sabato 13 settembre 2025

Letture Luminose 2025-2026

La nostra iniziativa è ormai al sesto anno e prosegue con la convinzione, sempre maggiore, che la lettura sia un bene da coltivare.
Continuiamo con la formula che ci ha portato fino qui: un incontro ogni due settimane, sempre di mercoledì alle 18.30, per una lettura antologica dal testo via via proposto, seguito da un sereno dibattito tra di noi.    

Per iscriversi occorre mandare una mail a fpistolato@yahoo.it con la dicitura: CICLO LETTURE LUMINOSE 2025-2026. Il link di accesso verrà fornito alla vigilia di ogni incontro, che verrà registrato e inviato poi a tutti gli iscritti, i quali potranno seguire comunque il ciclo, qualora non sia stato loro possibile partecipare alla diretta.        L’iniziativa è gratuita. 


Profili dei conduttori del ciclo
Roberto Fantini ha felicemente insegnato Filosofia e Storia al liceo per oltre 40 anni, desiderando invano di proseguire per almeno altrettanti. È impegnato nella Educazione ai diritti umani, scrittore e giornalista freelance.
Cesare Maramici ha insegnato informatica e svolto il ruolo di formatore nel campo delle nuove tecnologie. Pratica yoga e meditazione da 30 anni. Ama i viaggi, l'Oriente e le filosofie orientali, specialmente il buddhismo.
Francesco Pistolato ha accumulato vari titoli di studio. Si è reso sempre meglio conto che questi non avevano senso se non accompagnati da una consapevolezza adeguata. Il ciclo Letture luminose lo aiuta ad affrontare i tempi che ciascuno di noi, volens nolens, si trova a vivere.

Programma e calendario del ciclo “Letture luminose 2025-2026”
Gli incontri si svolgeranno su piattaforma Zoom, con cadenza quindicinale, il mercoledì dalle 18.30 alle 20.00, laddove l’ultima mezz’ora sarà dedicata al dibattito. 

08.10.2025

José “Pepe” Mujica, Non fatevi rubare la vita, a cura di Francesco Pistolato

22.10.2025

Matthieu Ricard, Sei un animale! Perché abbiamo bisogno di una rivoluzione animalista, a cura di Roberto Fantini

5.11.2025

Massimo Citro Della Riva, Illusione, a cura di Francesco Pistolato

19.11.2025

Angelo Tonelli, Nel nome di Sophia. Un manifesto contro il Transumanesimo, a cura di Francesco Pistolato

3.12.2025

Mario Thanavaro, Dalla sofferenza alla gioia, a cura di Cesare Maramici

17.12.2025

Arthur Schopenhauer, Religione ed etica, a cura di Roberto Fantini

07.01.2026

Neville Goddard, Il potere della consapevolezza, a cura di Francesco Pistolato

21.01.2026

Franco Fracassi, Keir Bowman, 1969: A Moon Odyssey, a cura di Francesco Pistolato

04.02.2026

Maria Ressa, Come resistere a un dittatore, a cura di Cesare Maramici

18.02.2026

Richard Gerber, Medicina vibrazionale, a cura di Francesco Pistolato

04.03.2026

Ludwig Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, a cura di Roberto Fantini

18.03.2026

Theo Fischer, Wu Wei, L’arte di vivere del Tao, a cura di Francesco Pistolato

01.04.2026

Rupert Sheldrake, Le illusioni della scienza, a cura di Francesco Pistolato

15.04.2026

James Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, a cura di Francesco Pistolato

29.04.2026

Voltaire, Dizionario filosofico, a cura di Roberto Fantini

Plaidoyer por les animaux - Matthieu Ricard

Il testo di Matthieu Ricard  Plaidoyer pour les animaux, tradotto in italiano Sei un animale, presenta la storia, le riflessioni e le implicazioni del nostro rapporto con gli animali.      

Nel corso della storia, il rapporto tra gli esseri umani e gli animali è stato oggetto di profonde trasformazioni, passando da un'antropocentrica superiorità a un crescente riconoscimento della loro soggettività e capacità di soffrire. Il presente saggio si propone di ripercorrere, attraverso un’analisi storica, filosofica, scientifica e giuridica, le tappe fondamentali che hanno condotto all’attuale riflessione sul diritto degli animali, sottolineando le contraddizioni etiche, i meccanismi di negazione sociale e l’urgenza di un cambiamento sistemico.    

L’evoluzione del pensiero occidentale ha spesso subordinato gli animali a uno status di inferiorità, legittimando così il loro sfruttamento. Come evidenziato da Matthieu Ricard, nelle sue riflessioni filosofiche e morali, tale visione ha radici tanto nella religione quanto nella filosofia moderna. La concezione cartesiana degli animali-macchine, privi di coscienza, ha segnato profondamente il pensiero occidentale, contrapponendosi a visioni più compassionevoli come quella di Pitagora e Ovidio, che rispettivamente praticavano il vegetarianismo e consideravano la carne un alimento decadente.

Nel contesto religioso, la tradizione ebraica pone particolare attenzione al trattamento degli animali: nella Torah si legge il divieto di infliggere dolore a qualsiasi essere vivente, e nel Talmud si afferma l’importanza del trattamento umano degli animali. Anche il cristianesimo, attraverso figure come San Francesco d’Assisi e, più recentemente, Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco, hanno espresso messaggi di rispetto verso tutte le creature viventi.

Le tradizioni orientali, come il buddhismo, il jainismo e l’induismo, hanno da sempre valorizzato la nonviolenza (ahimsa) e la compassione verso ogni forma di vita. Gandhi ha rappresentato uno dei principali promotori moderni di questa sensibilità, che si riflette in una popolazione indiana per il 35% vegetariana. In Bhutan, la caccia e la pesca sono vietate per legge.

Le basi scientifiche ed etiche del cambiamento.  A partire dal XVIII secolo, numerosi intellettuali iniziarono a mettere in discussione la moralità dello sfruttamento animale. Figure come Jean Meslier, Thomas Tryon, Isaac Newton, Arthur Schopenhauer e Percy Shelley denunciarono apertamente la crudeltà verso gli animali, spesso connessa a quella esercitata sugli esseri umani. Upton Sinclair e Ruth Harrison, nei loro scritti del XX secolo, denunciarono le condizioni aberranti degli allevamenti industriali.

La svolta scientifica giunse grazie a studiosi come Jane Goodall e Frans de Waal, che dimostrarono l’esistenza di emozioni complesse e forme di empatia negli animali. Nel 2021, la Dichiarazione di Cambridge ha sancito che gli animali posseggono substrati neurologici della coscienza simili a quelli umani.

Nonostante le conoscenze scientifiche e le evidenze etiche, la società continua a ignorare sistematicamente la sofferenza animale. Melanie Joy, nel suo saggio Why We Love Dogs, Eat Pigs, and Wear Cows, descrive il concetto di "carnismo", ovvero l'insieme di credenze invisibili che giustificano il consumo di carne. I meccanismi psicologici alla base includono la dissonanza cognitiva, la desensibilizzazione e l’occultamento mediatico. I documentari come Earthlings, Food Inc. e LoveMEATender, raramente trovano spazio nella programmazione televisiva, mentre la pubblicità promuove una narrazione rassicurante sull’allevamento umano degli animali.

Le conseguenze ambientali, sanitarie e sociali. L’allevamento intensivo non solo infligge sofferenze indicibili agli animali, ma ha anche impatti devastanti sul piano ecologico, sanitario e sociale. Ogni anno vengono macellati 60 miliardi di animali terrestri e 1.000 miliardi di animali marini. Il 60% delle terre agricole e il 45% delle risorse di acqua dolce globali sono impiegate per produrre alimenti destinati al bestiame. Secondo l’istituto EPIC, il consumo di carne rossa è associato a un incremento del 35% del rischio di tumore al colon.

L’antibiotico-resistenza rappresenta una delle minacce sanitarie più gravi: l’80% degli antibiotici negli Stati Uniti è somministrato ad animali da allevamento. Inoltre, lo spreco di cereali per nutrire il bestiame aggrava la fame nel mondo: un ettaro di terra può sfamare 50 persone vegane o solo 2 carnivore.

Dietro le quinte dell’industria della carne si cela una realtà brutale. Gli animali sono spesso sottoposti a mutilazioni, vivono in condizioni igieniche precarie e, in molti casi, vengono macellati ancora coscienti. Le etichette "biologiche" non garantiscono una vita dignitosa: nella maggior parte dei casi, indicano semplicemente un’alimentazione diversa, ma non la possibilità di accedere all’aperto o di evitare la sofferenza.   Un’indagine finanziata dal Ministero dell’Agricoltura francese ha rilevato che solo il 14% della popolazione considera inaccettabile allevare animali per mangiarli, ma il 65% non sarebbe in grado di assistere alla loro uccisione. Come affermava Elie Wiesel, "il silenzio favorisce il carnefice, mai la vittima".

Il concetto di "specismo", introdotto da Richard Ryder, evidenzia la discriminazione morale tra le specie. Esso è paragonabile, secondo alcuni studiosi, a forme di oppressione come il razzismo o il sessismo. La genetica ha ormai dimostrato che lo scimpanzé condivide con l’uomo il 98,7% del patrimonio genetico, e diversi studi hanno mostrato comportamenti empatici e cognitivi complessi anche in specie ritenute "inferiori".   David Chauvet sottolinea che non dovremmo esigere da un essere vivente la capacità di raziocinio per riconoscerne il diritto alla vita. Il riconoscimento delle emozioni negli animali deve comportare l’assunzione di una responsabilità morale nei loro confronti.

Non meno gravi sono le forme di intrattenimento che prevedono l’uso di animali: circhi, zoo, corrida, pesca sportiva, traffico illecito di fauna. Tali attività non solo causano sofferenze gratuite, ma alimentano un’industria illegale e spesso criminale, con gravi ricadute su biodiversità, ecosistemi e legalità internazionale.

A livello legislativo, si stanno compiendo progressi. In Francia, dal 2014, il Codice Civile riconosce gli animali come "esseri senzienti". Tuttavia, la strada verso una reale protezione giuridica è ancora lunga. Si auspica una democrazia interspecifica, che includa nel patto sociale anche i diritti degli esseri non umani.   Il concetto di "zoocidio", proposto come analogo al genocidio, mira a sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni sulle uccisioni di massa sistematiche e sulla necessità di una Convenzione internazionale che riconosca questo crimine contro il vivente.

L’utilizzo di animali nei laboratori pone dilemmi morali irrisolti. Da un lato, l’utilitarismo giustifica il sacrificio di pochi per il bene di molti; dall’altro, l’etica deontologica rifiuta ogni forma di strumentalizzazione dell’essere senziente. Inoltre, la validità scientifica dell’estrapolazione da animale a uomo è sempre più contestata, e numerosi metodi alternativi — modelli digitali, colture in vitro, organoidi — sono oggi disponibili.

Molte giustificazioni ricorrenti — tradizione, salute, ordine naturale — sono prive di fondamento scientifico. La nutrizione vegetariana è del tutto compatibile con uno stile di vita sano e completo: proteine si trovano in legumi, vitamina B12 in uova e latticini, calcio in verdure a foglia verde. Atleti di alto livello come Carl Lewis, Novak Đoković e Martina Navratilova dimostrano che il vegetarianismo è compatibile anche con prestazioni sportive di eccellenza.

Il nostro tempo è chiamato a una profonda riflessione morale. Non si tratta solo di difendere gli animali, ma di difendere la nostra stessa umanità, la coerenza dei nostri valori e la sostenibilità del nostro futuro. Come affermava Claude Lévi-Strauss, "arriverà il giorno in cui ci stupiremo dell’orrore nel vedere le carcasse degli animali esposte nei negozi". Quel giorno sarà forse l’alba di una nuova etica: quella della compassione universale.

Le Lumineux destin d'Alexandra David-Neel - Jean Chalon

In questo testo  Le lumineux destin d'Alexandra David-Neel, pubblicato nel 1985, Jean Chalon ci presenta, con la collaborazione di Marie-Madeleine Peyronnet,  la straordinaria vita di Alexandra David-Neel (1868-1969), riportando anche molti estratti della corrispondenza tra Alexandra e il marito Philippe Neel.     

Jean Chalon (1935- ) è un giornalista e scrittore francese. Comincia i suoi studi per diventare professore di spagnolo e poi si orienta verso il giornalismo. Ha trascorso gran parte della sua carriera a Le Figaro e ha scritto diverse biografie di donne celebri:  Chère Marie-Antoinette (prix Gabrielle d'Estrées 1988), Chère George Sand (prix Châteaubriand 1991), Liane de Pougy, courtisane (1994) et George Sand : une femme d'aujourd'hui (Fayard, 2004). Marie-Madeleine Peyronnet è stata l'assistente e la collaboratrice di Alexandra nei suoi ultimi dieci anni. 

Alexandra incarna tanti personaggi: anarchica, borghese, buddhista, cantante, orientalista, giornalista, scrittrice, esploratrice (fu la prima donna a entrare a Lhasa in Tibet). 

Alexandra incontra, a 20 anni, Elisèe Reclus (1830-1905) geografo e anarchico, che diventerà il suo punto di riferimento.  Elisèe Reclus è amico di Tolstoi, insieme sognano di abolire le frontiere, di rovesciare il dispotismo. Alexandra si unisce a questo coro che ignora le barriere delle convenzioni.  A 20 anni vuole cambiare il mondo e traccia una terribile requisitoria contro la società del suo tempo, contro i potenti, i borghesi. Con questo stato d'animo comincia a scrivere la sua prima opera Pour la Vie.  Rifiuta in blocco le religioni, le Chiese, la società, l'esercito e soprattutto la sofferenza inutile che impongono.  Per Alexandra "la ricerca della felicità è una abitudine a prendere, è un'educazione da seguire, una rivoluzione intima che deve aiutare gli individui abituati alla passività e alla rassegnazione".

Considera "La solitudine come la solo beatitudine possibile; è sola con se stessa e questo è sufficiente a questo Narcisio femminile".  Gli adepti al buddhismo al quale si convertirà, si sforzano di avere "una anima insensibile alle cose esteriori, vittoriosi delle proprie passioni. Un'anima libera indifferente alla gioia e al dolore, inaccessibile a tutte le lussurie terrestri".

Aderisce alla Gnose supreme, una associazione che ha per scopo "la formazione di una confraternita di persone che studino le differenti religioni e filosofie, in modo particolare quelle orientali". Va a Londra divide il suo tempo a studiare l'inglese e testi di filosofia orientale alla biblioteca della Gnosi supreme e al British Museum. A Londra incontra Mrs. Morgan che appartiene alla Gnose Supreme ma anche ad altre associazioni come la Società Teosofica, alla quale introdurrà Alexandra.  La fondatrice della società Teosofica è stata Helena. P. Blawatsky (1831-1891).  Alla biblioteca della Società Teosofica troverà testi come il Raja-Yoga, Le Upanishad, la Bhagavad Gita tradotti in inglese o ancora in sanscrito. Ciò la porterà a studiare il sanscrito. La Società Teosofica sarà un suo punto di riferimento nei suoi innumerevoli viaggi in Oriente, da cui però, più tardi prenderà le distanze. 

Alexandra ritorna a Parigi nel 1889 e qui inizia lo studio della teosofia, del sanscrito, dell'occultismo e dell'esoterismo. Questi studi, però, la perturbano ed entra in crisi. Crisi religiosa, di coscienza, crisi di esistenza, crisi di identità. ed entra in un convento di carmelitane. In questo periodo, dal 1989 al 1991, nonostante la terribile crisi, non cessa di studiare l'inglese, il canto e il sanscrito. Al museo Guimet (fondato nel 1879 da Emile Guimet), comincia la lettura del libro sacro dei buddhisti il Dhammapada e non cesserà di citare in seguito i versetti di questo libro.   "Siate a voi stessi la vostra propria luce, siate a voi stessi il vostro rifugio" - "Siete voi che dovete fare lo sforzo, i Buddha possono solo insegnare o indicare la via" - "Abbiate fiducia in voi stessi " - dal Dhammapada.  Ognuno può diventare Buddha, e questo è la grande speranza apportata dal buddhismo.   E questa conquista del sapere  aiuterà Alexandra a uscire dalla sua depressione.  "Lo spirito del buddhismo è essenzialmente socialista, ossia insegna l'unione di azioni combinate in vista di un fine sociale; Si oppone all'industrializzazione e all'accumulo di ricchezze considerate come l'oggetto supremo di ogni sforzo umano". 

Altri versi del Dhammapada: "L'uomo vigilante vincerà la morte, Il negligente è già come morto".

Nel 1891 fa il suo primo viaggio a Sri Lanka dove resterà a Colombo e i suoi dintorni e visiterà le innumerevoli scuole della Società Teosofica.    Poi va  per 18 mesi in " India - il Paese di tutti i prodigi".  Anche qui i suoi punti di riferimento sono le sedi della Società Teosofica, tra cui Adyar a Madras. Quando va a Varanasi incontra sadhu, guru, e un asceta e maestro: Bashkarananda che gli dà i primi insegnamenti: "L'impermanenza è la legge universale". Di ritorno dall'India va a Tunisi, dove sotto il nome di Mlle. Myrial, comincia a esibirsi come cantante.

E comincia a scrivere le sue prime note sul buddhismo: "la religione del nostro paese dice ai poveri e agli infelici sopraffatti dal dolore , rassegnati e curva la fronte"; il buddhismo invece asserisce: "Combatti la sofferenza, cessa di essere vittima della tua stupidità, I tuoi errori e i tuoi pregiudizi sono le divinità delle tenebre sul cui altare tu immoli la parte migliore della tua vita. Apprendi a conoscere la natura delle cose che ti circondano. a conoscerti. Renditi intelligente e la conoscenza ti renderà libero e felice". Si imbarca per una tournée come cantante lirica  a Tonkin, Alessandria, Port Said, Aden e Colombo e diventa la stella di Hanoi. Qui cerca sempre di incontrare i vari mistici.  Poi va ad esibirsi a Parigi per la stagione lirica e nel 1897 incontra il suo primo compagno, il musicista Jean Hautstont con cui ha vissuto insieme dal  1897 al 1900. Insieme a lui scrisse Lidia, dramma lirico in un atto (musica di Hautstont, libretto di Alexandra).

Poi incontrerà Philippe Neel e ne diventerà l'amante a partire dal settembre 1900.  Incomincia così le vite multiple di cantante lirica, direttrice artistica, massone, amante, giornalista e conferenziere. Secondo alcuni scritti del padre, Jean la andrà a trovare a Tunisi e si creerà il trio tra l'ingegnere, la cantante e il musicista.  Nell'agosto del  1904 si sposerà con Philippe e diventerà la moglie borghese di uno dei personaggi più in vista a Tunisi. Quello che non perdonerà mai a Philippe, è l'aver conservato le lettere e le foto delle sue amanti e di avergli mentito asserendo che le aveva distrutte.   Riparte in tournèe e dopo la morte di suo padre, ritorna a Tunisi e qui si trova a vivere una situazione imbarazzante, un "menage a trois" con una delle amanti del marito.  Alexandra che ha frequentato i saggi indiani non riesce più a controllare i suoi pensieri che errano in disordine e la perturbano.

In quel periodo Alexandra ha contatti con Guimet che gli chiede degli articoli sullo yoga e inizia una collaborazione con la rivista Il Mercure de France. Uno degli autori più importanti di Parigi dell'epoca, José-Maria de Heredia gli darà un consiglio: "Non bisogna mai dare niente per niente, perché se date degli articoli per niente, crederanno che non valete niente".

Nel 1907 incontrerà un suo vecchio amico, il tenore Martel e nel 1908, incontrerà il giovane socialista Benito Mussolini. Alexandra a partire dal 1911, resterà sola, libera e fiera, e si rifarà una verginità cessando,  qualsiasi rapporto fisico con suo marito e con qualsiasi rappresentante del sesso maschile. Il solo uomo che sopporterà e condannerà a una castità assoluta, sarà il suo figlio adottivo, il lama Yongden che dichiarerà con una certa tristezza ad uno dei suoi amici a Digné: "Morirò vergine, mia madre non vuole che conosco una donna".

Nel 1911, la pubblicazione degli articoli Modernisme Buddhiste e Il buddhismo di Buddha coinciderà con la sua partenza in Asia, dove a 43 anni comincerà la sua nuova vita.  Ha conosciuto anche Mme Richard Mira Alfassa che nel 1920 raggiungerà a Pondichery il maestro indiano Aurobindo Gosh e prenderà il nome di La Mère.

L'11 agosto del 1911 parte da Marsiglia e  il 30 agosto arriva a Colombo alla società Maha Bodi College. Dopo un breve soggiorno arriva in India a novembre 1911. Passa a Madurai, a Madras, poi si rifugia a Adyar, la sede della Società Teosofica e da qui va a trovare Aurobindo.  Poi va a Calcutta dove incontra numerosi sadhu e saggi indiani. In questa India inglese, è la prima volta che si vede una donna europea che frequenta i sadhu, studia i loro testi sacri, e si mette la sciarpa arancione dei rinuncianti. Ma non si ferma e parte per il Sikkim e Darjeeling dove arriva nell'aprile 1912. E da qui parte per Kalimpong dove  viene ricevuta da Sidkeong (un tulku, un lama reincarnato), il figlio del Maharaja.  Nell'aprile 1912, sarà la prima donna europea a incontrare il 13 Dalai Lama dicendogli "Ho il timore che le dottrine religiose del Tibet sono state mal comprese in Occidente, e per questo mi rivolgo a Lei per essere aiutata a capire". Il Dalai Lama instaurerà un dialogo con questa donna che sarà la depositaria di questo Tibet che stava disparendo.  In maggio 1912 incontrerà il suo futuro maestro il Gomchen di Lachen, ( un siddhipurusha, un uomo che ha acquisito poteri soprannaturali grazie allo yoga) che gli dice: "Voi avete visto l'ultima e suprema luce, non è in un anno o due di meditazione che si arriva alle concezioni che voi esprimete. Oltre questo, non c'è più niente".  Alexandra che non aveva mai accettato l'autorità, accetta umilmente tutte le iniziazioni e si ritirerà per due anni in una grotta. Nel 1913 è a Calcutta, da dove riparte a novembre per il Nepal accolta dal maharaja. Qui matura i primi dubbi: "mi sono lanciata nella carriera di orientalista senza avere troppe armi a mia disposizione" e intravede nuovi orizzonti; "Ogni giorno mi allontano un po' più dalle agitazioni, il grande riposo e la grande luce entrano in me, o piuttosto io entro in loro. Il Nirvana è una realtà".  

Ha la sensazione di essere qualcuno in Asia. Passa a Gaya, Katmandhu, Lumbini, Kapilavasthu (la città dove il Buddha ha passato la sua gioventù). Mentre era in meditazione, una tigre che si aggirava nei paraggi, vedendo la sua immobilità scappa. Nel febbraio 1913 è a Benares (Varanasi), e visita Sarnath e soggiorna presso la Società Teosofica. Incontra e discute di Vedanta e dei libri Astavakra Gita e Avadhuta Gita con il grande yogi Satchinanda. "L'asceta, non avendo nessun attaccamento per non importa quale condizione e che è libero da tutti i desideri, non contrae nessuna impurità anche se si occupa degli affari di questo mondo". Alexandra è ricevuta in tutti i templi, anche jainisti, comincia a vivere una vita da asceta e a volta assume il ruolo di un fachiro stendendosi su una tavola con chiodi per esibirsi davanti i turisti inglesi. 

A novembre 2013 riparte per il Sikkim. arriva nel dicembre 2013 a Gangtok la capitale, dove studia il tibetano, visita il monastero di Rhumteck. In febbraio 1914 muore il Maharaja e Sidkeong succede a suo padre e diventa il Maharaja Kumar. Nel maggio 1914 assume come aiuto Aphur Yongden, un ragazzo di 14 anni. A settembre 1914 incontra di nuovo in una caverna il Gomchen dove è in ritiro. Alexandra che fugge il mondo e la gente del mondo si installa in una caverna vicina ed è accettata come discepola dietro la promessa di obbedienza assoluta.  Inoltre il Gomchen gli darà delle lezioni di tibetano in cambio di lezioni di inglese. "E' una lezione unica di apprendere il tibetano e i misteri del tantrismo buddhista, completamente ignorato da tutti gli orientalisti. Sarà dura, ma terribilmente interessante". Vivere nelle caverne è il brevetto classico per un grande yogi, e Alexandra apprenderà " i fiori del sapere" : controllare i sogni (l'assenza di sogni è un segno di perfezione), praticare il tummo (produrre il calore in pieno freddo), il tsam (ossia restare molte giornate senza parlare) e anche a suonare il tamburino con i quale i lama scandiscono le loro litanie. E a costruire delle creature immaginarie chiamate Tulpas, guidate dalla volontà dello yogi. Dal suo maestro riceve il nome di Lampada di saggezza, mentre Yongden riceverà il nome di Oceano di compassione.  Deve trasmettere nei suoi libri le esperienze che ha vissuto, ne ha il dovere, ma ne ha il diritto?  Il suo Maestro le risponde : "Non è dal Maestro che dipende il segreto, ma da quello che l'ascolta. (...) Usate queste conoscenze secondo il vostro giudizio".

Nel febbraio 1916 si ritrova di nuovo in Tibet. Qui riceve anche la benedizione del Panchen Lama. passa per Shigatzé, Nartan, Poi ritorna a Calcutta, da qui riceve il titolo di "missionario buddhista e erudito" dalla Maha Bodhi Society, poi riparte per la Birmania nel 1917, da qui arriva a Singapore  e poi in Giappone. Definisce il suo viaggio in Giappone un incubo, apprezza solo Kyoto e il monastero Tofoku-Ji. Poi arriva in Corea, e da qui in Cina a 49 anni, e raggiunge Pechino. Da Pechino, in sei mesi percorre 2500 km per arrivare al monastero di Kum-Bum che si trova nella provincia tibetana dell'Amdo, dove si trova l'albero miracoloso di Tsong-Khapa. Ci resterà dal 1918 al 1921.  Tsong-Khapa nella sua opera Lamrin ha scritto: "se vi domandassero quale è  la natura della meditazione, rispondete che è il segreto di essere capaci di abbandonare tutti i pensieri immaginativi con i semi che li generano". A kum-Bum Alexandra troverà il paradiso dei libri sacri, tra cui la Prajna paramita attribuita a Nagarjurna, che contiene i dialoghi tra il Buddha e il suo discepolo Sariputra. Libri che comincerà a tradurre.  Nel suo viaggio verso Lhasa osserverà degli eventi straordinari, dei morti che danzano, dei pugnali incantati che volano nell'aria, dei mangiatori di soffio vitale, degli stregoni con i malefici e gli astri che racconterà nei libri Au pays des brigands-gentilhommes  o Mystiques et magiciens du Tibet.   Alexandra e Yongden, si vestono da mendicanti e in 80 giorni passano per Tcheng.Tou  e Li-Kiang (nel Yunnan) , Thana, Giamda e poi Lhasa (nel gennaio 2024 scrive a suo marito di essere arrivata a Lhasa). Ha superato largamente l'impresa di Phileas Fogg (un altro esploratore arrivato a Lhasa). Lascia Lhasa, passando nel Sikkim, arriva a Patong, poi a Calcutta. Incontra Gandhi, ma tra loro non nascerà un'amicizia. Poi Bombay, Ceylan,  Arriva a Le Havre nel maggio 2024 come un'eroina nazionale. La Francia intera si appassiona di questa donna che viene definita "La conquistatrice della città proibita". Il suo ritratto, il suo viso sorridente, appare su tutti i giornali e riviste. E' una star che sbarca alla stazione Saint-Lazare di Parigi e affronta la folla di giornalisti e fotografi.  Questa donna di 57 anni riceve una moltitudine di onorificenze e medaglie, tra cui la più importante è La legione d'onore nel 1928. Nei mesi seguenti l'Umile Orientalista tiene una serie di conferenze dove racconta le sue imprese in Tibet e Yongden improvvisa dei poemi "delle montagne rosse come il corallo e delle montagne blu come il turchese, die palazzi bianchi come conchiglie e altre cose orientali". Avrà la sua consacrazione al museo Guimet nel marzo 1926.   

Si ritrova con Philippe nel 1926 a Marsiglia,  14 anni dopo, e le incomprensioni caratterizzano questo incontro. In giugno termina il suo libro Viaggio di una parigina a Lhasa.  Alexandra detesta sempre di più questo mondo: "credevo che il mio disgusto per il mondo aveva raggiunto il suo massimo, ma si è ancora accresciuto. non posso dare uno sguardo ai giornali. La stupidità, la volgarità, la cattiveria di cui sono pieni mi fanno auspicare a un nuovo diluvio per ingoiare tutta questa mediocrità. Di buono ci sono solo le piante selvatiche, le montagne, il cielo e le nuvole".

Cerca di arrivare ad avere una indipendenza finanziaria Dovrà guadagnare la sua vita accumulando parole, una ad una, al seguito dell'altra e ne è consapevole. "Ma non avere la minima certezza su quello che accadrà l'indomani è stressante. Lavorare per nutrirsi, è insomma rovinarsi la vita. Vivere è il piacere di fare quello che vi piace e non altre cose".  Pag. 331

Nel maggio 1928 Alexandra acquista la casa a Digne, che con tutti i suoi souvenir dei suoi viaggi la trasformerà in Samten Dzong, La fortezza della meditazione,  una succursale del museo Guimet.  I giornali locali definiscono Santen Dzong una grandiosa sintesi tra Oriente e Occidente.

In questi anni si celebra il successo di Alexandra, sia dei suoi libri,  (Mystiques et magiciens du Tibet, Le initiation lamaique, Au Pays des brigands-gentilshommes, L'Epopéè de Guésar), sia personali, come la conclusione dell'adozione di Yongden nel febbraio 1929 che compie 30 anni. 

Anche il Presidente della Repubblica francese, Gaston Doumergue si dichiara entusiasta per i suoi libri.  Dharmapala che ha guidato i suoi passi a Ceylon e facilitato il suo viaggio in India, da Benares scrive ad Alexandra; "Morirò forse alla fine dell'anno. Mi felicito della vostra opera unica e meravigliosa compiuta con l'aiuto del vostro figlio Lama. Che vostro figlio e voi stessa, viviate per lungo tempo per diffondere il Dharma in Francia e in Italia",

Sa misurare le sue spese e prende nota anche del più piccolo acquisto: "Come si vede, si può indossare il vestito dei rinuncianti e controllare il valore dei propri beni".  Il tempo è denaro e Alexandra non spreca ne l'uno, ne l'altro. Impiega un anno per scrivere il suo nuovo romanzo che mostra il vero Tibet, Le Lama aux cinqu sagesse, con l'aiuto di Yongden.  Il professore Silvain Levi ammira la prodigiosa attività della sua vecchia allieva che non conosce fatica, né del corpo, né della mente. In quel periodo, ci sono personaggi che gli fanno concorrenza: Liu Man Chin che entra anche lei a Lhasa e il tibetologo italiano Giuseppe Tucci che percorre il Tibet soggiornando in monasteri e riportando antichi documenti che traduce e rende pubblici. Nel 1935 Tucci ha 41 anni e Alexandra 67 anni.  Alexandra nel 1936 pubblica Le Bouddhisme, ses doctrines et ses méthodes e ricomincia a tenere conferenze a Praga, Budapest, Vienna, Zurigo, Bruxelels, ecc...    Dopo essere stata nominata rappresentante della Maha Bodhi Society, la società teosofica annuncia : "Madame Neel è stata chiamata a far parte del corpo professionale dell'università di Sarnath (India), e questo testimonia le competenze che gli riconoscono i buddhisti orientali.".

Per la Lampada di saggezza più è lungo il cammino, migliore è il modo di viaggiare.  L'orientalista esploratrice vuole approfondire in Cina gli studi sul Taoismo antico.  Passando per Bruxelles-Varsavia-Mosca- arriva a Pechino nel gennaio 1937 dopo 17 giorni di viaggio. Qui inizia gli studi sul Taoismo nelle biblioteche di Pechino. Scoppia il conflitto tra Giappone e Cina, i giapponesi conquistano Pechino, alcuni giorni dopo che Alexandra era partita. Dopo una sosta a Taiyan arriva a Wou Tai Chan al monastero Pousating.  E nonostante l'età continua ad esplorare l'Oriente:  "marcia come il tuo cuore ti suggerisce e secondo lo sguardo dei tuoi occhi".  Pag. 367.  Al monastero studia, soprattutto il Taoismo antico, scrive e vive come se niente fosse, poiché secondo uno dei suoi principi  "affliggersi non serve a niente". Qui scrive Magie d'amour et magie noir    e   Sous les nuéès d'orage.  Nel suo diario scrive "passeggiate sulla montagna e nessuna notizia della guerra".

I giapponesi stanno per conquistare Shanghai e Taiyuan; Alexandra scappa dalla guerra e finisce per arrivare a Hankeou, abbandonando copie di manoscritti rari e oggetti preziosi.  Poi passando per Chungking arriva a Tatsienlou al paese di Kham, in terra tibetana. Qui passerà i 6 anni della seconda guerra mondiale. Nelle sue lettere, parlando di Yongden,  fa questa ammissione : "Mi rendo conto del mio egoismo, ho voluto avere qualcuno che mi sia utile, in qualsiasi circostanza, e che si piega ai miei desideri. Questo a scapito dello sviluppo di questo ragazzo. Avrei dovuto permettergli di seguire una professione, una carriera, ho preferito che rimanesse dipendente di me. Non è molto bello da parte mia, Oramai la cosa è fatta".   Si installa al monastero di Pomo San dove conduce la vita che ama; legge, scrive, medita, passeggia sulle montagne,  Incontra qualche yogi, incontra i Bon neri e Bon bianchi, che propongo le dottrine e i rituali dei Lama, assiste alle conferenze del Lama Nga Wang.  Si crede di essere in Tibet e ascolta delle frasi che sembrano essere pronunciate per lei: "Essere benevolenti per gli altri non consiste a fare delle azioni procurino del benessere, ma è divenire se stesso una sorta di benessere;   come il sole che non può impedirsi di diffondere il calore e la luce, e da questo, procurare benessere a tutti gli esseri. Della stessa maniera, il Saggio, che è diventato un centro vivente di intelligenza e di bontà, emette naturalmente delle onde di energia che diffondono delle influenze nel mondo".  Alexandra non saprà mai fino a che punto i suoi libri sono stati delle lezioni di vita e di saggezza per le sue lettrici e i suoi lettori. 

Nel 1939, davanti alla situazione drammatica, fa le seguenti riflessioni: "le persone sembrano aver dimenticato i massacri di 20 anni fa. Ecco che ricominciano, e la guerra sarà, ora mille volte più terribile a causa dei progressi dell'aviazione. Quello che ho visto in Cina è terrificante".   Coltiva il suo orto, prepara le marmellate e prepara il progetto del libro L'uomo, questo imbecille.  Scrive la grammatica tibetana sovvenzionata dallo Stato francese. Alexandra resterà a Tatsienlou (capitale del Sikang)  dal luglio 1938 al marzo 1944. 

Nel gennaio 1941 muore Philippe a 80 anni. La sua morte incide sulla salute di Alexandra, ritornano i problemi fisici, infiammazioni, dolori improvvisi, vomito e perdita di peso. Combatte tutti questi mali con un solo rimedio: Lo Studio. 

Da Tatsienlou, all'inizio del 1945,  passa a Chengtu dove tiene una conferenza sulle relazioni tra la Cina e il Tibet, che conclude con l'auspicio che si crei un'intesa tra questi due popoli che ama.   Il credo del filosofo cinese Meh.Ti è : "Agite verso il vostro prossimo come se voi lo amaste. Fate questo per il vostro reciproco vantaggio".  Passando per Calcutta e il Cairo Alexandra e Yongden arriveranno a Parigi nel luglio 1946 per poi arrivare a ottobre a Digne.  A Calcutta ritrova lo stesso clima che aveva lasciato in Cina, le rivolte della popolazione indiana per ottenere l'indipendenza che riporta nel suo libro L'Indie où j'ai vécu. 

Nel 1946, dopo la guerra, iniziano il razionamento alimentare e le varie restrizioni, che appena arrivata in Europa la fanno esclamare: "Partire, Partire! La in Asia, siamo liberi! Qui, le persone sono diventate folli. Ticket per qui, carte per la, controlli per tutto! No, non, voglio vivere tra degli uomini che sono degli uomini, e non dei montoni. La Francia è diventata il Paese degli uomini tristi".

Mantiene la corrispondenza con persone in Asia, in America e in Europa, tra le persone privilegiate con cui è in contatto c'è Mira Alfassa, La Mère dell'ashram di Aurobindo che le risponde : "Siate senza inquietudini, va tutto bene. Al di sopra delle forze di distruzione, c'è la Grazia Divina che protegge e che ripara".

Esce il suo libro Au coeur des Hymalayas, le Nepal , dove si evoca anche l'India "E' l'India terribile! L'India sinistra che spesso ci maschera l'altra India : L'India dei pensieri segreti che si muovono in regioni estranee all'Occidente.  Al suo ottantesimo compleanno va con Yongden sulle Alpi a campeggiare a più di 2000 metri di altitudine vicino al lago di Atlos, qui di fronte alla neve dice: " Oh! Tibet! come questo Paese così differente dal mio ha potuto conquistarmi così, prendendomi cuore e mente, attraverso tutte le mie sensazioni e tutti i miei pensieri? ".

Lei che ha corso e marciato ovunque, non corre più. a Digne, negli anni cinquanta, si trasforma in un grosso mobile, o in un busto senza gambe. Nonostante tutto dall'alto dei suoi 82 anni, Alexandra non è che progetti, avvenire, libri da scrivere. Ha la coscienza di essere, e per lungo tempo, la provvidenza dei librai, la dea degli orientalisti, la Notre-Dame del Tibet. Pag. 628.  In questi suoi libri svela i segreti per superare gli specchi dell'illusione, e come lo diceva il Gomchen (il suo maestro), dopo non c'è più niente. 

Marianne Monestier, una scrittrice, va a trovare Notre-dame del Tibet e durante la visita Alexandra continua a manifestare lo stesso disgusto, che aveva a venti anni, per le cose dell'amore. Questo colpisce Marianne che scrive: "Quello che sciocca del suo spirito buddhista evoluto, sono le manifestazioni quotidiane della vita. Queste le ispirano una specie di disgusto, Anche l'amore non sfugge al disgusto di questa vecchia gentile signora, che, nella sua repulsione, ha talmente l'aria di conoscere quello di cui si parla".  pag. 433

Alexandra dice: "Non sono mai stata un'emotiva, L'amore non ha mai giocato un ruolo importante nella mia vita, d'altronde, il buddhismo lo dice, le emozioni non esistono, Noi nemmeno. non siamo che die momenti, Momenti collegati tra di loro dalla meditazione"

Nel 1954, Yongen diventa l'autore di un libro; La Puissance du nèant, un romanzo in cui l'eroe, discepolo e servitore di un santo eremita, trova il suo maestro assassinato.  

In ottobre1955, Yongden muore improvvisamente; Una catastrofe per Alexandra, che niente lasciava prevedere, e il 24 ottobre 1955 il giorno del suo 87 compleanno, lei che si vantava di non versare mai una lacrima, ne versa dei torrenti.  (...) Perdere, per due volte, in una vita, il suo solo, e migliore amico, è molto.  E l'indistruttibile Alexandra ne rimane colpita.  Dalle sua ceneri - tutto quello che mi resta della sua forma terrestre - sorge un messaggio che desidero trasmettere a quelli in grado di comprendere: "Tutto è vano, miei amici, salvo una cosa: la bontà".  Poco a poco riprende il gusto per la vita, e cita delle frasi del Dhammapada : "L'attenzione è il cammino che conduce alla liberazione dalla morte, la non riflessione è il cammino che porta alla morte. Quelli che sono attenti non moriranno, i disattenti sono già morti".

Nel 1959, gli dei benevolenti guidano la Lampada di saggezza a Aix-en-Provence dove questa novantenne si appresta a fare il suo ultimo grande incontro con colei che illuminerà la fine della sua vita: Marie- Madeliene Peyronnet (1930- 2023) .  Racconterà con ironia e emozione il suo rapporto con Alexandra nel suo libro Dix ans avec Alexandra David-Neel.    A Samten Dzong, in questa fortezza della meditazione, in questo nuovo universo, la Tartaruga dovrà imparare tutto, anche che i piedi di Buddha sono sopra un fiore di loto e non sopra un carciofo come lei credeva. Questa confusione è riuscita a fare ridere Notre-Dame del Tibet che si rivolge a Marie-Madeleine e profetizza "Tu sarai la mia consolazione e la mia gioia".     Quando Alexandra le chiede cosa racconterà di lei alla posterità, Marie-Madeleine risponde: " Dirò che voi avete un'intelligenza straordinaria, perché è vero. E aggiungerò che avete una mente vasta come tutte le galassie riunite (...) dirò ancora che Alexandra David-Neel era un oceano di egoismo e un Himalaya di despotismo".    

Nonostante passi il suo tempo su una poltrona Alexandra continua a lavorare e produrre nuovi libri come Immortalité et reincarnation pubblicato nel 1960.  Immobile, dà pertanto lo spettacolo dell'attività più intensa, pervenendo attraverso il lavoro, a vincere il suo isolamento. Su un biglietto dalla sua amica Mira Alfassa, la Mère è scritta questa frase "Conoscere è bene, vivere è meglio, essere è la perfezione".  Alexandra ha raggiunto, da tempo, questa perfezione. Lei è, semplicemente. 

A volte, il Riccio sa far rientrare i suoi aculei e dare alla Tartaruga un esempio di soavità e generosità. Nel periodo dell'indipendenza dell'Algeria, i francesi che si trovavano li, erano in profonda difficoltà, Alexandra invita i genitori di Maria-Madeleine di venire ad abitare a Digne, che poi accetteranno l'offerta. Moralità: i ricci, in compagnia di una tartaruga possono cambiare i loro aculei in zampe di velluto. Metamorfosi che Ovidio non aveva previsto.   I diari di Alexandra testimoniano questa amicizia che non cessa di crescere tra due donne nonostante la differenza di età, o di cultura, e che a volte si affrontano, senza mai cessare di stimarsi.   A volte passa notti insonni, e con lei Marie-Madeleine che si prodiga nel fare tisane, massaggi... Le riflessioni di Alexandra: " Non so come tu puoi sopportarmi, nemmeno io stessa riesco a sopportarmi".

A 100 anni chiede di rinnovare il passaporto, e ciò prova che aveva ancora la speranza segreta di passare le frontiere.    Riceve pile di lettere e telegrammi e molti attestati di stima: "In omaggio a Madame Neel, grande filosofo, che ha acquisito conoscenze profonde sulla filosofia orientale. Ha introdotto le religioni e i riti orientali in Europa". Una scuola a Digne sarà dedicata a lei.  Alexandra continuerà a scrivere e pubblicare libri, fino al suo ultimo respiro. Si, un autore veramente esemplare. Aveva un principio che esponeva spesso a Marie-Madeleine "non lasciare passare una giornata, una sola, senza fare quello che lei chiamava un 'lavoro costruttivo'". In virtù di questo principio Notre-Dame del Tibet costruiva attivamente. 

Gli ultimi giorni di Alexandra.  Alexandra è sempre stata isolata dal mondo che dominava con il suo pensiero. Riflessioni di Marie-Madeleine "Spesso prevede tutto con una precisione sorprendente, qualche volta con umorismo, ma sempre nella più completa indifferenza.  Lei vive nel mondo, ma è anche fuori, o piuttosto sopra , non so (...) penso che è un fenomeno ... fatto di ferro e acciaio, non è che cervello, ma che malgrado tutto, o forse a causa di questo, oltre che della ammirazione, non si può non avere affetto per lei".

A tre giornaliste che vanno ad intervistarla dichiara: "Voi mi domandate perché non scrivo la mia autobiografia, Voi non potete parlare di voi stessi senza inventare. Non c'è un'autobiografia onesta, Forse fra qualche anno, racconterò qualche episodio della mia vita".         "Non mi sono veramente convertita al buddhismo; faceva parte di me sin dalla nascita" e apporta delle precisioni sulla sua concezione dello yoga autentico: "L'Occidente non comprende l'Oriente e denatura tutto quello che tocca da vicino. Così anche lo yoga, non è questo esercizio fisico per donne mondane di cui si parla senza sosta. E' fare un lavoro mentale per entrare in un vero rapporto con gli oggetti e il mondo". (...) "La più grande parte delle dottrine filosofiche dell'India si definiscono in qualche parola: Anni Anicca - Dukha - Anatta (Impermanenza - sofferenza -  assenza di sé".  Sottolinea l'importanza nella vita del mangiare, bere e passeggiare: "Mangio bene,  mangio di tutto. No, non sono vegetariana; perché? Non ordinerò mai di uccidere un animale per nutrirmi. Ma se è già morto, senza che io l'abbia richiesto, eh bene lo mangerò volentieri".

Arrivano  a Dignè  anche Arnauld Desjardins (produttore) e Jacques Delrieux (realizzatore) e tutta una squadra di tecnici. Arnauld Desjardins è anche uno scrittore e un ammiratore che non nasconde l'influenza che i libri di Alexandra hanno avuto sulla sua evoluzione e sull'orientazione delle sue ricerche. Vengono accolti con questa frase "Non pensate, signori, che è indecente venire a filmare la morte di una vecchia signora?". 

Qualche mese dopo, sente che la fine è vicina e dice che c'è ancora molto da fare: " Si, si, So che sto per morire, mio padre lo diceva, si sente, e ho ancora molti  libri da scrivere... solo la corrispondenza, le tre valigie piene di lettere che tu hai sistemato qualche anno fa, eh bene, solo con quelle lettere potrei fare ancora due libri. E adesso è troppo tardi".     "Non è mai troppo tardi!!  afferma Marie-Madeleine che va ottenere l'autorizzazione di pubblicare questa corrispondenza che sarà contenuta in due libri Journal de voyage.   Alexandra gli risponde "Ho piena fiducia in te, Fanne un buon uso". 

Muore lunedì 8 settembre alle 3,15 del mattino pronunciando una delle sue ultime parole "Viaggio". Un temporale scoppia il lunedì pomeriggio. Un temporale alla sua nascita, un temporale alla sua morte. 

Biografia di Alexandra David Neel

Louise Eugénie Alexandrine Marie David, più conosciuta con il nome di Alexandra David-Néel, nata il 24 ottobre 1868 a Saint-Mandé e morta l’8 settembre 1969 a Digne-les-Bains, fu un’orientalista, tibetologa, cantante d’opera, giornalista, scrittrice ed esploratrice, femminista, anarchica, massone e buddhista francese. Nel 1924, fu la prima donna occidentale a raggiungere Lhasa, capitale del Tibet, un’impresa di cui i giornali parlarono un anno dopo e che contribuì in modo decisivo alla sua fama, oltre alle sue doti personali e alla sua erudizione.    .   

Sito ufficiale di Alexandra:   https://www.alexandra-david-neel.fr/  
Bibliografia:   https://www.alexandra-david-neel.fr/bibliographie/


Alexandra nacque il 24 ottobre 1868, figlia unica di Louis David e Alexandrine.   Lousi David era un massone, maestro elementare,  militante repubblicano durante la rivoluzione del 1848 e amico del geografo anarchico Élisée Reclus.
Oltre alle lezioni di pianoforte e canto, la piccola Alexandra si appassionò alla lettura dei racconti di viaggio di Jules Verne e sognava terre lontane sfogliando l’atlante regalatole dal padre. Per darle un’educazione rigorosa, fu iscritta a un collegio calvinista, ma verso i dieci anni, a causa di un’anemia, venne trasferita in un collegio cattolico.  Prima dei 15 anni, si sottopose a pratiche ascetiche estreme: digiuni, mortificazioni fisiche, ispirate alle biografie di santi asceti.  A 15 anni, in vacanza a Ostenda con i genitori, fuggì da casa e tentò di imbarcarsi per l’Inghilterra.  
Durante l’infanzia e l’adolescenza frequentò Élisée Reclus, che la introdusse al pensiero anarchico (Max Stirner, Michail Bakunin) e agli ambienti femministi. Collaborò con il giornale femminista La Fronde, fondato da Marguerite Durand, e partecipò a riunioni del Consiglio nazionale delle donne francesi e italiane. Tuttavia, rifiutava alcune posizioni, come la rivendicazione del diritto di voto femminile, preferendo la lotta per l’emancipazione economica. Verso la fine del XIX secolo fu iniziata alla massoneria. 
Per il biografo Jean Chalon, la sua vocazione orientalista e buddhista nacque al Museo Guimet, la cui inaugurazione avvenne il 20 novembre 1889. A 21 anni si convertì al buddhismo, evento annotato nel diario pubblicato poi nel 1986 come La Lampe de sagesse.  Per perfezionare l’inglese, indispensabile alla carriera orientalista, partì per Londra, frequentò la biblioteca del British Museum e conobbe membri della Società Teosofica, di cui divenne membro nel 1892.  L’anno seguente si trasferì a Parigi per studiare sanscrito e tibetano con Édouard Foucaux, Hervey de Saint-Denis e il suo successore Édouard Chavannes.

1895-1902: la carriera di cantante lirica. Su incoraggiamento del padre, Alexandra David-Néel entrò al Conservatorio Reale di Bruxelles, dove studiò pianoforte e canto, ottenendo il primo premio di canto.  Per aiutare i genitori in difficoltà economiche, accettò, sotto lo pseudonimo di Alexandra Myrial (ispirato al nome di Myriel, un personaggio de I Miserabili di Victor Hugo), l’incarico di prima cantante all’Opera di Hanoi (Indocina) durante le stagioni 1895-1896 e 1896-1897. Interpretò ruoli come Violetta ne La traviata (Verdi), cantò ne Le Nozze di Jeannette (Victor Massé), Faust e Mireille (Gounod), Lakmé (Léo Delibes), Carmen (Bizet), Thaïs (Massenet). In quel periodo intrattenne corrispondenza con Frédéric Mistral e Jules Massenet.

Dal 1897 al 1900 visse al 3 di rue Nicolo a Parigi con il pianista Jean Hautstont, con il quale scrisse Lidia, dramma lirico in un atto (musica di Hautstont, libretto di Alexandra).

Il 27 giugno 1898, al Museo Guimet, assistette a una cerimonia buddhista tibetana, presieduta dal lama mongolo Agvan Dorjiev, vicino al XIII Dalai Lama, in presenza di Georges Clemenceau. 

Dal 1893 al 1899, con lo pseudonimo Mitra (nome di una divinità vedica), scrisse articoli per riviste come Le Lotus bleu (organo della Società Teosofica) e L’Étoile socialiste

Cantò all’Opera di Atene (novembre 1899-gennaio 1900) e poi, nel luglio dello stesso anno, all’Opera di Tunisi, dove conobbe Philippe Néel, ingegnere capo delle ferrovie tunisine e futuro marito. Lasciò la carriera di cantante nell’estate 1902 e assunse per qualche mese la direzione artistica del casinò di Tunisi, continuando le sue ricerche.

Tra il 1900 e il 1908, firmando ancora come Alexandra Myrial, pubblicò diversi articoli, tra cui uno studio sul Potere religioso in Tibet per il Mercure de France. Scrisse anche il romanzo Le Grand Art (1901-1902), satira dell’ambiente artistico di fine Ottocento, che però non trovò editori. Nel 1904, alla vigilia del matrimonio, rinunciò a pubblicarlo perché conteneva elementi “troppo autobiografici”

1904-1911: la donna sposata. Il 4 agosto 1904, a Tunisi, sposò Philippe Néel, suo compagno dal 15 settembre 1900. Aveva 36 anni. La loro convivenza, a tratti burrascosa ma basata sul rispetto, terminò il 9 agosto 1911, quando Alexandra partì sola per il suo terzo viaggio in India (1911-1925; il secondo era stato durante una tournée lirica. Tre ministeri francesi contribuirono a finanziare il viaggio. Non volle figli, consapevole che la maternità era incompatibile con il suo bisogno di indipendenza e di studio. Promise a Philippe di tornare entro diciotto mesi; in realtà rientrò solo quattordici anni dopo, nel 1925, e si separò di nuovo dopo pochi giorni, tornando alle esplorazioni con il giovane lama Aphur Yongden, che adottò nel 1929.  Nonostante la separazione, mantennero una fitta corrispondenza fino alla morte di Philippe, l’8 febbraio 1941. 

Secondo lo studioso Michel Renouard, i viaggi di Alexandra non sarebbero stati possibili senza il sostegno economico del marito, che agì anche come suo intermediario finanziario, pur aiutandola di tasca propria nei momenti più difficili.

Dal 1909 si dedicò interamente agli studi asiatici e firmò con il suo nome di nascita articoli e saggi, tra cui Il modernismo buddhista e il buddhismo del Buddha (1911). Il successo, però, arrivò solo dieci anni dopo

1911-1925: il grande viaggio indo-tibetano.    Arrivo in Sikkim (1912).  Alexandra arrivò in Sikkim nel 1912, a 43 anni, stringendo amicizia con Sidkéong Tulku Namgyal, figlio maggiore del sovrano del regno. Visitò numerosi monasteri buddhisti e conobbe il giovane Aphur Yongden, allora quindicenne, con il quale si ritirò in un eremo a oltre 4.000 metri di altitudine.

Incontro con il XIII Dalai Lama (1912) Grazie al lama Kazi Dawa Samdup, fu ricevuta dal XIII Dalai Lama a Kalimpong il 15 aprile 1912. Il leader tibetano, sorpreso dalla sua conversione al buddhismo, le consigliò di studiare a fondo il tibetano, cosa che fece.

Soggiorno a Lachen (1912-1916) Visse per anni accanto a Lachen Gomchen Rinpoché, maestro spirituale che le insegnò tecniche come il tummo (generazione di calore interno) e le conferì il nome religioso Yéshé Tömé (“Lampada di Saggezza”).

Intrattenne rapporti epistolari con Sidkéong, che nel 1914 le offrì una statuetta sacra del Buddha Sakyamuni. Il 10 febbraio 1914, alla morte del maharaja, Sidkéong divenne sovrano e avviò un programma di riforma religiosa con la consulenza di Alexandra. Pochi mesi dopo, però, morì improvvisamente, forse avvelenato.

1916-1924: verso Lhasa   Nel 1916, Alexandra David-Néel lasciò il Sikkim e si recò in Giappone, dove incontrò per la prima volta il famoso maestro zen Ekai Kawaguchi. Successivamente partì per la Corea e poi per la Cina, dove rimase a lungo, viaggiando attraverso il paese in condizioni spesso precarie.

Nel 1918 raggiunse il Tibet orientale, stabilendosi a Kumbum, grande monastero situato nella provincia dell’Amdo (oggi Qinghai). Qui studiò testi sacri, il rituale buddhista e le lingue locali. Fu accolta con rispetto, ma la sua permanenza non passò inosservata alle autorità cinesi.

Per anni tentò di ottenere il permesso ufficiale di entrare a Lhasa, ma le autorità britanniche, che controllavano l’accesso al Tibet, glielo negarono ripetutamente, temendo complicazioni diplomatiche.

Determinata a realizzare il suo sogno, nel 1923 partì da Darchen, ai piedi del monte Kailash, insieme ad Aphur Yongden. Si travestì da pellegrina mendicante tibetana: il volto annerito dal fumo, abiti logori, mani sporche, un rosario e una ciotola per le elemosine. Yongden la accompagnava come suo figlio adottivo e guida.

1924: l’arrivo a Lhasa.  Dopo mesi di marcia attraverso passi innevati e territori isolati, il 28 gennaio 1924 Alexandra e Yongden entrarono di nascosto a Lhasa, capitale del Tibet, città proibita agli stranieri. Rimasero due mesi, ospitati da amici tibetani e vivendo con estrema discrezione per evitare di essere scoperti.   Fu la prima donna occidentale a raggiungere Lhasa, un’impresa considerata impossibile per l’epoca. Descrisse in dettaglio la città, i palazzi, i monasteri e le cerimonie religiose, informazioni preziose poiché Lhasa era ancora completamente chiusa al mondo esterno.  La loro permanenza si concluse quando, temendo di essere riconosciuti, decisero di lasciare la città e intraprendere il lungo viaggio verso l’India.

1925: ritorno in Europa. Dopo aver attraversato l’Himalaya e l’India, Alexandra rientrò in Francia nel maggio 1925, accolta come un’eroina. I giornali francesi e internazionali le dedicarono ampi articoli, esaltando il coraggio, la resistenza fisica e la conoscenza profonda della cultura tibetana.

Pubblicò immediatamente Voyage d’une Parisienne à Lhassa (1927), che divenne un bestseller internazionale e la consacrò come una delle più grandi viaggiatrici ed esploratrici del XX secolo.  Continuò poi a scrivere numerosi libri sul Tibet, il buddhismo e le sue esperienze spirituali, divenendo una voce autorevole nel campo dell’orientalismo.

1925-1937: nuovi viaggi e scrittura.  Dopo il ritorno in Francia, Alexandra non rimase ferma a lungo. Negli anni seguenti intraprese conferenze in tutta Europa e pubblicò numerose opere, tra cui studi sul buddhismo e resoconti di viaggio. Nel 1937, accompagnata da Yongden, partì di nuovo per l’Asia, passando per l’Egitto, l’India e il Tibet orientale.

1937-1946: la lunga permanenza in Cina.  Durante la seconda guerra mondiale, Alexandra e Yongden rimasero bloccati in Cina per quasi nove anni. Vissero in condizioni difficili a causa della guerra sino-giapponese e della guerra civile cinese, spostandosi di città in città per evitare i combattimenti. Nel 1946 riuscirono a rientrare in Francia, stabilendosi definitivamente a Digne-les-Bains, nelle Alpi dell’Alta Provenza, in una casa che chiamò Samten Dzong (“Fortezza della meditazione”).

1946-1955: la scrittrice consacrata. In questo periodo Alexandra si dedicò intensamente alla scrittura. Pubblicò opere fondamentali come Mystiques et Magiciens du Tibet e Initiations Lamaïques, divenendo una delle massime autorità occidentali sul buddhismo tibetano.  Nel 1955 morì Aphur Yongden, compagno di una vita e figlio adottivo, la cui scomparsa fu per lei un colpo durissimo.

1955-1969: gli ultimi anni. Nonostante l’età avanzata, continuò a scrivere e a ricevere visitatori e studiosi da tutto il mondo. A novant’anni rinnovò il passaporto “per ogni evenienza”, dichiarando: «Non si sa mai, potrei partire di nuovo domani.».     Nel 1959 incontra sul suo cammino Marie-Madeleine Peyronnet (1930-2023) che l'assisterà nei suoi ultimi dieci anni di vita.   Marie-Madeleine, nel suo libro "Dieci anni con Alexandra David-Neel",  racconta il suo rapporto con Alexandra, un rapporto tra "l'istrice" e "la tartaruga".  Tartaruga era il soprannome che Alexandra aveva dato a Marie-Madeleine. 

Nel 1969, a quasi 101 anni, morì nella sua casa di Digne-les-Bains, il 8 settembre. Le sue ceneri, insieme a quelle di Yongden, furono disperse nel Gange, in India, secondo il rituale buddhista tibetano.

Eredità. Alexandra David-Néel rimane una figura leggendaria dell’esplorazione e del pensiero spirituale. Fu una pioniera per le donne viaggiatrici, un ponte tra Oriente e Occidente e una delle prime divulgatrici accurate della cultura tibetana. La sua vita unì il coraggio fisico, la disciplina intellettuale e una profonda sete di libertà.

India, Induismo e le sei Darshana.

Le parole ‘India’ e ‘Induismo’ sono estranei all’India, essendo stati creati dai primi viaggiatori provenienti dall’Occidente.  Definirono India tutto quello che era al di là del fiume Indo (che in realtà si chiamava Sindhu), le genti che lì vivevano, Indiani, e la loro religione, Induismo. Gli ‘Indiani’ chiamano la loro terra Bharatavarsha, la terra dei discendenti di Bharata, grande re leggendario, e la loro religione Sanatana Dharma, gli insegnamenti spirituali atti ad elevare gli individui e condurli fino a Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti. 
Nell’ambito del Sanatana Dharma (la religione di sempre), esistono sei scuole riconosciute, o meglio, sei Darshana, visioni, punti di vista, perché, anche se la realtà, Sat, è e non può essere che una e immutabile, i modi per accostarsi ad essa sono molti, e le Darshana rappresentano i sei principali sistemi epistemologici e gnoseologici. Piuttosto che considerarsi dottrine rivali, i darshanas sono tradizionalmente percepiti come approcci complementari, che offrono diverse prospettive su una stessa verità ultima.
Sono considerate scuole ortodosse ( astika), perchè riconoscono l'autorità dei Veda, mentre altre  scuole eterodosse (nastika), la rifiutano (come il buddismo e il giainismo, che non sono considerati darshanas indù in senso stretto). 
Le sei Darshanas ortodosse sono tradizionalmente raggruppate a coppie, a causa delle loro affinità concettuali:
Nyaya : la scuola della logica e dell'epistemologia,   basata sui Nyaya Sutra di Akshapada Gautama.
Si concentra sui mezzi di conoscenza validi (pramana), come la percezione, l'inferenza, il confronto e la testimonianza. Sviluppa una metodologia rigorosa di argomentazione e ragionamento logico.  Il suo scopo è raggiungere la liberazione attraverso la corretta conoscenza della realtà.
Vaisheshika : la scuola della fisica e della metafisica atomista, Fondata dal rishi Kanada. Analizza la realtà in termini di atomi, loro combinazioni e qualità. Elabora una teoria delle categorie (padarthas) per classificare i diversi aspetti dell'esistenza. Spesso associata al Nyaya, con cui condivide concetti e metodi.
Samkhya :  la scuola del dualismo metafisico, Fondata da Kapila. Postula l'esistenza di due principi fondamentali: Purusha (la coscienza pura, il Sé) e Prakriti (la natura primordiale, la materia). Descrive l'evoluzione del mondo materiale a partire da Prakriti e la sua interazione con Purusha. Il suo scopo è la discriminazione tra Purusha e Prakriti, che porta alla liberazione.
Yoga : la scuola della pratica spirituale e dell'autocontrollo. Associata a Patanjali, autore degli Yoga Sutra. Si basa sulla metafisica del Samkhya, ma pone l'accento sulla pratica, in particolare sulla meditazione e sulle tecniche psicofisiche. Propone un percorso ottuplice (Ashtanga Yoga) per raggiungere l'unione con il Sé (Samadhi).
Mimamsa : la scuola dell'esegesi vedica. Si basa principalmente sui Mimamsa Sutra di Jainini,  Si concentra sull'interpretazione dei testi vedici, in particolare dei mantra e dei rituali. Cerca di stabilire il dharma (dovere religioso e morale) analizzando i precetti e i divieti dei Veda. Pone l'accento sull'importanza dell'azione rituale (karma).
Vedanta : la scuola della non dualità (Advaita) e dell'unità del Brahman. Basata sugli Upanishad, la parte finale dei Veda. La corrente più influente è l'Advaita Vedanta che si fonda sul Brahma Sutra Karika, Il commentario dei Brahma Sutra è opera di Badarayana, e in seguito perfezionata e diffusa dal grande rishi Adi Shankaracharya. Postula l'unità assoluta del Brahman (la realtà ultima) e l'illusione del mondo fenomenico. Il suo scopo è la realizzazione dell'unità con il Brahman, la liberazione dal ciclo delle rinascite (samsara).

Le due Darshana di cui ci occupiamo sono lo Yoga di Patanjali e l’Advaita Vedanta di Shankara.

Il Vedanta. Questo sistema si basa su un monismo assoluto (Advaita vuol dire non dualistico) che viene
sinteticamente espresso nella Mahavakya (grande affermazione): Brahma satyam jagan mithya ovvero: Brahma è reale, l’universo, la natura sensibile, è irreale. Non irreale in quanto non esistente, ma in quanto transitorio: nasce, cresce, decade e muore, o più precisamente, si trasforma in qualcos’altro. “Sharira parigraha dukham eva”, “Il possesso del corpo è sicuro dolore”.
In altre parole, la causa di ogni dolore e affanno è l’incarnazione dell’Atman, la porzione individuale del Brahman, l’anima cosmica, mai nata ed eterna, in un corpo. 
Cercare di spezzare questa catena carica di dolore e sofferenza, il Samsara, è lo scopo del Vedanta e dello Yoga.
Vediamo quindi che il Vedanta si basa su un’apparente dicotomia: Brahman - Anima Cosmica da una parte, e Prakriti o Maya o Jagad, natura o illusione o universo, dall’altra. Una falsa dicotomia, però, perché solo il Brahman è reale, gli altri sono sue produzioni momentanee (anche se il ‘momento’ dura miliardi dei nostri anni). Quindi, tutta la Sadhana, la pratica spirituale, ha come obiettivo l’elevazione spirituale del Jiva, dell’Atman incarnato. All’elevazione spirituale corrisponde l’elevazione del livello vibratorio del Jiva. 

Materia-Energia-Livelli vibratori. Nel mondo occidentale si è sempre considerata la materia come qualcosa di inerte che, solo quando è investita del respiro divino diventa viva. La materia inerte si può suddividere in un’immensa quantità di particelle che la compongono, gli atomi. Questi mattoncini di base sono, come dice la parola stessa, indivisibili. Negli anni 30 del ‘900 la visione della fisica occidentale comincia a cambiare. Grazie anche alla possibilità di utilizzare strumenti di analisi sempre più complessi e raffinati, ci si accorge che l’atomo è tutt’altro che immobile e tutt’altro che indivisibile.
Al suo interno si riproduce una struttura simile a quella del sistema solare, con un nucleo, intorno al quale orbitano a velocità vorticosa una miriade di particelle subatomiche, elettroni, neutroni, neutrini ecc. Tutte le particelle sono di massa infinitesimale, ma cariche di energia. Da questo si può facilmente dedurre che il concetto di materia inerte è superato. La materia, in un certo senso, non esiste. Esiste solo l’energia che, a seconda del suo livello vibratorio, cambia di stato. Se scaldiamo un pezzo di ghiaccio, ossia gli comunichiamo dell’energia, in questo caso termica, diventa acqua; se scaldiamo ancora, diventa vapore. Quando l’energia contenuta nel vapore comincia a dissiparsi nell’ambiente, esso si condensa e torna ad essere acqua; se togliamo ulteriore energia, avremo di nuovo il ghiaccio. È sempre H2O, ma la forma cambia radicalmente in base alla quantità di energia che possiede e al livello vibratorio dell’energia stessa. Se l’idea che l’intero Universo sia in realtà composto di sola energia è, per noi Occidentali, qualcosa di relativamente recente, lo stesso non si può dire per le scuole filosofiche indiane. Gli antichi Rishi sapevano benissimo, non solo che l’intero Universo è una massa viva e vibrante di energia, ma sapevano anche che il livello vibratorio di quest’energia ne determina, oltre alla forma (ghiaccio-acqua-vapore), anche la consapevolezza. Un’energia di basso livello darà vita a cose statiche, con nessuna consapevolezza di sé, come i minerali; un’energia di livello un po’ più alto produrrà esseri più complessi e dotati di una consapevolezza di base, come le piante. Salendo di livello in livello, alla sottigliezza dell’essere corrisponde una sempre maggiore consapevolezza di sé. Si passa dalla pianta al batterio, dal batterio all’insetto e così via fino all’uomo, e dall’uomo comune all’uomo spiritualmente evoluto, l’uomo il cui livello vibratorio è talmente elevato, da conferirgli la consapevolezza del suo essere divino. Tutta la Sadhana è rivolta all’innalzamento del livello vibratorio del praticante, affinché, con esso, si innalzi il suo livello di consapevolezza. La cosmogonica indiana è stata in qualche modo accettata anche dalla fisica moderna. La teoria del ‘big bang’, la grande esplosione, corrisponde al concetto di nascita dell’universo che troviamo negli antichissimi Shastra indiani. Secondo la fisica moderna, l’energia accumulata e concentrata in uno spazio minimo, un buco nero, a un certo punto si libera, dando il via ad un’immensa esplosione. Questa massa enorme
di energia, man mano che si allontana dalla fonte originaria, inizia a rallentare, abbassando il   proprio livello vibratorio, e diventando sempre più grossolana, trasformandosi prima in gas, poi in liquidi e infine in materia solida. Quando la forza centrifuga iniziale si sarà esaurita completamente, l’Universo smetterà di espandersi e la forza centripeta del buco nero avrà di nuovo il sopravvento, richiamando a sé tutto quello che ne era uscito.
Il racconto indiano della Creazione è analogo, anche se un po’ più variopinto. All’inizio, non dei tempi, ma di ogni ciclo cosmico, Mahavishnu, l’Essere Supremo, dorme disteso su un immenso serpente che galleggia nell’oceano cosmico, lo spazio infinito. Il serpente è arrotolato in tre spire e mezzo, come la Kundalini nel Muladhara Chakra prima del suo risveglio. Dall’ombelico di Mahavishnu spunta un fiore di loto, all’interno del quale siede Brahma, il dio che presiede alla Creazione dell’universo. Per motivi legati al Karma, l’equilibrio tra i Guna viene alterato, e da questo disequilibrio nasce la vibrazione primigenia, Shabdabrahman, il suono senza suono, la vibrazione talmente sottile da non essere percepibile. Man mano, la vibrazione, allontanandosi dalla fonte primigenia, tende a rallentare. La massa di energia continua ad espandersi e, ogni volta che raggiunge un punto in cui non può espandersi più, si differenzia. La Creazione procede quindi per espansioni e differenziazioni, fino ad assumere tutte le forme della Natura che conosciamo. È importante ricordare che tutte queste forme che conosciamo sono in realtà diversi aspetti di un’unica energia divina, di Brahman, che si manifesta in innumerevoli modi.

Il Karma è quella legge inderogabile che fa sì che ad ogni azione ne corrisponda un’altra, uguale e contraria. È la conseguenza di ciò che noi abbiamo fatto, in questa e, soprattutto, nelle vite precedenti. Nasciamo in una data situazione, corpo, intelligenza, famiglia, salute, agiatezza ecc., non casualmente, ma per poter riprendere il cammino spirituale, l’avvicinamento alla fonte divina, dallo stesso punto in cui lo avevamo lasciato nella vita precedente. Nella Bhagavad Gita, quando Arjuna chiede a Krishna cosa accade a coloro che, pur avendo percorso la via dello Yoga, sono morti prima di aver raggiunto Moksha, la liberazione, Krishna così risponde: “L’uomo che hai descritto non sarà perduto né in questo mondo né nell’altro, perché chi persegue il bene non può mai percorrere i sentieri della rovina. Dopo aver raggiunto i mondi dove vivono i giusti, ed esserci rimasto per una successione ininterrotta di anni, colui che ha fallito in questo yoga rinasce quaggiù, nella casa di persone prospere e virtuose.” B.G. VI, 40-42. E poi aggiunge: “Nel nuovo corpo egli ritroverà comunque il raccoglimento che aveva conseguito nella vita precedente, e potrà impegnarsi ulteriormente verso la perfezione. Anche senza cercarlo, egli sarà spontaneamente e irresistibilmente attratto dai principi della meditazione. Tenterà così di riafferrare la conoscenza, e solo facendo questo egli sarà già più avanti di chi ha eseguito tutti i riti purificatori raccomandati nelle scritture.” Ogni vita dipende dalle precedenti, nel bene e nel male, e pone i presupposti per le successive. Tutto quello che ci accade dipende esclusivamente da noi, anche se non ne siamo sempre coscienti.
I Guna sono tre: Sattva, Rajas e Tamas, purezza, azione e inerzia. I Guna pervadono l’intero Universo, tanto che Jagad, l’Universo, in realtà corrisponde ad essi. Jagad non potrebbe esistere senza Guna, di cui è manifestazione, né i Guna senza Jagad, di cui sono causa. È importante notare che in ogni cosa i tre Guna sono sempre presenti contemporaneamente. Nulla e nessuno, finché appartiene a Prakriti, la Natura, può essere completamente privo di uno dei tre. Quello che cambia è la proporzione tra loro. Un cibo sano, fresco, ottenuto senza violenza, è prevalentemente Sattvic. Un cibo un po’ meno puro, ma molto energetico, è Rajasic. Un cibo morto, stantio, derivato dalla violenza, che altera la mente, è Tamasic. Lo stesso criterio si applica a tutte le cose che appartengono alla Natura, inclusi gli esseri umani. A livello vibratorio, Sattva è ovviamente molto più sottile sia di Rajas che di Tamas. Per questo è importante, nella Sadhana, capire bene il significato dei Guna e come si manifestano. Poiché gli strumenti di cui disponiamo per il nostro progresso spirituale sono corpo, mente, respiro, Prana e, in qualche modo, i Guna, è su questi strumenti che dobbiamo fare affidamento nel nostro percorso karmico verso la fonte divina. 
Quindi, se siamo indolenti, dobbiamo imparare a superare l’indolenza dovuta ad una prevalenza di Tamas, con l’attività di Rajas. Questa indispensabile attività va però disciplinata e resa sottile da Sattva. Dobbiamo quindi sempre tendere verso quest’ultimo Guna, sapendo però che anch’esso andrà poi superato, in quanto comunque parte di Prakriti, la Natura sensibile. 
C’è, a tal proposito, una storia molto istruttiva. Un mercante viaggia per il suo lavoro, quando, attraversando un bosco, viene aggredito da tre ladri. Dopo averlo derubato, cercano di decidere cosa fare del mercante. Uno propone di ucciderlo subito e scappare; un altro dice di legarlo ad un albero e andarsene. Quindi, lo legano ad un albero e lo abbandonano. Il terzo ladro, impietosito, torna indietro, lo slega e lo conduce sulla strada, salvandolo. I tre ladri sono ovviamente i tre Guna, Tamas ti uccide, Rajas ti lega e Sattva ti libera. Ma Sattva è pur sempre un ladro, e qualsiasi attaccamento, anche il più puro, costituisce un impedimento alla liberazione. 
Nella Bhagavad Gita, Krishna ci spiega il concetto con chiarezza: “La Fede degli esseri incarnati, che è radicata nella loro disposizione naturale (derivante dalle impressioni delle nascite passate), è di tre tipi: quelle della natura di Sattva, di Rajas e di Tamas. Ti prego di ascoltare. La Fede di ognuno è in relazione alla sua disposizione naturale (derivata dalle impressioni passate). L’uomo è costituito dalla sua Fede. Ciò che la sua Fede è, quello egli è.” B.G. XVII, 2-3.
Per arrivare ad una fede Sattvic, bisogna rendere Sattvic tutto il nostro essere, corpo, respiro, Prana, mente. Questo è il compito dello Yoga. Portare gradualmente il praticante ad essere Sattvic in ogni parte della sua vita. È una sfida immensa, ma va affrontata. 

I quattro percorsi dello Yoga. Lo Yoga è una disciplina spirituale estremamente complessa, così com’è complesso l’essere umano. Non c’è un aspetto dell’uomo che non prenda in considerazione, dal corpo al respiro, dalla mente al superamento della mente. Per questo abbiamo più sentieri dello Yoga, anche se i principali sono quattro: 
  • Karma Yoga, lo Yoga che trasforma l’azione da causa di legami, a strumento diliberazione; 
  • il Bhakti Yoga, lo Yoga della devozione, che trasforma l’amore umano, solitamente egoistico, in amore disinteressato e universale, Prem; 
  • Jnana Yoga, lo Yoga della conoscenza, che, tramite lo studio degli Shastra e l’autoanalisi, permette alla mente superiore di calmare quella inferiore e di elevarsi a livelli divini; 
  • il Raja Yoga, la via reale o lo Yoga dei poteri psichici. Del Raja Yoga fanno parte tutte le pratiche più note, dall’Hatha Yoga al Mantra Yoga o allo Yoga Kundalini, pratica molto avanzata, riservata a chi ha già fatto un percorso di purificazione e di consapevolezza di buon livello. 
Ci soffermiamo leggermente sul Raja Yoga, detto anche Ashtanga Yoga, lo Yoga delle otto parti, in quanto diviso, appunto, in otto parti, ognuna propedeutica all’altra. Le otto parti sono: i cinque Yama e i cinque Niyama, dieci norme etico-comportamentali per la purificazione e la preparazione alla pratica vera e propria; Asana, le posture yogiche; Pranayama, il controllo del Prana, ottenuto attraverso il controllo del respiro; Pratyahara, il ritiro all’interno dei sensi; Dharana, la concentrazione, tendente a portare la mente a fermarsi su un unico punto; Dhyana, la meditazione vera e propria, e infine Samadhi, l’unione dell’Atman, l’anima individuale, con Brahma, l’anima cosmica.

Su quanto sia prezioso ed insostituibile il percorso dello Yoga, e della meditazione in particolare, Swami Sivananda così scrive: “Condurre una vita virtuosa non è sufficiente in sé per ottenere la realizzazione di Dio. È assolutamente necessario raggiungere la concentrazione della mente. Una vita buona e virtuosa prepara semplicemente la mente ad essere uno strumento adatto alla concentrazione e alla meditazione. Sono la concentrazione e la meditazione che alla fine conducono alla realizzazione del Sé. Senza l’aiuto della meditazione non potrete raggiungere la Conoscenza del Sé. Senza il suo aiuto non potrete sviluppare lo stato divino. Senza di essa non potrete liberarvi dalle pastoie della mente e ottenere l’immortalità. La meditazione è l’unica via regale per il conseguimento della salvezza, di Moksha. È una scala misteriosa che conduce dalla terra al cielo, dall’errore alla verità, dalle tenebre alla luce, dal dolore alla beatitudine, dall’inquietudine alla pace permanente, dall’ignoranza alla conoscenza. Dalla mortalità all’immortalità.” 

Patanjali, nel secondo dei 196 aforismi dello ‘Yoga Sutra’, dice che “Yogas Chitta Vritti Nirodah”, ovvero “Lo Yoga è l’arresto delle alterazioni della mente”, cioè l’arresto delle onde di pensiero, di ogni attività mentale. Perché è così importante fermare la mente fino all’immobilità totale? Un esempio che si usa spesso per spiegare questo concetto, è il seguente: quando il mare è agitato, l’acqua intorbidita ci impedisce di vederne il fondo, che contiene un grande tesoro. Calmando l’acqua, fino a fermarla del tutto, essa diventerà trasparente, permettendo di vedere quel tesoro che prima era nascosto. Così la mente, in costante movimento, erige una sorta di cortina fumogena davanti alla parte divina, l’Atman, impedendoci di percepirlo e, di conseguenza, di prendere coscienza della nostra vera natura, che è divina. Naturalmente, queste non sono cose che si ottengono facilmente e in tempi brevi.  
Lo Yoga riconosce 5 stati della mente, essi sono:
  • Kshipta ……. Mente disturbata e dispersa
  • Mudha………Mente stordita e intontita
  • Vikshipta……Mente distratta, attenta solo occasionalmente
  • Ekagra………Mente concentrata su un unico punto
  • Niruddha……Mente completamente ferma e sotto controllo nella concentrazione.
È fin troppo ovvio che Kshipta, è uno stato, purtroppo molto comune, in cui la mente conclude ben poco, disperdendo la propria energia in mille rivoli inutili. Per fortuna, anche nelle persone comuni la mente non è sempre in quello stato. Spesso è solo un po’ distratta, a volte concentrata, a volte tanto concentrata che si va in un’apnea involontaria, si trattiene il respiro. L’obiettivo è quello di rendere, tramite la pratica yogica, la mente sempre più presente a se stessa; questo migliorerà non solo il nostro livello spirituale, ma anche la nostra vita di ogni giorno. Prima di praticare Dhyana, non è indispensabile essere dei maestri assoluti dei sei ‘Anga’ precedenti, ma bisogna praticarli assolutamente, altrimenti i progressi nella meditazione saranno ben pochi.  Swami Vishnudevananda sostiene che non si possa insegnare a meditare, come non si può insegnare a dormire; però, come è sicuramente più facile dormire su un buon letto, in una camera silenziosa, anche osservare certe regole di base può non essere sufficiente a meditare, ma certamente ridurrà gli ostacoli che si frappongono tra il praticante e l’obiettivo. Queste regole di base sono: costanza e, possibilmente, uniformità di orario; l’ora migliore per la meditazione è il Brahma Muhurta, prima dell’alba; cercare di avere una stanza, o almeno un angolo protetto e tranquillo, dove si pratica solo la meditazione, con un altare dov’è esposta l’immagine dell’Ishta Devata, la divinità preferita; utilizzare le energie migliori della Terra, orientandosi verso est o verso nord; utilizzare il respiro per calmare la mente, perché, se la mente è agitata, meditare diventa quasi impossibile; concentrare la mente sul punto tra le sopracciglia o sul Chakra del cuore. Ultimo, ma
non meno importante: recitare il proprio Mantra, per coloro a cui è stato impartito da una persona qualificata, o il Mantra universale OM, adatto a tutti.

L'uso dei Mantra è molto importante nel percorso spirituale. Swami Vishnu lo definisce in questo modo : “Il Mantra è energia mistica racchiusa in una struttura sonora.” È quindi energia divina, quella stessa energia che è alla base della creazione dell’universo e che tutto pervade, troppo sottile per essere percepita e che, leggermente meno sottile, si fa suono. Ripetere il Mantra, dapprima ad alta voce, poi sussurrandolo a fior di labbra, infine solo mentalmente, significa far vibrare tutto il nostro essere ad una frequenza che altrimenti riusciremmo a raggiungere solo con enormi difficoltà. Quando recitiamo un Mantra, non creiamo quel suono, perché quel suono già esiste, è sempre esistito, ma noi non abbiamo i mezzi per percepirlo, come non riusciamo a percepire le onde radio se non disponiamo di un apparecchio adatto. Quando recitiamo il Mantra, non facciamo che sintonizzarci, attraverso il suono grossolano, sulla sua essenza sottile, che è diretta espressione dell’energia divina. Abbiamo detto che l’intero Universo non è che energia; dietro ad ogni manifestazione grossolana di Prakriti, la natura sensibile, si nasconde un’essenza sottile, e dietro l’essenza sottile si nasconde una natura divina. Mettendo il nostro corpo e la nostra mente in vibrazione, dapprima grossolana, poi via via più sottile, ci avviciniamo sempre di più alla nostra vera, profonda natura, quella divina. Se tutta la Sadhana è tesa ad alzare il livello vibratorio del praticante, a renderlo sempre più sottile, quale sussidio migliore del Mantra? Esso ci permette di fare in brevissimo tempo un percorso che sarebbe altrimenti lungo e difficoltoso. 
La parola Mantra deriva dalla radice Man, mente e da Trai, che vuol dire sia proteggere che liberare. Quindi, il Mantra protegge la mente, o libera attraverso la mente. Perché un Mantra possa definirsi tale, deve possedere sei caratteristiche:
  • 1. Deve avere un Rishi che ha raggiunto la realizzazione del Sé per la prima volta tramite questo Mantra, e lo ha donato al mondo. È il veggente di questo Mantra. Il saggio Vishwamitra, per esempio, è il Rishi del Gayatri mantra.
  • 2. Il Mantra deve avere una metrica, Pada, che governa l’inflessione della voce. Alcuni invece di Pada, parlano di Raga, musica, nel senso che il Mantra ha degli accenti che ne stabiliscono il ritmo e la musicalità, essenziali perché esso mantenga tutto il suo potere.
  • 3. Il Mantra deve avere un particolare Devata, la divinità che presiede al Mantra stesso.
  • 4. Il Mantra ha un Bija o seme. Il seme è l’essenza più sottile del Mantra, e gli conferisce un potere speciale.
  • 5. Ogni Mantra ha una Shakti. La Shakti è l’energia divina insita nel Mantra. L’energia creatrice che si manifesta nel Mantra stesso.
  • 6. Il Mantra ha un Kilaka, una sorta di tappo. Kilaka chiude la Mantra Chaitanya, la coscienza che è nascosta nel Mantra. Quando questo ‘tappo’ viene gradualmente consumato e, infine, eliminato, con la ripetizione costante e prolungata del nome dell’Ishta Devata, la divinità di riferimento, la Chaitanya, la coscienza nascosta si rivela e il devoto ottiene la Darshana, la visione, dell’Ishta Devata.
I Mantra sono in lingua Sanscrita e sono assolutamente intraducibili, non perché non ne sappiamo il significato, ma perché traducendoli in una lingua diversa dal Sanscrito, essi perdono buona parte, se non tutta, la loro forza spirituale ed evocatrice. Abbiamo visto, accennando alla cosmogonia indiana, che essa procede per espansioni e differenziazioni. Gli Shastra ci dicono che alla quinta differenziazione appaiono i Varna, colori o sfumature, da cui, per ulteriori differenziazioni, avranno origine tutti i suoni e tutte le lingue. Oggi, la cosa più vicina ai Varna sono le 54 lettere dell’alfabeto Sanscrito, i Devanagari, la scrittura degli dei. I suoni del Sanscrito, e quindi i Mantra, sono i suoni conosciuti più puri e più prossimi alla fonte divina originale, e proprio in questo consiste la loro straordinaria forza. Traducendoli, il significato rimane, ma l’energia spirituale svanisce. Per questo motivo è oltremodo importante che i Mantra vengano recitati con la pronuncia appropriata.
Mettete una barra di ferro in una fornace ardente, diventerà rossa come il fuoco. Toglietela dalla fornace e perderà il suo colore rosso. Se volete mantenerla sempre rossa, dovrete tenerla sempre nella fornace. Allo stesso modo, se volete mantenere la mente carica del fuoco della saggezza brahmica, dovete tenerla sempre in contatto col fuoco brahmico della conoscenza, attraverso una costante ed intensa meditazione. Dovete mantenere un flusso ininterrotto di coscienza brahmica. 
"Se riuscirete a meditare per mezz’ora, sarete capaci di impegnarvi nei compiti di ogni giorno con pace e forza spirituale. Questi sono gli effetti benefici della meditazione. Poiché nella vostra vita quotidiana dovete muovervi usando diversi aspetti peculiari della vostra mente, prendete la forza e la pace dalla meditazione. Poi, non avrete più né problemi né preoccupazioni.” --Swami Sivananda - Pratica dello yoga
Se, come dicevano i Romani, Repetita juvant è un’affermazione valida per qualsiasi pratica a cui si riferisca, dallo studio, all’arte, allo sport, ancora di più è vera quando si parla di plasmare non il corpo o la mente inferiore, ma la psiche profonda. Solo una pratica regolare e, soprattutto, prolungata, Abhyasa, può produrre risultati che tendono a stabilizzare la mente. Man mano che si procede nella pratica, vi accorgerete che il tempo che impiega la mente ad entrare in uno stato meditativo, si riduce sempre più. Per stabilire nella mente questo tipo di memoria, l’uso del Mantra è un sostegno straordinario, e anche per questo, una volta adottato un Mantra, non bisogna cambiarlo. 
Ci vuole un po’ di tempo, a volte un bel po’ di tempo, perché il Mantra manifesti tutta la sua Shakti, che è poi il tempo che serve alla nostra sensibilità per diventare abbastanza sottile da percepirla.

La Japa, la ripetizione di un mantra, si può praticare in tre modi: ad alta voce, e viene chiamata Vaikhari Japa; sussurrando a fior di labbra, ed è detta Upamsu Japa; mentalmente, Manasika Japa. Questa è la forma di ripetizione più potente e richiede una concentrazione più intensa, poiché la mente dopo un po’ tende a chiudersi. Nel caso ci si accorga che ci si sta assopendo, si può ripetere il Mantra ad alta voce per un po’, oppure fare un ciclo di Kapalabhati, e ricominciare. Uno strumento molto utile per tenere il conto dei Mantra, quando si fa la Japa, è il Mala. Una corona di perline, simile al Rosario, composta da 108 grani più uno, il Meru, che non va superato. Quindi, quando si arriva al Meru, si gira il Mala e si ricomincia a sgranare nell’altro senso. 
Sul perché di questo numero, 108, che peraltro troviamo spesso nell‟Induismo e nel Buddhismo, ci sono parecchie risposte: sul Chakra del cuore, l’Anahata, convergono 108 Nadi; i Devanagari, le lettere dell’alfabeto sanscrito, sono 54 e ognuna ha un suo doppio, maschile e femminile; nello Sri Yantra, lo Yantra dell Dea, ci sono 54 Marma, intersezioni, e anch’esse hanno un doppio, maschile e femminile; 12 segni zodiacali x nove pianeti ecc. ecc. 
Il Mala può essere composto di vari materiali, anche se i più usati sono la Rudraksha, il seme di una bacca comune in India, il legno di Tulsi, una pianta sacra simile al basilico con un gambo legnoso, o di sandalo, il cristallo di rocca, e poi qualsiasi pietra preziosa o semipreziosa. Normalmente, durante la Japa, il Mala viene tenuto con la mano sinistra, all’altezza dell’Anahata Chakra, al centro del petto, e si sgrana con la destra, evitando di toccarlo con l’indice, che è considerato il dito che rappresenta l’io e l’egoismo.

Normalmente i Mantra vengono divisi nei seguenti gruppi: 
Saguna, o personali, Saguna vuol dire ‘con qualità’. 
Nirguna, impersonali.  I Nirguna, a loro volta, si dividono in  Gayatri, Bija Mantra astratti

I Saguna Mantra sono tutti quei Mantra che si riferiscono ad una divinità specifica, come Om Ganapataye Namah, il Mantra di Ganesha, Om Namo Narayanaya, il Mantra di Vishnu, On Namah Sivaya, il Mantra di Siva, e così via. 
A questo proposito, vorrei riportare un bellissimo pensiero di Swami Sivananda, rivolto in particolare a chi pensa che quella di invocare una divinità specifica sia una forma di idolatria ‘pagana’, politeista: “Dio Si rivela ai Suoi devoti in vari modi. Egli assume esattamente la forma che il devoto ha scelto per il suo culto. Se Lo adorate come Signore Hari con quattro mani, vi Si presenterà come Hari. Se Lo adorate come Siva, vi darà Darshan come Siva. Se Lo adorate come Madre Durga o Kali, verrà a voi come Durga o Kali. Se Lo adorate come Rama, Krishna o Dattatreya, verrà a voi come Rama, Krishna o Dattatreya. Se Lo adorate come Cristo o Allah, verrà a voi come Cristo o Allah". 
"Sono tutti aspetti di un unico Isvara o Signore. Sotto qualsivoglia nome o forma, è sempre Isvara ad essere adorato. L’adorazione va a Colui che è dentro, il Signore nella forma. Pensare che una forma sia superiore ad un’altra è pura ignoranza. Tutte le forme sono esattamente la stessa cosa. Adoriamo tutti lo stesso Dio, le differenze sono solo differenze di nome dovute alle differenze in coloro che adorano, ma non nell’oggetto dell’adorazione. Il vero Gesù o il vero Krishna sono nel vostro cuore. Egli vive lì eternamente, dimora dentro di voi. È sempre il vostro compagno, non c’è un amico migliore di Colui che dimora dentro di voi. Affidatevi a Lui, rifugiatevi in Lui, realizzateLo e siate liberi.” -- Swami Sivananda
Identificare Dio con un Ishta Devata, una divinità preferita, di riferimento, è soltanto un modo di rappresentare Brahman, il Divino universale, in maniera più confacente alla nostra mente limitata, che altrimenti non sarebbe in grado di concepire l’inconcepibile, l’illimitato. È un gradino utile, spesso indispensabile, per prepararci a passare dallo stato umano, con i suoi limiti e le sue miserie, a quello divino. L’aspirante spirituale solitamente inizia la sua ricerca con Saguna, perché è più accessibile, più facile e può dare risultati tangibili in tempi ragionevoli. Solo quando è arrivato ad un considerevole livello di sviluppo, può cominciare a utilizzare nella sua pratica elementi Nirguna, privi di qualità, che sono certamente molto più potenti, ma, proprio per questo, richiedono purezza, forza e capacità di gestire le immense forze spirituali che sprigionano.
I Nirguna Mantra, come abbiamo appena accennato, sono quei Mantra privi di Guna, che non hanno qualità, e sono fondamentalmente dei Mantra astratti, a volte composti da un’unica sillaba priva di un significato apparente, ma carica di energia spirituale. Talmente carica, che il loro uso è consigliabile esclusivamente ai praticanti più esperti, che già hanno acquisito la capacità di gestire al meglio questa massa di energia sottile senza fare danni. 
I Nirguna più usati sono i Bija Mantra. Bija vuol dire seme, e così come il seme, benché piccolissimo, racchiude in sé tutta la potenza dell’albero maestoso che da esso nascerà, così il Bija, monosillabico, racchiude in sé una potenza spirituale straordinaria. 
Ogni Chakra ha il suo Bija, che ne rappresenta ed è lo stesso Bija dell’elemento associato a quel Chakra. Partendo dal basso, i Bija dei Chakra sono: 
  • Lam per il Muladhara, elemento Terra; 
  • Vam per lo Svadistana, Acqua; 
  • Ram per il Manipura, Fuoco; 
  • Yam per l’Anahata, Aria; 
  • Ham per il Vishuddha, Etere, e infine 
  • OM per l’Ajna. 
  • Il Sahsrara, il loto dai mille petali, alla sommità della testa, non ha un Bija, ma solo silenzio. 
Anche i Devata hanno il loro Bija, che spesso si aggiungono all’inizio del loro Mantra, per conferirgli ulteriore forza spirituale. 
Così il Mantra di Ganesha diventa Om Gam Ganapataye Namah, 
quello di Durga, Om Dum Durgaye Namah, 
quello di Sarasvati, Om Aim Sarasvatye Namah e così via. 
L’uso dei soli Bija Mantra nella meditazione è solitamente sconsigliato a chi non abbia già raggiunto una notevole esperienza nella pratica, e andrebbe sempre usato sotto la guida di un insegnante qualificato. Altri Nirguna Mantra sono quelli astratti, come So Ham (io sono), che indica l’identificazione del praticante col Divino ed è collegato anche al respiro cosmico, e OM, il Mantra universale. 
I Gayatri sono dei Mantra che hanno una particolare metrica, di solito 24 sillabe, in parte lode ad Ishvara, il Creatore, in parte preghiera per l’illuminazione. È un Mantra molto popolare in India, e questa è la forma più diffusa: "Meditiamo sulla gloria di Ishvara, che ha creato l’universo, che è degno di essere adorato, che è l’incarnazione della conoscenza e della luce, che toglie tutti i peccati e l’ignoranza. Possa Egli illuminare i nostri intelletti".

OM Simbolo del Para Brahman
Bhur Bhu-Loka (piano fisico)
Bhuvah Antariksha-Loka (piano astrale)
Svah Svarga-Loka (piano celeste)
Tat Quello; Paramatman trascendente
Savitur Ishvara o Creatore
Varenyam Degno di essere venerato o adorato
Bhargo Che elimina peccati ed ignoranza.
Splendore di gloria
Devasya Risplendente; luminoso
Dheemahi Noi meditiamo
Dhiyo Buddhi; intelletto; comprensione
Yo Che; chi
Nah Nostro
Prachodayat Illumina; guida; spinge a fare

Oltre a questo, che è il Gayatri Mantra fondamentale, esistono anche i Gayatri delle varie divinità, così abbiamo il Gayatri di Ganesha, di Vishnu, di Durga e così via. 
Mahavakya Vak vuol dire ‘parola’ e ‘maha’ grande. Quindi, Mahavakya vuol dire ‘grande espressione verbale’ o ‘grande affermazione’. Sono delle frasi brevissime che racchiudono l’essenza della saggezza del Vedanta. Le quattro più conosciute e più importanti sono estrapolate ognuna da uno
dei quattro Veda, e sono le seguenti:
  • Prajñānam brahma - "La coscienza è Brahman" – Rig Veda
  • Ayam ātmā brahma - "Questo Sé (Atman) è Brahman" –Atharva Veda
  • Tat tvam asi - "Tu sei quello” - Sama Veda
  • Aham brahmāsmi - "Io sono Brahman" – Yajur Veda.
Tutte e quattro affermano in maniera inequivocabile l’identità dell’Atman col Brahman. Nella prima l’Atman viene indicato come pura coscienza, Prajñānam, cioè, per unirsi al Brahman, bisogna essere coscienti della nostra natura divina, che è un riflesso del Brahman stesso. Nella seconda, l’identità è tra Atman e Brahma. Nella terza Tat, quello, indica l’incommensurabile, l’Essere Supremo; tvam, tu, il Jiva, e asi, sei, l’unione tra i due. Nella quarta, lo stesso concetto viene espresso in prima persona, Aham. 
 
OM: “La sillaba Om è tutto l'universo". Eccone la spiegazione. Il passato, il presente, il futuro: tutto ciò è compreso nella sillaba Om. E anche ciò che è al di là del tempo, che è triplice, è compreso nella sillaba Om. "Ogni cosa è il Brahman; l'Atman è il Brahman. Questo Atman ha quattro modi di essere.” Mandukya Upanishad, 1-2 Om è il Mantra universale, il Mantra della Creazione, il suono dell’Universo. Om è l’espressione sonora o, in assenza di suono, di vibrazione sottile dello stesso Brahman. È causa ed origine di ogni suono e di ogni cosa nel Cosmo intero. 
Il Vangelo di Giovanni inizia con queste parole: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.” Non è difficile cogliere il parallelo tra il Verbo del Vangelo e la Vibrazione prima, lo Shabdabhraman che si trasforma in Om. Om, come il Verbo, è causa di ogni cosa. 

Pur essendo normalmente considerato un suono unico, in realtà OM è composto da tre suoni distinti: A, U e M. Parte dalla parte posteriore della bocca (A), passa al centro (U) e si conclude anteriormente verso le labbra (M). È consigliabile fare una piccola pausa di silenzio alla fine di ogni Om, vedremo presto perché. I tre suoni coinvolgono anche tre Chakra, sede dei Granthi, sorta di nodi, cancelli, che impediscono alla Kundalini di salire lungo la Sushumna Nadi fino a quando il praticante non è pronto a gestirla. I tre Granthi sono: 
-il primo è Brahma Granthi, nel Muladhara Chakra (perineo), il suono è A; 
-il secondo è il Vishnu Granthi, nell’Anahata Chakra, il suono è U; 
-il terzo è il Rudra, o Siva, Granthi, nell’Ajna Chakra, il suono è M. 

Om rappresenta molte triadi presenti nel Vedanta: Creazione (Brahma), preservazione (Vishnu) e cambiamento, Pralaya (Siva); passato, presente e futuro, i tre Guna, Tamas, Rajas e Sattva; i tre mondi o piani, Bhur, la Terra, Bhuva, l’atmosfera e Svah, il Cielo; i tre Sharira, corpi: Sthula Sharira, il corpo grossolano, fisico, Sukshma Sharira, il corpo astrale, e Karana Sharira, il corpo causale. 

Ma la triade più importante, rappresentata dalle tre componenti dell’Om, è quella degli stati mentali: veglia, sogno e sonno profondo. Dall’analisi della mente in questi tre stati si può comprendere l’irrealtà del mondo sensibile e che l’unica realtà eterna e immutabile, Sat, è il Brahman, e il suo riflesso nel Jiva,
l’Atman. 
Il silenzio alla fine della recitazione dell’Om rappresenta il superamento del tempo, l’infinito, del corpo e dei Guna, Moksha, dei mondi, la dimensione divina, e il quarto stato della mente, Turiya, lo stato di fermezza vigile e imperturbabile. Lo stato che si raggiunge quando il nostro livello di consapevolezza ci rende capaci di identificarci, non più, erroneamente col complesso corpo-mente-prana, ma con la nostra vera essenza divina, l’Atman.   ---   Hari Om Tat Sat

Introduzione al Blog

  Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi.  Nel Blog ci sono c...