sabato 11 dicembre 2021

L'India vista da Tiziano Terrzani

 Tiziano Terzani (1938 -2004) in questo testo Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo, racconta gli ultimi anni della sua vita, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore allo stomaco.   Vedi link http://www.tizianoterzani.com     .

 
In questo articolo riporto la parte del libro dedicata all'India.  In India, l’ora più bella è quella dell’alba, quando la distinzione tra tenebra e luce non è ancora netta. Come il falso e il vero che sono due aspetti della stessa cosa e difficilmente separabili.
In quell’ora i rishi, "coloro che vedono", meditano solitari nelle loro remote caverne di ghiaccio dell’Himalaya, caricando l’aria di energie positive e permettendo anche ai principianti di guardare dentro di sé, alla ricerca della spiegazione del Tutto.
In Asia il riferimento al divino è continuo, in India si saluta unendo le mani davanti al petto,  pronunciando Namaste, che significa:  Saluto il divino che c’è in te.
Chi ama l’India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. Una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani, così è l’amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato.
L’India fa sentire ognuno parte del creato. Alcuni millenni fa i rishi,  ebbero l’intuizione che la vita è una. Ogni vita, la mia e quella di un albero fanno parte di un Tutto dalle mille forme che è la vita. Il tempo è circolare e il progresso non è il fine delle azioni umane, visto che tutto si ripete e che l’avanzare è considerato pura illusione. La realtà percepita dai sensi non è presa per vera, Non è la realtà ultima. 
Da qui, uno stato d’animo di distacco che rende il Paese così particolare e la sua realtà a volte proprio orribile, ma in fondo accettabile. La vita è tutto e il contrario di tutto, la vita è morte, non c’è piacere senza dolore, non c’è felicità senza sofferenza. La contrapposizione degli opposti e l'inevitabile dualità dell’esistenza. Si entra in una logica per cui niente è davvero drammatico.
L’India è un’esperienza che ti accorcia la vita, ma è anche un’esperienza che dà senso alla vita.
A Lodhi Garden uno dei più bei parchi di Delhi, si vedono praticanti yoga sui tappetini, vecchi che portano ogni giorno da mangiare alle formiche,  le stesse  formiche che cancellano tra le decorazioni fatte sul suolo con farina di riso (rangoli), mangiandosi il riso.  In India, le persone segnano una linea con un gessetto, fatto da una combinazione di erbe, sulla soglia di casa per non fare entrare le formiche. Lo stesso fece  Lakshmana, uno degli eroi del Ramayana, con la cognata Sita, tracciò una riga e gli chiese di non oltrepassarla per metterla in sicurezza dai demoni che la cercavano.
In Occidente, investiamo tutte le nostre energie nel consumare, e al consumismo,  come se la vita fosse un eterno banchetto romano in cui si mangia, e si vomita per poter mangiare. Non ci sentiamo parte del tutto, al contrario, ognuno si sente un’entità separata ed proprio questo proviamo un grande senso di solitudine e di tristezza.
La storia della rana nel pozzo. I rishi, dicono che abbiamo perso il nostro collegamento cosmico, siamo diventati come kup manduk, la rana che aveva passato tutta la sua vita nel pozzo. Un giorno questa rana incontra una rana che veniva dall’oceano, e chiede "Che cosa è l’oceano?" "Un posto molto grande."  "Ma grande come?"  "Grande, molto grande" e la rana traccia un cerchio, molto più grande, a questo punto traccia un cerchio grande quanto il pozzo, e dice "Molto più grande di questo", e la rana si arrabbia.
In India, nessuno è stato mai messo al rogo per le sue idee, sin dall’antichità il vero potere era quello dei sapienti. Anche i re andavano nella foresta a rendere umilmente omaggio ai saggi. I rishi si interessavano non al mondo, ma all’essere, erano in grado di percepire i diversi stati della mente a seconda che l’io sia sveglio, sia addormentato o sogni.
Ramakrishna, il grande mistico indiano, racconta la storia del taglialegna che sta sognando di essere un Re e che quando viene svegliato da un amico si arrabbia dicendo “Stavo seduto su un trono e mi occupavo degli affari di stato e tu vieni a disturbarmi,” l’amico risponde “ma era solo un sogno”, “tu non capisci, essere un Re in un sogno è vero quanto essere un boscaiolo da sveglio”.
Per gli indiani che, negli ultimi duemila anni non hanno invaso nessun altro Paese vicino, l’obiettivo è sempre stato la conoscenza, non del mondo, ma la conoscenza del Sé. Conoscere il Sé, vuol dire conoscere tutto, perché il fondo di quel Sé, è ciò che resta immutabile nell’eterno mutare del tutto.
Il mondo che ci circonda è come sabbia sollevata dal vento, mutevole e irrilevante. Per questo gli indiani non si sono mai preoccupati di cambiarlo o di migliorarlo ( vedi il problema della povertà e della miseria che si vede in India).  La filosofia in India è parte della vita, è la conoscenza di Sé. In Occidente la conoscenza è quella utile ed applicabile.
Paul Brunton negli anni 30, fece un viaggio in India sulle tracce della sua sapienza, incontrò uno yogi che gli disse: "Solo quando i sapienti occidentali rinunceranno ad inventare macchine che corrono più veloci di di quelle che già avete, e cominceranno a guardare dentro di sé, la vostra razza scoprirà un po' di vera felicità".
Nelle città occidentali, la vita scorre veloce, senza un solo momento di pausa o riflessione, senza un solo momento di quiete che bilanci la continua corsa al fare, siamo bravissimi ad inventarci scuse per non fermarci. Da ragazzo ho conosciuto gente che aveva tempo, erano i pastori dell’Orsigna. Stavano ore ed ore con un filo d’erba in bocca distesi in cima ad un monte.
In India, tutti hanno tempo e molti dei grandi saggi, rishi, o santi sono stati personaggi di origini semplicissime o autodidatti. Nisargadatta Maharaj era un venditore di sigarette (bidi-bidi), Ramakrishna era nato contadino (di lui scrisse Max Muller e Romain Rolland), così come Ramana Maharishi che considerava il silenzio uno dei più efficaci mezzi per comunicare. Anche Kabir, uno dei poeti più amati dell’India, un rishi vissuto nel XVI secolo era un tessitore, e diceva: "Tessere è il mio modo di pregare".
Ad una certa età dobbiamo coltivare ciò che non muore.
Qui Terzani ci racconta la storia di Guru Nanak che arriva in un villaggio, vede una bellissima casa e chiede di chi è, gli dicono che è la casa del più ricco del paese, uno che presta soldi, ed ogni volta che mette da parte una cassa di monete, fa una festa, Guru Nanak bussa, il padrone lo riconosce ed è felice di ospitarlo, Guru Nanak gli chiede se può fargli un favore, il mercante contento di fare un’opera buona e guadagnare karma, risponde "Farò quello che volete", Guru Nanak tira fuori dalla tasca uno spillo di ferro e gli chiede "Tienimelo in deposito, me lo restituirai quando ci incontreremo nella prossima vita".
La morte ci toglie tutto, se riuscissimo ad alleggerirci prima ci sentiremo più leggeri. Dobbiamo buttare a mare la zavorra di cose ed emozioni che ci portiamo dietro.
Poi Terzani racconta un'altra storia dell’Asia Centrale sulla morte, che viene riportata anche da Robert Musil. Un giorno il Califfo manda il suo Vizir al mercato a sentire cosa dicesse la gente, e nella folla il Vizir nota una donna alta, magra avvolta da un mantello nero, che lo guarda fisso,
Terrorizzato scappa, e dice al Califfo, "Aiutami ho visto la morte al bazar, è venuta per me. Dammi il tuo cavallo più veloce, stasera sarò in salvo a Samarcanda", e parte a spron battuto verso Samarcanda. Il Califfo va lui stesso al mercato, nella folla vede la donna (la morte) e l’avvicina, "Perchè hai fatto paura al mio Vizir",  e la morte risponde "Non gli ho nemmeno parlato, ero solo sorpresa di vederlo qui, perché il nostro appuntamento è questa sera a Samarcanda".
Adesso l’India comincia a soffrire degli stessi malanni degli occidentali. E’ l’India che non è più vegetariana, beve alcol, si veste con i jeans, manda i figli a studiare all’estero, è produttore della bomba atomica; L’India che ha rifiutato Gandhi. Nel 1994 c’è stato un ritorno della coca cola e la progressiva occidentalizzazione. Tutta la saggezza dell’India è adesso riciclata in chiave new age ed appare in riviste olistiche.
Qualcuno mi disse, "l’India corre dietro a tutto, ma molto lentamente, vedrai che arriverà tardi anche al funerale della cultura occidentale", e che avrebbe digerito anche l’attuale processo di occidentalizzazione come aveva fatto in passato con le invasioni mussulmani e inglesi.
In India niente viene mai distrutto e sostituito con il nuovo.
L’India è il solo Paese al mondo in cui si pratica ancora l’unami, antica medicina greca fondata da Ippocrate e portata in India da Alessandro Magno nel IV secolo a.c.
In India coesistono i più svariati sistemi di medicina: la medicina occidentale, l’ayurveda, l’omeopatia, la naturopatia, la medicina cinese e tibetana.
Nella città di Hyderabad migliaia di persone fanno la fila per ingoiare sardine ed erbe, sembrerebbe che sia una cura miracolosa contro l’asma, cura tramandata dalla famiglia Goud fin dal 1845.
 
Nell'India è nato anche il Buddhismo.  Bihar, uno Stato dell'India nord-orientale, è la culla del buddhismo, a Rajgir ci sono le grotte dove il Buddha e Ananda meditavano, le rovine di Nalanda, la famosa università buddhista, che tra il IV e XIII secolo è stata distrutta dagli arabi. A Bodhgaya troviamo l’albero sotto il quale il Buddha raggiunse l’illuminazione. A Sarnath, vicino Benares, il Buddha iniziò ad insegnare la via di mezzo. Tathagata era il nome con cui voleva essere chiamato che significa "Colui che è passato di qui". Il Buddha morì ad 80 anni avvelenato dal cibo offerto da un intoccabile.  Il buddhismo con la sua negazione dei riti e il concetto di compassione, estraneo all’induismo, rappresentò una vera e una grande rivoluzione.
Gli induisti con Shankaracharia, un santo commentatore dei Veda, cominciarono una controffensiva ideologia intorno al VIII secolo, i mussulmani alla fine del XIII secolo fecero il resto per eliminare la dottrina dell’illuminato in India.
La città di Benares è sacra ma solo dalla parte ad ovest, e solo chi muore sulla sponda occidentale del Gange si salva dal rinascere, i neonati e i sadhu non vengono cremati ma lasciati nelle acque. La spiegazione è che i sadhu venivano cremati simbolicamente quando prendevano i voti.
Benares è la più antica città vivente e milioni di indiani sono venuti qui a morire, per noi occidentali è difficile identificare il sacro con lo squallore, lo sporco, il putridume. Ma quella indiana è la civiltà che ha come ideale di vita i mendicanti.
Che ci sia davvero una grande saggezza nel pensiero orientale, secondo cui ciò che è fuori da noi è immutabile e che la sola speranza è cambiare dentro di noi. La morte era un fatto contro cui nessuno sembrava ribellarsi, E noi occidentali invece abbiamo tanto difficoltà ad accettarla! Per noi è sempre una sconfitta. In India il corpo è uno strumento da buttar via senza rimpianti. Nei funerali non c’è musica che lo accompagni, c’è solo il grido di alcuni "Ram nama satya hey" che significa  "solo il nome di Rama è verità". Durante la cerimonia il primogenito del defunto appicca il fuoco alla pira e va a fare le abluzioni di purificazione e torna nella ruota del mondo.

Alla stazione della vecchia Delhi, un viaggiatore occidentale che non abbia fatto l’abitudine all’India può essere preso dal panico, una fiumana di folla povera e colorata che dorme sotto pensiline, ecc… 
Da Delhi si arriva in treno a Pathankot che è la stazione più vicina a Dharamsala e McLeod Ganj, la cittadina dove sua santità il Dalai Lama risiede e la sede del Governo dei tibetani in esilio da quando nel 1959 i cinesi invasero il Tibet.  Nel 1989 il Dalai Lama ricevette il premio Nobel per la pace.
Gli occidentali vanno a Dharamsala, perché sono infelici, e sperano di trovare un paradiso dove gli esseri umani sono in pace con se stessi. L’uomo ha un innato bisogno di pensare che da qualche parte esiste un El Dorado.  A Dharamsala c'è il Men-Tse-Khang, l’istituto medico astrologico, là il direttore, il dott. Tenzin Choedrak disse:  Noi tibetani, nelle vite passate, dobbiamo aver fatto del gran male ai cinesi. Per sopravvivere ai lavori forzati ho attivato il fuoco nel mio stomaco, che mi permetteva di digerire il cibo immangiabile. La depressione è una malattia soprattutto occidentale, e la ragione è che voi occidentali siete troppo attaccati alle cose.
Quella di produrre una grande quantità di energia è una vecchia pratica yoga insegnata ai monaci, per aiutarli a sopravvivere al gran freddo, si insegna loro a riscaldarsi concentrando la mente su un fuoco immaginato nel fondo del ventre. L’allievo doveva sedersi nudo per terra e coprirsi con un telo di cotone, inzuppato d’acqua. Col calore che l’adepto sviluppava, nel giro di poco tempo quel telo doveva completamente asciugarsi. Il grande poeta ed eremita tibetano Milarepa veniva chiamato l’uomo vestito di cotone, perché aveva asciugato, una dietro l’altra, tre coperte intrise d’acqua. Il Dalai Lama chiese a dei giovani monaci di fare questo esercizio, il tummo, davanti ad un gruppo di medici di Harward.
 Nel ritornare col treno a Delhi, si attraversa la grande baraccopoli della periferia, caratterizzata da cumuli di plastica, spazzatura, fetore, sporcizia, miseria. Il finestrino del treno era come lo schermo di un televisore su cui passava un film dell’orrore.
Così doveva sembrare agli indiani benestanti che viaggiavano col treno. La loro apparente indifferenza mi colpì, ricordandomi quello che mi era sembrato il buco nero dell’induismo: la mancanza di compassione. Capivo perché tanti indiani delle caste basse si fossero in passato convertiti al buddhismo, e perché in seguito, molti, molti di più fossero diventati mussulmani.

Per rimanere sani bisogna arrabbiarsi di meno, ridere di più e tenere in ordine l’intestino. La pulizia dell’intestino era una vecchia pratica fra gli yogi. Inutile fare corsi di meditazione per controllare la mente, se non si impara a controllare il corpo.  Per confermare il valore terapeutico del digiuno, basti sapere che all’università di Nalanda in India, quando uno studente si ammalava, prima di dargli delle medicine, veniva messo a digiuno per una settimana. Comunque, anche grandi figure spirituali indiane sono morti di cancro: Ramakrishna, Ramana Maharishi e Nisargadatta Maharaj.   Un vecchio detto indiano recita: L’uomo dice che il tempo passa, Il tempo dice che l’uomo passa.
 
Yoga e musicoterapia. In vari miti della creazione il suono viene indicato come fonte di tutto, in principio era il Verbo, per gli indiani il mantra AUM era il primo di tutti i suoni, all’origine della creazione. Anche per gli scienziati l’universo è iniziato con il Big Bang, il grande botto. 

Terzani nel libro descrive la sua partecipazione ad un seminario di yoga in un ashram a Coimbatore, nel Tamil Nadu.  All’ashram dove Terzani ha trascorso diversi mesi,  i partecipanti cercavano di identificare quali raga, le strutture musicali classiche, hanno il giusto ritmo per curare le malattie. Fin dalle origini, lo yoga ha attribuito enorme importanza al suono, e una delle discipline per trascendere il corpo e far si che l’individuo diventi Uno con l’Assoluto è il Nada yoga, lo yoga del suono.  Al corso di yoga mi guardavo attorno e non vedevo una faccia serena, non una persona con un bel sorriso, qualcuno che emanasse un sentimento di pace, e ognuno per conto suo era impegnatissimo a fare le contorsioni.
Lo yoga significa unione, ed è una disciplina impegnata a liberare l’uomo dall'essere un’esistenza individuale separata dall’universo, per unirlo con il tutto. Ma come questo fine può essere perseguito in seno ad una società come la nostra, completamente dominata dal principio dell’individualità e della separazione? Forse il solo provarci crea conflitti, schizofrenie e quella tristezza che mi sentivo tutto attorno.
La musica Raga accompagnava gli esercizi e il pranayama, quella musica che quasi non si interrompe per più di due ore e che sembrava non avere né inizio, né fine, semplicemente scorreva come l’acqua, come la vita.   Lo swami che guidava il ritiro, aveva una visione integrata della natura e dell’universo, La ricerca spirituale è la ricerca della conoscenza, e la sola conoscenza che vale la pena perseguire è la conoscenza di sé.
Noi crediamo di sapere, ma sappiamo solo quello che vediamo, quello che sentiamo, tutto quello che proviamo con i nostri sensi. In verità tutto quello che ci appare come realtà non è reale. Lo yoga fa bene al corpo, ma il fine dello yoga non è il corpo. Yoga vuol dire controllo della mente, unione tra mente e corpo. Il corpo è un mezzo di trasporto, va tenuto bene perché si possa arrivare a destinazione: Non bisogna fare l’errore di confondere il fine con il mezzo.
Yoga significa essere coscienti di se stessi in ogni momento, essere coscienti di ogni gesto, di ogni pensiero. Nella pratica c’è molto di più delle asana e pranayama, che sono due degli otto aspetti dello yoga, gli altri sei sono: rinuncia alla violenza, distacco dalle cose materiali, rinuncia alla falsità, ritiro dei sensi, concentrazione e meditazione. Lo yoga è il mezzo, è la via con cui l’uomo unisce il suo Sé limitato all’Essere infinito. I partecipanti non sembravano interessati a questo, per loro il seminario era per loro un investimento e un futuro mestiere.
Lo swami insegnava il Vedanta, la fonte di tutta la saggezza. La spiritualità indiana non era legata ad un popolo o a un paese, e non s’era fatta strangolare dalla teologia. L’astrologia spirituale era un modo per capire la predisposizione spirituale delle persone. I maestri sceglievano in modo meticoloso gli allievi, Lo stesso Vivekananda, aveva dovuto superare varie prove prima di essere accettato come discepolo da Ramakrishna.
Lo swami all'ashram, mi diceva: Non ho più bisogno di tempo, ho fatto tutto quel che volevo fare, il tempo che mi resta è tempo pubblico, Quando avrai scoperto che sei la totalità, niente ti potrà più essere tolto; la pace va cercata dentro di noi, non fuori di noi.

Lo swami mi considerava uno shisha (uno che merita di studiare) e prendevo lezioni di sanscrito, studiavo i testi sacri indiani, e stonato come sono, cercavo di cantare gli inni vedici e i mantra. Per trentanni avevo fatto il figlio, il marito, il padre, l’amico, il giornalista, il viaggiatore e altro: Quelli erano stati i ruoli, le maschere con le quali mi ero anche divertito: Ma io? E poi, quale io?    Quel che un tempo m’era parso importante non mi pareva più tale.
Il vero motivo che mi aveva portato in quell’ashram era l’aspirazione a fare un nuovo tipo di viaggio, un viaggio dentro e non fuori. Un viaggio la cui metà non era un luogo fisico ma un posto della mente, uno stato d’animo, una condizione di pace con me stesso e col mondo a cui agognavo ormai più che a qualsiasi altra cosa. Non volevo più parlare di me al passato ma solo al presente. Sarei stato una settimana senza parlare, che mi chiamassero Anam, il senzanome.
Chi sono io? Cosa restava di me senza il mio nome, la mia storia, senza quello a cui per una vita avevo così assiduamente lavorato? Lo swami disse che la risposta c’era e l’avremmo trovata nel Vedanta, la parte finale dei Veda, dedicata al Sè che non nasce e non muore, Il Sè che resta immutabile quando tutto cambia, il Sè la cui esistenza non dipende dall’esistenza di nient’altro.
Lo swami entrava nell’ashram dalla porta nord (delle energie positive), noi shisha usavamo la porta ovest (delle energie neutre).  Guru non è un titolo, ma indica un rapporto, per cui una persona è guru per i suoi discepoli, non è guru per tutti. In India non si studia sui libri ma andando a vivere con un guru. Gu significa tenebra e ru vuol dire cacciare e disperdere, il guru è colui che scaccia le tenebre, colui che porta la luce nel buio dell’ignoranza. Il mio guru si chiamava Dayananda Saraswati ed io ero membro dell’Arsha Vidya Gurukulam, Tutti nomi dei sanyasin terminano con ananda, per indicare che non hanno ormai altra meta che ananda, la completezza.
Alle 5 del mattino, si celebrava la grande puja, il lavaggio rituale delle statue al canto dei mantra. Alle 6 c’era arati, la cerimonia del fuoco, venivano offerti agli dei i cinque elementi di cui è fatto l’universo: il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria e l’etere. Alle 8 si svolgeva il satsang, letteralmente stare con la verità, che consiste di affrontare un tema con altri saggi.
La vita di un uomo è divisa in quattro stagioni, ognuno coi suoi frutti, i suoi diritti, e si suoi doveri.
  • La stagione dell’infanzia e adolescenza, dello studio, uno impara ciò che gli servirà per la vita.
  • La maturità, l’uomo diventa padre, marito, assume il proprio ruolo nella famiglia.
  • La stagione del distacco, i figli diventano mariti e padri, è il momento del distacco, dell’andare nella foresta.
  • La stagione ultima, se la si sceglie, in cui, ormai slegato da tutto, la persona diventa un semplice mendicante, diventa sanyasin, vestito col colore del fuoco nel quale ha simbolicamente bruciato tutto quello che era l’io temporale, compresi i desideri, cerca ormai solo moksha, la liberazione definitiva dal samsara, il mondo dei mutamenti, l’oceano della vita e della morte. 
Moksha è la destinazione finale del sanyasin, del rinunciante. Per segnare questo momento, viene fatto un funerale simbolico, lui stesso si accende la pira per saltarci sopra e uscirne nuovo, ora non è più legato a niente, neppure alla religione e ai suoi riti. Dopo il funerale andrà in giro con una tunica arancione fatta con un unico pezzo di stoffa. Il suo corpo sarà buttato nel fiume perché lui è già passato attraverso le fiamme.
Se facciamo un parallelismo, anche l’Occidente con la pensione ha ritualizzato questo passaggio. Più ci avviciniamo a quel che veramente siamo, più siamo felici, ad ogni età.  Tutto sta nel sapere chi siamo. Meravigliosa la vecchiaia, possiamo finalmente pensare alla vita, diventare esploratori del mondo interiore. La nostra vita quotidiana è piena di piccole luci che ci impediscono di vederne una più grande.   Tagore scrive: la bellezza era tutta intorno a me, ma il lume di una candela ci separava,  quella piccola luce impediva alla bella grande luce della luna di raggiungermi.
Lo swami per presentare il Vedanta disse che l’uomo si è sempre interrogato sulla natura del suo essere, e da sempre è angosciato dall’incertezza della risposta. Il mondo gli appare come distinto da sé, sono due entità distinte, colui che vede e ciò che viene visto, colui che conosce e il conosciuto.
Questo mondo poi è messo assieme in maniera così intelligente, che l’uomo non può esserne stato l’artefice, per spiegare questo nascono le religioni.
L’induismo è una filosofia di vita e il Vedanta è uno strumento di conoscenza, la conoscenza della realtà. Tutto ciò che l’io percepisce, è fuori dall’io, sembra qualcosa diverso dal sé, così come l’onda considera l’oceano una cosa diversa da sé. Eppure appena l’onda si rende conto che è fatta d’acqua, che le altre onde sono fatte d’acqua e che l’oceano intero è solo acqua, il senso di separazione svanisce.
Non appena l’uomo scopre che lui stesso è la totalità,  la dualità scompare.
L’onda non ha bisogno di diventare l’oceano, deve solo rendersi conto di essere l’oceano. Non c’è da cambiare, c’è solo da capire chi si è. Come può l’uomo fare questo salto di coscienza? Da qui nasce la necessità di un guru.
Storia per spiegare questo: Dieci pellegrini devono attraversare un fiume, arrivati all’altra sponda, il capo li conta e la somma è sempre nove, Disperati si mettono a chiamare e scrutare l’acqua. Dov’è il decimo? Di lui non c’è nessuna traccia, Piangono e non sanno più cosa fare. Si avvicina un vecchio che da lontano ha seguito la scena, e dice:  Non c’è ragione di essere tristi, il decimo c’è.
Ma come? Dice il capo e ricomincia a contare uno, due … nove, Il vecchio punta il dito al petto del capo e dice "Il decimo sei tu", Il vecchio non ha fatto altro che indicare l’ovvio: Colui che cerca è il cercato. Lui è il problema, lui è la soluzione.
Il Sè non può conoscersi senza un adeguato mezzo di conoscenza. Lo strumento di conoscenza, lo specchio con cui il Sè ha modo di vedersi sono i Veda, o meglio il Vedanta la parte finale costituito dalle Upanishad e dalla Bagvad Gita.
Questa totalità non è altro che la coscienza, coscienza senza limiti, fuori dal tempo e dallo spazio, che pervade tutto e che sostiene tutto e che si manifesta in ogni forma.  Una è la verità, anche se i saggi la chiamano con molti nomi atman, brahman, è dio, è totalità, satchitananda, è ishwara, bhagawan.
La risposta alla domanda Chi sono io?  è quella magica frase che pervade tutte le Upanishad “tat tvam asi” Tu sei tutto questo. Da qui l’idea indiana che Dio è in ogni forma, in ogni essere vivente, in ogni cosa, Riconoscere quel sé e la sua natura divina è il vero fine della vita umana.
Storia sull’importanza di conoscere il sé.
Su una barca che attraversa il fiume c’è un pandit , un bramino dotto in scritture sacre, il pandit chiede al vecchio barcaiolo sai il sanscrito? no.
un quarto della tua vita è perso, conosci la letteratura classica? no
un altro quarto della tua vita è perso, ci sono libri bellissimi, sai leggere e scrivere? No
un altro quarto della tua vita è andato perso.
Il pandit si accorge che entra acqua nella barca, le sue gambe sono già a mollo, la barca sta andando a fondo, Sai nuotare? Chiede il barcaiolo al pandit, No rispose quello impaurito
Tutta la tua vita è persa, conclude il barcaiolo.
Morale: è inutile saper leggere e scrivere, conoscere il sanscrito e l’intera letteratura se non si conosce se stessi.
Contenuto della Ishavasya Upanishad:
OM! Quello è infinito (Totalità), questo è infinito,  Da quell’infinito proviene questo infinito,  Sottraendo questo infinito a quell’infinito,  Ciò che resta è infinito. OM! Pace, pace, pace!
Solo quell’unico mantra basterebbe a tener viva la tradizione e a far ragionare chi vuol capire.
La tradizione dell’insegnamento del Vedanta era stata stabilita da Shankaracharia nel VIII secolo ma si era presto indebolita, ciò era dovuto prima ai secoli di dominazione mussulmana, poi alla colonizzazione, e i Veda venivano insegnati nella clandestinità. Venivano insegnati da maestro a discepolo in qualche eremo nella foresta. Lo swami, si era dato come compito, di insegnare il Vedanta a chiunque fosse interessato, bramino o meno, indiano o meno. Il Vedanta ha un solo obiettivo spirituale: riconoscere la propria completezza: In questa vita. Ora.
Sotto la spinta di Vivekananda alla fine dell’ottocento , molti, anche in Occidente pensarono che il Vedanta potesse diventare il Vangelo universale come lo definì Romain Rolland.
Lo swami disse il mio karma è insegnarvi, il vostro karma è d’essere i miei shisha.
Non c’è vita senza problemi, senza problemi non ci sarebbe la gioia, i problemi sono la molla della ricerca spirituale.
Lo swami ci spiegava: Come un bruco arrivato in cima ad un filo d’erba si raccoglie su se stesso per passare al prossimo, così il Sè arrivato alla fine di una vita, si raccoglie e passa dal corpo vecchio al nuovo.
Era bravo a spiegare concetti come jiva,  che è l’individuo in ogni essere vivente, quello che passa da vita in vita a volte umana o volte no, jagat che è il mondo, la manifestazione di Brahman, ma non separato da Brahman, come la tela non è separata dal ragno che la produce, il samsara il mondo del divenire, dei desideri, del dharma o dovere, quello che mi aspetto dagli altri è quello che io debbo agli altri, questa è la giusta via. L’aiutare disinteressatamente qualcuno produce punya un credito, i demeriti creano papa, un debito.  Abbiamo la consapevolezza della presenza della ciotola o della non presenza della ciotola, ma la consapevolezza c’è sempre. L’io è presente in tanti ruoli, il comune denominatore di tutti questi io è l’io consapevolezza.
Storia raccontata da Ramakrishna per spiegare la nostra natura divina:
Una leonessa partorendo muore e il leoncino viene adottato da un branco di pecore, cresce con loro, mangia l’erba, impara a belare e ad essere socievole come una pecora, finché un giorno un vecchio leone che aveva osservato da lontano, con un gran ruggito attacca il branco, tutte le pecore scappano insieme al leoncino, ma il vecchio leone lo raggiunge, lo prende per la collottola, lo porta ad uno stagno e lo costringe a guardarsi nello specchio d’acqua, "Allora chi sei? Una pecora?"  Per la prima volta al leoncino viene da ruggire. Quel piccolo leone siamo noi che non sappiamo chi siamo, il vecchio leone è il guru, lo specchio d’acqua è il vedanta. Senza guru non c’è conoscenza.
Dio risiede dentro di te, tu sei Dio, Allora non cercare Dio, cerca invece un guru che ti guidi alla scoperta di te stesso. E da qui rapporto di assoluta dipendenza del discepolo dal suo guru.
L’ashram era un isola fuori dal mondo e un’occasione per ripensare il tutto. Venivano giornalmente recitate delle cerimonie.  Come la cerimonia dedicata alla dea Dakshinamurti, l'incarnazione di Shiva, protettrice dei Veda. Venivano fatte dei Pujia, ossia delle abluzioni alla statua, che veniva lavata con acqua, olio di cocco, latte e yogurt, il capo pujiari che dirigeva la cerimonia pronunciava i 108 nomi della dea, con 108 manciate di petali.
In Occidente sulla spinta laica e iconoclasta abbiamo ridicolizzato ogni credo, eliminato ogni rituale, togliendo con questo il mistero, cioè la poesia dalla nostra esistenza. Senza la cerimonia-iniziazione manca la presa di coscienza del passaggio. Anche io, seguendo questa tendenza non ho fatto battezzare i figli, e mi sono sposato in presenza dei soli testimoni.
In India i riti sono una parte importantissima della vita, tutta la vita è un rito, i riti sono il grande soggetto dei Veda. I Veda alla fine rivelano che il loro vero fine è il superamento dei Veda stessi.
I Veda sono la religione, il Vedanta è la liberazione da tutto, anche dalla religione. Il Vedanta è tutto sul sé, sulla coscienza illimitata fuori dal tempo e dallo spazio.
Lo swami insegnava non pagato da nessuno, perché era il suo karma, a noi era tutto regalato, il vitto e l’alloggio erano il frutto di offerte.  Quando tutti i desideri che dimorano nel cuore sono abbandonati il mortale diventa immortale e raggiunge Brahman, qui e ora. Anche se il mangiare era necessario, non bisognava farne un piacere di cui poi essere schiavi. Il sanscrito degli inni vedici e dei mantra agisce sulla mente ed alza il livello di coscienza, recitando sempre lo stesso mantra, legando l’ultima sillaba alla prima (japa) il respiro acquista un ritmo particolare e determina il cambiamento della mente. Spesso cantare i mantra mi dava un senso di leggerezza che rasentava la gioia.
Il guru che ha completa fiducia nel suo discepolo gli dà, come fosse un prezioso regalo, un mantra che legherà i due per sempre. Il potere non sta nella cosa in sé, ma nel potere della mente che crede nel potere della cosa, in questo caso la mala.
I tibetani spiegano il potere della mente con questa storia.
Un monaco, dopo anni di assenza, va a trovare la madre, che immagina stia per morire di fame, ma al villaggio lo aspetta una sorpresa, la madre sta benissimo, un vecchio sadhu le ha dato un mantra grazie al quale lei mette dei sassi in una pentola e quelli, al suono del mantra diventano patate. Mentre la madre prepara la cena cantando il mantra, il monaco espertissimo di cose sacre, si accorge che la pronuncia delle parole in sanscrito non è corretta, e la corregge. La madre orgogliosissima del sapere del figlio, intona il mantra nella nuova versione. Ma il risultato è deludente, i sassi restano sassi e i due non hanno niente da mangiare. Il monaco capisce, prega la madre di tornare alla sua vecchia versione del mantra, e miracolosamente, nella pentola appaiono le fumanti patate.
Lo swami mi dette l’indirizzo di un medico ayurvedico di cui si fidava.
Andai quindi a Kottakal, una piccola cittadina in Kerala, a cercare l'Arya Vaidya Sala, l’Istituto di medicina ariana, il più vecchio e rinomato centro ayurvedico dell’India, fondato nel 1902 da Vaidyaratman P.S. Varrier (1869-1844).
Ero diffidente verso la democrazia indiana, Nerhu, la figlia Indira Gandhi era diventata primo ministro, il figlio Rajiv Gandhi era a sua volta diventato ministro e assassinato, adesso la vedova Sonia Gandhi un’italiana forse diventerà il possibile primo ministro.
La de-gandhizzazione dell’India iniziò con Nehru, il successore di Gandhi, Nehru era il contrario di Gandhi, era raffinato, elegante, era contro il piccolo per il grande, grandi dighe, grandi industrie, grandi fabbriche, ebbe persino un amore con la moglie del viceré dell’India Lord Mountbatten.  Povero Gandhi era stato tradito, lui che era per il piccolo, per la tradizione, per l’uomo, per i villaggi.
Gli stati del Kerala e  del Tamil Nadu sono diretti da comunisti e cristiani, che ne hanno fatto gli stati con il più alto livello di scolarità dell’India.
Per darsi pace bisogna limitare i desideri come suggeriscono le Upanishad e la Gita.
L’India è un paese povero, ma anche un Paese in cui la gente ha meno desideri, meno bisogni, per questo in fondo è più contento di altri Paesi.   Contento è meno di felice, ma sta per soddisfatto, per chi non agogna a niente di più.
Oltre i medici ayurvedici fra lo stato del Kerala e del Tamil Nadu operano anche i Tangali che sono dei guaritori mussulmani.
I testi sacri dell’ayurveda definiscono il cancro adbhuta rota, una malattia eccezionale, e non rientra tra le malattie curabili e non curabili. E quando l’ayurveda non basta c’è sempre la medicina allopatica. Si registra la mancanza della chirurgia nei trattati ayurvedici, perché non esistono anestetici nella farmacopea ayurvedica.
Per l’ayurveda il cibo è una cosa importantissima, il cibo più costa e più fa male.  Tutti gli animali che vivono nell’acqua come il pesce, aumentano le infiammazioni.
La rinascita dell’ayurveda è stato il frutto di una operazione politica di segno anti coloniale.
L’ayurveda come tutte le cose in India ha origine da un mito, Brahma stabilì le regole con cui sarebbe conservata la vita. L'ayurveda venne portata sulla terra,  dove venne raccolta dai rishi. Attorno al VII secolo a.c. un personaggio di nome Atreya si mise a praticarla e insegnarla in tutta l’India, un diretto allievo di Atreya cominciò a mettere per iscritto i principi fondamentali. Questi commenti arrivano fino al IV secolo d.c. Poi con l’arrivo dei musulmani e degli inglesi molti indiani cominciarono ad abbandonare la loro tradizione medica, la catena di trasmissione fu interrotta, e fu ripresa sola alla fine del 1800, e nel quadro della rivolta indiana contro il potere coloniale, divenne simbolo dello swadeshi, il grande movimento anti britannico per l’autosufficienza. Nel 1835 gli inglesi per combattere il vaiolo, contro le vaccinazioni tradizionali chiusero tutte le scuole di ayurveda.
Oggi solo il 5% del bilancio della sanità va all’ayurveda, e non esiste nessun controllo governativo sulla qualità della medicina ayurvedica. La maggioranza degli indiani si cura con la medicina occidentale e molti occidentali insoddisfatti della medicina di casa loro, si rivolgono all’ayurveda e si avventurano nelle budella dell’India in cerca di una cura antica.
Nata dall’osservazione della natura da parte dei rishi, la Farmacopea ayurvedica era fatta quasi esclusivamente di piante e erbe, soprattutto selvatiche, e la foresta era il grande serbatoio dei rimedi.
Un grande maestro disse ai suoi allievi, andate nella foresta e portatemi tutto quello che credete possa essere inutile, ognuno di loro riportò qualcosa, ma uno che aveva capito che tutto era utile, ritornò a mani vuote e fu elogiato dal maestro.
Le malattie curate con più successo dall'ayurveda sono l’artrite, l'osteoporosi, delle giunture, della pelle, paralisi da trombosi, i postumi da infarto. Le medicine sono classificate in nove categorie. Nel Kerala esiste un’antica scuola di arti marziali, da questa erano nati il karatè e il katana. Il medico ayurvedico che incontrai era come me, moderno, ma con la nostalgia del passato. Sottolineava l'importanza della mente, Il credere a qualcosa.  Anche il grande fisico Niels Bohr teneva attaccato alla porta di casa un ferro da cavallo, e i colleghi che andavano a fargli visita gli chiedevano: Non crederai mica a questa roba? Certamente no, ma dicono che porti fortuna anche a chi non crede. Nessuno lo sa spiegare in termini scientifici, ma a me pareva possibile che una volta acquietata e serena la mente mandasse dei segnali al sistema immunitario perché facesse il suo dovere. In India è molto conosciuto il tulsi, la pianta che tutta l’india considera sacra, è un parente del basilico, nei testi ayurvedici è descritto come la pianta che apre il cuore e la mente e sveglia l’energia all’amore e alla devozione. Anche in Occidente il basilico era in tempi passati una pianta venerata. L’ayurveda è una filosofia di vita, perché ha una dimensione etica e il suo fine non è tanto quello di mantenere l’uomo in salute, ma aiutarlo a raggiungere la sua meta spirituale, la sola garanzia di una vita sana, sta nella forza interiore del paziente. Quale è il fine della conoscenza se non quello di capire la natura per poterne seguire le regole e vivere meglio? Oggi si fa ricerca per scoprire le ricchezze nascoste della natura ed impossessarsene e trasformarle in merci, questa è la causa del degrado spirituale dell’occidente.
Il Kathali è vecchia forma teatrale del Kerala e uno dei classici veicoli di trasmissione della cultura popolare, gli attori sono muti e le storie messe in scena vengono tutte prese dal Mahabharata, dal Ramayana, dalla Gita e dai purana. Durante il festival viene celebrata  Wiswambhara, la divinità protettrice dell’ayurveda.
In un'altra cerimonia veniva celebrato Shiva che tagliava in 51 pezzi il corpo di Sita e ognuno di questi pezzi cade sulla terra e lì venne costruito un grande tempio. Quello dedicato alla yoni, l’organo riproduttivo femminile si trova a Guwahati, la capitale dell’Assam su una roccia, in riva al fiume maschio dell’India il Brahmaputra, Gli altri fiumi, il Gange e  lo Yamuna sono considerati femminili.

Charan Das il sadhu americano, mi ha aveva portato nella piana di Kurukshetra, dove ho assistito al Khumba mela di Allahabad all’incrocio tra Gange e Yamuna e il terzo fiume immaginario o scomparso il Saraswati. C’erano centinaia di migliaia di persone, io ero là e camminavo facendo attenzione agli escrementi, gli altri invasati e disattenti a quello che avevano intorno, erano altrove, aleggiavano in un’anticamera del paradiso. Mentre io ero incapace di entrare in un’altra dimensione. Qui, migliaia di sadhu nudi e coperti di cenere, erano venuti a celebrare il khumba mela, ed ognuno con il suo tridente segnava il proprio territorio, migliaia di pazzi scatenati che mi sono sembrati una sorta di garanzia che l’India non diventerà mai un Paese come gli altri. Una società che si inchina ai loro piedi non diventerà mai completamente materialista
Lasciai l’ashram di Kottakal con le medicine ayurvediche che sapevo che non avrei preso, e mi posi la seguente domanda: "Come avrei fatto a lasciare quella bolla di pace e vivere di nuovo nel mondo?"
Lo swami dopo averci spiegato il Vedanta attraverso le Upanishad, ci parlò della Bhagvad Gita, il vangelo degli indiani.
Il Dio Khrisna per spiegare ad Arjuna la morte dice:
Come un uomo butta via un vecchio abito per indossarne uno tutto nuovo,
così colui che sta in un corpo consumato lo lascia per uno che non è stato mai usato,
per non confondere il jiva che abita nel corpo aggiunge:
E quello, non c’è arma che lo tagli,
non c’è fuoco che lo bruci, non c’è acqua che lo bagni, non vento che lo asciughi,
Impensabile, immutabile, non manifesto
è il Sè e tu sapendoti tale, non hai ragione di soffrire
.

Il dio della Gita non ha un popolo eletto, non condanna nessuno per l’eternità, è un dio che è tutto e ovunque, e non ha bisogno di intermediari, che non manda qualcuno sulla terra. Nella visione della Gita mi piaceva l’idea che il mondo dei sensi non fosse visto come Maya, illusione o ostacolo alla vera Conoscenza. Il Vedanta non nega il mondo, è partendo dalla propria percezione del mondo che ognuno può scoprire ciò da cui il mondo dipende.
Soprattutto mi piaceva che non ci fosse il concetto di peccato originale, e i desideri non sono riprovevoli, ma sono parte della vita. I desideri ci legano al samsara, al mondo del divenire, solo tagliando quei fili si può davvero essere liberi.
Gli indiani usano la Storia degli elefanti per spiegare maya, l’illusione. Un uomo muore lasciando ai tre figli 17 elefanti; nel testamento è scritto che la metà deve andare al maggiore, un terzo al secondo, un nono al terzo. I figli non riescono a fare la divisione, pensano di tagliare in due un elefante, e finiscono per litigare. Nel frattempo passa di lì un ministro del re sul dorso di un elefante, assiste alla disputa e dice: prendete il mio elefante, aggiungetelo agli altri e fate la divisione. 18/9 = 9 elefanti vanno al primo figlio; 18/3= 6 elefanti vanno al secondo figlio; 18/9=2 elefanti vanno al terzo figlio.
9 + 6 + 2 la somma degli elefanti è 17, i fratelli ringraziano il ministro, lui riprende il 18 elefante il suo, e ritorna verso la capitale.     Così è il mondo, non un’illusione, ma qualcosa che ci aiuta a fare i conti e a riconoscere che l’intero universo è sostenuto dalla coscienza, da quella realtà o totalità, dal sé, di cui tutto è parte.
Dopo settimane trascorse all’ashram cominciavo ad entrare in crisi, l’isolamento mi pareva forzato,
io ero e restavo europeo, sentivo nascere la contraddizione di fondo tra il nostro modo di essere al mondo e quello degli indiani. Per noi il valore supremo è la vita, per loro la non-vita. Moksha, la liberazione dal rinascere è la grande aspirazione di questa civiltà. La vita così come è continuava a piacermi, ci vedevo ancora tanta gioia, anche se capivo che alla gioia segue la sofferenza, mi piaceva il distacco ma non l’indifferenza. 
Il mondo dell’ashram cominciò ad apparirmi non molto diverso dal mondo fuori, ci vidi le stesse dinamiche, le donne si contendevano, pur gentilmente, di servire gli swami che venivano in visita, si creavano obblighi e tensioni. Se qualcuno pensa che entrando in un ashram sfugge alle trappole della vita si sbaglia.
Quando visitai il bazar, che mi si presentò col solito disperante squallore, mi accorsi che era lontanissimo dall’ashram col suo ordine braminico, la sua gente pulita, vestita di bianco ed intenta a pensare al Sè. Allora inevitabilmente mi chiedevo a che cosa servissero tutte quelle belle idee, quando la società prodotta da quelle idee era così squallida. Il miglior modo di valutare una causa era guardare i suoi effetti, ero sempre più confuso.
Siddha è l'antico sistema di medicina del Tamil Nadu, simile all’ayurveda ma influenzato da pratiche alchemiche cinesi.
Terzani, in questo libro, fa la distinzione tra Le religioni forti e deboli, le prime aggressive e missionarie, come il cristianesimo e l’islam e le religioni che non cercano di fare proseliti come ebraismo, zoroastrismo, e lo stesso induismo, e anche il buddhismo sebbene non sia una vera religione.
Questa posizione era diversa da altri mistici come Ramakrishna che asseriva che tutte le religioni sono uguali, che erano come l’acqua di uno stesso stagno messa in secchi diversi e chiamata in modi diversi, Ugualmente tollerante era stato Vivekananda il suo discepolo.
Secondo lo swami i tempi erano cambiati ed ora l’induismo stava subendo una vera e propria aggressione. Le conversioni all'islamismo e al cristianesimo erano per lui una nuova forma di colonialismo. Secondo lo swami occorreva opporre resistenza e ristabilire le vecchie tradizioni indiane. Avevo voglia di rimettermi in cammino, alla ricerca, liberarsi dei desideri è più difficile di quanto credessi.
Come disse lo swami potevo scegliere tra il me che desidera o il me che rideva del me che desiderava. E mi raccontò la Storia zen del monaco moralista.
Due monaci stavano camminando per una strada allagata da un acquazzone, si trovano davanti una bella ragazza che ben vestita non riesce ad attraversare la pozzanghera, uno dei due la prende in braccio e la deposita all’asciutto. l’altro non dice niente, ma la sera quando sono al tempio dice con aria di rimprovero: "noi monaci dobbiamo stare lontani dalle donne, specie se giovani e belle, toccarle poi è estremamente pericoloso, perché lo hai fatto?"
l’altro monaco risponde, "io quella ragazza l’ho lasciata dall’altra parte della pozzanghera, tu invece te la sei portata dietro fin qui."

Nell'ashram si è svolta la cerimonia di ringraziamento a Dakshinamurti, la divinità dell’ashram, l'incarnazione di Shiva e protettrice dei veda. Durante la cerimonia venivano ripetuti i mantra (japa) e le formule di ringraziamento, il suono aveva il suo potere, ripetere l’OM namashivaya in modo circolare e per ore, svuotava e calmava la mente. E il vedanta? Alla fine non mi sentivo separato dal mondo, anche se non mi prendevo per una piccola onda separata dall’oceano, comunque non avevo più paura della morte. E la vita passa fuori e dentro l’ashram, passa in una sequela di attese, di riti il cui unico significato sta nel fatto che paiono dare un qualche senso all’inutile passare della vita e dell’esistenza.
Se invece di recitare quel mantra centomila volte avessimo investito quel tempo a scavare un pozzo, forse l’India non avrebbe due terzi della sua gente senza acqua potabile.
L’ultimo consiglio dello swami prima della fine del corso fù il seguente: Vivete una vita in cui potete riconoscervi.
Dopo tre mesi ripartimmo, ognuno per la sua strada, ponendoci forse un po’ più coscientemente quella domanda fondamentale a cui, non tutti, credo, avevano trovato una risposta “Chi sono io?”.

Un viaggio nel XX secolo - Tiziano Terzani

Tiziano Terzani (1938-2004) nel libro La fine è il mio inizio, come padre racconta al figlio il grande viaggio della vita. Questo testo è anche un viaggio nel XX secolo, nelle "società moderne che disumanizzano l’uomo". Terzani si rese conto che "il Progresso è un andare avanti distruggendo e creando sempre qualcosa di nuovo".

Tiziano Terzani, sapendo di essere arrivato alla fine del suo percorso, parla al figlio Folco di cos’è stata la sua vita e di cos’è la vita: «Se hai capito qualcosa lo vuoi lasciare lì in un pacchetto», dice. Così, all’Orsigna, sotto un albero a due passi dalla gompa, la sua casetta in stile tibetano, in uno stato d’animo meraviglioso, racconta di tutta una vita trascorsa a viaggiare per il mondo, alla ricerca della verità. E cercando il senso delle tante cose che ha fatto e delle tante persone che è stato, delinea un affresco delle grandi passioni del proprio tempo. Ai giovani in particolare ricorda l’importanza della fantasia, della curiosità per il diverso e il coraggio di una vita libera, vera, in cui riconoscersi.  Questo libro è un testo unico, che racchiude tutti i suoi libri precedenti, ma anche li precede e li supera. «Se mi chiedi alla fine cosa lascio, lascio un libro che forse potrà aiutare qualcuno a vedere il mondo in modo migliore, a godere di più della propria vita, a vederla in un contesto più grande, come quello che io sento così forte.» 

Terzani affronta la morte (questo momento lui lo chiama lasciare il corpo) con la serenità di chi non lotta più, felice di un’esistenza fortunata, ricca di avventura e amore. Riconosce che a volte i desideri sono una forma di schiavitù.
Terzani racconta: "Il potere mi è sempre stato alieno, La famiglia mi ha trasmesso valori molto forti come l’onestà e la dignità. Si studiava perché ci si sentiva incaricati di una missione, agire sulla società malata, distrutta, ingiusta e provare a cambiarla".

In quel periodo il terzo mondo veniva decolonizzato e c’erano solo due alternative ideologiche: Mao o Gandhi.  Nel 1965 al XX congresso del PCUS Krusciov rivela i crimini di Stalin. Nello stesso periodo c'è la guerra del Vietnam e la liberazione di Cuba da parte di Fidel Castro e Che Guevara.
Terzani inizia a lavorare all’Olivetti, conosce Pasolini, e nel 1967 a New York inizia a studiare cinese. Viene ucciso Che Guevara  e scoppia il maggio francese nel 1968 a Parigi.
Ottiene il tesserino da giornalista professionista ed inizia a lavorare con il giornale tedesco Der Spiegel.
Nel 1971 a 33 anni parte per Singapore, per seguire la guerra in Vietnam e Indocina. Nel 1972 si stabilì a Singapore come base per i suoi servizi giornalistici. Alla fine del 1975 si trasferì con tutta la famiglia a Hong Kong.
Nel 1975 avviene la presa di Saigon, e la riunificazione del Vietnam da parte di Ho Chi Minh.

La forza del giornalismo era la sua indipendenza e Terzani voleva viaggiare per il mondo alla ricerca della verità, che solo dopo molti anni, si rese conto che non esiste.
Sempre nel 1975 i khmer rossi conquistano Phnom Pen in Cambogia.
Il colpo di stato contro Gorbaciov pone fine all'Unione Sovietica e al sogno del comunismo. Il marxismo leninismo è stata l’arma del momento di molti movimenti nazionalisti e indipendentisti dell’Asia, un’arma ideologica che dava disciplina e una struttura di riferimento.  Oggi il riferimento al comunismo è stato sotituito con  l’Islam fondamentalista  di AL Qaeda.  Terzani riconosce nella follia di Mao, Stalin, Pol Pot, una grande ed abberrante logica che manca totalmente al fondamentalismo islamico.
Nel 1978 i vietnamiti entrano in Cambogia e rovesciano i khmer rossi e occupano il Paese.
Terzani, dopo questa disamina storica, conclude che il XX secolo è’ stato un secolo di spaventose delusioni, anche per questo oggi, c’è questo grande disorientamento perchè non c’è più niente a cui attaccarsi minimamente.

Poi Terzani parla della sua esperienza in questi Paesi del Sud-Est asiatico dove ha svolto le funzioni di giornalista. In Cambogia racconta l'uso massiccio dell’oppio che è stata un’esperienza che ha segnato molte persone. In Cina, è  stato tra i primi giornalisti ad intervistare Hua Guofeng il successore di Mao.  Nel libro mette il evidenza il razzismo dei cinesi nei confronti di quelli che non sono della razza Han.  Racconta anche della sua visita del Potala a Lhasa in Tibet.
I viaggiatori, fonte di ispirazione per Terzani sono stati: Harry Franck, Karkgren, Scidmore, Sven Hedin che erano esploratori e gente di grande cultura. Alla base del viaggio c'è il motto : "Bisogna conoscere per trovare".

Terzani parla anche dei libri: "I libri erano i miei migliori compagni di viaggio, Stavano zitti quando volevo che stessero zitti, mi parlavano quando avevo bisogno che mi parlassero. Un compagno di viaggio invece è difficile perché impone la sua presenza, un libro no, tace. Ma è pieno di belle cose".  Tra i libri citati da Terzani troviamo:

  • The Quiet american, l’unico grande romanzo che è stato scritto sulla prima guerra di Indocina.
  • Peking, the city of lingering splendour.
  • My life as explorer - Swen Heidin.

Dopo un viaggio preliminare per Der Spiegel tra fine del 1979 ed i primi giorni del 1980, Terzani riuscì a stabilirsi definitivamente a Pechino come primo corrispondente di un magazine occidentale. Terzani ha fatto studiare i figli nella scuola cinese  per conoscere realmente la Cina, ha imposto loro la Cina. In Cina esisteva la delazione, e si viveva con la paura di essere ascoltati e spiati. L’immagine della Cina eroica, lavoratrice faceva acqua da tutte le parti. Scoprì che la vita dei cinesi in quel periodo è stata un incubo. Mao prende il potere nel 1949 e nel 1966 comincia la rivoluzione culturale.
C’è una natura umana che è individualista, che è egoista e non accetta la limitazione dei propri diritti. Così quelli che credono nel sistema  arrivano alla violenza per reprimere quelli che lo minano. Per questo ci sono stati i massacri di Pol Pot, i gulag sovietici, i campi di lavoro cinesi.
Poi in Cina, nel 1978,  prende il potere Deng Xiaoping che dice Essere ricchi è glorioso e Terzani osserva questi avvenimenti e pone la seguente domanda: "Cinquanta anni di storia e di morti per nullaDeng Xiaoping dopo avere ricoperto ruoli direttivi nel Partito Comunista Cinese a più riprese nell'era di Mao Zedong, divenne leader de facto della Cina dal 1978 al 1992. Era conosciuto come il "capo architetto" della riforma economica cinese.   A partire da Deng Xiaoping  la Cina diventa una brutta imitazione di Hong Kong dove tutti corrono a fare soldi. Saigon  diventerà una città occidentale. Allora a che servono tutte queste rivoluzioni?
La guerra di Mao, forse era più che giusta, ma per arrivare a cosa?
Terzani arriva a dire: "Per me queste rivoluzioni non servono e da qui il passo verso l’unica rivoluzione che serve, quella dentro di te". 
Vedi che le rivoluzioni si alternano e si ripetono in maniera costante, perché al fondo c’è la natura dell’uomo. Se l’uomo non cambia, se l’uomo non fa questo salto di qualità, se l’uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, tutto si ripete, si ripete, si ripete.
Poi viene arrestato dalla polizia cinese, e poi espulso e si trasferisce in Giappone.
Il Giappone  era molto diverso dalla Cina, il Giappone rappresentava l’aspetto positivo di questo continente, rappresentava l’Asia che ce l’aveva fatta ad uscire dal sottosviluppo e a diventare moderna. Terzani dice: "Venivo dalla civiltà della grandezza della Cina alla cultura del piccolo e del dettaglio in Giappone, dove tutto è raffinato; questa cultura mi angosciava, solo nella morte sentivi la grandezza".
In Giappone si  entra in contatto non con delle persone, ma con il ruolo che svolgevano nella società.
Rendendosi conto che con le loro forze e con le loro tradizioni non sarebbero mai riusciti a resistere all’Occidente, i giapponesi decisero che l’unico modo di sopravvivere era di occidentalizzarsi.
L’imperatore Meiji (1867-1912) persegui con tenacia l’occidentalizzazione, venivano invitati stranieri chiamati yatoi, perché insegnassero a fare le cose all’occidentale, fino a diventare una grande potenza economica e militare.
Si assiste all'allegro suicidio dell’Asia in favore di un modello di sviluppo occidentale per il quale questi Paesi rinunciano al proprio. Abbiamo fatto credere loro che la modernità, può essere solo di tipo occidentale.
Il  Giappone oggi è diventato una società disumanizzata, dove c’è un modo di vivere spaventoso, orari di lavoro inconcepibili nelle fabbriche e nelle aziende.
Le società, le civiltà si valutano non solo per la loro struttura economica, ma soprattutto dal tipo di uomo che producono e dal tipo di vita che gli fanno fare. I piccoli negozi devono lasciare il posto a fabbriche o supermercati, e così sta succedendo anche in Italia.
Terzani racconta: "Lì è cominciata la storia della mia depressione, l’angoscia davanti alla società moderna che disumanizza l’uomo".  La famiglia di Terzani viveva in una piccola casa nella foresta Daigo ai piedi del monte Fuji.
Nel 1990 per Der spiegel si trasferisce a Bangkok per creare un nuovo ufficio da dove seguire le vicende dell’Asia, la situazione in Birmania, la guerra delle tigri Tamil in Sri Lanka. La famiglia Terzani viveva in una piccola casa, dove nel giardino risiedeva una tartaruga gigante, l’ultimo grido di un’Asia che stava scomparendo.
Racconta che ha continuato a viaggiare in Asia nel 1993 con mezzi pubblici, dormire in alberghi che costavano meno di cinque dollari, perché un indovino aveva previsto che sarebbe morto se avesse preso un aereo.  In quel periodo si mise di nuovo a scrivere articoli  e  a raccontare quell’Asia che mi aveva affascinato, quella delle superstizioni, delle storie fantastiche, della tradizione. In questo periodo ha fatto un corso di meditazione con John Coleman, in un ashram dove si mangiava vegetariano,  e si partecipava alle sedute in totale silenzio. Racconta questa esperienza in questo modo: "Nella meditazione il problema, non è stare seduto, ma entrare in una dimensione interiore in cui senti che le cose non sono come appaiono, che c’è un altro livello.  Concentrandoti e lasciando fuori tutto quello che è fuori,  piano piano rimane ed emerge questo nucleo vuoto, che sei tu. Quel tu,  che è parte di questa cosa, che non è nemmeno l’umanità, è il cosmo. E quando cominci a vederle così, le cose cambiano".
Nel 1994 con la scrittura del libro Un indovino mi disse Terzani comincia a staccarsi dal giornalismo.
Ancora Terzani racconta: "Non ho mai avuto un grande amico nel senso dell’amicizia come sponda e rifugio, ho avuto molti compagni di gioco e di viaggio, ma non delle vere presenze che avevano un grande valore nell’economia della mia esistenza".
"Tua madre era il contrario di tutto quello che erano le altre. Eravamo orgogliosi, perché sapevamo di avere qualcosa che i soldi non comprano ed era la cultura. Tua madre è stata quella che il grande poeta bengalese descrive come il palo al quale l’elefante si fa legare con un filo di seta. E’ stata il grande punto fermo della mia vita. Non l’ho mai messa in dubbio. E’ stata una grande compagna, compagna di viaggio, una grande amica, consigliera, partner di tutto".
"Ci sono tre cose importanti nella mia vita: l’Orsigna, Der Spiegel e la mamma"
.
Terzani in questo periodo è stato anche nel Nepal, nella regione del Mustang, che era una isolata regione, alle pendici dell'Himalaya, dove è andato a cavallo fino a Lomantang la capitale.
Durante questi anni si rese conto che "il Progresso è un andare avanti distruggendo e creando sempre qualcosa di nuovo".   La testa di ponte per lo sbarco della modernità è spesso la medicina. Anche lo stesso giornalista, mette in moto quel processo di modernizzazione di quei posti semplicemente andandoci, con giacca a vento ed  occhiali da sole, che diventano un'aspirazione per le persone.
In Asia oggi resta solo la Birmania attaccata alle tradizioni, se Aung Suu Kyi prenderà il potere, con la democrazia, la Birmania diventerà come la Thailandia, piena di bordelli, grattacieli, coca cola e jeans.
In Cina adesso hanno tutti la cintura di Pierre Cardin, i cinesi che avevano scoperto  che, secondo il Taoismo, non bisognava mai legarsi niente attorno alla pancia perché ferma il Qi, l’energia vitale.
Con il progresso eliminiamo la diversità che è il fondamento della vita. Adesso i tedeschi vengono in elicottero per visitare il Mustang.
Come dicono i sadhu, "se non vai a piedi dove vuoi andare, non vedrai quello che vuoi trovare".
Se guardiamo oggi la nostra vita, ci accorgiamo che non è più felice di quella degli uomini del Mustang.
Dov’è la via di mezzo allora?
Oggi la società contemporanea è caratterizzata dalla mancanza di eroi, la mancanza di grandi uomini. Non ci sono più figure come Madre Teresa, Albert Schweitzer,  pianista e filosofo, a 40 anni si mette a studiare medicina per andare ad aprire un’ospedale in Africa, o Bernard Russel.
Restano pochi esempi di una vita misteriosa.  Come quel vecchio che Terzani ha incontrato in cima all’Himalaya, che con un tocco magico ti permetteva di intravedere per un attimo quello che non hai mai visto. E una volta che l’hai visto non puoi più vivere normalmente.

Oggi qualsiasi idea, se si istituzionalizza si incancrenisce. L’idea del socialismo era semplice: creare una società in cui non ci fossero padroni che controllano i mezzi di produzione con i quali impongono la schiavitù alla gente.  Il comunismo ha invece tentato di istituzionalizzare l’aspirazione socialista creando istituzioni e controlli.
Speriamo che l’idea del socialismo sopravviverà a questo periodo egoista e capitalista.
Poi Terzani parla della sua Himalaya, dell'Orsigna in Toscana, l’abetone dei poveri, dove passava le vacanze quando era bambino e dove ha deciso di finire i suoi giorni.  Tutti i posti all’Orsigna hanno una storia magica, come in India o Tibet dove ogni sasso è un dio, e su ogni pietra trovi un’iscrizione.
Racconta: "trovo bello finire il mio viaggio in questo posto dove a suo modo con la magia ha qualcosa a che vedere".  "Questo mondo è una meraviglia. E se riesci a sentirti parte di questa meraviglia, cosa vuoi di più.
Io ho sempre cercato un altro punto di vista, Viviamo delle vite troppo di corsa, troppo piene di stimoli, continuamente distratti dal lavoro, dal telefono, televisione, giornali, da quelli che ci vengono a trovare.
Sei tu che devi decidere se andare a mangiare la pizza o portare il bambino a vedere le lucciole
".

Ha festeggiato il  40 compleanno in India dove era andato a mettere i semi della sua vita futura in quel mistico Paese.  E in questa parte del libro comincia a parlare dell'India.
Il vecchio con cui ho vissuto alle pendici dell'Himalaya diceva: "voi i rishi li avete dimenticati e ne avete fatto dei libri, noi li viviamo". In Occidente non trovi più persone con quell’ampiezza di vedute sull’universo e il tempo. Un giorno a Delhi, davanti al Sai Baba mandir usciva un bell’indiano con i baffi, forse avvocato o ingegnere, con una grande collana di fiori arancioni appesa al collo, e mi passò accanto, mormorando qualche mantra. Ma con un sorriso così sereno, così beato che pensai: "quello sa qualcosa che noi non sappiamo". "Ecco il senso di stare in India, e i miei anni seguenti li ho dedicati a scoprire cosa sapeva quel tale".
Charan Das il sadhu americano, mi ha portato nella piana di Kurukshetra ad assistere al Kumba Mela, in questo posto c’erano migliaia di sadhu ed ognuno con il suo tridente segnava il proprio territorio, migliaia di pazzi scatenati che mi sono sembrati una sorta di garanzia che l’India non diventerà mai un Paese come gli altri. Una società che si inchina ai loro piedi non diventerà mai completamente materialista.
Nel suo libro Terzani parla del grande scrittore francese Romain Rolland che si mette a fare il biografo di Vivekananda e del giovane Gandhi, che mangiava una ciotola di riso al giorno, e quando si ammalava invece di prendere medicine faceva il digiuno.

Ppi Terzani comincia a fare una serie di riflessioni personali profonde sulla società contemporanea, che ho veramente apprezzato.  Qui di seguito riporto le sue riflessioni.
Cos’è la vera civiltà? La civiltà nasce da un tipo di comportamento che indica all’uomo il sentiero del dovere e l’osservanza della moralità. Raggiungere la moralità significa raggiungere la padronanza della nostra mente e delle nostre passioni.
Gandhi non voleva il progresso di tipo occidentale che è misurato dal numero di abiti, e quanto velocemente ci si sposa, ma basava tutto sul villaggio e la comunità, dove c’è condivisione. L’educazione dovrebbe iniziare con l’insegnare il valore della non violenza. Occorre un grande ripensamento, un grande risveglio in Occidente.   
L’uomo è una strana creatura, la più distruttiva che sia mai comparsa sulla faccia della terra. É arrivato sulla luna, ha allungato la sua vita, ma non ha fatto nessun progresso dal punto di vista spirituale. Come dice Aurobindo l’uomo deve fare un altro passo.
Krishnamurti amava ripetere: "la conoscenza è il nostro più grande limite, bisogna liberarsi della conoscenza".    L’inizio del processo spirituale è il silenzio, dobbiamo gioire del silenzio, oggi il silenzio non esiste più. L’uomo ha perso la sua connessione cosmica. La Bhagavad Gita, il vangelo degli indiani, incita a fare il proprio dovere, il destino del mondo non è nelle nostre mani.

Terzani dice "Vedo un grande caos e una de-civilizzazione dell’umanità irreversibile. L’uomo ha una natura assassina, Come fallì la Lega delle Nazioni ora falliscono le Nazioni Unite".  Solo l’uomo a contatto con la natura è un vero uomo.  "Oggi gli uomini sono distratti dalle distrazioni che li distraggono" (T.S. Elliot). Gli uomini non si chiedono chi sono, Gli pare di essere il vestito di Armani o la motocicletta.  Un sadhu mi diceva che 98 pensieri dei 100 che una persona occidentale ha, li ha già avuti.  Poi parla della sua malattia e del  percorso spirituale che aveva intrapreso quando aveva capito che non avreeeb superato la malattia.   

Anche qui le riflessioni di Terzani mi hanno veramente toccato. 
Ho avuto due grandi regali: la pensione e il cancro, mi sono arrivati nello stesso momento. E’ allora che ho mollato il mondo e sono andato a vivere in un ashram con uno swami, anche se non potevo essere uno dei  suoi seguaci che gli toccavano i piedi al mattino, per ricaricarsi delle sue energie. Nel mio percorso spirituale ero sempre in mezzo al guado, non capace di tornare indietro, facevo qualche passo avanti, ma non riuscivo ad arrivare all’altra sponda e dire: "Ecco adesso sono uno di voi".
Ho chiesto al vecchio swami presso il quale ero in ritiro: Come fa  a dedicare tanto del suo tempo alle persone? Il vecchio saggio mi rispose:  "Il mio tempo è tempo degli altri, il tempo per me non ha più valore". Anche lui sapeva qualcosa, come l'ingegnere con la collana di fiori arancioni incontrato fuori dal tempio.
L’identità fisica e psicologica è limitativa, non puoi essere nient’altro. Tutte queste maschere che metti alla fine ti soffocano. Hai la sensazione che non ti tocca più nulla, perché non sei più una di quelle  maschere. Poi lentamente ti allontani dal percorso ordinario per diventare Anam, il senzanome. Senza storia, senza passato.  Anam era il nome dato a Terzani dal vecchio saggio,  presso il quale stava facendo un ritiro spirituale.
La verità che i saggi hanno capito, è che non c’è permanenza; Tutto è impermanente.
Però non posso fare quell’ultimo passo, di scomparire nelle montagne, perché non sono illuminato, e sono uno sempre in mezzo al guado. Non potrei mai fare il guru, il profeta, io sono uno semplice, uno di Monticelli.
Riporta una scena di un film con Charlie Chaplin: quando cade da un camion una bandiera rossa, lui corre dietro al camion per restituirla e dietro di lui corre la folla; questa è l’unica possibilità che ho di guidare una folla.
L’India è il posto dove uno può imparare a morire. L’illuminazione è un illusione, che però ti tiene in riga, ti dà una speranza; è quel viaggio, quell’aspirare a una visione diversa del mondo.
La folgorazione d’immenso tocca a molti, in quell’attimo pensi di aver capito tutto. Forse vedevo la realtà per la prima volta, come un vuoto di luce.
Cosa può esserci di più interiore dell’accettare la morte? Ancora più completo è l’integrare il male con il bene, la morte con la vita. Se lo hai capito non soltanto con la testa, se davvero riesci a integrarli, allora hai sentito col cuore, con l’intuizione, la quintessenza dell’universo.
Forse l’illuminazione è proprio guardare il mondo così com’è e vederlo come perfetto.
Anche nella mia aspirazione a un uomo migliore, più spirituale, c’è desiderio, c’è divenire.

Nel 2000 sono  arrivato a quell'eremo sul crinale sull’Himalaya ed dopo tre mesi ero un altro. Mi stavo distaccando da tutto, non volevo vedere nessuno, avevo questo immenso oceano di pace davanti a me. La natura dell’Himalaya ha agito in parallelo con il vecchio. Quei tre mesi in ritiro in una casetta in Himalaya con il vecchio saggio furono magici, mi rovesciarono come un guanto. Tutto mi apparve in un’altra luce, tutto cominciò ad avere un altro significato. Il vecchio è stato anche crudele a volte, e mi diceva: Il giorno che riuscirò a rompere il tuo ego, il puzzo arriverà fino al cielo. 
Abbandona tutto, abbandona tutto quello che conosci, abbandona, abbandona, abbandona, E non aver paura di rimanere senza niente, perché alla fine quel niente è quello che ti sostiene.  Contemplando la natura mi sentivo pieno d’immenso, su quel crinale mi ha colpito un maggiolino, da un filo d’erba quel piccolo insetto ha aperto le sue piccole ali verso l’infinito. E allora ho sentito che la mia vita era parte del tutto. 

Il mio ruolo di padre era quello di uno che seminava bei ricordi, che seminava esperienze. Ai figli va lasciata la liberà, libertà e felicità non vanno di pari passo, bisogna studiare per la cultura, non per cercare un lavoro. E' importante essere quello che vuoi, fare una vera vita in cui ti riconosci. E' importante far conoscere ai figli le diversità, ho proposto loro dei viaggi in Asia, li ho portati a conoscere Medici senza Frontiere, C’è tanto volontariato nel mondo, il volontariato toglieva molti giovani occidentali dalla banalità delle loro routine e li coinvolgeva per un certo periodo in un’operazione che cambiava la loro vita.  La cosa più bella che un giovane possa fare è inventarsi un lavoro che corrisponda ai suoi talenti, alle sue aspirazioni, alla sua gioia e senza quella arrendevolezza che sembra così necessaria per sopravvivere. 

Un saggio  mi ha detto: "Cammina e trovi, Se rimani nel conosciuto non scoprirai niente di nuovo. Se hai delle garanzie non sei libero, perché ogni garanzia è una limitazione".  Khrisnamurti diceva "La verità è una terra senza confini".   I sadhu sono l'esempio vivente che è possibile vivere senza attaccamento e senza niente. Ma come si fa a resistere alla trappola di ricerca delle garanzie? Con la rinuncia ai troppi desideri.
Abbiamo paura della morte perché dobbiamo abbandonare tutto quello che conosciamo. Ma se impari prima a rinunciare ai desideri, impari a distaccarti da tutto, non perderai niente quando morirai, perché l’hai già perso.
La sofferenza viene dall’essere attaccato alle cose e alle persone. Il Buddha ha detto:  "se hai una cosa, hai paura di perderla, se non ce l’hai, la vuoi avere".  I Lama tibetani quando sentono arrivare la morte rimangono da soli.
Ho deciso di non rinunciare all’ultimo desiderio che è quello di rimanere con la famiglia. Una decisione che ho preso col disprezzo del vecchio che mi diceva: "Che non ero uno forte se cedevo a questo richiamo". Penso che gli estremisti totali sono sbagliati, la giusta via è quella di mezzo, tra edonismo e ascetismo,  non puoi vivere nell’ascetismo più totale.
Il Buddha quando intraprese la via dell’ascetismo si reso conto che il suo corpo, ridotto in quel modo era diventato un ostacolo alla liberazione.  

Il rapporto con il Divino oggi è scomparso, ed è difficilissimo abbandonare questa cosa così pesante che è l’identità, e vivere qui ed ora, considerando il passato come un semplice  ricordo. Il Dio Krishna dice: "Tutto quello che nasce muore, tutto quello che muore nasce". Sento la fine come un inizio, L’inizio è la mia fine e la fine il mio inizio.
L’immagine che mi viene in mente nell’abbandonare il mio corpo è quella di un monaco zen, che traccia su una carta di riso, con un pennello intriso nella china, un cerchio che si chiude.
I tre mesi da eremita in Himalaya, mi hanno messo in contatto con il senso dell’incredibile impermanenza di tutto, mi hanno fatto accettare quello che l’Asia ha capito da tempo, che non c’è gioia senza dolore, che non c’è piacere senza dispiacere.  Allora ti stacchi, ti allontani, non con indifferenza nei confronti degli altri, che puoi anche amare, ma senza esserne schiavo, perché anche la vita di quelli che ami passa.   Sono stato tante cose, ma alla fine non sono nessuno.
Guardi la bellezza della terra e vedi l’unità di questa, senza più conflitto.

La malattia e la medicina alternativa - Tiziano Terzani

Tiziano Terzani (1938 -2004) in questo testo Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo, racconta gli ultimi anni della sua vita, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore allo stomaco.   Vedi link http://www.tizianoterzani.com

 
Viaggiare, è sempre stato per Tiziano Terzani un modo di vivere e così, quando gli viene annunciato che ha un tumore e che la sua vita è in pericolo, mettersi in viaggio alla ricerca di una soluzione è la sua risposta istintiva. 
Dopo aver fatto l’operazione allo stomaco e la radioterapia gli vengono concessi tre mesi (ossia un altro giro di giostra che è la vita) che utilizza per scoprire il mondo delle medicine alternative alla medicina allopatica. Solo che questo è un viaggio diverso da tutti gli altri, e anche il più difficile perché ogni passo, ogni scelta - a volte fra ragione e follia, fra scienza e magia - ha a che fare con la sua sopravvivenza. Alla fine il viaggio esterno alla ricerca di una cura si trasforma in un viaggio interiore, il viaggio di ritorno alle radici divine dell'uomo. Un libro sull'America, un libro sull'India, un libro sulla medicina classica e quella alternativa, un libro sulla ricerca della propria identità.

Terzani nel libro racconta:  Cercavo qualcosa di complementare alla scienza tradizionale. Quello è stato il periodo più divino della mia vita. Mi parve che tutta la mia vita fosse stata come su una giostra, ora passava il controllore e pagavo il dovuto e, se mi andava bene, magari riuscivo a fare … un altro giro di giostra. L’uomo occidentale imboccando l’autostrada della scienza, ha troppo facilmente dimenticato i sentieri della vecchia saggezza. L’aver fiducia nella cura e in chi la somministra è un fattore importantissimo, fondamentale in un processo di guarigione. Questo periodo mi ha fatto ricordare la transitorietà del tutto; nella vecchia Cina, i cinesi per ricordarselo tenevano in casa la loro bara.
I maestri zen la raccontano la transitorietà con la storia dell’uomo, che rincorso da una tigre scivola in un baratro, cadendo nel vuoto il poveretto riesce ad aggrapparsi ad un arbusto, da una parte il vuoto, dall’altra la tigre. In quel momento, tra i sassi vede una bella fragola rossa e fresca, La coglie e … mai una fragola gli parve così dolce come quest’ultima.
Terzani si interroga anche come una malattia può svilupparsi, quali sono i fattori che contribuiscono al suo sviluppo: Che cosa porta quella cellula ad abbandonare la sua funzione vitale per trasformarsi in una tale minaccia alla vita? Che ruolo ho avuto? Noi siamo un corpo ma anche una mente. Purtroppo noi siamo intrappolati in una visione meccanicistica del problema.
Thich Nhat Hahn il Maestro buddhista vietnamita diceva: "la mattina quando vi svegliate fate un sorriso al vostro cuore, al vostro stomaco, ai vostri polmoni e al vostro fegato: Dopo tutto, molto dipende da loro".
Compito dell'essere umano è scoprire il divino nella sofferenza. Terzani racconta la storia del mussulmano che, cacciato dalla moschea, ruzzola giù per la scalinata. Ad ogni scalino in cui picchiava sentiva male, soffriva e pensava a Dio. Ma quando finalmente arrivò in fondo gli dispiacque che non ci fossero più scalini.  Si tratta solo di capire che la vita e la morte sono due aspetti della stessa realtà. Occorre riflettere sul senso della vita, cercando di essere se stessi e sentirne la melodia. Ho sempre trovato convincente l’idea che con una forte volontà si possa essere liberi anche in una prigione, vedi esempio del monaco buddhista Palden Gyatso che ha resistito a 33 anni di torture nelle prigioni cinesi.
Ma in che misura si riesce a essere liberi quando si è prigionieri del proprio corpo? Che rapporto c’è tra corpo e mente?   Cos’è questa benedetta libertà di cui tutti parlano?  Terzano fornisce la risposta tramite una storia vecchia di secoli che circola in Asia: Un suddito chiese: "Sire cosa è la libertà nella vita?" Il re rispose:  "Quante gambe hai?"  " Due."   "Sei capace di stare su una?"  "Certo." L’uomo si mette in piedi su una gamba.    "Bene, ed ora tira su l’altra",      " Come? È impossibile" . il re allora disse: "Vedi, questa è la libertà, sei libero, ma solo di prendere la prima decisione, poi non più".

Per Terzani, la prima tappa di questo percorso alternativo alla medicina ufficiale è stata la meditazione. La prima esperienza fu un corso di meditazione vipassana con John Coleman. Con la meditazione avevo imparato che, per acquietare la mente, la cosa più importante non è resistere ai pensieri che insorgono, ma prenderne coscienza, accettare che ci sono: è più facile che se ne vadano così, piuttosto che cercando di cacciarli. Oggi purtroppo la meditazione ha subito un processo di trivializzazione che fa di ogni cosa l'oggetto di una moda, un prodotto da mettere in vendita. Prima un discepolo doveva seguire e servire il suo Maestro per anni, adesso tutto è diventato istantaneo.            Poi passa alla scienza dell'alimentazione. Il 97% di quel che siamo è quel che mangiamo, se siamo vegetariani occorre mangiare noci, pinoli, mandorle, semi di zucca e girasole. Frutta e verdura sono fibre che aiutano a regolare l’intestino. E' consigliabile cucinare con padelle in ferro per aumentare l'acquisizione di ferro. I bramini più ortodossi mangiano solo quello che hanno cucinato in recipienti che loro stessi hanno lavato. Chi cucina, può mettere nel cibo, una carica negativa che passerà a chi lo mangia.  Scientificamente non si può misurare questa carica, ma non per questo si può dire che la carica è inesistente.
La scienza è relativa, la storia della scienza è tutta una sequenza di verità che si dimostrano presto errori, alla luce di nuovi fatti e di nuove verità.
Poi fa esperienza con il qi gong e la pranoterapia il cui fondatore è stato  Master Choa Kok Sui.  Il qi gong che come il pranayama in India, è l’arte di controllare il proprio respiro e di indirizzarne la forza vitale nelle varie parti del corpo. Un esercizio particolare è quello di stare con le ginocchia leggermente piegate, i piedi separati, in linea con le spalle, e di tenere un’immaginaria palla di energia tra le mani immobili, sospese all’altezza dell’ombelico.
In tutti questi percorsi alternativi ci sono molti ciarlatani. Terzano fa l'esempio di un certo Master Hu che cercava di diventare famoso, e la sua sola moralità era quella del profitto. L'obiettivo era di provare a vendere il bene più richiesto: la speranza. Una consultazione costava 150 dollari.
Era colpa del qi gong se molti occidentali mettevano le loro vite in mano a ciarlatani?  Queste pratiche, se hanno un valore, ce l’hanno se restano difficili, esoteriche, irraggiungibili ai comuni mortali e si conquistano al costo di grandi sacrifici e dedizioni. Una volta che queste pratiche diventano accessibili a tutti perdono il loro significato e la loro eventuale efficacia.

Tutte le antiche civiltà hanno studiato il potere del respiro, e hanno intravisto il rapporto tra il respiro e la mente, e forse l’anima. Gli yogi avendo notato, che molti animali capaci di respirare lentamente come l'elefante e il serpente vivono più a lungo di altri, hanno speso anni ad escogitare specialissimi esercizi intesi a rallentare il ritmo della propria respirazione, prolungando la propria vita. In India il tempo assegnatoci si misura in respiri e non in giorni, in questo contesto, rallentare il ritmo del respiro significa allungarsi la vita.
La decisione di passare questo periodo della malattia da solo, lontano dalla famiglia, riducendo all’essenziale i rapporti umani era stata istintivamente saggia. Che assurda abitudine, questa nostra, di socializzare, conoscere gente, o lavorare … mangiando. Che alternativa avevo, a parte quella di fare o non fare la vittima? Per istinto preferivo non farla.  Tenevo a mente i versi di un monaco zen del secolo scorso :   "Non chiedere di avere una salute perfetta, sarebbe avidità,  fai della sofferenza la tua medicina e non aspettarti una vita senza ostacoli,    senza quel fuoco la tua luce si spegnerebbe,   usa la tempesta per liberarti".
Forse c’era un messaggio segreto nella malattia, m’era venuta perché capissi qualcosa, Arrivai a pensare che quel cancro, inconsciamente, l’avevo voluto io, per uscire dalla routine e rallentare il ritmo delle mie giornate. Per scoprire un altro modo di guardare le cose, fare un’altra vita.
Cercare di scoprire chi ero io, ma quale io? Ero totalmente cambiato anche nel corpo.
Fra i vari esercizi ai cui vengono sottoposti i giovani tibetani a Dharamsala è quello di stabilire dove sta il nostro io, poi il Lama prende un fiore, stacca un petalo dopo l’altro e rimane solo lo stelo, Non è lo stesso per Noi? Noi siamo fatti di tanti pezzi, ognuno dei quali però non ci rappresenta.
Dalla medicina occidentale venivo trattato come un insieme di pezzi, ma mai come unità, ciò mi lasciava perplesso. Mi domandavo se la scienza non era cieca, come i cinque ciechi protagonisti di una storia a cui viene chiesto di descrivere un elefante. Il primo cieco tocca le gambe, è dice che l’elefante è come un tempio, il secondo tocca la proboscide, e dice che è come un serpente, il terzo tocca la pancia e dice che è come una montagna, il quarto tocca un un orecchio e dice che è come un ventaglio, il quinto tocca la coda e dice che è come una frusta.
La scienza si comporta nello stesso modo. Il mondo che ci descrive con i suoi strumenti non è il mondo, è una sua parziale rappresentazione, un'astrazione che in verità non esiste.
La figura di medico che conosce bene non solo la sua materia, ma anche la vita, e che in Occidente non esiste più. Il paziente è un portatore di un male, non una persona inserita in un suo mondo, con o senza famiglia, felice o infelice nel suo lavoro. Per questo sempre più persone si rivolgono alla medicina alternativa, che dà al paziente l'impressione di considerarlo nel suo insieme, reintroducendo nel rapporto medico-malato quell'elemento di mistero e magia.
Il problema è che oggi non ci sono più filtri e controlli, tutti credono di sapere tutto, e purtroppo Internet ha creato quell'ormai diffusissimo sapere a metà, che è la peggiore e la più pericolosa forma di ignoranza: In questo vuoto di vera e onesta conoscenza, persino il buon senso viene meno e ogni ciarlatano finisce per avere buon gioco con la gente. Chiunque venda speranza ha clienti.
Uno degli aspetti interessanti della medicina alternativa è che il paziente deve partecipare al processo di guarigione, che molto dipende da lui, dalla sua volontà. Questo però vuol dire anche che, se qualcosa non funziona, non lo si può imputare alla cura: è lui che non ce l'ha messa tutta. I ciarlatani hanno così una perfetta giustificazione per la loro inefficienza.
Il mio amico Dan Reid diventato esperto di taoismo, buddhismo, di qi gong, ecc, mi ha detto che ero pazzo a essermi messo nelle mani degli assassini in camice bianco.
La vita che uno ha fatto deve aver lasciato qualche traccia nelle sue cellule, e mi chiedevo che se avevo avuto un ruolo a scatenare il cancro, ora potevo avere un ruolo nel metterlo sotto controllo.
Forse c'è davvero qualcosa nelle nostre vite che il senno non capisce, qualcosa che sfugge all'ovvio e che sfugge alla ragione.
L'ultima volta che ho incontrato il Dalai Lama gli chiesi “Santità lei si cura con la medicina tibetana o occidentale?” Lui rispose “Con tutte e due”.
Avevo comunque intuito la possibilità di usare la mente per controllare il corpo e questa mi era parsa un'arte da mettere da parte. Concentrarsi sul respiro, tutto è impermanente, tutto viene e va, anche il dolore. Nelle grandi tradizioni il dolore è visto come una parte della vita.
Milarepa, uno dei grandi yogi, era in grado di trasferire il dolore fuori da sé, eventualmente su un oggetto.
L'Omeopatia mi avrebbe aiutato a ritrovare la forza vitale e l'equilibrio. Malattia in inglese significa disagio, il corpo ha un disagio, i detrattori paragonano l'omeopatia alla magia, spesso noi chiamiamo magia quello che non capiamo.   Spesso anche una frase presa da libri può aiutare qualcuno a migliorare un po' la propria vita, Non è magia questa?
Il segreto che tutti i medici, da Ippocrate in poi, hanno tenuto per sé è il seguente: Il vero medico è quello che abbiamo dentro di noi.
Le goccioline omeopatiche potevano stimolare la mia forza vitale e ridare equilibrio e saggezza al mio sistema immunitario impazzito?
L'omeopatia nasce tra il settecento e l'ottocento come senso di repulsione contro il modo in cui venivano trattati i malati. Nel 1755 Samuel Hahnemann, medico tedesco, mette a punto un metodo la cui base è curare il simile con il simile. In India è nota la storia di Bhima che si salva da un avvelenamento facendosi mordere da un serpente velenoso. Somministrando una piccola quantità di malattia si fanno insorgere i sintomi e con ciò si stimola il corpo a difendersi e a guarire (è la base dei vaccini). Ogni persona reagisce differentemente agli eventi della vita, alla malattia stessa. Da qui deriva la regola dell'omeopatia: occuparsi del malato, dei suoi sintomi, della sua percezione della malattia e non della malattia in sé.  È il paziente ad essere ammalato e non i suoi organi. Nel 1810 Hahnemann scrive che la forza vitale-spirituale anima il corpo materiale, per lui il corpo era molto più di una macchina.
Più è diluita una sostanza, più è efficace grazie alla memoria dell'acqua. I detrattori parlano di effetto placebo. Una persona credendo di venire curata, si cura da sé, Non è questa la prova lampante del potere della mente sulla materia? La diagnosi fa fatta non della malattia, ma del malato.
All’inizio novecento il 20% dei medici americani utilizzavano l'omeopatia, poi dopo vari attacchi l'omeopatia venne relegata tra le non-scienze.
In India arrivò con i missionari tedeschi, Gandhi la definì il sistema più raffinato ed economico e meno violento per trattare i pazienti, e suggeri di adottarla come medicina ufficiale. Nel 1973 l'omeopatia in India è stata riconosciuta come uno dei sistemi ufficiali di medicina. Gandhi suggeri al governo di appoggiarla e diffonderla, oggi 163 università offrono dei corsi di omeopatia.
In Occidente, dove la scienza è diventata una sorta di nuova religione, l'omeopatia ha sofferto dell'impossibilità di dimostrare scientificamente la propria efficacia.
Rupert Sheldrake nell'ashram Shantivanam, tenuto da un padre benedettino nel Tamil Nadu, ha scritto un saggio A new science of life. Esiste una sorta di accumulazione dell'esperienza a distanza, sia di tempo che di spazio, che lui la chiama risonanza morfica. Questo potrebbe essere applicata all'acqua, che avrebbe una memoria e giustificherebbe l'efficacia della medicina omeopatica.

La medicina allopatica americana a cui mi ero affidato era interventista, aggressiva, distruttiva come la civiltà americana. L'America ha sfruttato il resto del mondo e le risorse altrui, ed ha una società basata sul sistema moderno delle caste: i portoricani,i  neri, i latino americani gestiscono tutto ciò che è a terra: spazzatura, gabinetti, bagagli ecc, come gli intoccabili in India. Appena sopra c'è la casta dei falliti, di quelli che non ce l'hanno fatta. Il segreto è che tutti sono convinti di essere liberi e cittadini del migliore dei mondi possibili. Tutto è una questione di prospettiva. Ogni volta che la visione del mondo si rimpiccolisce, i nostri problemi o i nostri mali ci sembrano importantissimi, la nostra morte orribile, impensabile.
Se la visione si allarga e si riesce a vedere il mondo nella sua interezza e magnificenza, il nostro stato, pur penoso che sia, diventa parte di quella vastità, di quell'eterno, naturale arrovellarsi dell'uomo.
L'arte ci cura. Noi non siamo solo quel che mangiamo e l'aria che respiriamo. Siamo anche le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci siamo addormentati da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia, un concerto ci hanno dato.
"La guarigione viene dalle piante, e dal coltello. Da una persona retta e santa e dai mantra che uno canta". Frase di Zarathushtra del VI secolo a.c.    Lo zoroastrismo è una religione al cui centro sta il fuoco, il fuoco che purifica rimanendo sempre puro. Le scritture sacre dello zoroastrismo scomparvero nel 330 a.c. quando Alessandro il Macedone dette alle fiamme la biblioteca di Persepoli, il resto scomparve nel VII secolo d.c. quando gli arabi convertiti all’islam da Maometto diedero fuoco alla Persia. La più grande comunità si trova a Bombay dove si ereggono le torri del silenzio; i morti, dopo i riti funebri vengono lasciati agli avvoltoi.
James S. Lee scrisse il libro The underworld of the East, dove l'uomo scopre l’elisir della vita, e viene presentata la Teoria di Gaia, un grande e complesso essere vivente. L’uomo con la sua avidità non ha alcun rispetto per la terra, e questa si difende contro questo parassita mandandogli contro malattie, terremoti, inondazioni, tifoni e incendi. 

Le erbe sono un mezzo per guarire e un modo per disintossicarmi in modo naturale.
Per i cinesi il ginseng prima di essere coltivato artificialmente era l’essenza della terra in forma umana, un toccasana contro mille mali. Per gli indiani la soma, l’erba dell’immortalità di cui si parla anche nei Veda e che gli yogi usavano per vivere fino a duecento anni, sarebbe stato un rampicante che cresceva al di sopra dei 4000 metri nell’Himalaya, ma purtroppo oggi nessuno la trova più.
In Germania si trattano alcuni tumori con un estratto delle bacche di vischio.
Le piante sono un modo per riprendere il contatto con il divino, purtroppo l’ortodossia religiosa e la scienza hanno represso tutte le fedi animistiche come quelle dei pellirossa d’America ed hanno tagliato i nostri legami con il mondo che ci circonda.

Il Reiki è rappresentato da due ideogrammi che significano energia universale, e fu fondato da un giapponese centocinquanta anni fa.  Partecipai in India a dei corsi di reiki, i corsisti erano occidentali, e persone della classe borghese della nuova India, persone insoddisfatte, in crisi, sole.
Il Reiki oggi cura l’ipertensione e l’insonnia, il principio di fondo è il mantenimento di equilibrio fra i vari elementi del corpo. La terapia si fonda su una dieta vegetariana e i medici si chiamano akim, ce ne sono 50.000 in india.  Il reiki vuole ristabilire l’equilibrio fra i diversi livelli dell’essere fisico, mentale, emotivo e spirituale. In Giappone, nel 1865 nasce Mikao Usui, va in ritiro sul monte Kuram, in meditazione vede arrivare contro di lui una grande palla di luce ed energia che lo colpisce. Quando riprende i sensi ha trovato la risposta, quella è l’energia universale fonte di tutte le guarigioni, e deve essere gestita imponendo le mani. Nel 1926 muore, viene eretta una stele nel tempio Saijoji fuori Tokio. Una sua discepola Hawayo Takata si mette ad insegnare il reiki negli Stati Uniti e da qui si diffonde nel mondo. Tutte le malattie nascono da uno scompenso fisico o emotivo, e come terapia preventiva si consigliano tre abbracci al giorno. Durante la cerimonia della sintonizzazione, il maestro sintonizza le forze che ognuno ha dentro di sé con la forza universale. Mi incuriosiva constatare, che tutto fosse nato in Giappone.       Tutto iniziò con la Setta dei Mahikari, chi ne diventava membro acquisiva il potere di guarire gli altri con l’imposizione delle mani. Oggi tutti possono in pochi giorni acquisire questo potere indipendentemente dalle loro qualità psichiche e morali. Mikao Usui nonostante la stele a lui dedicata forse non è mai esistito.
I saggi taoisti dicono che solo un uomo di grande spiritualità e di animo puro poteva avere questo tocco magico; se l’uomo sbagliato usa i mezzi giusti, i mezzi giusti agiscono in modo sbagliato.

Terzani, poi conosce l'ayurveda attraverso il medico ayurvedico Visakhapatnam che operava nel golfo del Bengala. Ammalato, si era curato con l’ayuerveda ed era diventato un guaritore. Da poco era diventato bramacharya, aveva preso il voto di castità, era convinto che negli shastra, le antiche scritture sacre, c’era l’interpretazione di tutti i fenomeni dell’universo.
Esisteva un mondo, tenuto assieme da fili che non erano quelli dell’efficienza, un mondo di vecchi bramini pii ed ortodossi, la cui unica attività era quella di celebrare con regolarità e precisione gli immutabili riti. Per l’ayurveda tutto è interdipendente, tutto è parte di una totalità indivisibile e l’uomo, essendo non solo corpo ma anche mente ed anima, non può essere curato, quando si ammala, solo nella parte fisica.
Fisica e metafisica nella visione indiana si integrano, e l’astrologia è la più antica di tutte le scienze e resta parte della scienza medica.
Ayuh in sanscrito è il periodo che intercorre tra la vita e la morte, veda significa conoscenza. Ayurveda è la scienza della vita, il congiungere le mani per salutarsi significa anche trasmissione di energia. Toccare i piedi di qualcuno serve a caricarsi della sua energia, nell'ayurveda si instaura un rapporto tra suoni sacri e salute, fra piante e pianeti.
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Quello che di buono c’era nella medicina tibetana, veniva dall’ayurveda. Anche Heinrich Harrer di Sette anni in Tibet non ha una sola buona parola sulla medicina tibetana. Lo stesso Dalai Lama intervistato ha dichiarato che si curava anche con la medicina allopatica.
Alcuni esempi: Se il paziente entra nella stanza del medico con il piede sinistro la cura avrà effetto. I polsi da auscultare per ogni braccio sono sei, ecc-                                                                              Comunque l’interesse per la medicina tibetana è cresciuto in Occidente di pari passo con la simpatia per la causa tibetana. Il Dalai Lama dice: "L’Occidente è pronto a finanziare tutto quello che ha a che fare con il Tibet, ma non ad aiutare noi tibetani a riconquistare il nostro Tibet."  Dharamsala, la sede del governo tibetano in esilio, oggi è diventata una piccola Disneyland.
Il Karmapa fuggito dalla Cina e possibile successore del Dalai Lama, è la trentesima reincarnazione di un grande maestro. La reincarnazione è il modo più sicuro per mantenere la qualità di una dinastia ed è quello di andare a scegliere come erede del defunto un bambino brillante. La medicina tibetana è per la mente e per l’anima. L’ayurveda è arrivata in Tibet con i monaci buddhisti, poi ha recepito e integrato gli elementi essenziali del Bon, la vecchia fede animistica locale,
La medicina si staccò dalla sua origine indiano-scientifica per diventare sempre più tibetano-religiosa. Il buddhismo si impossessò di tutto, compreso il potere politico, i Lama furono i soli a diventare medici. L’ignoranza dell’io causa la sofferenza, causa i tre veleni della mente: desiderio, rabbia e ottusità che scatenano le malattie del corpo. Solo una continua moralità e meditazione può condurre alla liberazione da ogni male. Il Buddha può essere considerato il fondatore della medicina. Seguire il dharma, la Via, è la sola vera cura di tutti i mali.   Nella medicina tibetana non c’è differenza tra religione e medicina, la malattia è un disordine che nasce nella mente molto prima che nel corpo. La terapia per i tibetani è soprattutto spirituale e consiste essenzialmente nel recitare i mantra.
I tibetani hanno trasferito in contenitori buddhisti i concetti fondamentali dell’ayurveda.
I tre veleni della mente sono associati ai tre diversi tipi di costituzione individuale vata, pitta, e kafa,
Le quattro fasi della pratica ayurveda caratterizzate da: diagnosi, causa, prognosi e trattamento sono associate alle quattro nobili verità: tutto è sofferenza, la causa della sofferenza è nelle passioni, si può mettere fine alla sofferenza, per uscire dalla sofferenza è necessario prendere la Via dell'ottuplice sentiero.
La medicina tibetana ha le stesse otto sezioni della medicina ayurvedica: malattie del corpo, dei bambini, delle donne, provocate dagli spiriti, ferite da armi, avvelenamento, ringiovanimento, fertilità e afrodisiaci.
Tra le varie manifestazioni del Buddha è stato aggiunto quella del Sanghye Men La, il Buddha della medicina, a cui attribuiscono la stesura dei testi sacri, i Gyu Shi, i quattro Tantra, (che invece sono traduzioni dei testi indiani) e il potere di guarire. Questo Buddha ha il corpo dipinto di blu ed è rappresentato nella posizione del loto, coperto da una veste dorata di fronte ad un vassoi di frutti, tra cui l’arura il frutto della perfetta salute. Un frutto che tornerà a crescere quando il nuovo Buddha verrà sulla terra.
Il qi gong è un ottimo sistema per prevenire tantissime malattie, il potere terapeutico del qi gong è dovuto all’ossigenazione del corpo creata dagli esercizi. Nel 1931 Otto Warburg aveva ricevuto il premio Nobel per aver scoperto che le cellule cancerogene ammalate erano, al tempo stesso, affette da una grave mancanza di ossigeno.
Storia zen. Un vecchio monaco stava per morire, si mette a letto e annuncia che entro la sera se ne andrà, tutti i discepoli accorrono al capezzale, solo il più devoto va al mercato ed acquista il dolce preferito del monaco. Si mette a correre per arrivare in tempo, si affaccia alla porta e il monaco apre gli occhi e gli dice: "Finalmente, e il dolce dov’è?"  Ne prende un pezzetto e si mette a mangiarlo con grande gusto. Gli altri chiedono Maestro quale è il tuo ultimo insegnamento? Il Maestro sorride: "Questo dolce è squisito", dice lento soppesando le parole.  La sua ultima lezione è semplice: vivete ora, vivete nel momento, il futuro non esiste.

Ero un realista e basta? O ero in mezzo al guado? Da un lato, convinto che il realismo della ragione non mi bastava più, dall’altro con la paura che spiritualità e misticismo fossero concetti ambigui. Dovevo vincere la mia arroganza, quel senso che questa roba non è per me. Non ero riuscito a scrollarmi di dosso i pregiudizi dell’intelletto che giudica. Una volta accettata l’idea che la morte è parte della nostra vita, si ha l’impressione che nessuno possa avere potere su di noi.                                Storia giapponese. Una giovane guardia del corpo dell’imperatore vuole imparare a combattere con il katana, la spada del samurai, va da un maestro e gli chiede di insegnargli questa nobile arte, il maestro scambia alcuni colpi con il giovane e vede che il giovane risponde colpo su colpo e gli chiede: "In quale scuola sei stato?" Il giovane risponde " In nessuna", "Impossibile tu hai già studiato con qualcuno",  "No, no, ho imparato da solo, da quando sono con l’imperatore mi sono esercitato da solo a non aver paura della morte",   "Ah, ecco, quale è la tua scuola" esclama il vecchio maestro.

Il maestro yoga a San Francisco. Ramananda, era stato allievo di Iyengar, mi parlò del rapporto tra guru e discepolo, il discepolo deve arrendersi, abbandonarsi completamente al Guru. Ramananda credeva nella perseveranza e nella forza di volontà. Tutto sta nel liberare la mente dalla schiavitù delle verità scientifiche che la condizionano. Distenditi, vuota la mente di tutto quello che la occupa, rilassa i muscoli, sciogli tutti i nodi, respira profondamente, il tuo respiro spazza via tutte le impurità, resta lì senza fare niente, senza pensare a nulla, sciogli il groppo che hai in gola per qualcosa che non sei riuscito a fare.   I significativi miglioramenti di un signore semi-paralizzato che Ramananda stava seguendo, mi convinsero sempre di più dello straordinario potere della mente di agire sulla materia. 

Ad Hong Kong, un miliardario cinese sembrava avesse trovato prima di morire una cura contro il cancro, dall’estratto di un fungo, lo yun zhi, il fungo delle nuvole. L’estratto era un coadiuvante alla cura.  Qui veniva praticato il Falun Gong, che vuol dire assimilare le caratteristiche del mondo per entrare in armonia con la legge dell’universo. Il Falun Gong è stato fondato da Li Hongzhi nel nord est della Cina, ed consiste in esercizi simili al qi gong, mani sopra la testa, poi all’altezza degli occhi, poi davanti alla pancia a reggere l’immaginaria palla di energia cosmica.
Li si inspirava al testo sacro della setta del fiore d’oro, che era stata distrutta nel 1891 dal governo imperiale di Pechino. Li poi scappò nel 1996 in America.

Derisanamscope è il posto in cui abitava il dottor L. Mahadevan, il giovane medico ayurvedico conosciuto all’ashram. Quel posto faceva parte dell’India genuina, semplice e intatta.
Il medico ayurvedico durante la consultazione sentiva il polso, alle donne quello di sinistra, agli uomini quello di destra. l’ayurveda è una medicina diversa da quella occidentale, con basi filosofiche diverse, lo strumento di conoscenza sono gli shastra, le scritture sacre lasciateci dai rishi. Noi umani siamo microcosmi niente affatto separati dal macrocosmo, sottoposti alle stesse leggi cosmiche. Perchè una malattia colpisce una persona piuttosto che un’altra, la causa è la differenza dei geni? La causa ultima è il karma. La medicina moderna comincia e finisce nel corpo fisico, l’ayurveda va oltre il corpo. Gli shastra parlano di terapie a livello fisico, psicologico e spirituale. Le tre vanno di pari passo. Curarsi vuol dire purificare la propria mente e usarla per sostenere il processo di guarigione, Prevenire la malattia con il corpo in armonia e la mente in pace.
L’ayurveda non cura le malattie ma le persone, la persona è sana quando è in stato di swasta, quando tutti gli elementi vitali, il fuoco e le funzioni sono in equilibrio; quando le escrezioni sono regolari, quando la mente, i sensi e l’anima sono tranquilli. Swasta significa armonia, stabilità nella realizzazione del sé. Questa è la vera salute.
Se devi fare il tuo dovere nel mondo, se vuoi arricchirti, se vuoi godere dei piaceri sensuali, o se vuoi conoscere il sé, sempre il tuo corpo deve essere sano.
L’ayurveda deve decidere quale è il modello costituzionale della persona.
Tutto l’universo compreso l’uomo è costituito dai 5 elementi: terra, aria, etere, fuoco, acqua.
Nel corpo umano questi elementi si manifestano nel tridosha, i tre principi funzionali vata, pita e kafa.   Etere e aria sono elementi privi di forma e rappresentano nel corpo ciò che è instabile e inquieto: vata; dal fuoco viene pita; dall’acqua e dalla terra viene kafa. Nel corpo uno di questi finisce per prevalere sugli altri, oppure due insieme prevalgono sull’altro. Quell’elemento predominante è importantissimo nel determinare il modello costituzionale.

  • Una persona vata è magra, non ha grasso, ha pochi capelli, secchi e forforosi, lunghe estremità, sistema immunitario debole. Instabile, inquieta, non sta mai ferma, è indecisa, ha difficoltà a dormire, parla molto, non tollera il freddo.
  • Una persona pitta è piena di energia, calda, oleosa, intellettuale, grande appetito, difficoltà a dormire, suda molto, capelli grigi, irascibile.
  • Kafa è l’opposto di vata, un individuo kafa è grasso, obeso, un perfezionista, calmo, tollerante.

Quando uno di questi elementi prevale rispetto agli altri insorge la malattia. Le cause possono essere una dieta o stile di vita sbagliata, un trauma, un fattore esterno. Le emozioni come il cibo hanno i loro sapori che influenzano i tre elementi. Il dolore è amaro, il desiderio è dolce, la rabbia è piccante, l’ingordigia è salata.  Anche la tradizione medica cinese diceva di fare attenzione alle emozioni; rabbia, paura, odio, gelosia contribuiscono alla cattiva salute; la carità, la gioia, la compassione o come aveva scoperto Norman Cousins le matte risate contribuiscono a stare bene.
Il trattamento ayurvedico consiste nel ristabilire l’equilibrio tra i tre elementi pitta, kafa, vata. La cura è di segno opposto alla personalità: il modo migliore è prevenire le malattie.
I veda stabilivano con estrema precisione le regole di ogni attività, la soluzione per ogni circostanza, attenersi a quel codice di condotta significava garantirsi l’ordine, l’armonia e appunto la salute.
L’ayurveda è divisa in otto sezioni. Più la gente si allontana dalla natura più si ammala.
Secondo i rishi per tenersi in salute bisogna fare una vita giusta.
Possiamo affidarci ad una medicina olistica senza fare una vita olistica? Bere tisane, fare yoga e curarsi con le erbe al trentesimo piano di un grattacielo a New York o in un appartamento elegante di Milano? Fare trattamenti di purificazione, i panchakarma a base di oli e massaggi, secondo il principio dello yoga di rafforzare il corpo per dedicarsi meglio alla liberazione.

I guaritori filippini sono maghi, e conoscono abilissimi trucchi, i filippini sono i più latini d’oriente. Padre Jaime Bulatao, ottantenne gesuita, è stato il fondatore della prima facoltà di psicologia delle Filippine. Tutto comincia e finisce nella mente, mente e corpo non sono due entità separate. Come ha creduto Cartesio, mente e corpo sono integrati e la mente controlla la materia. Il nostro corpo ha un suo sistema di autocura, va semplicemente attivato. Occorre uno stimolo che può essere lo yoga, la meditazione, l’imposizione delle mani, la fede, un guaritore, la preghiera.  Per Kierkegaard ci sono due modi per farsi ingannare: uno è credere in qualcosa che non è vero, l’altro è non credere in qualcosa che è vero.
 
Andando in giro a incontrare medici, maghi e maestri avevo capito che era inutile continuare a viaggiare, che la cura delle cure non esiste, e che la sola cosa da fare è vivere il più coscientemente possibile, il più naturalmente possibile, vivere in maniera semplice, mangiando poco, respirando bene, riducendo i propri bisogni, limitando al massimo i consumi, controllando i propri desideri e allargando così i margini della propria libertà.
Vaidya Belendu Prakash, un altro medico la cui fama era cominciato nel 1987 quando era riuscito a curare di leucemia un bambino pakistano di due anni dato per spacciato da un grande ospedale di Londra, nella sua terapia usava esclusivamente metalli. Con un complicatissimo sistema descritto negli antichi libri di ayurveda riduceva i metalli in polvere e li dava da bere ai pazienti. L’alchimia era conosciuta anche nella Cina taoista e in Europa dove si preparavano medicine usando la pietra filosofale.
Aveva preso la Laurea in Ayurveda e conseguito il titolo di Vaidya, dottore. Una malattia come il cancro era per lui uno squilibrio tra i principali metalli essenziali: rame, argento, piombo, oro, ferro, stagno, zinco e mercurio, la terapia consisteva nel ristabilire questo equilibrio nel corpo. I testi ayurvedici relativi al’’uso dei metalli vanno sotto il nome di Rasashastra VIII secolo d.c. dove veniva indicato che il rame aveva proprietà antiinfiammatorie.

Il ritiro sull'Himalaya - Tiziano Terzani

 Tiziano Terzani (1938 -2004) in questo testo Un altro giro di giostra, viaggio nel male e nel bene del nostro tempo, racconta gli ultimi anni della sua vita, dopo che gli era stato diagnosticato un tumore allo stomaco.   Vedi link http://www.tizianoterzani.com

 
Queste righe riportano la parte del libro riguardante il suo ritiro nell'Himalaya ad Almora.

Almora, un posto dove l’India confina con il Tibet e il Nepal, si trova al centro di un triangolo tantrico, ed aveva la fama di posto particolarmente adatto alla meditazione e alla vita spirituale. Aveva attirato anche molti stranieri. Come ad esempio Evan Wentz un teosofo a cui dobbiamo la prima edizione del libro tibetano dei morti e la vita di Milarepa, e Lama Govinda Anagarika.   "Qualcosa è nascosto, vai a cercarlo, vai e guarda dietro ai monti, qualcosa è perso dietro ai monti, vai, è perso ed aspetta te".
Qualcuno mi aveva detto che sul crinale di quelle montagne viveva ancora un Vecchio. Aveva ottant’anni e una memoria formidabile. Era un pittore, aveva bruciato tutti i suoi quadri e si era dedicato a mettere a fuoco la mente, ad andare al di là. Quando incontrai il vecchio gli dissi solo che in tutta la mia vita non avevo fatto che viaggiare e che ora volevo fermarmi. E’ il solo modo per conoscersi, commentò. E disse anche "Il Vedanta è troppo intellettuale ma è un ottimo punto di partenza. La vera conoscenza non viene dai libri, neppure quelli sacri, ma dall’esperienza, il miglior modo per capire la realtà è attraverso i sentimenti, l’intuizione, non attraverso l’intelletto. L’intelletto è limitato".
"Ciò che è fuori è anche dentro, e ciò che non è dentro non è da nessuna parte. Per questo viaggiare non serve, se uno non ha niente dentro, non troverà mai niente fuori, è inutile andare a cercare nel mondo quello che non si riesce a trovare dentro di sé". Mi sentii colpito, aveva ragione.
Stavamo davanti al massiccio di Nanda Devi, una gloriosa natura vivente che mutava sotto i nostri occhi, nella capanna dove vivevo gli inglesi aveva tenuto prigioniero Nehru.
Quando l’allievo è pronto il maestro compare. Lo stesso è vero di un amore, di un posto, di un avvenimento che solo in certe condizioni diventa importante. Inutile cercarne le ragioni, c’è una realtà al di là dei sensi.
Il pellegrino, il pellegrinaggio e il cammino: niente altro che me verso me stesso, Era un viaggio che non si poteva fare in due. Angela mi moglie capì e fu generosissima, mi lasciò partire da solo.
Non volevo morire senza aver capito perché ero vissuto, o molto più semplicemente dovevo trovare dentro di me il seme di una pace che poi avrei potuto far germogliare ovunque. I sanyasin quando lasciano il mondo tagliano tutti i legami, muoiono nei confronti del loro passato, io non volevo arrivare al quel punto, volevo prendere la distanza, per provare quel solitario viaggio di cui sentivo il bisogno. Hima è la neve, alaya dimora delle nevi, quelle montagne sono state il simbolo dell’aspirazione umana al divino. L’Himalaya era la sede di tutti i miti, la fonte della vita e della conoscenza, li nascono tutti i sacri fiumi, lì i rishi concepirono i Veda, lì Vyasa scrisse la Gita e il Mahabharata, bisognava salire su quelle vette per esserne conquistati, le persone che erano lì, non avevano più nulla a cui pensare, tranne che al Sè.
Anche il mio era un allegorico rito di rinuncia al mondo della materia e di iniziazione a quello dello spirito. Il Vecchio raccontava continuamente storie, prese a volte dai Pancatantra. I Pancatantra sono una divertente collezione di storie di animali scritte 1500 anni fa da un eremita per dare a tre figli ignoranti e svogliati di un re alcune fondamentali lezioni di vita e prepararli alla successione. Secondo alcuni, dietro il leggendario autore Vishnu Sharma si nasconderebbe Chanakya, il Macchiavelli indiano autore del trattato Arthashastra, sull’arte del governare.    

Una storia del Pancatantra. una tigre aveva due seguaci, un leopardo e uno sciacallo, ogni volta che la tigre azzannava una preda, mangiava e lasciava i resti agli altri. Un giorno la tigre uccise tre animali, uno grande, uno medio e uno piccolo, e chiese “come li dividiamo?” Semplice, rispose il leopardo, tu prendi il grande, io il medio e lo sciacallo il piccolo. La tigre non disse nulla, ma con una zampata uccise il leopardo, e chiese allo sciacallo di nuovo “come li dividiamo?” Oh, tu prendi il piccolo per colazione, il medio per cena e il grande per pranzo. Dimmi sciacallo da chi hai imparato tanta saggezza?  Dal leopardo Maestà.

Altra storiella dei Pancatantra. Un vecchio leone andava a fare un sonnellino ma era regolarmente disturbato da un topo, il leone non riusciva ad acchiappare quel minuscolo animale. Chiese ad un gatto da fargli da guardiano e in cambio gli avrebbe dato da mangiare, il topo vedendo il gatto non uscì dal suo buco, il leone dormiva tranquillo e il gatto mangiava a sazietà. Un giorno il topo ormai affamato uscì dal suo buco e il gatto senza pensarci due volte lo ammazzò. Da quel giorno il comportamento del leone cambiò, non diede più da mangiare al gatto e non gli parlò più. Il gatto non capiva, ho fatto il mio dovere perché mi tratti così? Misera piccola bestia, sei un servo che non serve più, vattene e lasciami dormire.
Storia di animali per suggerire un fine più alto nella vita. Un'allegoria del messaggio dei Veda.
Un falco un giorno, vede un pesce su uno stagno, lo prende col becco e vola via, una banda di corvi che ha seguito la scena si precipita su di lui e cerca di portargli via il suo boccone, sono in tanti petulanti e rumorosi. Il falco cerca di alzarsi in aria, ma i corvi gli sono addosso, lo attaccano, lo beccano e non gli danno tregua. Quando il falco si accorge che tutto questo succede perché lui resta attaccato alla preda, la lascia andare. I corvi si precipitano verso il pesce e il falco vola via, leggero.
Niente e nessuno può distrarlo più e finalmente può salire, sempre più in alto, verso l’infinito, è libero e in pace.  La verità è senza limiti, è come la bellezza, non può essere imprigionata nelle parole e nelle forme. La verità è senza fine.   Storiella. Un discepolo va dal suo guru e gli dice che vuole la verità più di ogni cosa, il maestro non risponde, lo prende per il collo, lo trascina al vicino torrente e gli tiene la testa sott’acqua finché il poveretto sta per soffocare. All’ultimo momento lo tira fuori. "Allora cos’è che volevi più di ogni cosa quand’eri sott’acqua?"  "L’aria" risponde con un filo di voce. "Bene, quando vorrai la verità come un secondo fa volevi l’aria, sarai pronto ad imparare".   Ero pronto io? Non siamo noi a trovare la verità, è la verità a trovare noi, dobbiamo solo prepararci.

Il Vecchio disse di averla intravista alcune volte per un attimo. Ma quell’attimo gli era bastato per capire che non veniva dalla fede ma dall’esperienza. Non di altri, ma la sua. Era quella certezza a tenerlo legato alla ricerca. Swami Sathyananada gli aveva aperto la testa, Khrisna Prem l’inglese che era diventato sanyasin gli aveva aperto il cuore.
Quella dei libri è conoscenza di seconda mano, conoscenza presa in prestito, non vale un granché.
Il vero capire non avviene con la testa, ma col cuore, con l’esperienza diretta. Lui usava il trucco della candela, restare davanti ad una candela accesa tutti i giorni per almeno 10 minuti. Con il passare del tempo quei 10 minuti erano diventati ore, ma non aveva dimenticato l’importanza di quel primo passo. Prima, devi calmare la tua mente, solo allora potrai ascoltare la Voce che hai dentro di te. Quella voce che ti parla è la voce dell’uomo Cosmico, del Sè.  Sappi che c’è e che quello è il vero Sè. Perché tu e Quello non siete due, Tu sei Quello.
I giorni cominciarono a scorrere, l’uno dopo l’altro in assoluta pace, senza programmi, senza aspettative, senza scadenze tranne quelle del sorgere e tramontare del sole. Ascoltando le nostre esigenze, le esigenze del nostro corpo ci impediamo di vedere il mondo e noi stessi, in modo diverso dal solito. Importante è svuotare la testa dalle nostre conoscenze e ritornare ad essere un foglio bianco su cui poter scrivere qualcosa di completamente nuovo.
Storiella zen: Un colto professore va a trovare un monaco e gli chiede, "dimmi, che cosa è lo zen?"
Il monaco non risponde, lo invita a sedersi, gli mette dinanzi una tazza e comincia a versarci del tè,
la tazza si riempe, ma imperterrito il monaco continua a versare tè, il professore è interdetto, per un po’ non dice nulla, poi vedendo che il monaco continua lo avverte “E’ piena, è piena!”
Già risponde il monaco, "anche tu sei pieno di opinioni e pregiudizi. Come posso dirti che cosa è lo zen se prima non vuoti la tua testa?"
Non ho mai sognato tanto come lassù, mi spurgavo, mi ripulivo, ma nell’intestino profondo della memoria. Usavo il trucco della candela, di fronte a quella piccola fiamma arancione, di notte, chiudevo gli occhi e osservavo con indifferenza, senza intervenire, senza provare a cacciare i pensieri, i ricordi, le immagini. Li osservavo senza identificarmi con loro, come non avessero niente da fare con me, io non ero quei pensieri. Rimanevo nel silenzio, lassù il silenzio diventava suono. Solo nel silenzio è possibile tornare in sintonia con noi stessi.
Una vecchia storia indiana:  Un re va da un famoso rishi nella foresta, e gli chiede: "Dimmi quale è la natura del sé?"   Il vecchio lo guarda e non risponde, il re chiede ancora, ma il rishi resta muto, il re chiede ancora ma non ha una risposta, a questo punto il re si arrabbia e urla “Io chiedo e tu non rispondi!”  "Tre volte ti ho risposto ma tu non stai a sentire", dice calmo il rishi, "La natura del Sè è il silenzio".
Il mistico Ramana Maharshi diceva “Ci sono vari modi di comunicare con qualcuno: toccandolo, parlandogli, ma soprattutto col silenzio”. Il silenzio di Ramana era potentissimo e molti visitatori era sopraffatti dalla sua semplice presenza. Somerset Maugham, lo scrittore inglese entrò nella stanza e svenne, Jung aveva chiesto un appuntamento ma all’ultimo momento decise di non incontrarlo. Forse temette che il semplice silenzio di Ramana facesse crollare la sua teoria sulla psiche.
Il silenzio mi dava momenti di vera esaltazione. Mai come oggi il mondo avrebbe bisogno di maestri di silenzio e mai come oggi ce ne sono pochi. L’altra grande esperienza del mio stare lassù era la natura. C’è qualcosa di intimamente sacro nella natura in cui l’uomo non ha ancora messo le mani per sfruttarla e piegarla ai sui fini.
Per il Vecchio tutto era legato, era convinto che tutto quel che ci succede ha un senso, anche se il più delle volte siamo incapaci di vederlo.
C’è un albero che ha le sue radici in cielo e le fronde vanno verso la terra, quello è l’albero della vita spirituale che parte dalla materia, per risalire al cielo, appunto alle sue radici divine. E’ quella, la vita spirituale che conta. È il primo passo il più difficile, si tratta di staccarsi dalla terra, dalle certezze che abbiamo, si tratta di evitare la trappola dell’intelletto.
Il fine dello yoga è mettersi in contatto con la coscienza cosmica. Una volta che ci riesci non c’è più tempo, non c’è più morte.  Gli indiani svilupparono l’hatha yoga copiando quattro importanti attività degli animali: lo stiramento, la pulizia, la respirazione e il riposo. La vita degli animali e in perfetta sintonia con la natura, la nostra un po' meno. Il Vecchio aveva capito che il divino è ciò in cui coesistono gli opposti: tutto e il contrario di tutto, la bellezza e l’orrore, l’odio e l’amore. E’ tutto lì, non c’è dualità. I rishi ebbero il coraggio di vedere il male come parte di Dio. Anche Kali la dea distruttrice è rappresenta il male dell’universo.

 Per il Vecchio c’era un nesso che legava i vari personaggi di vari millenni e vari continenti come Platone, Gurdjieff, Plotino, Aurobindo, Meister Eckhart, Ramana Maharshi e Krishna Pen. Sono tutti sulla stessa via spirituale e si sono posti la stessa domanda “Chi sono io?”
Incontravo ad Almora molti occidentali che avevano passato anni nei vari ashram dell’India (Osho o altro), quello che mi colpiva da questi incontri era la dipendenza psicologia di quella gente dai loro guru. Valeva la pena di vivere per anni in un ashram, seguire un maestro se non era per liberarsi, ma per diventarne schiavi?                             Il Vecchio mi rispose con una storia.
Un uomo si sveglia una mattina in catene, non sa come togliersele. Per anni cerca qualcuno che lo liberi, poi un giorno passa davanti alla bottega di un fabbro e gli chiede di aiutarlo. Il fabbro con due colpi rompe le catene, l’uomo gli è gratissimo, si mette a lavorare per lui, diventa il suo servo, il suo schiavo, e per il resto della vita rimane … incatenato al fabbro.
Il guru è importante, ti indica la luna, ma guai a confondere il suo dito con la luna. Il guru ti fa vedere la strada, ma quella la devi percorrere tu … da solo.
Il vero guru è quello che sta dentro di te, qui. Non cercare fuori di tè, Tutto quello che potrai trovare fuori è per sua natura mutevole. La sola stabilità che può aiutarti davvero è quella interiore. E i guru che si rendono indispensabili servono il proprio Io e non la ricerca dei propri discepoli.
Quando Buddha sta per morire, circondato dal gruppo ristretto di discepoli in lacrime, Ananda, suo cugino gli chiede “ E ora chi ci guiderà”, il Buddha rispose: "Siate la luce di voi stessi, rifugiatevi nel Sè." 
Il solo viaggio che mi incuriosiva era quello interiore.
La leggenda descrive Lao tzu, il vecchio filosofo cinese in groppa al suo bufalo sotto l’Himalaya, il guardiano del passo Han gli disse che lo avrebbe lasciato passare e scomparire dalla Cina solo a condizione che gli scrivesse i suoi più importanti pensieri. E così sarebbe nato il Tao te Ching che inizia con il famoso verso “Il Tao che può essere descritto non è il vero Tao”.
Chi pratica il Tao non può che essere in pace con se stesso, perché …
Senza uscire dalla porta conosce tutto quel che c’è da conoscere,
senza guardare dalla finestra, vede le vie del cielo,
perché più lontano si va, meno si capisce,
Il saggio arriva senza partire, vede senza guardare, fa senza fare.
Tao in cinese vuol dire la Via, lo stesso significato di dharma dei veda e del buddhismo.

Una mattina mentre mi chinavo a raccogliere un fiore, mi accorsi che l’erba intorno era piena di maggiolini, mi misi ad osservarne uno, scalava i fili d’erba uno dopo l’altro, appoggiato alla punta di un filo d’erba che si piegava sotto il suo peso passava ad un altro filo d’erba, ad un certo punto ha aperto le sue minuscole ali trasparenti e volò via, via in alto, nel cielo verso le montagne, verso l’infinito. Non era quello un miracolo? Non occorre andare a cercare lo straordinario quando l’ordinario, se osservato davvero, ha in sé tanto di sorprendente e di divino.

I koan zen, sono un paradosso con cui la mente razionale non riesce a fare i conti. La storia del più noto koan è questa: un giovane monaco chiede all’abate di poter partecipare alla seduta di meditazione, l'abate gli disse "tu sai ascoltare il suono di due mani che applaudono? Bene, qual’è, allora il suono di una sola mano che applaude? Torna quando avrai la risposta".
Il giovane è perplesso e ogni giorno torna dal maestro con una risposta diversa ma sempre errata, il suono di una goccia d’acqua, il canto di una locusta, il canto di una geisha, ecc …
il giovane monaco soffre, pensa e si dispera per un anno. Ogni giorno ripassa i suoni fino a che un giorno ha un’intuizione, Maestro, ho trovato: "il suono che non ha suoni, è il silenzio".
E’ stato difficilissimo arrivare alla soluzione, il giovane monaco ha dovuto affrontare varie emozioni: la rabbia, la disperazione, l’odio fino ad arrivare alla serenità che ha spinto la mente al di là del solito lineare modo di ragionare. Di pensare diversamente, di non pensare, di vedere finalmente come sono veramente le cose, una sola mano non fa alcun suono.
Io, chi sono? Era il koan dei koan. La risposta dei Veda e Upanishad è stata:  "Tu sei quello", quel che innescava era di dubitare della propria identità. La risposta è senza parole, è nell’immergersi silenzioso dell’Io nel Sè.
Un giorno chiesi al vecchio cosa pensava delle pratiche che tendevano a distruggere il proprio Io,
mi rispose con una storia che raccontava Ramakrishna.
Fuori da un villaggio viveva un terribile serpente che assale e morde chi gli va vicino, e anche da lontano terrorizzava la gente con il suo sibilo. Il villaggio non sa più cosa fare, un giorno passa di lì un sadhu e gli viene chiesto di intervenire, Il sadhu parla gentilmente con il serpente e gli dice “ Devi lasciare in pace quei contadini, non terrorizzarli, fallo per me, smettila.” il serpente si commuove e acconsente. Un anno dopo il sadhu nel suo vagabondaggio ripassa dal villaggio e rivede il serpente, messo veramente male. Tutto il corpo coperto di ferite, sanguina dalla bocca, l’occhio chiuso. "Che ti è successo?" chiede il sadhu. "Le tue parole mi hanno davvero cambiato Maestro, ho fatto esattamente quello che mi hai chiesto, adesso vengono anche i bambini a tirarmi i sassi",  Cretino! Sbotta il sadhu, "non ti ho detto di smettere anche di sibilare". Quello che voleva dire Ramakhrishna è che l’io può essere utile, per stare nel mondo. Un po' di io è indispensabile.

La morte non è negativa, può essere utile, è grazie alla morte che ci poniamo le grandi domande della vita. Nella katha upanishad, il giovane Naciketas va dalla morte e la implora di insegnargli cosa è la verità. E’ la lezione del vedanta, tutto ciò che nasce muore, tutto ciò che muore rinasce, solo il Sè, la coscienza pura, che non è mai nata e che è fuori dal tempo, resta.
La storia su che cosa è Maya. Narada è un seguace fedelissimo di Vishnu, e gli chiede la differenza tra il mondo dell’illusione maya e la verità, Vishnu lo manda a prendere un bicchiere d’acqua al fiume, Narada arriva ad un villaggio, incontra una ragazza bellissima e se innamora, fanno dei figli, passano dodici anni ed arriva un uragano sul villaggio. Il fiume straripa, le case vengono trascinate via, ed uno dopo l’altro la moglie e i figli vengono trascinati via, lui sta lottando di salvare il più piccolo ed invoca Vishnu, ti prego signore aiutami, e subito tra i tuoni e i lampi tuona una voce “e il bicchiere d’acqua?” Il villaggio, la ragazza, i figli tutto questo è maya, fa parte del mutamento, del divenire, in questo modo Vishnu ha fatto capire a Narada la differenza.

Ritornato ad Orsigna, temevo tantissimo il ritorno alla routine del quotidiano, avevo paura di perdermi. I tanti mesi di solitudine era serviti solo a rendermi più insopportabile, non ne era valsa la pena di passare tanto tempo nell'eremo. Dipendere dalla solitudine per essere in pace era una forma di immaturità, ma esserne cosciente non bastava. Nell’Himalaya avevo trovato il silenzio fuori, ma non avevo fatto pace dentro di me. Pensavo solo a ritornare lassù per rimettermi al lavoro.
La goccia che fece traboccare il vaso fu il carrello del supermercato di Maresca, vedevo quella gente che riempiva il carrello e stava in fila per pagare e non ce la feci più, Ero pazzo io o il mondo? Lasciai il carrello e il giorno dopo ripresi l’aereo per Delhi e due giorni dopo ero di nuovo nell’Himalaya.
Chi fa sacrifici e rinuncia ai piaceri del mondo sviluppa, come per compensazione, un senso di superiorità, e se non è in fondo umile, finisce anche per credersi santo.
Gli indiani conoscono bene questo meccanismo e raccontano la storia dello yogi. Dopo anni di dure prove e privazioni uno yogi aveva acquisito i poteri a cui aspirava. Si prepara a lasciare il suo eremo nella foresta quando un uccellino gli fa la popo in testa, lo yogi con uno sguardo lo incenerisce, contento di essere riuscito nel suo intento si avvia verso il villaggio e bussa ad una porta per chiedere da mangiare. Da dentro la casa una voce di donna gli chiede di aspettare, il santone comincia ad irritarsi e quando la donna apre, la guarda male, Ehi, io non sono come quell’uccellino che hai appena incenerito, e lo yogi esterrefatto capisce che ci sono diversi modi per ottenere i poteri.
Angela, mia moglie, senza essersi isolata, senza aver tagliato i ponti con nulla e nessuno, mi sembrava di gran lunga più equilibrata e più in pace di me. Questo non faceva che aumentare la mia frustrazione. La vedevo a volte come un ostacolo, in quarantanni quello fu il momento più duro del nostro rapporto, il fiume non va spinto, scorre da sé, Angela lo aveva capito, mi lascio ripartire senza condizioni, senza scadenze.
Uno degli indovini Rajamanickam di Singapore mi aveva predetto che tra i cinquantanove e i sessantadue anni avrei dovuto affrontare una strettoia nella vita e forse anche un’operazione, ma era stato il solo, gli altri indovini mi avevano dato per longevo.
Riuscire a staccarsi dalle cose del mondo vuol dire diventare indifferenti o solo non esserne schiavi? Io mi sarei riconosciuto solo nel secondo caso.
La storia di Tagore dell’aspirante asceta, un uomo decide di lasciare la famiglia per farsi sannyasin, una notte quando di nascosto sta per partire, getta un ultimo sguardo alla moglie e ai figli addormentati e rivolto a loro chiede: "chi siete voi per tenermi qui incatenato?" Una voce nel buio risponde: "loro sono me, sono Dio", l’uomo non fa attenzione, non ascolta e parte, e a Dio non resta che concludere: "Ecco, uno che per cercarmi mi abbandona".
Non ero fatto per l’ascetismo, la vita era ancora per me qualcosa di meraviglioso, un richiamo forte.
L’11 settembre 2001 fu uno spartiacque nella vita di tutti e anche nella mia. Nella solitudine del cercare me stesso, sentivo qualcosa di profondamente arido, come nell’amore predicato dai sacerdoti. Mi sentivo ancora parte del mondo e volevo cercare di viverci meglio, era il momento di rendere un po’ di quello che avevo preso, accendere una piccola luce affinché il mondo fosse un po’ meno nell’oscurità. Scrissi  Le lettere contro la guerra, dedicato a mio nipote,
Nei tre mesi che rimasi in Pakistan e Afghanistan pensavo alla casa di pietra e al vecchio.
Lo immaginavo sorridere al mio ardore per la causa della non violenza, lo sentivo dire che tutto quello che facevo non serviva a nulla, che questa civiltà non è degna di essere salvata e certo non è correndo qua e là tappando i buchi che si salva una nave che sta per affondare.
Lui era convinto che, l’umanità impegnata solo a perseguire i piaceri dei sensi, era alla vigilia di una grande nevrosi, e vedeva tutto quello che succedeva sulla scala dell’eternità in cui il mondo era nato sette volte e sette volte era stato distrutto.
Anche il mistico Gurdjieff asseriva che sarebbero bastate 200 persone illuminate a cambiare la storia dell’umanità. Meglio cercare di diventare una di quelle.
Sentivo che il vecchio diceva, che l’essere è di gran lunga migliore del fare, ma io pensavo che ci sono momenti nella vita in cui bisogna anche fare per poter essere. In quelle circostanze l’inazione era un’azione che mi pareva immorale. Ritornai a trovare il Vecchio che mi chiese: "Con questo libro che stai scrivendo, lavori per Lui o per te?" Ossia scrivevo perché pensavo di avvicinarmi alla Verità o perché mi piaceva vedere il mio nome nei giornali e avere della gente che veniva ad ascoltarmi?
Sarebbe stato molto meglio se fossi rimasto a scavare in un posto solo, invece d’andare a giro a raccogliere ciottoli credendo che erano pietre preziose.
Il vecchio mi disse: "Finirai per trovarla la Via … se prima hai il coraggio di perderti."
Mi aveva fatto capire che non dovevo dipendere da nessuna idea altrui, da nessun guru, tanto meno da lui e che in ogni cosa dovevo fare io direttamente, sulla mia pelle l’esperienza.
Dovevo mettermi in ascolto della Voce, non farmela riferire da altri. Il motore doveva essere l'Eterno bisogno di sapere come mai siamo al mondo e come entrare in contatto con quello che ci ha messo qui.
In India, le varie risposte sono nella bocca della gente, sono nel loro modo di vivere, ma non occorre andare in India, non occorre andare lontano, fuori di sé per capire: Chi muore davvero di questa sete di sapere, non ha che da riscoprire la fonte, la propria fonte. L’acqua è sempre la stessa.
A che serve stare per ore e ore seduto sui talloni per ore a meditare? Se non si è diventati un po' migliori?
Sul mio rifugio a tremila metri, la contraddizione tra quel che pensavo e quel che facevo non si poneva mai. Ogni episodio potrebbe essere un bene o un male, una fortuna o una sfortuna.
Alla visita di controllo, i medici avevano accertato che il tumore si era diffuso ancora, e mi avevano diagnosticato un anno di vita.
I vecchi maestri sufi consideravano la morte improvvisa una disgrazia, perché impediva loro di prepararcisi e apprezzarla. Nel mondo notavo dei segni di una nuova coscienza, da quella nuova coscienza forse verrà la guida spirituale del futuro.
Bisogna resistere alle tentazioni del benessere e della felicità impacchettata. Dovremmo vivere più naturalmente possibile, desiderare di meno, amare di più e anche i malanni come il mio diminuiranno. Sono andato sul mio eremo himalayano a scrivere questo libro. Se uno vive senza mai chiedersi perché vive, spreca una grande occasione, e solo il dolore spinge a porsi la domanda. Nascere uomini è forse un privilegio.  Importante è capire il significato della vita. Occorre fare l’esperienza per capire.
Gandhi conosceva questa verità e la praticava. Un giorno una madre gli portò suo figlio. Aveva quindici anni e il medico gli aveva ordinato di non mangiare più zucchero altrimenti al sua vita sarebbe stata in pericolo. Il ragazzo continuava a rimpinzarsi di dolci e la madre sperava che Gandhi la potesse aiutare. Gandhi disse “Ora non posso farci niente. Tornate fra una settimana”.
Quando tornarono Gandhi prese da parte il ragazzo e gli parlò, Da allora il ragazzo non toccò più dolci, la madre chiese a Gandhi "Come ha fatto?"  Gandhi rispose: "Semplice, per una settimana io stesso non ho toccato zucchero e così sapevo cosa dire a quel ragazzo".  Il messaggio di Gandhi è: " La mia vita è il mio messaggio".
Sulla strada da Delhi a Almora, c’è un ashram di un grande sadhu di nome Nim Karoli Baba, e molti occidentali sono diventati suoi discepoli fra cui Richard Alpert.
E’ dal continuare a distinguere tra ciò che ci piace e ciò che non ci piace, che nasce la nostra infelicità, solo accettando che tutto è Uno, senza rifiutare nulla riusciremo forse a calmare la nostra mente e acquietare l’angoscia.
Anche io non sono indifferente a quel che mi succede, cerco solo di non esserne schiavo e vorrei davvero arrivare a quel famoso distacco dalle cose. Continuo a fare quello che mi pare giusto fare, senza aspettarmi un risultato, senza sperare in ricompense, senza formulare desideri … tranne quello di arrivare a non avere più bisogno di tempo per me e dedicare quello che mi resta agli altri. Ed è quello che era riuscito a fare lo swami. 

I guru, i libri, le religioni servono a indicarci il cammino, ma l’ultimo pezzo di strada, quella scaletta che conduce al tetto dal quale si vede il mondo o sul quale ci si può distendere e diventare una nuvola, quell’ultimo pezzo del cammino va fatto da soli.
A volte anche una sola parola, un gesto possono bastare a far cambiare direzione a una vita e tanti, specie fra i giovani,  cercano quest’occasione. Vivo con la sensazione che l’universo è straordinario, che niente mai ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. Io sono fortunato perché ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra.

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel blog ci sono ci...