcetto di reincarnazione è quella di karma, secondo cui ogni azione lascia delle tracce sottili nella coscienza di chi la compie, tracce, che a loro volta facilitano il prodursi di certe azioni e di certe circostanze nella vita della persona. Il pensiero orientale assume che questo rapporto di consequenzialità non si limiti all'ambito di una sola vita, ma si estenda anche al di là della morte, in un ciclo di trasmigrazioni che il sé illusorio percorre, sospinto dalla molla del desiderio e dell'avversione e condizionato dalle tracce delle proprie passate azioni ed esperienze.
Non è necessario condividere questo presupposto per cogliere l'essenza del discorso di Buddha.  Dal punto di vista di Buddha, il ciclo delle reincarnazioni, è solo la metafora con cui la mente orientale si rappresenta l'esistenza di un sé separato, mentre il pensiero occidentale, se la rappresenta con la metafora di un'unica vita seguita da un aldilà o dal nulla eterno, secondo le credenze.  Né l'una né l'altra vanno prese sul serio: entrambe descrivono qualcosa che ha comunque un'esistenza soltanto illusoria.  E interessante notare che questo non è soltanto il punto di vista di Buddha, ma anche quello delle più raffinate conoscenze sulla materia di cui disponiamo oggi.  Dal punto di vista della fisica per esempio, l'idea dell'esistenza autonoma di un corpo è del tutto astratta e formale, nel contesto di quel viluppo indivisibile di campi interagenti che è l'immagine della realtà fornita dalle teorie più recenti.
Più vicina alla nostra esperienza diretta, è forse una semplice interpretazione psicologica dell'idea di reincarnazione.  La vita del nostro corpo e della nostra coscienza è un flusso costante: in un certo senso moriamo e rinasciamo ogni momento.  E ogni momento rinasciamo portando con noi le tracce del nostro passato, il nostro karma istante per istante.  In questo senso il Dhammapada è un invito a concentrare tutta la nostra attenzione, tutta la nostra energia, tutta la nostra consapevolezza, tutta la nostra capacità di risveglio in ogni attimo di vita.  Ogni attimo di luce si lascia dietro una scia di luce.  Se in questo istante sei sveglio, attento, cosciente, è più facile che tu sia sveglio, attento cosciente nel prossimo istante.  

A volte può sembrare che il Dhammapada abbia toni di negazione della vita nei suoi aspetti concretamente sensibili.  Un enunciato come 'l'esistenza è sofferenza' o l'invito a trascendere ogni desiderio, possono essere letti come negazione della gioia e della bellezza, di questo miracoloso divino caleidoscopio di illusioni in cui viviamo.  E non c'è dubbio che in una parte notevole dell'ortodossia buddista, come del resto di quella cristiana, tutta una dottrina e una pratica sono condizionate da questo approccio anti-vitale.  Ma, fortunatamente, nel buddismo sopravvivono anche tradizioni che leggono il messaggio di Buddha in maniera diversa.  Secondo queste letture l'invito non è a 'rinunciare al mondo', a minimizzare il godimento del corpo e l'esperienza sensibile, a rifugiarsi nell'ascesi, anche se questo può essere un passo utile in una certa fase del cammino.  Non dimentichiamo che Buddha raggiunse la liberazione quando si spinse al di là anche delle sue pratiche ascetiche.

Nel buddismo Zen c'è una curiosa serie di dieci immagini, detta 'i dieci tori Zen', che descrive il cammino verso l'illuminazione. Nell'ultima di queste immagini il protagonista, raggiunta l'illuminazione, ritorna verso la piazza del mercato con un recipiente di vino in mano.  Se c'è una rinuncia cruciale nel cammino verso la liberazione, essa non è la rinuncia al mondo, ma la rinuncia al punto di vista dell'io separato, al sofferente egoismo con cui cerchiamo di realizzare i 'nostri' fini.  Ogni altra rinuncia, ogni altra pratica ascetica, come vari aforismi del Dhammapada suggeriscono, è un'arma a doppio taglio: nel sonno dell'io essa può trasformarsi in un nuovo attaccamento, in ambizione spirituale, in un modo per sotterrare conflitti e dubbi.  Il più sottile attaccamento, l'ultimo ostacolo, sembra essere proprio il desiderio dell'illuminazione.  Perciò, dice l'ultimo capitolo del Dhammapada, il bramino 'non desidera nulla, né in questo né nell'altro mondo'.    

giovedì 7 marzo 2024

Il buddhismo Giapponese

Il buddhismo ha svolto un ruolo fondamentale nella storia giapponese. Oltre a essere una delle
due principali religioni del Paese (l’altra è lo shintoismo), è stato anche il mezzo con cui sono
arrivati in Giappone tantissimi elementi culturali dal continente.


Lo scopo del buddhismo è superare la sofferenza che deriva dall’attaccamento e dal desiderio, liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni e raggiungere la condizione di nirvana. Non è importante definire una divinità da adorare o dei dogmi: ciò che conta è aiutare gli individui a liberarsi. In questa prospettiva, il buddhismo non è un fine. È un “veicolo” che traghetta i fedeli dalla sofferenza alla saggezza. In generale, possiamo dividerlo in tre correnti:

  • Theravāda: i suoi praticanti dichiarano di aderire più strettamente alle dottrine originali del Buddha storico. Per loro, l’illuminazione può essere raggiunta solo da chi abbandona la vita secolare per dedicarsi alla disciplina buddhista. È la corrente dominante nel sud-est asiatico.
  • Mahāyāna (o “del grande veicolo”): secondo questa corrente, chiunque può raggiungere la salvezza. Sono importanti le figure dei bodhisattva, cioè i praticanti che hanno già raggiunto l’illuminazione, ma scelgono di continuare a reincarnarsi per aiutare le persone a raggiungere il nirvana. La corrente Mahāyāna è la più seguita in Cina e in Giappone. Jizo in Giappone è uno dei bodhisattva più venerati, protettore di bambini e viaggiatori
  • Vajrayāna: buddhismo tantrico o esoterico, sviluppatosi a partire dal Mahayana. È seguito soprattutto in Tibet. Il termine “tantrico” si riferisce all’importanza data alla ripetizione di formule sacre (mantra), alla meditazione con l’uso dei mandala, alle visualizzazioni e ai gesti rituali per comunicare lo stato di buddha e raggiungerlo. Tutto questo può solo essere appreso con un maestro, rendendo queste dottrine “esoteriche”, cioè per iniziati. La figura centrale di questo tipo di buddhismo in Giappone è Dainichi Nyorai, il primo buddha ad averlo predicato.

Il buddhismo, nato in India intorno al V secolo a.C., giunse in Giappone solo nel VI secolo d.C., dopo un viaggio di oltre 1.000 anni e 5.000 chilometri. Attraversando secoli e civiltà, assorbì elementi delle culture con cui entrò in contatto e venne interpretato in modi diversi, portando alla formazione di più “scuole”. Quando sbarcò in Giappone, l’aristocrazia lo vide soprattutto come uno strumento per governare il paese, per compiere riti protettivi e per partecipare alla più ampia e sofisticata scena culturale del continente.

Fin dagli inizi il buddhismo, che arrivava già permeato da secoli di convivenza con confucianesimo e taoismo, si mescolò anche con lo shintoismo. Le due religioni, non essendo “esclusiviste” come i grandi monoteismi mediorientali, vissero in simbiosi fino a fine Ottocento. In particolare, come aveva già fatto con le divinità induiste (Un Nio, guardiano dei templi è un esempio di divinità induista incorporata nel buddhismo), il buddhismo integrò i kami shintoisti nella propria sfera. Inizialmente questi erano visti come creature soggette alla reincarnazione, e che quindi andavano liberate. In seguito vennero considerati manifestazioni di buddha o bodhisattva.

Già il principe Shōtoku, nel VII secolo, aveva cercato di amalgamare shintoismo, confucianesimo e buddhismo definendoli rispettivamente le radici, il tronco e i fiori del sistema religioso giapponese.
La fusione tra buddhismo e shintoismo venne messa in crisi a fine Ottocento, quando il governo ordinò la separazione dei due culti. Ne seguì un movimento a volte anche violento di discriminazione, espropriazione e chiusura dei templi. Questa politica, però, fu perseguita solo parzialmente.

Ai giorni nostri, anche se templi buddhisti e santuari shintoisti sono distinti, le pratiche religiose dei giapponesi mescolano varie tradizioni. Molti si definiscono “atei” proprio perché l’idea di “religione” è occidentale. Evoca riti strutturati e coerenti, mentre per un giapponese è normalissimo andare a un tempio shintoista a Capodanno o prima di un esame e visitare le tombe dei propri cari in un cimitero buddhista. Le usanze e credenze quotidiane hanno attinto da tutte le religioni disponibili (buddhismo, shintoismo, confucianesimo, taoismo) e non sono più identificate in nessuna di queste singolarmente.  

C'è il Buddhismo basato sul jiriki. Per le scuole di questo gruppo, la salvezza si può raggiungere con le proprie forze, grazie ad autodisciplina e meditazione.
Poi ci sono le scuole esoteriche/tantriche. Infatti in un primo periodo il buddhismo si legò principalmente alla corte, dove si diede maggiore enfasi ai riti e alle formule magiche.

Nel periodo Heian (794-1185) nacquero due scuole importanti, che ebbero un ruolo fondamentale nell’armonizzare shintoismo e buddhismo:

  • La scuola Tendai: si basa sul Sutra del Loto e sull’idea che tutto e tutti siano illuminati in potenza, perché ogni cosa ha una natura di Buddha. In questo senso è il connubio perfetto per l’animismo dello shintoismo. La scuola Tendai cerca di arrivare a una sintesi delle correnti buddhiste capendo l’unità che le accomuna. Nell’Enryaku-ji, il monastero sede del movimento, si insegnavano elementi di venerazione di Amida (tipici della scuola Jōdō), meditazione, pratiche esoteriche e precetti dei bodhisattva. Il tempio, situato sul monte Heian, vicino a Kyoto, divenne uno dei centri di formazione buddhista più importanti dell’epoca: lì studiarono i fondatori di molte delle principali correnti buddhiste successive.
  • La scuola Shingon (“Vera Parola”): venne introdotto da Kūkai, anche noto come Kōbō Daishi. È una scuola più prettamente esoterica che mescola a componenti native elementi magici indiani e dell’Asia Centrale. Uno di questi è il rituale del goma, un fuoco sacro in cui vengono bruciate le offerte e che ha radici negli antichi riti vedici indiani. Il tempio Kongobuji è il tempio principale della corrente Shingon.

Lo zen. Zen è la traslitterazione abbreviata del sanscrito dhyāna, che significa “meditazione”. Anche il buddhismo zen è arrivato in Giappone dalla Cina, dove era noto come Chán ed era stato introdotto nel VI secolo d.C. dal leggendario monaco Bodhidharma. In Cina questa dottrina si stabilizzò e, come sempre succede, assimilò alcuni elementi locali, in particolare taoisti.
Questa scuola arrivò in Giappone solo nel XII secolo, e i suoi rami principali (Rinzai e Sōtō) sono stati fondati da ex monaci Tendai.
Secondo il buddhismo zen, siamo tutti buddha in potenza, dobbiamo “solo” accorgercene risvegliandoci.
La verità, però, non si può insegnare o comunicare a parole: va vissuta personalmente e direttamente. Il risveglio (satori) non è una questione di studio o di ragionamento, ma un’intuizione. Lo strumento principale di cui ci si serve è lo zazen (meditazione da seduti). Nella scuola Rinzai, a questo si affiancano anche i kōan, delle specie di indovinelli che non possono essere risolti con la logica (“Che rumore fa una mano che applaude da sola?”).

Come abbiamo visto, lo zen, come tutto il buddhismo in Giappone, è stato un vascello che ha fatto arrivare nel Paese molti elementi estetici e artistici dalla Cina. Anche se la religione ha avuto un ruolo determinante nella loro introduzione e diffusione, è molto riduttivo ritenerli una sua emanazione o un suo prodotto.  Il ruolo centrale dello zen nell’arte (comprese le arti marziali), nelle discipline e nelle anime dei giapponesi è in buona parte un’interpretazione nata all’inizio del Novecento. In Occidente Suzuki Daisetsu è stato il più famoso promotore di queste idee.

Buddhismo basato sul tariki.
È il gruppo di cui fanno parte le scuole più seguite in Giappone. Per le dottrine di questo gruppo, la salvezza si raggiunge solo con la fede, affidandosi alla benevolenza e al potere di un Buddha (solitamente Amida).
Per capire le motivazioni di questa scuola bisogna guardare il periodo storico: dopo anni in cui i monaci buddhisti erano coinvolti in episodi di corruzione e complotti politici, nel XII secolo si era aperta un’epoca di guerre, calamità e carestie. Sembrava, insomma, che fosse giunta l’era del Mappō, o della degenerazione della legge del Buddha, in cui il mondo diventa così corrotto che la gente non può più mettere in pratica gli insegnamenti buddhisti e non può salvarsi con le proprie forze. In tempi così infausti, l’unica speranza era affidarsi ad Amida.

Questo fu anche il periodo in cui il buddhismo si diffuse alla popolazione: erano quindi necessari approcci più semplici, invece di riti e dottrine complicate. Come abbiamo visto, una delle soluzioni che si svilupparono fu lo zen, basato sul jiriki.

Tra le principali scuole basate sul tariki, invece, troviamo:

  • - Jōdō-shū (Scuola della Terra Pura): fondata in India intorno al I-II secolo d.C., in Giappone faceva originariamente parte della scuola Tendai, da cui si separò nel periodo Kamakura (XII secolo). Il nome si riferisce al “Paradiso Occidentale” in cui i credenti rinascono dopo la morte. Lì, ad aspettarli, ci sarà il Buddha Amida (l’ex monaco indiano Dharmakara) che li aiuterà a raggiungere il nirvana. L’obiettivo, quindi, attraverso la fede e le buone azioni, non è raggiungere direttamente il nirvana, ma rinascere in questo paradiso. Non è importante studiare i sutra o meditare, quanto piuttosto dimostrare la propria devozione con il nembutsu, cioè evocando il nome del Buddha Amida.
  • - Jōdō Shinshū (Vera Scuola della Terra Pura): è una versione più “radicale” della precedente. Rifiuta tutti i sutra a parte quello della Terra Pura e toglie ogni valore ai “meriti” individuali per rinascere nel paradiso. Le pratiche e le azioni sono inutili perché denotano una mancanza di totale affidamento e non sono accessibili a tutti. L’unico modo per salvarsi è la fede assoluta, l’abbandono ad Amida.  Il Grande Buddha di Kamakura (una città giapponese sul mare a sud di Tokyo) rappresenta Amida, la figura principale del buddhismo della Terra Pura.  Il Buddhismo della Terra Pura, la cui corrente principale, maggioritaria e diffusa è nota anche come amidismo, è un ramo del buddhismo Mahāyāna, che enfatizza i rituali e le pratiche devozionali, ed è attualmente una delle scuole di buddhismo dominanti nell'Asia orientale, dove divide la scena con lo zen.

Poi c'è la scuola di Nichiren: questa scuola prende il nome dal suo fondatore, anche lui formatosi nella scuola Tendai. Rappresenta una via di mezzo tra l’approccio jiriki e quello tariki. Secondo Nichiren, che si considerava un bodhisattva, il Sutra del Loto era l’insegnamento supremo e l’unica via per la salvezza. In questo era intransigente, e denunciò le altre correnti buddhiste per avere travisato la verità.  Le due pratiche religiose principali sono la contemplazione di una specie di mandala da lui concepito (honzon) e la ripetizione, sia vocale che nei gesti, della lode al Sutra del Loto (Namu Myōhō renge kyō). Da questa scuola hanno avuto origine molte “nuove religioni” giapponesi, tra cui la controversa Soka Gakkai, un movimento nato nel 1930 che dichiara di avere 12 milioni di fedeli nel mondo. È centrata anch’essa sul Sutra del Loto, e fino al 1991 era il braccio laico della scuola Nichiren Shōshū. Nel 1964 alcuni suoi membri hanno fondato un partito politico, il Kōmeitō, che è il terzo partito del Giappone.

Dal sito:  https://volcanohub.com/ 

lunedì 4 marzo 2024

La meditazione per Matthieu Ricard

" La nostra mente può essere "la nostra migliore amica o il nostro peggior nemico", 

E' la nostra mente che fa l'esperienza del mondo e la traduce in sofferenza o benessere”. Se noi trasformiamo il modo di percepire le cose, noi trasformiamo la qualità della nostra vita, e questo cambiamento è il risultato dell’allenamento della mente che si chiama meditazione”.  

Nel libro L’arte della meditazione, successivamente trasformato in video, Matthieu Ricard ci conduce attraverso un'esplorazione di cosa sia la meditazione e come praticarla.
Cominciamo con la domanda: "Perché meditare?"  La meditazione è il mezzo per migliorare noi stessi e, di conseguenza, trasformare il mondo. Trasformando la nostra percezione del mondo, trasformiamo la qualità della nostra vita. La meditazione è una pratica per sviluppare le qualità umane fondamentali, coltivare una visione corretta del mondo e ridurre il malessere diffuso.
Quando troviamo il nostro equilibrio interiore e il benessere, la nostra visione si allarga e includiamo gli altri. L'egocentrismo è la fonte del nostro malessere; all'opposto l'amore per gli altri e la benevolenza sono i pilastri del nostro benessere autentico.                                                  
La meditazione ha benefici sulla salute, riduce lo stress, la collera e le malattie cardiache, rafforza il sistema immunitario, la vigilanza e la concentrazione.
Una vita appagante non è fatta di una sequenza di sensazioni piacevoli, ma della nostra comprensione e gestione delle varie fasi dell'esistenza. “Dobbiamo acquisire una percezione più vera della vita che ci permetta di affrontare gli alti e i bassi dell’esistenza”.
Su cosa meditare? L'oggetto della meditazione è la mente, condizionata da automatismi. L'obiettivo è “renderla chiara, libera e equilibrata”. La mente non è un'entità, ma un flusso di esperienze. "Possiamo considerarla come il nostro miglior alleato o il nostro peggior nemico; il nostro compito è liberarla da confusione, egocentrismo e turbamenti".
Spesso cerchiamo il benessere dove non esiste. Il buddhismo ci invita ad abbandonare le cause della sofferenza: ignoranza, avidità, malevolenza, arroganza, ira, gelosia e attaccamento. Dobbiamo riflettere sul nostro comportamento, sulle nostre reazioni e guardare nel profondo di noi stessi. Siamo esseri interdipendenti, legati agli altri, e dobbiamo lavorare per alleviare la sofferenza altrui e aiutarli a trovare il benessere.
Dove e come meditare? Se non abbiamo la fortuna di trovare un maestro spirituale autentico, è importante trovare almeno un istruttore qualificato che segua una tradizione affidabile. È essenziale trovare un luogo e un momento propizio per la meditazione, così come stabilire condizioni favorevoli, specialmente se siamo principianti.
 Matthieu afferma: “Non si apprende la meditazione in piena tempesta. La mente è come una lampada ad olio esposta al vento, solo se la proteggiamo dal vento, la fiamma potrà diventare stabile”.  Durante la pratica, è importante mantenere una postura fisica adeguata, la respirazione e l'attenzione sul momento presente.
Ci vuole continuità e perseveranza  per riuscire a calmare la mente che va di pensiero in pensiero ed è paragonata ad una scimmia che salta di ramo in ramo.  Per aumentare la concentrazione, possiamo utilizzare tecniche come il conteggio dei cicli respiratori, la piena coscienza del respiro, la ripetizione di mantra o la concentrazione su un oggetto ordinario.
La meditazione non è un'attività egoistica o una fuga dalla realtà; al contrario, ci avvicina alla realtà e ci aiuta a coltivare qualità umane fondamentali per servire la società. Durante la meditazione si deve cercare di pensare  a soggetti di riflessione come  il valore della vita umana, la sua fragilità e la sua natura transitoria. Gestire le emozioni e mantenere la concentrazione sono parte integrante della pratica meditativa. 

Gli ostacoli alla meditazione sono: pigrizia, torpore, agitazione, noia, distrazione, sforzi eccessivi, mancanza di motivazione. Dobbiamo stabilire una gerarchia delle nostre priorità, rendere la mente flessibile e maneggevole, applicare la vigilanza, e riportare la meditazione sul suo oggetto, più prendiamo coscienza delle nostre distrazioni più facciamo progressi nella meditazione
Nel buddhismo ci sono due principali tecniche meditative: Śamatha che è la coltivazione della calma e della tranquillità per mezzo della concentrazione mentale e l'obiettivo è arrivare ad avere una mente limpida, poi, attraverso Vipasyana, si cerca di avere una visione profonda e penetrante dei fenomeni. In  questo modo si possono smascherare le emozioni. 

Per arrivare a calmare la mente  e  meditare in piena coscienza, occorre restare pienamente attenti  e vigili al nostro respiro che va e viene, portare l'attenzione sul momento in cui il respiro è sospeso tra l'inspirazione e l'espirazione e viceversa, sul momento in cui il respiro si ferma. Respirazione dopo respirazione, la coscienza del respiro diventa limpida e serena.
Si possono verificare veramente i risultati della meditazione solo di fronte alle avversità.
 Matthieu dice: “E' facile essere un buon meditante seduto al sole e la pancia piena, ma solo quando ci si trova ad affrontare delle condizioni avverse, si può valutare il proprio grado di realizzazione. Si valuta la diminuzione del nostro egoismo e delle nostre emozioni perturbatrici nello stesso tempo dello sviluppo della nostra serenità, della nostra libertà interiore, della nostra resilienza di fronte ai rischi e alle perturbazioni dell'esistenza”.
Infine, è importante ricordare che la meditazione richiede costanza e impegno; non si tratta di ottenere risultati immediati, ma di perseverare nella pratica per raggiungere una mente stabile e lucida. Pretendere un risultato immediato è un capriccio. Il Dalai Lama dice che “in Occidente le persone sono troppo frettolose, vorrebbero avere l'illuminazione facilmente e rapidamente e se possibile a poco prezzo”. La costanza è indispensabile alla pratica della meditazione, mentre la mancanza di perseveranza diminuisce gli effetti della meditazione. Per praticare o fare qualcosa bisogna vederne i vantaggi, se si riesce a gustare qualche vantaggio nella meditazione, questo nutrirà la nostra perseveranza. Per ottenere qualche risultato, occorre mantenere la continuità della meditazione per almeno 20 minuti al giorno e per una ventina di giorni.  La meditazione è come una pianta che va annaffiata tutti i giorni, e porta, passo dopo passo, all'appagamento interiore.  Solo dopo diverso tempo che si pratica, si può vedere se siamo cambiati in modo durabile e profondo.

Per meditare occorre: 

 - Un luogo propizio alla meditazione,
- Una postura fisica appropriata ed equilibrata. Se la colonna è dritta, la vostra mente è chiara ed equilibrata. Assumere la posizione del loto se possibile, in cui c'è un equilibrio tra destra e sinistra, oppure sedersi su una sedia,
- Le mani posate sulle ginocchia, in grembo, mano sinistra sotto, i pollici si toccano, equilibrio tra destra e sinistra, tra caldo e freddo,
- La colonna vertebrale ben dritta,
- Il mento leggermente all'indietro,
- Le spalle equilibrate, né avanti, né indietro,
- La lingua deve toccare il palato,
- Gli occhi chiusi portano al torpore, quindi occorre cercare di tenere gli occhi aperti o semi-aperti, guardare nella prolungazione del naso. I tibetani meditano con gli occhi aperti.
Se si tende al torpore, occorre raddrizzare la postura, se si è agitati, occorre rilasciare un po' la posizione e tendere a guardare in basso. 

 La postura più utilizzata nella meditazione è la postura adamantina o postura del loto: appoggiare il piede destro sulla coscia sinistra, poi il piede sinistro sulla coscia destra,  oppure la posizione sukasana, la gamba destra sotto la gamba sinistra e la gamba sinistra sotto la coscia destra, la mano destra sulla mano sinistra, i pollici si toccano, oppure le mani sulle ginocchia, palmi verso il basso, assumendo il gesto dell'equanimità (mano destra sopra la mano sinistra). Se sentiamo dolore durante la meditazione cerchiamo di accogliere questa sensazione e tenerla nella piena coscienza del momento presente. Sono preferibili corte meditazioni tutti i giorni piuttosto che lunghe meditazioni sporadiche. 

Si può alternare la meditazione seduta alla marcia contemplativa. Ci sono varie tecniche come la meditazione sul suono e la marcia consapevole. Nel primo caso ci limitiamo a portare l'attenzione sull'esperienza di ascoltare un suono, poniamo semplicemente l'attenzione sul processo di ascoltare, e tutto il resto va lasciato andare. Nel secondo caso, iniziamo una marcia attenta, ad ogni passo portiamo la coscienza sull'equilibrio, come poggiamo un piede, come l'altro si alza dal suolo; cerchiamo inoltre di combinare la marcia attenta con la piena coscienza di quello che vediamo. Dobbiamo convincerci a marciare per il solo piacere di camminare. Mentre marciamo consapevolmente guardiamo intorno a noi e vediamo gli alberi, gli uccelli, le nubi bianche nel cielo blu e come la vita sia  bella in tutte queste manifestazioni.
 Per migliorare e riuscire ad attivare la nostra concentrazione Matthieu Ricard propone le seguenti tecniche: 

  • - Contare i cicli di respirazione completa (inspiro e espiro); 
  • - Contare da 1 a 10 durante linspirazione  e fare lo stesso durante l'espirazione;
  • - Ripetere il mantra so ham durante i cicli, contare fino a 10 e ricominciare; 
  • - Concentrarsi sul va e vieni dei polmoni,  e del torace; 
  • -Inspirando e pensando “possano tutti gli esseri essere felici”, espirando “che tutte le loro sofferenze spariscano”; 
  • -Inspirando pronunciare Om, espirando Mani Padme, nella pausa pronunciare Hum. Oṃ Maṇi Padme Hūṃ è uno tra i più noti mantra facenti parte del patrimonio religioso del buddhismo Mahāyāna, in particolar modo del buddhismo tibetano. Il suo significato letterale è "O Gioiello del Loto!" riferendosi al Boddhisatva della compassione, Avalokiteśvara.
  • - concentrarsi su un oggetto o su un'immagine ( ad esempio del Buddha Sakyamuni), e poi cercare di visualizzarla in tutti i dettagli il più netto possibile (per arrivare a concludere che tutti i fenomeni sono sprovvisti di esistenza intrinseca,  visone profonda vipashyana.

Poi, dà dei suggerimenti per la meditazione:

  • - Riflettere sulla nostra situazione attuale, Quali comportamenti e reazioni abituali meriterebbero di essere migliorati? Cerchiamo di guardare in profondità dentro di noi per trovare un potenziale di cambiamento e sviluppare le nostre qualità latenti. Cerchiamo di cambiare, non solo per noi ma anche per essere capaci di dissipare la sofferenza degli altri.
  • - Cercare di rendersi conto del valore della vita umana, utilizziamo l'intelligenza umana per eliminare la sofferenza e scoprire la felicità autentica. Ogni istante che passa vale la pena di essere vissuto e occorre arrivare senza rimpianti alla morte. 
  • - Pensiamo ai cambiamenti a cui gli esseri umani sono soggetti, consideriamo nel profondo di me stesso quello che conta veramente nell'esistenza, e che utilizzo il tempo che mi resta da vivere nel modo più fruttuoso possibile, per il mio bene e quello degli altri.
  • - Cerchiamo di osservare quello che si presenta alla nostra coscienza: un fiore, i suoni, gli odori, ecc.  Cerchiamo di essere pienamente presenti a quello che facciamo, sia se camminiamo, sia se siamo seduti, sia se prendiamo un thé, ecc.  La piena coscienza non dipende da ciò che si fa, ma dal modo in cui lo si fa, siamo semplicemente attenti, lucidi, coscienti di ogni percezione o sensazione e sentiamo la freschezza del momento presente.  

I testi di meditazione insegnano nove metodi per coltivare l'attenzione, stabilizzare la mente nell'equanimità e renderla più stabile.

  • concentrare la mente su un oggetto,
  • porre la mente continuatamente su questo oggetto
  • porre la mente in modo ripetuto, verificando a intervalli se dimora sull'oggetto e riportarcela in caso di idstrazione,
  • porre  la mente con cura,
  • controllare la mente quando la concentrazione arriva a stabilizzarsi,
  • pacificare la mente e renderla chiara e limpida,
  • pacificare completamente la mente abbandonando ogni attaccamento alle esperienze meditative,
  • conservare l'attenzione concentrata su un punto per tutta la seduta di meditazione, dopo aver eliminato il torpore e l'agitazione mentale, 
  • riposare in uno stato di perfetto equilibrio, dopo che la mente ha familiarizzato con la concentrazione in un solo punto, riposa in un o stato di equanimità che diventa spontanea e si perpetua senza sforzo.

Meditazione sull'amore altruista. Cominciamo a manifestare un potente amore altruista nei confronti di una persona che ha manifestato una grande benevolenza nei nostri confronti, poi lo estendiamo a persona malate, poveri, ecc che soffrono. Poi includiamo anche persone antipatiche. Espirando inviamo a loro tutto il nostro benessere, la nostra vitalità, sotto la forma di un nettare bianco ( o immaginiamo di essere una sfera luminosa che invia raggi di luce bianca), inspirando prendiamo su di noi sotto forma nerastra tutte le loro malattie e sofferenze. Possiamo applicare questa tecnica anche a noi stessi quando soffriamo. Un dolore può essere intenso senza pertanto distruggere la nostra visione positiva della vita. Se prendiamo il dolore come oggetto di meditazione, diventa un mezzo per accrescere la chiarezza della nostra mente, domandandoci quale è la sua forma, il suo colore o altre caratteristiche (nel libro viene riportato l'esempio di Francisco Varela che malato terminale di tumore, riusciva nelle ultime settimane di vita a restare per molto tempo in piena coscienza senza assumere analgesici).

Meditazione sull'impermanenza. Immaginiamo una rosa, noi siamo un insetto che si posa sopra, immaginiamo di esser eun atomo, oi un caledoiscopio di particelle, sono oggetti solidi? sono degli eventi, probabilità, energia,; l'energia è un'entità? O un potenziale di manifestazione che non è né veramente esistente, né non esistente. Cosa resta della rosa? La vacuità che è la sua vera natura. sprovvista di esistenza propria, autonoma e permanente.  Soffermiamoci su questa unione indissolubile delle apparenze e della vacuità, della forma e del vuoto.

La meditazione è un processo di formazione e di trasformazione. Per avere un senso, deve riflettersi su ogni aspetto della nostra maniera di essere, in ciascuna delle nostre azioni e attitudini. Altrimenti è una perdita di tempo. Grazie alla meditazione potremo arrivare ad una trasformazione personale autentica che ci permetterà di agire meglio nel mondo nel quale viviamo e di contribuire alla costruzione di una società più saggia e altruista.

 

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...