domenica 7 luglio 2024

I benefici dello yoga

I benefici dello Yoga sono riconosciuti da tempo dalla comunità scientifica internazionale e trovano nuove conferme dalla ricerca: oggi si sa che questa disciplina, praticata in modo corretto e continuativo può alleviare lo stress mentale e fisico, migliorare l’umore, rallentare il processo d’invecchiamento e migliorare di conseguenza le difese immunitarie.   


Recentemente i ricercatori della Boston University School of Medicine hanno studiato gli effetti di questa disciplina. Lo Yoga porta a un benessere psicofisico e allevia e cura i disturbi legati all'ansia e alla depressione.  Grazie allo Yoga si impara infatti a gestire la sofferenza, la paura, si alleviano i sintomi dell'ansia, poiché si imparano a sentire le proprie sensazioni ed emozioni, anche negative, accettandole per poterle poi lasciare andare via.   Grazie allo Yoga, è possibile ridurre la produzione di cortisolo e adrenalina, andando a calmare il corpo, riducendo lo stress e dando inizio a un rilassamento profondo. Molte persone, dopo aver provato i benefici dello Yoga, cercano di accettare tutte le sensazioni che provano, sia negative che positive: sappiamo bene come l'ansia sia sempre causata dalla paura di provare emozioni spiacevoli e dal continuo cercare di evitare di andarci incontro, piuttosto che da emozioni effettive ed esistenti. Grazie allo Yoga, chi soffre d'ansia potrà sempre trovarsi pronto a fronteggiare situazioni nuove, paure ed emozioni di diversa intensità e natura, oltre a godere di un risanamento fisico che aiuterà a distendere i nervi e a scacciare lo stress.

La meditazione, parte importante della pratica yoga, è in grado di trasformare la nostra esperienza del mondo, diminuendo l’ansietà e la vulnerabilità al dolore, la tendenza alla depressione e alla collera e ha degli effetti benefici sulla salute rafforzando l’attenzione, il sistema immunitario e il benessere generale.

L’ipotesi da cui lo studio ha preso avvio è stata anzitutto confermare che lo stress causi uno squilibrio del sistema nervoso autonomo ed una ridotta attività di un particolare neurotrasmettitore inibitorio chiamato “GABA” (Il GABA - o acido gamma-amminobutirrico è considerato, a tutti gli effetti, uno dei più potenti e principali neurotrasmettitori ). Si è visto poi che questo tipo di squilibrio ha i suoi effetti sull’intero organismo: una bassa attività del GABA si è riscontrata nei disturbi d’ansia, nel disturbo da stress post-traumatico, nella depressione, nell’epilessia e anche nel dolore cronico. Ebbene, la pratica costante dello yoga è in grado di riportare a livelli  di normalità questo neurotrasmettitore!
Lo Yoga influisce innanzitutto sulla salute del sistema cardiovascolare, in quanto gli esercizi di respirazione permettono di aumentare il flusso di ossigeno nel corpo, incluso il cervello e il cuore, aumentandone le prestazioni.
Lo yoga incrementa la forza muscolare globale nella zona dell’addome, dei glutei, della regione lombare fino alla base del cranio ed è proprio qui che la stabilità e l’equilibrio hanno origine.
Le posizioni Yoga migliorano la flessibilità muscolare del corpo. Le posizioni aiutano a rendere elastici mente e corpo e questo permette di vivere in uno stato di maggiore benessere.  Secondo molti studi lo Yoga può essere molto utile per andare ad alleviare e curare i disturbi legati all'ansia e alla depressione senza far uso di medicinali.

Infine, non bisogna mai dimenticare che un corretto stile di vita, una corretta alimentazione ed un regolare riposo notturno sono indispensabile per acquisire dei benefici consistenti.

Oltre a esser ottima per la cura del corpo e la cura dell'anima, questa pratica non ha nessun effetto collaterale, se non quello di dare benefici evidenti e duraturi.

I tipi di meditazione

La meditazione è una tecnica antica, legata alla maggior parte dei percorsi spirituali. Ce ne sono di diversi tipi (statica, dinamica, con visualizzazione, ripetendo un mantra o un suono…). 


La meditazione cambia la visione del mondo, agisce su ormoni e neurotrasmettitori: il cervello si trasforma, gli studi hanno dimostrato la neuroplasticità del cervello, alcune parti del cervello si modificano, la corteccia prefrontale tende a ristringersi con l'età; con la meditazione, il processo viene invertito e i meditanti di lungo corso si ritrovano con una neocorteccia più ampia.       
Alcune strutture cerebrali come l’amigdala e le aree del lobo parietale che elaborano i dati sensoriali, si spengono e questo porta a una riduzione della produzione del cortisolo, altrimenti definito come l’ormone dello stress. Altre strutture, invece, come il lobo dell’insula (che è associato alla felicità, alla bontà, alla compassione), il corpo calloso (che connette fra loro gli emisferi destro e sinistro) e l’ippocampo (che gestisce l’autocontrollo emozionale) si accendono, rilasciando altre sostanze. Di fatto, le parti della corteccia prefrontale che mantengono l’attenzione e regolano le emozioni sono attive durante la meditazione, mentre le parti che riguardano la personalità – la paranoia dell’Io – piombano nell’oscurità».

Molti personaggi famosi si sono avvicinate alla meditazione: Madonna, Alanis Morrisette, i Beatles, De Chirico, Mick Jagger, Franco Battiato, Demi Moore e Cristiano Ronaldo.   «L’uomo dalla notte dei tempi è in cerca di risposte sulle ragioni per le quali siamo nati e sulla nostra origine. Entrare in contatto con il divino è un interesse dell’essere umano dai tempi antichi. Meditare di sicuro avvicina al proprio io interiore". 

Esistono diversi tipi di meditazione, vediamone alcuni.   

Meditazione zen.  Forse quella più conosciuta, nel senso che se pensiamo a qualcuno che medita, la maggior parte delle persone lo immaginerebbe così. «La meditazione zen è, tutto sommato, semplice e può essere praticata da tutti. È infatti sufficiente sedersi in una posizione comoda, con la schiena vigile ma non rigida e incrociare le gambe. Si focalizza la mente su questa attività. Quando la mente si distrae, la si riporta gentilmente al conteggio e alla respirazione. Deriva dall’anima più radicale del buddismo e venne presa a ispirazione e a modello dai Samurai e dalla casta dei guerrieri».

Meditazione trascendentale. Questa meditazione era quella praticata dai Beatles: «Consiste nella ripetizione di un mantra per circa 15-20 minuti per due volte al giorno, tenendo gli occhi chiusi. I mantra sono suoni che hanno presa sul nostro inconscio. L’obiettivo di questa meditazione è quello di contrastare i campi elettromagnetici creati dai pensieri al fine di raggiungere pace e armonia. Ha un effetto antistress e non richiede né rituali, né posizioni speciali».

Meditazione buddhista: Samatha e Vipassana. Gli insegnamenti buddhisti precisano che ci sono due vie: quella del rilassamento, samatha (calma mentale) che dovrebbe essere associata ad una visione profonda, vipassanā. Solo grazie alla calma, si può accedere ad uno stato di visione profonda, per entrare in contatto con la vera realtà, senza mediazioni, e dunque comprenderla e accettarla per quello che è. Entrambe  si basano sull’attenzione e sul controllo del respiro. All’inizio la mente osserva la respirazione o i movimenti del corpo, poi essa diviene un tutt’uno con questi. Detta all’occidentale, il punto centrale della meditazione è costituito da tre fasi: la concentrazione, ossia far convergere tutta l’attenzione su un oggetto che di solito è il respiro, poi fare in modo che la mente si calmi e poi  passare all’introspezione. La meditazione buddhista punta sulla contemplazione attraverso la postura e il respiro, ma soprattutto mira a svelare che la mente e la materia sono impermanenti, insoddisfacenti e impersonali».

Meditazione Mindfulness. Traducendo il termine letteralmente, significa “pienezza della mente”. Ma non di pensieri, bensì di consapevolezza del momento presente, del “qui e ora”. «Con questa tipologia di meditazione ci si concentra sul momento presente e si osservano i pensieri, senza giudicarli e piano piano si raggiunge la serenità». Se sopraggiunge un pensiero negativo si osserva senza giudicarlo. Poi si lascia andare.  La mindfulness ha come obiettivo l'ascolto della propria “voce interiore”, per ancorarsi nel qui e ora.

Meditazione Emptiness (o vuoto mentale).   Questa pratica meditativa, è molto semplice e consiste «Nel sedersi, stare tranquilli, svuotarsi da immagini mentali, pensieri ed emozioni, per dimenticare tutto e focalizzarsi sul vuoto e la quiete».

Meditare recitando mantra.  Alcune forme di meditazione prevedono la recitazione di un mantra che può essere un enunciato sacro, un suono primordiale, una sillaba, una parola, un fonema, una frase in sanscrito o in pali. Si ritiene che il mantra possa agire sul subconscio e lavorare sul piano sottile ed energetico. Uno dei mantra più conosciuti è l’Om o Aum, un suono sacro che rappresenta l’essenza della realtà ultima, il cui significato varia di tradizione in tradizione.
Nel buddhismo è molto comune l’uso di mantra come la ripetizione del nome del Buddha o frasi sulla gentilezza amorevole o sull’impermanenza di tutte le cose. Nel Tibet, “Om Mani Padme Hum”, il mantra della compassione (vedi appendice), è il mantra più recitato dai buddhisti, è inciso e dipinto nelle rocce e sulle ruote da preghiera, lo si vede ovunque. I buddhisti credono negli effetti benefici che si producono recitando questo mantra, per alleviare il karma negativo, per accrescere e accumulare meri- ti, per sfuggire alle sofferenze e per consentire il raggiungimento dello stato di illuminazione del Buddha.  

La meditazione hawaiana dell'Ho’oponopono è praticata in zone come Samoa, Tahiti e la Nuova Zelanda, è una pratica di riconciliazione e perdono interiore usata per cancellare le memorie inconsce dei pensieri negativi. «Per questo si pratica come un mantra, recitando velocemente e mentalmente, ma anche oralmente, Ho’oponopono. Se si vuole avere un’efficacia maggiore derivante dal senso e significato delle parole, si può anche sostituire con: mi dispiace, perdonami, ti amo, grazie».

Meditazione camminata. Una leggenda buddhista racconta che il risveglio del Buddha avvenne in una sola notte, ma che, prima di quella meditazione finale che condusse Siddhartha all’illuminazione, l’illuminato camminò per quaranta giorni e in quel cammino preparò corpo, mente e spirito al risultato finale. Camminare in meditazione significa camminare in modo da sapere che stiamo camminando. Diventiamo consapevoli ad ogni passo del contatto dei nostri piedi con il terreno e cominciamo a sincronizzare i nostri passi al ritmo del nostro respiro. Ci liberiamo dalle nostre paure e preoccupazioni e diventiamo presenti al 100% ad ogni passo, acquisiamo una consapevolezza aperta ai nostri cinque sensi, ci apriamo ai suoni che ci circondano, ci accorgiamo del paesaggio, sentiamo l'odore dei fiori, e avvertiamo il miracolo del "camminare sulla terra".
Questa particolare modalità meditativa proposta dal maestro zen Thich Nhat Hanh è nata dalla constatazione che, nella nostra vita quotidiana, siamo prevalentemente dominati dall’”abitudine di correre”: “Ricerchiamo la pace, il successo, l’amore – sempre di corsa – e i nostri passi sono uno dei mezzi con i quali scappiamo dal momento presente".   «Per praticare la meditazione camminata è utile ricordarsi che anche qui, le parole/azioni si trasformano in un mantra. Si parte da fermi con i piedi paralleli; si porta avanti il primo piede e si pensa alla parola “avanzare”, nel momento in cui il piede appoggia la pianta sul suolo si pensa alla parola “toccare”, nella fase di spinta del piede si pensa alla parola “spingere” e quando il piede ha raggiunto l’equilibrio e si sta per alzare l’altro, si pensa alla parola “stare”».  Si deve camminare con attenzione e ad ogni passo occorre concentrare tutta l'attenzione sul gesto ed associarci il respiro.

Meditazione yoga. Oggi la maggior parte delle persone pratica yoga: «tanti però praticano gli asana alla stregua di una semplice attività sportiva o da palestra; invece, in primis, quella dello yoga è una pratica spirituale». La pratica mira ad andare oltre il mentale, per raggiungere stati di coscienza e di contemplazione più elevati e straordinari ed entrare in contatto con la parte più spirituale del nostro essere, con il nostro vero Sé. Viviamo identificandoci con i contenuti della nostra mente, creati soprattutto dalle emozioni; è un'esperienza plasmata dal mentale; si producono immagini distorte che vengono scambiate per realtà, e così ci allontaniamo da una visione oggettiva. Nella meditazione il meditante è solo, i sensi sono totalmente annichiliti e si usa l'unico strumento adatto - la coscienza -, per arrivare (per cercare) di conoscere la realtà che è il nostro Sé. Il Sé è la parte di noi che abbiamo in comune con tutte le manifestazioni, è l'unica realtà; tutto il resto è permanente e non ci appartiene, nulla ci appartiene, ci lasciamo tutto alle spalle quando moriamo. Ce ne andiamo solo con la goccia chiamata Sé. E con questa goccia l'uomo va incontro alla sua parte divina, cerca di entrare in contatto e di conoscere questa parte divina, questo è l'obiettivo della meditazione.  Di meditazione yoga ne esiste più di una (Kundalini, Terzo Occhio, Visiva, Chakra) e tutte hanno come fulcro la respirazione.    Yoga è una meditazione che unisce la pratica fisica a quella spirituale.  

Dal sito   https://www.vanityfair.it/article/8-tipi-di-meditazione-trova-quella-adatta-a-te

Come Meditare: Le Diverse Tecniche di Meditazione

È un dato di fatto: comprovato da millenni di studi a favore e ricerche scientifiche, siamo ormai consapevoli che meditare faccia bene alla salute generale, sia fisica che psicologica.  Quando si parla di meditazione ci si riferisce ad un universo enorme, ricco di sfumature. Ci sono tante pratiche diverse…così diverse che alcuni tipi di meditazione dicono praticamente il contrario di altri. Ad esempio alcuni tipi di meditazione dicono che è importante scacciare i pensieri, altri dicono invece che è importante osservarli. Alcune dicono che è importante concentrarsi su un mantra, altre che bisogna creare il vuoto.


Non solo, anche gli studi scientifici sulla meditazione non si suddividono in egual modo per ogni pratica meditativa, ma la più studiata in assoluto, quella per cui i risultati scientifici sono maggiormente comprovati è la Meditazione mindfulness.   

Per iniziare è bene distinguere la meditazione in 2 filoni in principali: la focalizzazione e l'osservazione (o monitoraggio). Questa distinzione non è netta poiché, nella pratica meditativa, focalizzazione e monitoraggio si intrecciano tra loro. Tuttavia è fondamentale farla per iniziare a conoscere il mondo della meditazione, perché le varie pratiche meditative appartengono all’uno o all’altro filone in base a come viene utilizzata l’attenzione.

In una meditazione che appartiene al filone della focalizzazione la tua attenzione, il tuo focus viene indirizzato verso un “qualcosa” in particolare. Può essere qualsiasi cosa e non deve, per forza di cose, essere un oggetto reale. Ci sono infatti meditazioni che pongono l’attenzione sul respiro, su un mantra, su di una immagine, su una parte del corpo, ecc.     Può risultare complicato mantenere il focus su quello che è l’oggetto della tua attenzione. Non c’è da preoccuparsi, è normale. Raggiungere la capacità di mantenere alto il flusso di attenzione sull’oggetto scelto è complicato e diventa più forte con l’avanzare del praticantato. Con il passare del tempo ti distrarrai meno facilmente e svilupperai una profondità e una fermezza di attenzione tale da permetterti di assorbire e percepire tutte le proprietà benefiche della dolce arte della meditazione.

Le meditazioni che appartengono al filone del monitoraggio invece suggeriscono di focalizzare l’attenzione sull’osservazione dei propri pensieri, in modo non giudicante. Perdersi tra i pensieri è naturale, è una funzione formidabile della mente che ti consente di avere idee creative e anche di riposarti, ma nulla c’entra con una pratica meditativa, perché quando ti perdi tra i tuoi pensieri ti identifichi con essi, mentre quando mediti non c’è identificazione con i pensieri, adotti la tecnica del testimone e li guardi da lontano e non li giudichi.

I vari tipi id meditazione più conosciuti.

1) Meditazione Zen (Zazen)-buddhista.  Pone le sue radici nel Buddismo cinese e si associa al nome di  Bodhidharma, un monaco indiano vissuto nel sesto secolo dC. In genere, la meditazione Zen si pratica da seduti in una posizione a gambe incrociate su una stuoia o un cuscino. Con la colonna vertebrale completamente ritta dal bacino sino al collo, espressione concentrata e sguardo basso guardando di fronte a te.   Si può praticare in due differenti modi:  

  •  Concentrazione sul respiro. qui occorre focalizzare l’intera attenzione sul movimento provocato dalla respirazione attraverso il naso. Sarà possibile aiutarsi contando all’indietro nella mente nel momento in cui si inala. Se per un qualsiasi motivo capita di perdere l’attenzione e di distrarsi, basta portarsi di nuovo in attività e riprendere a contare dall’inizio mentre sei concentrato a respirare.  
  • Shikantaza (letteralmente “seduti”) in questa particolare forma non viene utilizzato alcun oggetto specifico nella meditazione. Piuttosto, in questo caso, si focalizza il tutto per rimanere nel momento presente, consapevolmente. Si osserva tutto ciò che passa attraverso la mente, ma senza soffermarti su niente in particolare.

2) Meditazione buddhista Samatha e Vipassana. Gli insegnamenti buddhisti precisano che ci sono due vie: quella del rilassamento, samatha (calma mentale) che dovrebbe essere associata ad una visione profonda, vipassanā. Solo grazie alla calma, si può accedere ad uno stato di visione profonda, per entrare in contatto con la vera realtà, senza mediazioni, e dunque comprenderla e accettarla per quello che è.   La prima serve a stabilizzare la mente e raggiungere quella che si chiama “concentrazione”.  Vuol dire essere in grado di focalizzare l’attenzione sulla meditazione stessa, sviluppare una visione chiara sulle sensazioni corporee e sui fenomeni che richiamano la mente, osservandoli momento per momento, istante per istante. Senza aggrapparsi a qualsiasi cosa per poi passare al secondo stadio. La pratica consiste nel sedersi su di un cuscino posato sul pavimento, con le gambe incrociate e la spina dorsale eretta. Il primo passaggio è quello di sviluppare la concentrazione attraverso il respiro consapevole. Dopo si  possono cominciare a sentire altre percezioni: suoni, sensazioni all’interno del nostro corpo, emozioni, ecc. basta notare come questi fenomeni emergono nel campo della consapevolezza e poi riprendere il controllo sulla respirazione.
L’oggetto al centro della pratica (il movimento dell’addome, per esempio) viene definito primario, mentre secondario è quello che si pone nel campo della percezione, sia attraverso i cinque sensi (udito, olfatto, tatto, vista, gusto) sia attraverso la mente (pensieri, ricordi, sentimenti, ecc.) per evitare di essere trascinati dai propri pensieri e non farsi sopraffare da essi. Piano, piano si sviluppa una chiara visione e il fenomeno è pervaso da tre segni di esistenza: l’impermanenza, l’insofferenza e il vuoto di sé. Di conseguenza, si sviluppano, in relazione a questi progressi, l’equanimità, la pace e la libertà interiore.

3) Meditazione Mindfulness. Mindfulness è la traduzione occidentale del termine buddista “sati”, che significa essenzialmente consapevolezza, attenzione sollecita. Una delle figure di riferimento per quanto riguarda questo tipo di meditazione è John Kabat-Zinn che ha creato nel 1979 un programma di meditazione per la riduzione dello stress presso il reparto medico dell’Università del Massachusetts.
La Mindfulness consiste nel concentrarsi sul momento presente, osservando i pensieri che emergono senza giudicarli. Occorre prestare attenzione alle sensazioni, ai pensieri e alle emozioni che si presentano attimo per attimo.
Per la “pratica formale” si comincia seduti su di un cuscino sul pavimento o su una sedia e si presta particolare attenzione al movimento del respiro. Si cerca di essere consapevoli del momento presente, del fatto che stiamo respirando e di come ci si sente in un determinato istante. Poi si comincia a percepire sensazioni, pensieri, sentimenti, emozioni.
È normale che la mente venga distratta mentre si percepiscono suoni, sensazioni e pensieri. Ma ogni qual volta che ciò accade, si riconosce di essersi distratti e  si  riporta l’attenzione sulla respirazione. Poi si osservano i pensieri e le sensazioni che emergono, sempre in modo oggettivo, senza giudicare.  È possibile praticare la meditazione mindfulness persino durante le attività quotidiane, attraverso le “pratiche informali”. Mentre mangiamo, mentre stiamo camminando, addirittura mentre stiamo parlando.

4) Meditazione Gentile (Metta).  Deriva dalla parola “metta” che significa bontà, benevolenza. È una pratica che proviene dalla tradizione buddhista tibetana.  Peremtte di incrementare la capacità di entrare in empatia con il prossimo, di sviluppare emozioni positive attraverso la compassione (compreso un atteggiamento più amorevole verso se stessi), di aumentare l’accettazione di se stessi. Si pratica seduti nella classica posizione di meditazione con le palpebre socchiuse. Si comincia sviluppando una sensazione di benevolenza verso se stessi, poi, come se fosse un passaggio progressivo, verso ogni essere senziente e non.
La sensazione che andremo a sviluppare è un desiderio di felicità e benessere per tutti, nessuno escluso. Ci si può aiutare con la recitazione di parole e/o frasi specifiche che evocano una sensazione di cordialità, visualizzando la sofferenza degli altri e inviandogli amore o immaginando uno stato di qualsiasi altro essere augurandogli felicità e pace. Ogni qualvolta si pratica questo tipo di meditazione, si potrà percepire più gioia. Ed è proprio questo il segreto della felicità di Mathieu Richard il monaco buddhista francese definito "L'uomo più felice del mondo".

5) Meditazioni con mantra. Il mantra è una semplice sillaba o di una parola, in genere senza alcun significato particolare, che viene ripetuta con lo scopo di focalizzare la nostra mente.  Alcuni maestri indicano che la scelta del mantra e la sua corretta pronuncia sono molto importanti a causa della vibrazione associata al suono. Il mantra è  uno strumento per mettere a fuoco la mente e sono usati nelle tradizioni induiste e buddhiste, nel giainismo, nel sikhismo e nel taoismo.
Come per la maggior parte delle pratiche meditative, si comincia seduti con la colonna vertebrale eretta e gli occhi chiusi. Si ripete poi il mantra mentalmente, in silenzio, più e più volte nell’arco dell’intera sessione. A volte il mantra viene sussurrato con leggerezza e con dolcezza per aiutarsi a trovare la concentrazione necessaria.
È possibile praticare per un certo periodo di tempo o per un determinato numero di ripetizioni, di solito si va dalle 108 alle 1008 aiutandoci con un rosario composto da perline chiamato mantra. Consigliato il libro "Mantras: Words of Power" che spiega la tecnica nel dettaglio con utili approfondimenti.

6) Meditazione Trascendentale. La meditazione trascendentale è una forma specifica che prende forma dal mantra. Introdotta da Maharishi Mahesh Yogi nel 1955 in India, si sporge per la prima volta in occidente verso la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70. Il fondatore è conosciuto per essere divenuto il punto di riferimento spirituale dei Beatles e di altri personaggi volti al mondo dello spettacolo. È una forma meditativa ampiamente conosciuta, con oltre 5 milioni di praticanti in tutto il globo. È così tanto nota che moltissimi ricercatori hanno condotto su questa disciplina parecchi studi ed esperimenti scientifici che ne accertano i benefici.  L’unico modo per imparare a praticarla è quello di seguire un corso e formarsi attraverso uno degli istruttori autorizzati a farlo. In generale, tuttavia, è noto che la pratica prevede l’utilizzo di un mantra e ogni sessioni dura circa 15-20 minuti per due volte al giorno. Si raccomanda di mantenere gli occhi chiusi per una maggiore sensazione di concentrazione.  Il mantra non è unico e uguale per tutti, ma viene fornito al praticante in base al suo genere di sesso e alla sua età. I suoni sono associati a nomi di divinità indù provenienti dal tantrismo.

7) Meditazione Yoga. Con questo termine si indicano i diversi tipi di meditazione insegnate nella tradizione yoga con l’obiettivo di raggiungere la più alta purificazione spirituale e conoscenza di sé. Per risalire ai suoi inizi bisogna tornare indietro fino al 1700 aC.
Nello yoga classico, le pratiche contemplative di meditazione  son chiamate pratyahara, dharana, samadhi.  Ci sono diversi tipi di meditazioni nello yoga:

  • Meditazione sul Terzo Occhio.  Con gli o cchi chiusi si focalizza l’attenzione sul posto che si trova “tra le sopracciglia” (chiamato, appunto, terzo occhio). La concentrazione deve essere costantemente indirizzata a questo punto come un mezzo per mettere a tacere la mente. Con il passare del tempo gli spazi tra i pensieri silenziosi diventano più ampi e profondi.Meditazione Chakra.  Qui ci concentriamo su uno dei sette chakra del corpo (centri di energia), in genere puntando sulla capacità di visualizzazione e cantando un mantra specifico per ogni singolo chakra.
  • Meditazione Visiva. Fissiamo lo sguardo su un oggetto esterno. In genere si utilizzano una candela, un’immagine o un simbolo. Viene praticata prima con gli occhi aperti e poi successivamente chiusi per allenare i poteri di concentrazione e di visualizzazione della mente. Dopo aver chiuso gli occhi si dovrebbe riuscire a mantenere viva l’immagine dell’oggetto all’interno del nostro “occhio della mente”.
  • Meditazione Kundalini. Si tratta di una pratica complessa che si pone l’obiettivo di risvegliare l’”energia kundalini” che si trova in sospeso sulla base della colonna vertebrale. Questa disciplina, se praticata da una persona inesperta, può diventare pericolosa.
  • Yoga Kriya. La meditazione consiste nel concentrarsi sull'energia, la respirazione. È una tecnica molto adatta per chi ha un temperamento devozionale e cerca gli aspetti più spirituali della meditazione.
  • Nada Yoga. E' detta anche “meditazione del suono”; il praticante focalizza tutta la sua attenzione solo sul senso dell’udito per rendere quieta e calma la mente. Con il tempo la pratica si evolve si impara ad ascoltare i suoni interni del corpo e della mente. L’obiettivo finale è quello di arrivare a percepire il suono ultimo, privo di vibrazioni, che si manifesta come “OM”.
  • Pranayama.  Non si tratta esattamente di meditazione, ma è una pratica eccellente per calmare la mente e prepararla alla meditazione. Consiste nel portare l'attenzione sul respiro, respirando in maniera ritmica e concentrarsi sulle pause tra inspiro ed espiro e tra espiro ed inspiro.  Si respira attraverso il naso e si lascia che sia l’addome (non il petto) a muoversi. Questo riequilibria le energie vitali e calma la mente e il corpo.

8) Meditazione sulla frase"Io sono". Si tratta della traduzione del termine sanscrito “Atma vichara”. Le due parole significano “indagare” e si riferiscono al concetto di andare alla ricerca della nostra vera natura per trovare la risposta della vita: io chi sono? Questa domanda ce la possiamo spesso durante la nostra vita: perché siamo qui? Chi siamo esattamente? Qual è lo scopo della nostra esistenza? A che cosa siamo destinati? Tali pensieri possono spingerci alla ricerca del nostro io interiore eprofondo. Praticare questa disciplina di meditazione permette di prendere una profonda conoscenza del nostro vero io, il nostro vero essere.
I riferimenti a tale pratica sono molto antichi. Dobbiamo camminare indietro nel tempo e visualizzare testi indiani piuttosto datati. Tuttavia, anche nel 20esimo secolo questo tipo di meditazione è piuttosto popolare ed estesa e viene proposta da un saggio indiano, Ramana Maharshi, vissuto tra la fine del 1800 e la metà de l 1900.Il movimento moderno che si fonda sulla “non-dualità” si è fortemente ispirato agli insegnamenti di questo grande saggio. In questa tecnica il senso di “Io sono” è il centro di tutto il nostro universo. È lì, proprio lì, in una forma o in un’altra. È nascosto nei nostri pensieri, all’interno delle emozioni che proviamo, nei nostri ricordi, in ciò che percepiamo. Eppure non riusciamo a percepirlo. Siamo abituati a confondere il chi siamo in realtà con il nostro corpo fisico, con la nostra mente, con i nostri ruoli e le nostre etichette.
Questa fondamentale domanda esistenziale proviene dall’interno di ognuno di noi. Cerchiamo di diventare un tutt’uno con questo "Sé", andiamo in profondità alla ricerca di noi stessi. Questo andrà quindi a rivelare il nostro vero io come pura coscienza al di là di qualsiasi limitazione.
Non si tratta neppure di assaporare nel profondo la nostra personalità, ma è una pura e soggettiva sensazione di esistenza, senza immagini e concetti a essa collegati.
Un secondo modo di spiegare questa particolare e forse non molto semplice tecnica è mettere a fuoco solo la mente sulla nostra sensazione e percezione di essere, l’”io sono” non verbale, quello che brilla all’interno di ognuno di noi. Tieniamolo dentro in modo che sia puro e non venga “sporcato” per mezzo di qualsiasi probabile associazione con l percezioni.
In ogni altro tipo di meditazione, l’io si concentra su un oggetto, interno o esterno, fisico o mentale. In questa, invece, si ci focalizza solo su se stessi, sul soggetto. L’attenzione viene rivolta verso la sua stessa fonte.    Un libro molto utile per capire questa meditazione è I Am That di Nisargadatta Maharaj, un classico della modernità spirituale che vi permetterà di avvicinarvi maggiormente e in maniera approfondita a questa meditazione.

9) Meditazione cinese (con riferimento al taoismo).  La caratteristica principale di questo tipo di meditazione è la generazione, la trasformazione e la circolazione dell’energia interiore. Si pone l’obiettivo di calmare il corpo e la mente, di rendere tutt’uno il fisico e lo spirito con lo scopo di trovare la pace interiore e l’armonia con il Tao. Alcuni stili di meditazione taoista sono in maniera specifica focalizzati sul miglioramento della salute generale spinta alla longevità.  Ci sono diversi tipi di meditazione taoista, ma le categorie principali si dividono in tre classi: interno, concentrazione e visualizzazione. Ecco qui di seguito una breve panoramica:

  • Meditazione Emptiness. Ci sediamo tranquilli e svuotiamo noi stessi di tutte le immagini mentali (pensieri, sentimenti, emozioni, ecc.) volte a dimenticare tutto, qualsiasi cosa, con il fine di sperimentare la quiete interiore e il vuoto. In questo stato si  alimenta lo spirito e la forza vitale e ciò consente ai pensieri e alle sensazioni di sorgere e tramontare autonomamente. 
  • Meditazione basata sul Respiro.  Il praticante si concentra sul soffio vitale fino a quando non diventa un’azione automatica. Si osserva il respiro  oppure si seguono alcuni schemi di espirazione e inspirazione in modo da diventare coscienti dei dinamismi del Cielo e della Terra, attraverso il respiro ascendente e discendente.
  • Meditazione Neiguan. Il suo nome significa “visione interiore” e si basa sulla visualizzazione dell’interno del proprio corpo e della mente, compresi gli organi, i movimenti e i processi derivati dal pensiero. È un processo laborioso atto alla conoscenza di se stessi con la saggezza della natura nel nostro corpo. 
In genere, questi tipo di meditazioni sono praticate seduti a gambe incrociate sul pavimento con la spina dorsale ritta. Gli occhi semichiusi e fissi sulla punta del naso. Uno dei maestri più famosi, Liu Sichuan, suggerisce che, anche se non è facile, si dovrebbe praticare “unendo il respiro e la mente insieme in un tutt’uno”. 

10) Meditazione cristiana. Nella tradizione cristiana, l’obiettivo di tali pratiche contemplative è la purificazione morale e una più profonda comprensione della Bibbia, oltre che a ricercare una intimità più stretta con Dio.  Le forme forme di pratiche contemplative cristiane più diffuse sono:

  • Preghiera Contemplativa. In genere comporta la ripetizione di parole o frasi sacri, dette in silenzio con particolare attenzione e devozione.
  • Lettura Contemplativa. O più comunemente detta “contemplazione”. Consiste nel pensare in maniera profonda agli insegnamenti e agli eventi situati all’interno della Bibbia.
  • Seduti con Dio. Si tratta di una pratica silenziosa, in genere preceduta dalle prime due forme di meditazione, nella quale dobbiamo concentrare tutta la nostra mente, il nostro cuore e la nostra anima nella presenza di Dio.

Dal  sito  https://meditazioneavanzata.com/come-meditare/

sabato 6 luglio 2024

La felicità

"Puoi avere difetti, essere ansioso e perfino essere arrabbiato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande impresa del mondo. Solo tu puoi impedirne il fallimento. Molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta, una strada senza incidenti, un lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni".

"Essere felici è smettere di sentirsi una vittima e diventare autore del proprio destino. È attraversare i deserti, ma essere in grado di trovare un'oasi nel profondo dell'anima. È ringraziare ogni mattina per il miracolo della vita. È baciare i tuoi figli, coccolare i tuoi genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche quando ci feriscono".

"Essere felici è lasciare vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice. È avere la maturità per poter dire: "Ho fatto degli errori". È avere il coraggio di dire "Mi dispiace". È avere la sensibilità di dire "Ho bisogno di te". È avere la capacità di dire "Ti amo". Possa la tua vita diventare un giardino di opportunità per la felicità ... che in primavera possa essere un amante della gioia ed in inverno un amante della saggezza.

"E quando commetti un errore, ricomincia da capo. Perché solo allora sarai innamorato della vita. Scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usa le lacrime per irrigare la tolleranza. Usa le tue sconfitte per addestrare la pazienza".

"Usa i tuoi errori con la serenità dello scultore. Usa il dolore per intonare il piacere. Usa gli ostacoli per aprire le finestre dell'intelligenza. Non mollare mai ... Soprattutto non mollare mai le persone che ti amano. Non rinunciare mai alla felicità, perché la vita è uno spettacolo incredibile.". 

domenica 30 giugno 2024

Rapporto Caritas sulla povertà: la povertà oggi è ai massimi storici

Rifacendosi ai dati Istat, il rapporto Caritas del 2024 ricorda come il 9,8% della popolazione italiana, un residente su dieci, viva oggi in uno stato di povertà assoluta. Complessivamente risultano in uno stato di povertà assoluta 5 milioni 752mila residenti, per un totale di oltre 2 milioni 234mila famiglie.  Circa il 12% delle famiglie in stato di povertà assoluta si rivolge alla Caritas.  Il dato relativo al quinquennio 2019-2023 è impietoso:+40,7%.

Le persone incontrate e supportate, con beni materiali e alloggi, dalla Caritas  sono state 269.689. In aumento del 5%, ma meno rispetto agli altri anni. Ed è uno dei pochi segnali positivi.  Un quarto è un lavoratore povero. Alla Caritas si rivolgono anche le mamme non italiane sole. Il 44% non è aiutata dai servizi sociali  Sono le famiglie con figli minori la maggioranza delle persone in fila ai servizi della Caritas. In particolare è allarme per le famiglie con figli nella fascia 0-3 anni dove più di un bambino su sette è povero in termini assoluti e i genitori non gli possono garantire cibo, vestiti, cure. Neppure i giocattoli.     https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2024/06/2024-Report-statistico.pdf


Il 35,4% delle mamme dichiara di dover rinunciare a prendersi cura della propria salute e quasi una famiglia su sette (15,2%) non accede al pediatra.  Circa i due terzi degli intervistati dichiarano di essere costretti a rinunciare a opportunità formative e di lavoro non potendo permettersi di lasciare i figli a nessuno, percentuale che sale al 69,5% per le donne.

Il rapporto segnala altre due priorità, i numeri in crescita di senza dimora e anziani fragili. Nel 2023 le persone senza dimora sostenute dalla rete delle Caritas diocesane e parrocchiali sono state 34.554, corrispondenti a un quinto dell’utenza complessiva (circa 170.000 senza dimora). Il valore risulta in crescita sia in termini assoluti che percentuali. Le persone in difficoltà abitano nelle regioni del Nord. sono in prevalenza uomini (71,6%) di cittadinanza straniera (69,9%), provenienti per lo più da Marocco, Tunisia, Romania, Pakistan e Perù con una età media di 44 anni. Quasi la metà si dichiara genitore e il 13% ha un lavoro. 

Nel 2023 le Caritas diocesane e parrocchiali hanno inoltre incontrato e supportato 35.875 anziani, pari al 13,4% dell’utenza complessiva.

I profili degli assistiti.  Complessivamente, spiega il Rapporto, cala l’incidenza delle persone straniere che si attesta al 57% . Per quanto riguarda il profilo di chi si rivolge all’associazione, “Chiedono aiuto donne (51,5%) e uomini (48,5%). L’età media si attesta a 47,2 anni. Le persone con domicilio rappresentano l’80,8%. Alta come di consueto l’incidenza delle persone con figli: due persone su tre (66,2%) dichiarano di essere genitori.  150.861 nuclei familiari con bambini e ragazzi sono in stato di grave e severa povertà.  Prevalgono le persone con licenza media inferiore che pesano per il 44,3%; se a loro si aggiungono i possessori della sola licenza elementare (16,1%) e la quota di chi risulta senza alcun titolo di studio o analfabeta (6,9%) si comprende come oltre i due terzi dell’utenza siano sbilanciati su livelli di istruzione bassi o molto bassi (67,3%)”.

“Un altro fattore che accomuna la gran parte degli assistiti è la fragilità occupazionale, che si esprime per lo più in condizioni di disoccupazione (48,1%) e di “lavoro povero” (23%). Non è solo dunque la mancanza di un lavoro che spinge a chiedere aiuto: di fatto quasi un beneficiario su quattro è un lavoratore povero“.   Il 78,8% delle persone manifesta uno stato di fragilità economica, legato a situazioni di “reddito insufficiente” o di ‘totale assenza di entrate. Tale condizione non stupisce se si guarda ai dati sugli Isee familiari degli assistiti: il valore medio si attesta pari a 4.315,80 euro“.

Oggi si è rotto l'ascensore sociale:  “Nascere e crescere in una famiglia povera – osserva Caritas – può essere infatti il preludio di un futuro e di una vita connotata nella sua interezza da stati di deprivazione e povertà, anche in virtù del nesso che esiste tra povertà economica e povertà educativa".

venerdì 28 giugno 2024

Bhoutan - Dans les pas de Matthieu Ricard

Il monaco buddista Matthieu Ricard torna alle sue radici in Bhutan, il paese dove è stato iniziato dai più grandi maestri. Una ricerca spirituale e una moltitudine di incontri sorprendenti in questo piccolo regno himalayano di sconcertante bellezza, non più completamente al sicuro dai pericoli della modernità.

https://www.arte.tv/fr/videos/111037-000-A/bhoutan-dans-les-pas-de-matthieu-ricard/

Non tornava in Bhutan da sette anni, un'eternità per lui. Questo piccolo regno segreto dell'Himalaya è stato una tappa fondamentale nella vita di Matthieu Ricard, monaco buddista dalla fine degli anni Sessanta e rinomato saggista, fotografo e pensatore. È in Bhutan che è stato iniziato per dieci anni, ricevendo gli insegnamenti più preziosi dal grande maestro Dilgo Khyentse Rinpoche. Dalla terra del Drago Tonante, incastonata tra i giganti della Cina e dell'India ma mai conquistata o annessa, impara a conoscere la cultura e la storia dei suoi abitanti, per non parlare dei suoi paesaggi mozzafiato. Un ritorno alle origini che non potrà che essere inesauribilmente ricco.

La grande festa annuale sugli altipiani, i monasteri fortificati nelle profondità delle montagne, le cerimonie delle monache dai capelli corti, gli stupa dalle cupole scintillanti... Seguire Matthieu Ricard significa avere accesso a eventi segreti nei luoghi più remoti: il suo status di monaco e il suo passato gli aprono le porte di luoghi e rituali normalmente inaccessibili ai turisti. Ma è anche la fiducia che ispira a tutti coloro che incontra che gli permette di portare avanti la sua instancabile attività di fotografo, le cui immagini luminose fanno conoscere al resto del mondo il popolo del Bhutan. Oltre alla sua ricerca spirituale sulle orme del suo grande maestro Rinpoche, il sempre attento viaggiatore settantasettenne è arrivato a dipingere il ritratto di un Paese in cui la modernità e la tecnologia cominciano a influenzare le tradizioni secolari. Viaggiando, Matthieu Ricard osserva i profondi cambiamenti in atto in questa terra, una delle poche al mondo con un'impronta di carbonio positiva, ma minacciata dal cambiamento climatico e dallo scioglimento dei ghiacciai. In Bhutan la natura e il buddismo sono stati finora preservati, ma il futuro appare incerto come altrove...

Molti luoghi descritti nel documentario li ho visitati durante il mio viaggio in Bhutan.   Vedi:            https://maramici.blogspot.com/2021/05/il-mio-viaggio-in-bhutan.html

La nonviolenza come scelta pratica e non solo etica

Intervista al prof di Filosofia Roberto Fantini sugli insegnamenti del monaco buddhista zen Thich Nhat Hanh -     di Giulia Bertotto.

“Thich Nhat Hahn. Un sentiero tra le stelle” (Edizioni Efesto 2024), questo il titolo del luminoso libro dedicato al monaco buddhista vietnamita, scritto da Roberto Fantini, insegnante di filosofia e attivista volontario di Amnesty International e Cesare Maramici, una lunga esperienza nello yoga e tanti anni di volontariato in Ostia per l’Africa e nella Croce Rossa.

Roberto Fantini:  Il lascito di questo maestro è prezioso, secondo gli autori, perché ha saputo divulgare senza banalizzare i principi dell’antica sapienza buddhista, sviluppando i suoi Cinque Addestramenti alla Consapevolezza derivati dai quattro insegnamenti del Buddha sulle Quattro Nobili verità e sul Nobile Ottuplice Sentiero. Al fulcro del suo insegnamento c’è l’arte di vivere consapevolmente. Non mangiare senza assaporare (per poi diventare ingordi), non consumare la sessualità senza creare un legame, camminare cercando di percepire il terreno e non solo calpestandolo, ascoltare disponendosi davvero a intendere la comunicazione dell’interlocutore, rispettare profondamente ogni forma di vita astenendosi da ogni tipo di violenza, sentire il più possibile ogni momento in uno stato di contemplazione dell’esistente. Solo questo modo di vivere può renderci attenti alle nostre emozioni, capaci di riconoscerle, e così di trasformarle; ma se non pratichiamo questo modo di essere presenti a noi stessi verremo inghiottiti dal rancore e gonfiati dalla presunzione, non potremo mai aspirare ad un’armonia in coppia, in famiglia e nel mondo.
Giulia Bertotto.:  Quindi, tutto bene così? Niente affatto, rivolgeremo ad uno dei due autori poche domande, ma dure e spinose.        

L’intervista a Roberto Fantini.

Giulia Bertotto: Sicuramente, il tema della “consapevolezza” occupa un posto di centrale rilievo all’interno del pensiero di Thich Nhat Hanh. Cosa si intende, esattamente, per “Addestramenti alla consapevolezza”?

Roberto Fantini: Secondo Thich Nhat Hanh, i Cinque Addestramenti alla Consapevolezza, da lui formulati sulla base degli insegnamenti fondamentali del Buddhismo, “possono aiutarci a praticare la consapevolezza in ogni momento della giornata: a proteggere la vita e a praticare la vera felicità, il vero amore, l’ascolto profondo, la parola amorosa e il consumo consapevole.”
Essi ci vengono proposti come punti di riferimento di quella che potremmo considerare una sorta di Etica universale, svincolata da credi confessionali e da ideologie dogmatiche, capace di rinnovare in maniera aperta e costruttiva l’esistenza di chiunque desideri una vita ricca di felicità ed armonia.   Eccoli, in estrema sintesi:

  •     Rispetto per la vita: rifiuto di tutto ciò che può produrre sofferenza; coltivare l’apertura, la non discriminazione, il non attaccamento; rifiuto coerente di violenza e fanatismo.
  •     Vera felicità: praticare la generosità nel pensare, nel parlare e nell’agire; impegno a cercare di ridurre la sofferenza di tutti gli esseri viventi.
  •     Vero amore: impegno a coltivare il senso di responsabilità nell’ambito dei rapporti sentimentali e della propria vita sessuale, praticando i quattro elementi del vero amore (gentilezza amorevole, compassione, gioia e inclusività).
  •     Parola amorevole e ascolto profondo: impegno a parlare in modo veritiero, utilizzando parole che ispirino fiducia, gioia e speranza e ad evitare parole che possano favorire discordia.
  •     Nutrimento e guarigione: coltivare la salute sia fisica che mentale, evitare un consumo disattento e orientando le proprie scelte di consumatore nell’ottica dell’“inter-essere”, cercando di favorire il benessere del corpo e della coscienza, sia a livello individuale che collettivo

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura etica.  A pag 28, citate palestinesi e israeliani a proposito dei luoghi di ritiro fondati dal nostro monaco: pochi giorni fa, nel mezzo di un genocidio in corso, dopo 75 anni di prigionia a cielo aperto, l’esercito israeliano ha massacrato civili palestinesi e bruciato donne e bambini in una tendopoli. Alcuni obiettano che la filosofia della non violenza è per privilegiati, adatta per coloro che non vivono in prima persona l’oppressione fisica e psicologica. Si può proporre la non violenza ma non si può biasimare la resistenza armata. Cosa ne pensi?

Roberto Fantini:  Un errore che spesso viene compiuto, anche in sincera buona fede, è quello di ritenere che la via della nonviolenza rappresenti qualcosa di poco efficace e di poco realistico, qualcosa di sicuramente molto nobile, ma scarsamente applicabile in un mondo dove dominano in maniera spietata la forza, e la più disumana “volontà di (pre-)potenza”. La scelta nonviolenta è senza alcun dubbio una scelta ardua, che implica un impegno serissimo quanto radicale mirante ad una vera e propria rivoluzione teoretica ed etica, prima ancora che strategica.  Thich Nhat Hanh è arrivato ad abbracciarla, come unica alternativa possibile alla perversa concatenazione (perennemente autoalimentantesi) della violenza, dopo aver sperimentato in prima persona, nel corso degli anni ’60, gli orrori della guerra nel suo Vietnam.  Alla base di ciò possiamo certamente intravedere il concetto filosofico del karma e il valore supremo dell’etica buddhista rappresentato dalla compassione, ma, soprattutto, la consapevolezza estremamente realistica della necessità di creare un argine efficace alla tirannia dilagante della politica delle bombe, dei massacri e dei fiumi di sangue.
Insomma, certamente una via lunga e difficile che richiede pazienza, perseveranza, autocontrollo ed un’enorme dose di coraggio.

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura esistenziale. Una delle grandi imprese teoriche e pratiche di Hanh è stata conciliare l’impegno sociale ed etico con la meditazione e l’ascesi. In un certo senso questo potrebbe risultare contraddittorio, poiché il buddhismo insegna a estinguere il desiderio, a non avere più alcuna volontà, educa alla necessità dell’annullamento dell’io e quindi del distacco da ogni causa terrena, anche la più giusta. Non si tratta di valutare il percorso del nostro monaco, ma di un dilemma esistenziale: si può conciliare azione nel mondo e tentativo di slegarsi da esso?

Roberto Fantini: Credo che il nostro maestro zen risponderebbe che il Sutra dei Quattro Fondamenti della Consapevolezza (Satipatthana Sutta), uno dei testi fondamentali della meditazione buddhista, ci esorta a praticare la consapevolezza in ogni momento e in ogni situazione e che, sulla base di questo insegnamento, il “buddhismo impegnato” nato nel corso degli anni Sessanta ha sospinto monaci e monache a soccorrere i rifugiati, i feriti e gli orfani. Questo nella convinzione che, di fronte alle tragedie della storia, un monaco non può certo starsene rinchiuso a meditare, preoccupandosi esclusivamente della propria liberazione dai legami terreni. Il cuore della meditazione buddhista è rappresentato dalla consapevolezza, ovvero dalla energia mentale che ci aiuta a comprendere cosa accade nell’attimo presente. E se, nell’attimo presente, è in atto un’opera di distruzione di vite umane, il compito del monaco è quello di stare dalla parte di chi soffre, accanto a chi soffre per portare aiuto, sollievo e conforto. Il vero messaggio buddhista, secondo TNH (e anche secondo il sottoscritto), non è certo quello della fuga solitaria dal mondo delle vuote apparenze, ma è, prima di ogni altra cosa, un messaggio di compassione, intesa non semplicemente come stato d’animo benevolente, ma come sorgente luminosa a cui attingere per contrastare tutto ciò che genera dolore, e per proteggere le persone, ma anche gli animali e le piante.

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura metafisica.  L’odio è il motore della storia, scriveva il filosofo rumeno Cioran: “è l’odio a far andare le cose avanti quaggiù, a impedire che la storia resti a corto di fiato. Sopprimere l’odio significa privarsi di eventi. Odio ed evento sono sinonimi. Dove c’è l’odio succede qualcosa. La bontà, al contrario, è statica; conserva, arresta, frena ogni dinamismo. La bontà non è complice del tempo; mentre l’odio ne è l’essenza”, molti mistici e filosofi (Empedocle, san Paolo, Freud), che ci piaccia o meno, potrebbero mettere la loro firma su queste affermazioni, che sono di natura ontologica e non morale. Nell’ Eterno vi è infatti solo unità e non il principio della divisione, della dualità, della dialettica, il quale è ontologicamente necessario perché si manifesti l’esistenza. Il male dunque non può essere estinto senza nullificare il mondo e il tempo.

Roberto Fantini: Con tutto il rispetto per la sottile intelligenza di Cioran, non ho alcuna difficoltà ad auspicare un mondo liberato dall’odio, anche se questo dovesse veramente (cosa alquanto improbabile) implicare di dover rinunciare ai cosiddetti “eventi” e rendere “corto” il fiato della storia. Discorsi come il suo mi ricordano un certo nefasto giustificazionismo di matrice hegeliana e un certo interventismo bellicista di primo Novecento. Tesi che hanno partorito, direttamente o indirettamente, fanatismi deliranti dalle conseguenze immensamente dolorose.
Con Thich Nhat Hanh e con gli altri grandi maestri della nonviolenza, da Gandhi a Capitini, tenderei a mettere da parte discorsi di carattere metafisico e, in maniera estremamente pragmatica, mi limiterei a dire che, se è pur innegabile che in noi convivano forze di natura opposta, starà sempre e soltanto a noi decidere come schierarci, con chi allearci, cosa rafforzare, cosa alimentare e cosa no. Il nostro monaco buddhista ci dice che dentro di noi ci sono tanti semi di diversa natura e che è nostro irrinunciabile compito saper discernere quali meritino di essere innaffiati con cura, in modo da poter crescere, germogliare e fruttificare.
“Praticando uno stile di vita consapevole, – dice – sappiamo come innaffiare i semi della gioia e trasformare i semi della sofferenza: a quel punto la comprensione e la gentilezza amorevole possono fiorire in noi.”
Insomma, il male sarà forse impossibile da espellere dal nostro mondo, ma certamente possiamo fare molto per contenerlo ed impedirgli di continuare a seminare odio e conflitto nelle nostre esistenze.

mercoledì 26 giugno 2024

Julian Assange è libero, non è chiaro quanto lo sia il giornalismo

La liberazione del fondatore di WikiLeaks è una vittoria per la libertà di informazione, ormai quasi insperata. Il caso legale che lo ha visto protagonista, però, non sarebbe mai dovuto esistere.

Lunedì 24 giugno 2024,  Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks ha visto per la prima volta la libertà dopo oltre un decennio, trascorso prima in detenzione arbitraria – definizione delle Nazioni Unite – nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dal 2012 e, poi, da detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (vicino Londra) dal 2019. 

In tutto questo tempo, e a partire dal 2010, Assange è stato indagato e poi accusato di spionaggio dagli Stati Uniti (sotto le presidenze di Obama, Trump  e Biden) per le pubblicazioni di WikiLeaks avvenute nel medesimo anno, quelle relavite alle guerre in Afghanistan e in Iraq.  Sono stati rivelati crimini di guerra, come l’assassinio di giornalisti a Baghdad e di decine di persone in un bombardamento. In quel contesto, WikiLeaks pubblicò oltre 700mila documenti riservati provenienti dagli archivi dell’esercito e dell’intelligence Usa, forniti da Chelsea Manning. 

Julian Assange trova finalmente la libertà grazie a un patteggiamento che lo vedrà dichiararsi colpevole di un capo di accusa sui 18 che gli erano stati imputati ai sensi dell’Espionage Act. Assange non andrà in carcere per via dei cinque anni che ha trascorso in carcere nel Regno Unito che saranno considerati come periodo di pena.  Dall'isola di Saipan (territorio Usa nell’Oceano Pacifico) il 26 giugno si dichiarerà colpevole, e poi volerà poi nella sua nativa Australia, dove dovrebbe rimanere insieme alla famiglia. 

Chiunque abbia a cuore la libertà di stampa non può che festeggiare, soprattutto perché oggi viene sancita la fine di un’odissea legale e politica che ha visto un giornalista passare cinque anni in un carcere di una capitale europea per aver compiuto degli atti di giornalismo e pubblicato notizie. Mentre gli autori dei crimini narrati, sembrerebbe che non sono stati nemmeno messi sotto accusa. 

martedì 25 giugno 2024

Thomas Merton - Mistici e maestri zen

Thomas Merton (1915-1968)  è stato uno scrittore e monaco cristiano statunitense dell'ordine dei Trappisti, autore di oltre sessanta tra saggi e opere in poesia e in prosa dedicati soprattutto ai temi dell'ecumenismo, del dialogo interreligioso, della pace.  Vedi: https://www.thomasmerton.eu/thomas-merton/         

 In questo testo Mistici e maestri zen,  Thomas Merton presenta il buddhismo e in particolare si sofferma sullo zen.  Il concetto di Bhudda-natura è al centro di tutti gli esseri.

L'Occidente attribuisce al buddhismo l'etichetta di panteismo e nirvana,  e l'idea che la meditazione zen sia un riposo nell'assenza individuale che sopprime tutti i bisogni e interessi nella realtà esterna e storica.

La parola  zen deriva dal cinese ch'an che designa un certo tipo di meditazione, ma lo zen non è un metodo di meditazione, nè una pratica spirituale.  E' un'esperienza, e una vita,  non è una religione, non è una filosofia, non è un sistema di pensiero, né una dottrina, nè un'ascesi.   Daisetz Suzuki ha ripetuto più volte che lo zen non è un misticismo.  Lo Zen ha avversione per ogni forma di dualismo tra materia e spirito, lo zen è volto a un'illuminazione derivante dal superamento di tutte le relazioni e opposizioni soggetto-oggetto in un vuoto puro. Non è una visione di Buddha  o un'esperienza  di una relazione con un Essere supremo considerato oggetto della conoscenza e percezione.  Lo Zen non afferma, nè nega, semplicemente è. Si può dire che sia un'ontologica conoscenza dell'essere puro oltre il soggetto e l'oggetto, un'immediata intuizione dell'essere così com'è.  I maestri zen arrivano a dire "se incontri Buddha uccidilo" ,  e rifiutano di rispondere a domande speculative e metafisiche.  Lo Zen non è un sistema di monitoraggio panteistico, e rifiuta qualsiasi affermazione sulla struttura metafisica dell'essere e sull'esistenza, mirando direttamente all'essere.

Lo zen  è la lenta combinazione del buddhismo Mahayana e del taoismo, e poi portato in Giappone e perfezionato.  Sono le strofe attribuite al mitico Bodhidarma ( sesto secolo d.C.) a definire lo zen: "Una speciale tradizione fuori delle scritture (sutra) con nessuna dipendenza da parole e lettere, occorre mirare direttamente all'anima dell'uomo, vedere dentro la propria natura e così raggiungere la condizione di Buddha".  Lo Zen insiste sulla pratica concreta più che su studio e riflessione intellettuale.    Nello zen si giunge all'essere mente anziché avere la mente. L'insistenza zen è la consapevolezza di una piena realtà spirituale e la realizzazione della vacuità di tutte le realtà limitate o particolareggiate, la mia identità non deve essere ricercata dalla separazione, ma dall'unione con tutto ciò che è.  Non è una negazione ma la più alta affermazione dell'identità, nell'uno e con l'Uno.

Il momento più critico per la storia dello zen cinese è la rottura tra la scuola settentrionale e quella meridionale (settimo secolo), nella scelta del sesto patriarca Hui Neng.       

Shen Hsiu (scuola settentrionale - Soto), uno degli aspiranti al ruolo di patriarca scrisse: "il corpo è l'albero della bodhi, la mente è simile a un limpido specchio diritto, abbi cura di spolverarlo continuamente, fa che nessun grano di polvere vi si posi".

Hui Neng (scuola meridionale - Rinzai) scrisse: "il bodhi non è simile a un albero, il limpido specchio in nessun posto è dritto, fondamentalmente nessuna cosa esiste: dov'è dunque il grano di polvere che deve posarsi?"

Suzuki spiega che quando i sutra affermano che tutte le cose sono vuote, inesistenti e fuori dalla casualità, questa affermazione non è il risultato di un ragionamento metafisico, ma esprime l'esperienza buddhista più profonda. Lo Zen di Hui Neng non è una tecnica di ontroversione, con la quale si cerca di escludere il mondo esterno, eliminare i pensieri inquietanti, stare seduti in meditazione. Lo Zen non è misticismo composto da introversione e rinuncia. Per Hui Neng l'illuminazione sarebbe giunta all'improvviso da sé, tenendo in poco conto la pratica dello zazen (la pratica meditativa), in quanto tutta la vita era zen.  Non c'è nessun raggiungimento, e quindi affannarsi a cercare una "via" al raggiungimento è pura illusione. Non si raggiunge lo zen con la meditazione che spolvera lo specchio, ma con l'oblio di sé nel presente esistenziale della vita qui e ora.

Oggi noi ci tormentiamo con l'eredità di quella autoconsapevolezza cartesiana secondo la quale l'io empirico è il punto di partenza di un progresso intellettuale infallibile verso la verità e lo spirito, sempre più raffinato, astratto e immateriale.

Nello zen ci trasformiamo nella luce (prajna), "diventiamo" quella luce che di fatto "siamo". La relazione soggetto-oggetto che esiste nell'io empirico è soppressa nel vuoto, che però non è negazione. Nella realizzazione il vuoto non può essere opposto al pieno, ma vuoto e pieno sono Uno, Zero equivale all'infinito. Il vuoto di tutte le forme limitate è la pienezza dell'Uno. 

Quando non vi è un dimorare del pensiero in nessun luogo e su nessuna cosa, questo è essere liberi, il non dimorare in nessun luogo è la radice della vita. Un maestro zen ha detto:  " vedere dove non c'è qualcosa, questo è il vero vedere, questo è l'eterno vedere".  La contemplazione del vuoto ha delle affinità ben precise con note testimonianze di mistica cristiana.

Sempre secondo lo zen: "Dal principio nessuna cosa è. È nulla è questo nulla che c'è, è sunyata, vuoto, non-mente, la non oggettiva presenza del non-vedere".

Il vescovo cattolico e missionario francese Padre Domoulin (1808-1838) ci offre una bella immagine del maestro giapponese zen Dogen (tredicesimo secolo) la cui illuminazione avvenne in un austero monastero zen dove si praticava meditazione, dotato di alto spirito etico, praticava un ascetismo gioioso, e meditava sulla transitorie delle cose terrene. Tra i buddhisti la sua dottrina è chiamata la religione del solo zazen ed è considerata un ritorno alla pura tradizione di Buddha. 

Comunque Dogen si avvicina a Hui Neng quando insegna ai monaci zen di non desiderare nessuna speciale esperienza di illuminazione durante lo zazen, in quanto l'illuminazione è già presente nello stesso zazen; Lo zazen contiene in sè le sostanze e la realtà dell'illuminazione ( qui si discosta da Hui Neng). Dogen fa riferimento alla scuola Soto, segue le linee tracciate da Shen Hsiu: ponendo l'enfasi su meditazione, ascetismo e metodo. 

La scuola Rinzai segue le linee di Hui Neng che non esclude la meditazione ma la considera in modo diverso: invece di svuotare la mente dai concetti sedendo quietamente, cerca di immergere il discepolo zen nel satori, in una intuizione metafisica dell'essere col non-vedere e il vuoto, lottando col koan. Non-vedere e non-mente non sono rinunce ma realizzazioni. Il vedere senza soggetto e oggetto è un vedere puro, la mente che è vacuità, vuoto e sunyata è la mente prajna (conoscenza  e contemplazione), il fondo metafisico dell'essere. 

Padre Dumoulin vedeva un vero misticismo nei maestri zen come Dongen, mentre non era ispirato dalla tradizione Rinzai con i koan, con le loro risposte violente e irriverenti del maestro (come bruciare la statua di Buddha per scaldarsi in una notte d'inverno).

Hui Neng quando parla di non-vedere, e di non-mente, non definisce uno stato psicologico, ma un'intuizione metafisica del fondo dell'essere, una autoconsapevolezza dell'essere vuoto che è il prajna mente. Il vuoto è inteso come termine metafisico che designa il vuoto dell'essere puro. Questo vuoto è infinito. Suzuki dice che per lo zen zero, è uguale a infinito. Il vuoto infinito è dunque la totalità e la pienezza infinita. 

Per la scuola meridionale  non si può fare di una regola uno specchio, anche pulendo a fondo, così non si può diventare un Buddha stando seduti in meditazione.  Non esiste Essere che non sia Vedente che è a sua volta Agente, questi tre termini sono sinonimi e intercambiabili. Questa struttura trinitaria suggerisce  una esperienza del fondo dell'essere come vuoto puro (sunyata)  che è luce (prajna) che illumina ogni cosa e atto puro  perchè e pienezza e totalità ( di essere-vuoto senza limitazione di sorta). Il fondo-Essere non si distingue da sé stesso come Luce e come Atto.  Per Daisetz Suzuki che è il più importante interprete della tradizione Rinzai "la cosa più importante di tutte è l'amore", l'adempimento nell'amore che non ci si aspetterebbe di trovare in Hui Neng. 

Lo zen Rinzai e tutt'altro che una mistica di passività e di rinuncia. Non è un calarsi nella propria interiorità, e rinuncia, ma una completa liberazione dalla schiavitù di un interno limitato e soggettivo.  L'obiettivo di Hui Neng è la diretta consapevolezza nella quale si forma la verità che ci rende liberi, non la verità come oggetto di sola conoscenza, ma quella vissuta è sperimentata in consapevolezza concreta ed esistenziale. Per questa ragione le attività e gli interessi esteriori non devono essere considerati ostacoli, al contrario lo zen si manifesta in essi come in ogni altra cosa, compreso il mangiare, il dormire e le più umili funzioni materiali.

Forse Hui Neng non fu il vero autore del testo Scrittura programmata, il manifesto ufficiale della scuola meridionale. È l'unico testo buddhista cinese che si sia affermato come scrittura nel senso dei sutra. Ma non fu mai proposto dai maestri zen ai loro discepoli, in quanto lo zen è un'esperienza che deve essere trasmessa senza i sutra. Comunque nel testo è contenuta la definizione di illuminazione come la intendeva Hui Neng che veniva raggiunta all'improvviso quindi non per gradi e non come risultato di una meditazione o altra disciplina.

Le grandi tradizioni cinesi - Thomas Merton

Thomas Merton (1915-1968)  monaco trappista e poeta, tra il 1944 e il 1968 scrisse qualcosa come cinquanta libri, senza includere le lettere, i diari e i saggi che sono stati pubblicati postumi. E' stato un pensatore che ha fatto scuola nei tre ambiti tematici religiosi più importanti dell’ultima metà del XX secolo: ecumenismo, giustizia sociale e spiritualità contemplativa.    

In Cina ci sono tre grandi tradizioni: confucianesimo, taoismo e buddhismo. Il buddhismo cinese è un amalgama del buddhismo mahayana dell'India e taoismo; portava un grande messaggio di speranza, ma è arrivato tardi e non ha influenzato molto il pensiero cinese.  La scuola più importante in Cina è la scuola Ju fondata da Kung Tzu che i primi missionari chiamarono Confucio. Il discepolo più conosciuto è Meng Tzu conosciuto in Occidente come Mencio.  Il padre del taoismo è stato il mistico Lao Tzu, e la sua affascinante opera, il Tao Te Ching (la via e il suo potere) è stato il classico cinese più tradotto.  Meng Tzu e Lao Tsu vissero entrambi nel sesto secolo A.C. e sono contemporanei di Gautama Buddha.     

Lao Tzu condivideva con Kung Tzu la venerazione del passato e del mondo arcaico, riteneva artificiale ogni sistematizzazione e ordine sociale. Per lui il governo, la politica, gli stessi sistemi etici per quanto buoni potessero essere rappresentavano un pervertimento della naturale semplicità dell'uomo. Rendevano l'uomo competitivo, egoista e aggressivo e portavano a idee illusorie da cui nascevano odi, scismi, guerre e la distruzione della società. L'ideale per il taoismo sono le piccole comunità primitive formate da villaggi, abitati da  uomini semplici, disinteressati in perfetta armonia con il segreto, ineffabile Tao. Il risultato dell'anarchia implicità aveva ben poco da offrire agli uomini che desideravano cambiare e migliorare la vita in società.  

Il fondamento della scuola Ju ossia del confucianesimo è la persona umana e le sue relazioni con le altre persone nella società. Lo Ju è una dottrina umanista, personalista, etica e universale.  Anche i comunisti si richiamano a volte allo Ju sulla formazione della persona e il suo posto in società.  La saggezza di Confucio non risiede tanto nella sua conoscenza della natura umana quanto nella fede nell'uomo. Mincio il suo discepolo immortalò questo concetto nella parabola della montagna Ox:  "questa montagna un tempo era fitta di boschi, vicino a un villaggio, gli uomini tagliato o gli alberi, e quando i germoglio ripresero a crescere portano le greggi. Nessuno credeva che lamontagna fosse stata un tempo così boscosa. Così avviene nell'uomo: è naturalmente incline alla virtù, ma le sue azioni, in una società ingorda e avida, distruggono ogni prova della sua innata bontà così che egli appare naturalmente cattivo".

I confuciani credevano che una società governata da un principe giusto avrebbe riportato alla luce la bontà nascosta dei sudditi. Questa società doveva essere unita da un ordine sociale che trovava forza nei riti liturgici, il Li, che oltre il culto del cielo sono anche l'espressione di quelle relazioni affettive e dell'armonia che legano gli esseri umani. Kung Tzu credeva che gli uomini potessero essere buoni, in una società etica, che rispettasse le loro virtù nascoste; Lo Ju era una specie di umanitarismo con un sacro senso della volontà del cielo che doveva riflettersi nella società umana.  

Se uno doveva essere saggio per vivere secondo il taoismo, doveva essere anche un uomo di profonda umiltà, interiorità e pazienza per soddisfare i principi del confucianesimo.  I taoista hanno meno interesse per l'uomo che per il Tao e diffidano di ogni forma di educazione. Credono che il Tao nascosto possa manifestarsi e realizzare l'intimo e imperscrutabile significato nell'uomo se questo lasciasse tranquillo se stesso e la sua natura. Quindi i mistici predicava un ritorno alle radici e il rispetto della natura al suo stato primitivo. Il taoismo non è non-azione totale, ma piuttosto non-attivismo. 

In contrasto con Meng Tzu erano Mo Tzu e la scuola legalista che sostenevano che l'uomo è fondamentalmente cattivo e doveva essere obbligato a uniformare la sua condotta a un astratto amore universale con la forza della legge, obbedire a un potere arbitrario con la minaccia di punizioni. Il fondatore del legalità fu Hsun Tzu nel terzo secolo avanti Cristo

I legalisti si servivano della cupidigia dell'uomo, dei suoi interessi egoistici, per volgersi ai loro fini politici, al potere (shih). I riti, la saggezza, il sentimento umanitario dello Ju non servono a niente. La legge rimpiazza tutto, inclusa la morale, la religione e la coscienza. Contemplano la minaccia della punizione severa, e l'unica norma è il volere arbitrario del sovrano. Lo scopo del legalismo è rendere lo Stato così potente da eliminare tutti i nemici e allora così ci sarà la pace.  E a poco a poco i legalisti cominciarono ad abolire il confucianesimo, proposero lo sterminio di tutti gli studiosi, di incendiare tutte le biblioteche e così molti libri antichi andarono distrutti. I seguaci della scuola Ju giustiziati.

Fortunatamente la scuola confuciana rinacque sotto la dinastia Han ( secondo secolo a.C.). La filosofia continuò ad essere la forza più vitale della Cina. Per secoli, l'istruzione degli studenti cinesi ebbe come base, legalmente e ufficialmente, lo studio dei quattro classici confuciani: Dissertazioni, la Grande scienza, la Dottrina di mezzo, insieme al libro di Meng Tzu. Per capire la Cina e indispensabile leggere questi quattro libri.  

La base della filosofia di Kung è la legge naturale, il Tao stesso, ma il Tao etico, la via dell'uomo, più che il Tao metafisico o l'imperscrutabile via di Dio.  I taoisti sono interessati alla metafisica i confuciani all'etica Tao.  Questo concetto è spesso confuso, solo nella Dottrina di mezzo è ben evidenziata questa differenza. Il punto di partenza del confucianesimo è che esiste una realtà trascendente e oggettiva chiamata cielo, e ci sono altre realtà, quelle mutevoli e contingenti della terra e dell'uomo  che possono essere in ordine o disordine, sono in ordine quando sono in armonia col cielo, che è la realtà finale. La filosofia di Kung è una sapienza, non una dottrina, ma un modo di vita impregnato di verità. I riti o il Li erano l'espressione visibile della realtà nascosta dell'universo, della sapienza divina  nelle cose umane e nell'ordine sociale. Partecipando ai riti l'uomo acquista coscienza, matura, si trasforma e con lui la società.

La grande Scienza riporta che il giusto agire dipende dalla coscienza della persona che agisce, dalla verità interiore.  Si può raggiungere l'illuminazione con l'azione intelligente. L'etica confuciana è il frutto della coscienza spirituale e del lavoro. Occorre portare l'inconscio e l'oscuro nel fuoco della chiarezza con azione giusta al momento giusto, con consapevezza ispirata ai principi etici e sacri, e sapere cosa si deve fare. Splendido concetto e civile di azione etica. La grande Scienza è la chiave del pensiero classico cinese, in Cina la legge della natura non fu un'astrazione filosofica ma una forza viva che ebbe un richiamo religioso nel cuore e nella coscienza del popolo.  Il punto di partenza dell'educazione confuciana è dunque di coltivare la persona e formare una classe dirigente di discepoli umani e illuminati. Il saggio deve portare la sua saggezza ad agire in armonia con gli atti saggi di coloro che vivono intorno a lui.

Tra i classici cinesi oltre al famoso Tao Te Ching troviamo il Hsiao Ching, che è il classico dell'amore filiale, che rappresenta un testo confuciano di taoismo. Per i confuciani l'amore filiale era la radice principale che penetrava più profondamente nel mistero del Tao etico. "Ching" in Cina è tradotto con "classico" quindi i Ching sono testi autorevoli, perchè ha origine da un'autorità più alta dell'uomo. Il Tao The Ching ditingue un Tao noto da un Tao ignoto e innominato, e ci autorizza a cercare qualcosa che corrisponda alla nostra nozione di Dio al di sopra e al di là del cosmo.  La saggezza del Tao Te Ching conduce allo zen, che è una trasmissione senza nessun Ching che passa inesplicabilmente da maestro a discepolo senza parole ma attraverso koan.

Che cosa è il Tao?  i saggi rispondevano "Non lo so. E' la forma senza forma, l'immagine senza immagine". Il Wu wei è un'espressione tecnica taoista e zen, non è un principio attivo, è l'attività suprema, perchè agisce in stato di riposo, agisce senza sforzo. Il mondo è un vaso sacro che non si deve manomettere, nè cercare di afferrare. Nel capitolo 67esimo del Tao Te Ching ci sono delle affinità col cristianesimo: nel Tao si trovano tre tesori: carità, frugalità, e non voler essere primo nel mondo. Poichè io sono misericordioso, io posso essere bravo... perchè il cielo verrà a salvare i misericordiosi e a proteggerli con la sua misericordia.  "Se uno rinuncia all'amore e al coraggio, rinuncia al controllo e alla riserva di energia, rinuncia a rimanere indietro e si spinge avanti, è un uomo perduto!"

Il testo Hsiao Ching parla della pietà filiale e del fatto che noi siamo accolti come un dono dai nostri genitori, e dobbiamo nutrire la più grande gratitudine verso di loro. Quando i nostri genitori sono vecchi dobbiamo ritornare da loro per assiterli amorevolmente. L'imperatore è al vertice, tutti dipendono da lui, ed egli dovrebbe idealmente essere capace dell'amore più vasto e  illimitato. Non esiste una subordinazione cieca agli anziani, al contrario bisogna correggere il padre quando sbaglia e il ministro deve correggere il principe quando erra.

Buddhsimo Zen.  I monaci zen sono noti per la semplicità e austerità della loro vita, per il lavoro manuale, l'estrema severità nella vita in comune. Il monastero zen ha una sala di meditazione chiamata zendo, il monaco zen non rimane vincolato ad una comunità, ed è libero di andare in un altro monastero. Con la formazione sarà in grado di raggiungere una maturità e libertà spirtuale e potrà proseguire da solo il cammino verso l'illuminazione mediante la pratica dei precetti (sila) , della meditazione (dhyana), e della saggezza (prajna).  Il Buddha  disse al suo discepolo Ananda "Non rifugiarti in niente che sia fuori di te, tieni ferma la verità come una lampada e un rifugio, e non cercare rifugio in qualcosa fuori di te". Occorre essere sempre attivo, padrone di sè e di animo pacato (corrisponde all'ascetismo individualista Theravada ed è un concetto molto lontano dalla fiducia cristiana nella "grazia". Lo zen non fa affidamento all'autorità delle scritture (sutra), nè si affida a regole o metodi.   Nel buddhismo mahayana ci sono esempi di fede profonda nel Buddha come nell'amidismo (buddhsimo della terra Pura).

Bodhidharma (VI secolo dopo Cristo) riassume il programma zen in questo modo: "Una speciale tradizione fuori dalle scritture, nessuna dipendenza da parole e lettere, mirare direttamente all'anima dell'uomo, vedere dentro la propria natura e così raggiungere la condizione di Buddha".

I monaci zen sono accusati di essere Non intellettuali, preferivano l'esperienza diretta alla conoscenza astratta e teorica acquistata leggendo e studiando, ma non negarono mai che la lettura e lo studio al momento opportuno, potessero contribuire a rendere più valido l'addestramento spirituale. I maestri zen evitano accuratamente che i discepoli si attacchino agli insegnamenti di Buddha, per questo molte frasi di maestri sembrano assurdità. spesso erano volutamente privi di senso da un punto di vista logico. Nello zen si pratica un non attaccamento, la via della vacuità, mancanza di oggetto e la non-mente. Hui Neng disse: "se hai nel cuore la nozione di purezza e ti attacchi ad essa, converti la purezza in falsità". 

La vera illuminazione si trova nell'azione, lo zen è una piena consapevolezza del dinamismo e della spontaneità della vita.  Lo zen richiede un'attenzione totale, rivolta alla vita nella sua realtà concreta, esistenziale, qui e ora. La mente ordinaria di ognuno di noi è il Tao.   Bisogna evitare l'illusione di trovare la via nei sutra e nei testi, ma anche l'illusione di trovarla stando seduti in quieta meditaazione.  

L'ordinaria esperienza della vita quotidiana è il luogo dove cercare l'illuminazione. Il mistico zen cerca di sbarazzarsi di quell'io e di tutte le sue attività al fine di scoprire la spontaneità profonda che viene dal fondo dell'Essere (dall'io originale, dalla mente Buddha o prajna,  in termini cinesi dal Tao)  per diventare una lampada per sè bisogna sbarazzarsi del sè empirico.  Spesso i maestri zen trasmettono questi insegnamenti con severità e spietatezza. La vita monastica buddhista è soprattutto una vita di pellegrinaggio (angya) il cui scopo è di convincere il monaco che tutta la sua vita è una ricerca, in esilio, la sua vera casa.  Tutta la vita monastica è un pellegrinaggio, e il soggiorno al monastero è solo un'interruzione. Solo quando è accordato al monaco l'accesso alla sala di meditazione (zendo), il monaco comincia a far parte della comunità. Ed è li che il monaco passa buona parte della giornata. in posizione di loto meditando sul koan (una massima enigmatica) assegnatogli dal roshi ( maestro). I koan sono usati solo nella scuola Rinzai.

Anche se i rituali non sono molto elaborati, sono comunque presenti come mettere per esempio delle candele davanti alla statua di Buddha, anche i sutra a volte vengono letti.  L'addestramento del monaco fatto dal maestro sembra avere come scopo di spingere il monaco in una notte oscura.  Comunque durante la giornata i monaci partecipano alla cerimonia del thè, a incontri di judo tra di loro,  lavorano la terra e vanno in cerca di elemosine. La questua e il lavoro manuale sono importanti per inculcare loro lo spirito di povertà e umiltà. Il monaco sente di non aver diritto di condividere il pane se non c'è in lui l'intenzione ferma di giungere all'illuminazione e aprire il suo occhio spirituale (l'occhio prajna). 

Lo zen è un tipo di  spiritualità filosofica ed esistenzialista capace di portare l'uomo a un vero confronto con se stesso, con la realtà e col suo simile. Comunque senza dimensione religiosa è difficilmente spiegabile di come il monachesimo zen abbia potuto sopravvivere tutti questi secoli. 

Un maestro zen ha detto: " quando avrai raggiunto uno stato di perfetta immobilità e incoscienza, tutti i segni della vita si cancelleranno e ogni traccia di limitazione svanirà, nessun pensiero disturberà la tua coscienza, quando all'improvviso vedrai una luce effondersi in tutto il suo splendore. La tua esistenza è sciolta da ogni limitazione".

Il koan è il cuore dell'insegnamento zen della scuola Rinzai; per arrivare al cuore del koan, per gustarne l'essenza, bisogna penetrare nel cuore della vita stessa quale fondo della propria coscienza. uno sperimenta se stesso come l'interrogativo proposto. Il koan non è diverso dall'io, è una figura criptica dell'io. Nei tuoi interrogativi non avrai più coscienza,  ma avvertirai solo il vuoto. Quando scomparirà anche la consapevolezza del vuoto, capirai che non c'è nessun Buddha al di fuori della mente e nessuna mente al di fuori del Buddha. L'esperienza zen è una liberazione dalla nozione di io e mente, tuttavia non è annullamento e pura incoscienza, ma al contrario una specie di supercoscienza. L'illuminazione in questo senso di una nuova identità e consapevolezza non è la fine ma il vero principio. Il punto di partenza per raggiungere il kensho o l'ulteriore e originale illuminazione, e di farlo verificare dal roshi (maestro).

Il koan tende a liberare anche la coscienza individuale dai desideri dissolvendo proprio la sua individualità. Lo zen perciò nega un valore speciale all'esperienza limitata e transitoria dell'io costituito dal piccolo nodo dei desideri lasciatici in eredità dalla nostra storia morale (karma).  Tende a una coscienza pura non limitata da progetti e desideri.  Senza eliminare quello che noi chiamiamo "io" non si potrà avanzare nella pratica. 

Per riassumere lo scopo del koan zen è di portare lo studioso, mediante una pratica interiore e severa, e con la guida e supervisione del suo roshi, a uno stato di coscienza pura. La meditazione intensa sul koan in un ambiente monastico tende a rompere la continuità storica di un io sociale e convenzionale e iniziare una nuova e più intima storia personale di ricerca. La consapevolezza finale della coscienza zen non è la perdita dell'io, ma la scoperta e la dotazione dell'io in tutto e per tutto. Quando  l'attività della tua mente sarà esausta e la capacità di pensare sarà estinta, sorgerà una grande fiamma di vitalità.

La pratica dello zen mira all'approfondimento, alla purificazione e alla trasformazione della coscienza, opera in profondità e va oltre la psicologia del profondo. 

L'obiettivo dello Zen è quello del buddhismo in generale: "l'emancipazione finale dal dualismo". Il buddhismo non afferma Dio nè lo nega in quanto considera tali affermazioni dualistiche. Il raggiungimento della condizione di Buddha, non è diventare simile a Buddha, ma è un risveglio ontologico al fondo ultimo dell'essere, o al Buddha che ognuno è.  Per lo zen non esiste alcun vero Buddha all'infuori dell'uomo che si sveglia al suo "Vero Io".  Questo "Vero Io" è la mente originale, informale, il nulla, il Sunyata

Accostando questo concetto alla realtà possiamo dire che il cuore dello zen è quella imperturbata percezione dell'Uno nei Più, del Vuoto nella vita quotidiana e del mondo ordinario che ci circonda, è il fondamento dell'umanesimo zen al giorno d'oggi.   Il Nirvana non è che la realizzazione da parte dell'uomo del suo "Vero Io" esistenziale, come fondo sia dell'io ordinario sia del mondo opposto ad esso... il Nirvana non è semplicemente transpersonale, ma anche, al tempo stesso personale.  

Il Nirvana non è un'evasione dai fenomeni e dal mondo d'ogni giorno con i suoi problemi e rischi, ma una realizzazione di quel Vuoto e Vero Io che è il fondo ontologico comune sia della libertà personale sia del mondo oggettivo e problematico.

Riflessioni di THich Nhat Hanh

Thích Nhất Hạnh (1926-2022)  è stato un monaco buddhista, poeta e attivista vietnamita per la pace.    

L'obiettivo essenziale del buddhismo è dare una risposta realistica all'interrogativo di come far fronte alla sofferenza. Fare del partito, della razza, della nazione, o anche della religione ufficiale, altrettanti assoluti, significa erigere barriere di illusione che si frappongono fra l'uomo e il suo "io" e gli impediscono di vedere la realtà nella sua fattualità esistenziale. Le diverse concezioni del mondo, sia religiose che politiche, possono concorrere nell'errore di fornire all'uomo un rifugio e risposte formali stereotipate che sostituiscono il pensiero, la ricerca interiore, l'esperienza e l'amore nella loro genuità. 

L'obiettivo del buddhismo è quindi la creazione di una nuova coscienza, libera di trattare con la vita senza pretesa,  cercando di eliminare dentro di noi le illusioni che ci dividono dagli altri. Solo l'amore può trasformare il mondo, (Thay è un fervido lettore di Camus e di Bonhoeffer).  Per Thay il nirvana non soltanto non è un'evasione dalla vita, ma bisogna cercarlo proprio in mezzo alla vita, alla sofferenza, alla morte. E questa è un'espressione in chiave moderna dell'ideale mahayana del Boddhisattva. 

All'origine della sofferenza c'è l'ignoranza, non riusciamo a comprendere la realtà e la frantumiamo con una serie di pregiudizi. Per capire la realtà si deve riconoscere l'interdipendenza, la precarietà e l'inconsistenza dei fenomeni. In base alla corretta percezione (non interpretazione) si deve poi procedere alla corretta realistica azione. 

Occorre rinnovare radicalmente la concezione empirica buddhista della realtà nel contesto di un impegno per ridurre le diseguaglianza sociali, di una lotta in termini accessibili a coloro che vi partecipano a fondo. Questa formula si applica, non soltanto al buddhsimo, ma a qualsiasi religione che cerchi il suo posto nel mondo d'oggi.  Non si deve credere che il buddhsimo stia predicando una dottrina ingenua e attivistica di rivoluzione con la forza,  in quanto il principio fondamentale del buddhsimo è quello della non violenza. 

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