sabato 10 luglio 2021

Yama e Niyama

Andrè Van Lysebeth asserisce  “Per praticare yama e niyama La cosa più semplice è seguire la propria morale, in funzione della filosofia e delle credenze che ci fanno da guida". La morale ordinaria è sufficiente per metterci in linea con yama e niyama. "È il grado minimo per poterci introdurre nello yoga e trarne buoni frutti: una moralità trascendente è però necessaria per raggiungere livelli superiori”.

Yama e niyama, ci danno consigli per lo stile di vita e per il comportamento: i cinque yama sono le cose da non fare; i cinque niyama sono le cose da fare. Gli yama rappresentano un po’ la qualità della relazione che intratteniamo con gli altri; i niyama la qualità della relazione che intratteniamo con noi stessi.
Gli yama sono cinque regole etiche e morali universali, cinque freni o “astinenze” che limitano i comportamenti dannosi e distruttivi per lo yogi e per le sue relazioni con gli altri:
  • Ahimsa (Nonviolenza),
  • Satya (Sincerità),
  • Asteya (Onestà),
  • Brahmacharya (Continenza sessuale),
  • Aparigraha (Non avidità nel possedere).
I cinque niyama sono virtù e comportamenti positivi legati allo stile di vita del singolo individuo, da coltivare per migliorare sé stessi:
  • Shaucha (purificazione). Le impurità presenti nel nostro corpo e nell’ambiente in cui viviamo condizionano la nostra capacità di pensiero e la possibilità di raggiungere la vera saggezza e la liberazione spirituale.
  • Samtosha (contentezza). La felicità reale si ottiene quando si smette di desiderare ciò che non si possiede.
  • Tapa (autodisciplina). Questo principio ha a che fare con il potenziamento della forza di volontà.
  • Svadhyaya (studio e conoscenza di sé). Analizzare sé stessi, la propria vita, i propri errori e le proprie debolezze. “Chi sono io?”
  • Ishvara Pranidhana (devozione). “Non devi credere in una rappresentazione antropomorfica di Dio per accettare che esiste un disegno divino, un’essenza benevola nell’universo”,
È proprio attraverso lo Yoga e la meditazione che si conosce e si addestra la mente. Grazie alla pratica costante si possono superare gli ostacoli che offuscano la calma interiore. I cinque ostacoli detti Klesha sono:
  •     Avidya: indica l’ignoranza o la falsa comprensione della vera natura delle cose.
  •     Asmita: si riferisce alla coscienza del proprio sé che provoca egoismo.
  •     Raga: è l’attaccamento nei confronti delle idee o degli oggetti.
  •     Dvesha: è l’avversione verso quei pensieri legati a esperienze dolorose vissute nel corso dell’esistenza.
  •     Abhinivesha: indica sia l’attaccamento istintivo alla vita, sia la paura della morte.

YAMA in dettaglio.

Ahimsâ - la non violenza, un atteggiamento globale, onnicomprensivo rispetto a ciò che può «ferire l'altro» - l'uomo, l'animale, l'ambiente, tutte le cose che possono perdere la loro identità e la loro funzione. Dunque ahimsâ va ben oltre il concetto di «non uccidere»; bisogna comprendere che la freddezza nella comunicazione uccide tanto quanto un pugnale, che la crudeltà mentale è una grandissima forma di violenza così come l'indifferenza, una certa forma infida di ironia, il non saper ascoltare, non voler vedere... Pertanto l'ahimsâ rappresenta il grado più alto di inoffensività. Difficile da mettere in pratica... ma vero!

Satya - la verità, sempre, in ogni momento. Lo stolto mente con facilità, esagera nei suoi racconti, lascia intendere cose diverse dalla realtà dei fatti e in definitiva mente a sé stesso perché si pone in una condizione diversa rispetto alle esigenze della sua stessa anima. Poi, secondo Taimni, la menzogna offusca la buddhi (la pura coscienza), ovvero ottenebra quella limpida intuizione necessaria all'evoluzione. E ancora: una menzogna tira l'altra e il fardello diventa pesante e ingestibile quando si vuol procedere spediti verso l'illuminazione.

Asteya - non solo non rubare! Ma nemmeno ricercare privilegi che non ci spettano, attenzioni particolari in virtù di una posizione sociale o economica che permetterebbe, in determinate situazioni, un salvacondotto, un lasciapassare, una bustarella. Niente di niente. Bastare a sé stessi e cercare di comprendere sempre di più e sempre meglio «il nostro ruolo in questa vita», con tutto quello che ne deriva.

Brahmacharya - la continenza. Una vita sessuale smodata che genera attaccamenti di ogni tipo è contro ogni forma di igiene mentale. Ma non l'astinenza assoluta, semplicemente, il giusto distacco e l'atteggiamento appropriato in un piacevole aspetto della vita.  E' evidente invece che ad un livello avanzato di ricerca personale, spontaneamente diminuiscano gli appetiti sessuali, tanto grande e desiderabile appare il contatto con l'Assoluto che via via si è rivelato e che sappiamo essere «l'Unica Mèta».

Aparigraha - il non possesso. Pensare di possedere qualcosa, o qualcuno, è pura illusione. 

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Mentre riferendoci a yama pensiamo a cinque precetti che vietano comportamenti dannosi per l'evoluzione personale e per l'armoniosa convivenza con il genere umano, se parliamo di niyama osserviamo che si tratta di indicazioni disciplinari, costruttive, in vista di una vera vita yogica: da una sana, parca dieta alla molteplicità dei neti, dei dhauti e dei prânâyâma purificanti e ossigenanti.  Contemporaneamente, depurati dalla spazzatura altamente inquinante dei pensieri abituali che affollano la mente e su cui di solito non si ha alcun potere di controllo, avvicinandoci alla meditazione osserviamo l'alba del nostro riscatto, la luce radiosa dell'Eterno che si fa strada. La meditazione dunque come panacea e come espressione di una Realtà vera, senza ambiguità.

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NIYAMA  in dettaglio

Sauca - la purezza, la pulizia del pensiero, delle intenzioni e anche dell'abito che si indossa, della nostra pelle e in generale del corpo, come si evince dalle scrupolose attenzioni che lo Yoga dedica all'organismo tutto.  

Samtosa - l'appagamento, proprio il contrario della frustrazione (sentimento assai diffuso che fa apparire l'erba del vicino sempre più verde). Samtosa rende assai bene l'idea di quiete, di pacificazione allorché si capisca che la fortuna e la sfortuna non esistono e tutto deriva da un Principio Originario sat-cit-ânanda. E noi siamo QUELLO.

Tapas - la fede, il fuoco ardente dell'Amore per il Divino che consuma e rigenera. Questa fiamma va mantenuta costantemente viva, a qualunque costo, ed è la base per una sana spiritualità fatta di gioiosa consapevolezza e di allegra condivisione.

Svâdhyâya - lo studio di sé e del Sé. Uno studio non in chiave psicologica ma logico e deduttivo. Qui possono essere di aiuto le biografie dei santi e degli illuminati, di coloro che hanno ottenuto la liberazione in vita! Hanno annientato il proprio ego, si sono purificati, hanno superato sé stessi e hanno ottenuto la libertà: il kaivalya.

Îsvara pranidhâna - la resa: l'abbandono a Dio quale Ente Supremo, solo conoscitore della «Legge di causa ed effetto» e dunque il reggitore stesso della vita nella molteplicità delle sue espressioni. L'abbandono alla volontà suprema è la più alta forma di ascesi ed è ciò che contraddistingue il vero illuminato. Affrontare il proprio percorso spirituale secondo questo principio garantisce, senza ombra di dubbio, la conoscenza e la liberazione in vita.

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