domenica 7 luglio 2024

I cinque principi base dello yoga

 I cinque principi base dello yoga secondo Vishnudevananda  (discepolo di Sivananda Saraswati e fondatore dei centri e degli ashram internazionali Sivananda Yoga)  sono:

Giusto Esercizio (Asana). Gli esercizi fisici appropriati, in sanscrito asana, hanno effetti positivi su tutte le parti del corpo. Come l’olio in un motore, le asana aumentano la flessibilità di articolazioni, muscoli, tendini e legamenti, e migliorano la circolazione. Gli esercizi yoga ringiovaniscono tutto l’organismo e pertanto non hanno eguali in altri sistemi di esercizi fisici. Se praticate lentamente e con consapevolezza, le asana danno un senso di benessere fisico e, allo stesso tempo, esercitano la mente alla concentrazione e alla meditazione.  Gli esercizi yoga si concentrano principalmente sulla salute della spina dorsale che è la base del sistema nervoso centrale, il sistema di comunicazione del corpo. La spina dorsale è il prolungamento diretto del cervello, pertanto una colonna vertebrale sana e dritta è fondamentale per la salute di tutto il corpo. Mantenere la spina dorsale forte e flessibile con l’esercizio fisico appropriato stimola la circolazione sanguigna, assicura un adeguato apporto di ossigeno e di sostanze nutritive ai nervi e aiuta a mantenere il peso forma.   Le asana stimolano nel corpo i punti di pressione dell’agopuntura. Quando questi punti vengono attivati aumenta il flusso di prana (energia vitale). Le asana inoltre massaggiano gli organi interni migliorandone il funzionamento e, se praticate insieme agli esercizi yogici di respirazione profonda, rilassamento e concentrazione, possono aiutare a sviluppare il controllo della mente. La mente, che per sua natura è irrequieta e sempre attratta dalle esperienze sensoriali, viene diretta verso l’interno, ritirata dagli oggetti dei sensi e gradualmente portata sotto controllo.

 Giusta Respirazione (Pranayama).   La respirazione appropriata collega il corpo alla sua batteria, il plesso solare, dove sono immagazzinate enormi riserve di energia. Le tecniche di respirazione del pranayama smuovono questa energia e rivitalizzano il corpo e la mente. Regolando consapevolmente il nostro respiro, riusciamo ad accumulare più prana (energia vitale) e ad attingere a queste riserve di energia nella nostra vita quotidiana.  La maggior parte delle persone quando respira usa solo una piccola parte della propria capacità polmonare. Respirano nella parte alta del torace con le spalle curve, causando una carenza di ossigeno e creando tensione nella parte alta della schiena e al collo.   La respirazione addominale profonda e consapevole è un modo efficace per far fronte allo stress e alla depressione. Una persona con tanto prana irradia forza e vitalità.   Controllando l’energia vitale( prana) riusciamo a controllare la mente. Molte malattie possono essere prevenute semplicemente regolando il prana: questo è il segreto della guarigione. L’agopuntura, lo shiatsu, la guarigione mentale, la pranoterapia ecc., sono tutti esempi di controllo consapevole o inconsapevole di un prana molto sviluppato.

Giusto Rilassamento (Savasana). Il rilassamento appropriato è un eccellente sistema di raffreddamento, simile a quello di una macchina, ed è il modo più naturale per ridare energia al corpo. Il rilassamento è così importante perché il corpo e la mente non funzionano bene se continuamente sotto stress. Per controllare ed equilibrare il corpo e la mente, è necessario usare in modo efficiente la propria energia fisica; questo è il motivo principale per cui è necessario imparare a rilassarsi.  Al giorno d’oggi, molte persone hanno difficoltà a rilassarsi o a conservare la propria energia quando lavorano. Se i muscoli sono sempre pronti a scattare, sprechiamo molta più energia di quella necessaria ai muscoli per svolgere solo ciò che sono impegnati a fare in un determinato momento. Le tensioni fisiche e mentali inutili consumano moltissime risorse sprecando così grandi quantità di energia vitale perfino in momenti di riposo. Siete mai tornati esausti da una vacanza? Può succedere, nonostante che ogni giorno il nostro corpo produca sufficiente energia anche per il giorno successivo. Il problema è che le emozioni negative, quali la rabbia o l’irritabilità, possono esaurire queste riserve di energia in pochi minuti.  La pratica dello yoga rifornisce queste riserve di energia del corpo. E’ per questo che dopo una lezione di yoga non ci si sente mai stanchi ma ricaricati con un’energia positiva. Al termine di una lezione di yoga c’è il ‘rilassamento profondo’. In questo stato si utilizza solo una quantità minima di energia vitale (prana), quanto basta per mantenere attivo il metabolismo. Il rilassamento profondo ha 3 livelli: fisico, mentale e spirituale. E’ possibile raggiungere un rilassamento completo e perfetto solo se tutti e 3 i livelli sono coinvolti. Pertanto solo pochi minuti di rilassamento yogico possono ricaricarci in modo più efficace di molte ore di sonno agitato, dandoci una maggiore pace interiore.

Giusta Alimentazione (Vegetariana).  “Mangiare per vivere, non vivere per mangiare” – questo è l’approccio degli yogi all’alimentazione. Chi pratica yoga sceglie i cibi che hanno maggiori effetti positivi sul corpo e sulla mente e minori effetti negativi sull’ambiente e sugli altri esseri viventi. In quanto vegetariano, il praticante yoga mangia i prodotti primari nella catena alimentare: le piante. Esse ricevono il loro nutrimento direttamente dal sole, fonte di energia per tutte le forme di vita sul nostro pianeta.  La dieta yogica è lattiero-vegetariana e consiste principalmente di cereali, legumi, frutta e verdure, noci, semi e latticini. Un’alimentazione vegetariana è sana, facile da digerire e fornisce al corpo il massimo degli elementi nutritivi e dell’energia. In genere si dovrebbero scegliere cibi il più freschi e naturali possibile (senza conservanti o aromi artificiali), idealmente prodotti organici non modificati geneticamente. La preparazione attenta dei cibi è essenziale per mantenere al massimo le sostanze nutritive. Il conservare i cibi troppo a lungo, la raffinazione o un’eccessiva cottura distruggono molte delle componenti vitali dei nostri alimenti.  Letteralmente, siamo quello che mangiamo. La maggior parte delle persone non si rende conto che le componenti del cibo vanno a formare la sostanza della mente, influenzandola quindi in modo molto sottile. E’ così che i cibi impuri, quali la carne, non solo irrigidiscono le articolazioni, ma  lasciano dietro di sé anche un senso di pesantezza e di pigrizia; essi creano un terreno fertile per l’insorgere di malattie croniche o della depressione. La dieta yogica consiste di cibi puri e aiuta a tenere in forma il corpo e la mente.

 Pensiero Positivo e Meditazione (Vedanta e Dhyana). Il pensiero positivo e la meditazione sono le chiavi per la pace della mente. La meditazione è il metodo usato per calmare e focalizzare la mente. Una pratica regolare favorisce sia uno stato d’animo sereno sia il benessere fisico e spirituale. Tuttavia, per poter meditare è necessario prima focalizzare la mente con alcune tecniche di concentrazione e con il pensiero positivo. Una mente piena di pensieri negativi e di emozioni si calma difficilmente.

L’unione con l’Essere Supremo.
Controllando i movimenti della mente, siamo in grado di eliminare gli schemi negativi di pensiero e raggiungere lo stato meditativo trascendentale (samadhi). Il samadhi è l’unione beata con il Sé Supremo e porta all’esperienza diretta e intuitiva dell’Infinito. E’ un’esperienza spirituale molto profonda che non può essere descritta a parole né afferrata dalla mente. Nel samadhi i sensi, la mente e l’intelletto cessano di funzionare. La consapevolezza si espande e trascende tempo, spazio e causalità. Ci si rende conto che la presenza divina pervade tutti gli esseri viventi. Si fa esperienza di una pace e di una gioia profonda e ci si sente tutt’uno con l’universo.

Mantra yoga

 Nel percorso spirituale, c'è un'antica pratica che continua ad attirare l'attenzione per i suoi effetti benefici sulla mente e sul corpo: la recitazione dei mantra. Questa tradizione millenaria ha superato i confini culturali e religiosi per raggiungere un pubblico sempre più vasto. Un mantra è uno strumento della mente: un suono o una vibrazione potente che si può usare per entrare in uno stato profondo di meditazione o di consapevolezza. Il mantra può essere pronunciato, cantato o sussurrato. Oppure lo si può pensare nella mente senza verbalizzarlo.  Il mantra ha il vantaggio di occupare la mente con qualcosa di diverso dai problemi quotidiani. Recitando un mantra e sentendolo profondamente, la mente non ha quasi più spazio per pensare.

Kirtan e Bhajana sono pratiche spirituali che fanno parte di un sistema chiamato Mantra Yoga. Letteralmente i due termini significano "ripetizione continua di un mantra".  Questo sistema yoga contenuto nei Tantra Shastra, antica scrittura indiana, utilizza le vibrazioni sonore per permettere all'essere umano di poter espandere ed infine liberare la propria coscienza latente. Il Mantra yoga non è limitato alla cultura indiana poichè si trova in tutte le grandi culture spirituali del mondo.

Il mantra, esistente nell'etere, venne direttamente percepito dagli antichi rishi, o veggenti, che diedero al suono, una trasposizione verbale, traducendolo in parole, ritmi, melodie.  La radice "Man" nella parola "Mantra" significa in lingua sanskrita "pensare", mentre "Tra" deriva da "Trai", che vuol dire "proteggere" o "liberare" (dal vincolo del sansara, o mondo fenomenico, ciò che appare ai nostri sensi fisici). Perciò mantra vuol dire "pensiero che libera e protegge".  I mantra sono stati tramandati in un linguaggio costituito da sillabe (alfabeto "devanagri", che in sanskrito significa "Città degli Dei").

Questo linguaggio consiste di una serie di lettere chiamate Akshara, che significa "senza fine" e la combinazione di queste singole lettere o vibrazioni sonore forma ciò che conosciamo come mantra. Ogni akshara ha una sua particolare frequenza o vibrazione associata, che influenza l'individuo nei differenti livelli di coscienza. Perciò le combinazioni di akshara in differenti mantra aiutano a risvegliare un particolare tipo di consapevolezza nell'individuo, secondo la struttura del mantra. Pertanto essi non devono in alcun modo il loro potere al significato. Non bisogna pensare infatti che i mantra promuovono il pensiero concettuale, che è dualistico, anzi in quanto manifestazione del suono, essi riproducono l'essenza stessa di ciò che viene nominato (per esempio, la parola "shanti", che in sanskrito significa "pace", è essa stessa una vibrazione di pace), e operano su di noi grazie alla loro identità con determinati elementi della nostra coscienza.

I mantra hanno dunque il potere di far trascendere la dualità, il livello mentale, e di portarci ad uno stato di unione ("yug", da cui yoga) mistica con l'universo, il cosmo, l'assoluto, chiamata "nirvana" dai buddhsiti, "tao" dai taoisti, "samadhi" dagli yogi dell'India, "comunione cristica" dai mistici cristiani.

Il canto o la recitazione del mantra attiva la forza creativa spirituale, producendo armonia in tutti i livelli dell'essere umano. Può quindi essere usato per riportare equilibrio sui livelli sottili, e manifestarsi come cura anche sul livello fisico più denso. 

La musica è sempre stato un mezzo molto potente per il risveglio della cosicenza spirituale, per non parlare del suo valore per liberare le tensioni emozionali ed indurre uno stato di tranquillità e di rilassamento. Così con la comninazione del mantra e della musica abbiamo una pratica conosciuta come Kirtan.   Sul sentiero della meditazione il kirtan è uno dei mezzi attraverso cui la bhakti, l'amore trascendentale viene risvegliato. La musica è un'arte, un'espressione comune a tutte le culture ed un mezzo attraverso cui, nella vita, viene espressa quell'esperienza che trascende le parole e le azioni. La musica ha la qualità della trascendenza. Ha un potere così grande,  che l'intelletto e la mente razionale sono disattivati e ci porta nel regno dell'interiorità dello spirito.  

I mantra sono lasciati nella loro forma originale perchè qualunque tentativo di tradurne il significato sarebbe puramente intellettuale. Tramite la pratica del kirtan e del bhajana e non attraverso la conoscenza intellettuale, vengono poco alla volta rivelati gli aspetti più profondi del mantra. 

Il mantra OM.  Secondo la scienza del mantra vi sono quattro tipi di onde sonore: onde statiche, onde riverberanti, onde oscillanti e onde trascendentali. Il mantra Om produce tutte queste quattro onde; OM è la combinazione di tre suoni "A" "U" "M".    "A" crea le onde statiche, "U" le onde riverberanti, "M" le onde oscillanti.  La quarta onda, essendo trascendentale e oltre i sensi dell'udito e della parola, viene creata meditanto su OM al centro del cuore.   Quando si trascende il mondo sensoriale esteriore, si diventa consapevoli di onde aventi alta frequenza che non hanno nessuna interruzione.  Le onde ordinarie hanno un'interruzione. Quando si pratica il mantra "OM", esso iniza e poi termina. La fine e l'inizio sono i punti di arresto delle onde sonore. Ma quando trascendete la mente, allora si arriva ad un'alta frequenza sonora che non ha mai interruzione. 

Le prime tre onde sonore appartengono alle tre dimensioni della coscienza umana e sono interconnesse. "A" rappresneta lo stato di veglia o coscienza sensoriale, "U" rappresenta il sogno o il subconscio e "M" rappresenta la dimensione illimitata della coscienza che è oltre la mente e i sensi. Quindi possiamo dire che "OM" ha quattro basi: il mondo sensoriale, il mondo mentale, il mondo materiale e lo stato ultimo.  

Secondo i Veda, OM è il primo e l'ultimo mantra. Esso non ha nome e forma ed è considerato essere la forza creatrice della mente universale. Il concetto di mente universale è molto difficile per noi da comprendere. Nelle scritture viene chiamata Hyranyagarbha, ed è simboleggiata da un uovo. Nel centro di questo uovo vi è un punto ultimo dal quale il suono scaturisce. 

"Nada" letteralmente significa suono, ma in questo caso si riferisce al punto ultimo di risonanza. Questo punto è un punto trascendentale dove "OM" si trova in forma immanifesta. Non vi è vibrazione, non vi è ritmo, non vi sono onde; tutto sembra essere completamente silenzioso e potenziale. Può essere immaginato come totale inattività. Ai poli opposti di questo uovo universale vi sono le forze conosciute come spazio e tempo. Lo spazio è la forza di energia positiva e il tempo è la forza di energia negativa. Quando producete il mantra OM con la bocca o lo recitate nel regno della vostra mente, queste due forze psichiche raggiungono uno stato di polarità, cercano di proiettarsi entrambe verso il centro del nucleo. Quando avviene l'unione, vi è un'esplosione di forza dalla quale risulta l'intera creazione universale. Quindi il mantra OM rappresenta la forza creatrice, il centro in cui il tempo e lo spazio si uniscono e dove l'infinito è spaccato in una moltitudine di infiniti.  

Il mantra OM viene scritto in un modo particolare. Consiste in quattro curve, sopra le quali vi è una luna crescente con un bindu o punto. Bindhu è il centro o il punto focale di OM.  Ogni curva  rappresenta l'infinito nei suoi differenti aspetti di tempo, spazio, oggetto e trascendenza. Quindi Om ha entro se stesso l'altra forza conosciuta come prakriti o natura, oltre la forza spirituale. Gli yogi meditano su questo simbolo di OM in modo da sviluppare le forze mentali e spirituali. Vi sono due manifestazioni di questa energia: una è appagamento che appartiene al piano materiale, l'altra è trascendenza, appartenente al piano spirituale. Om è un mantra molto potente per gli scopi dell'appagamento e della trascendenza.

Il simbolo dello yoga

Sadio Mané, campione di solidarietà in Africa

Sadio Mané, attaccante senegalese in forza all’Al-Nassr, è da sempre un vero esempio di beneficenza nei confronti dei meno fortunati. Ha spesso redistribuito le proprie ricchezze in favore dei connazionali che vivono in condizioni economiche difficili ed è un vero campione di solidarietà.



Nato a Bambali, in Senegal, Mané è cresciuto in condizioni di estrema povertà. Perde il padre quando aveva appena 7 anni e riesce a trovare una via d’uscita nel calcio per poter aiutare la madre ed è stato ingaggiato dal Metz in Francia. In Senegal, come nella maggior parte dell’Africa occidentale le persone sopravvivono con enormi difficoltà. Il salario medio è di 150 dollari al mese e molti non hanno nemmeno questa cifra a causa della forte disoccupazione. Molti lavorano in agricoltura. 
Mané allora ha deciso di “investire” in Senegal redistribuendo parte delle proprie ricchezze. Ha fatto costruire un ospedale che dovrebbe aiutare ben 34 villaggi nei pressi di Bambali, che potranno così accedere al servizio sanitario. Ha costruito scuole, uno stadio, fornisce vestiti, scarpe, cibo per le persone in estrema povertà. Ogni mese dà un contributo alle organizzazioni che combattono la malaria. Ha fatto sì che tutta la zona fosse dotata di un collegamento alla rete internet 4G, che gli studenti delle scuole potessero avere in dotazione dei computer portatili. E adesso, grazie al suo contributo, sono in fase di realizzazione anche una stazione di servizio e un ufficio postale. Agli studenti più meritevoli fornisce anche delle borse di studio. 

Sadio Mané  è un'ex punta di diamante del Liverpool di Jurgen Klopp (con cui vinse la Champions League e il Mondiale per club FIFA nel 2019) e del Bayern Monaco. Inoltre, è il  simbolo di un Paese,  con la selezione nazionale, è riuscito a conquistare la prima Coppa d’Africa nella storia del Senegal nel 2022. Preferisce spendere i suoi soldi per nutrire il suo popolo e fornire strumenti ai giovani affinché possano progredire,  piuttosto che spenderli in ville o auto di lusso. Una persona che ha compreso il significato della vita.

Antonia Tronti - Studiosa - Docente di yoga

Antonia Tronti (nata nel 1971) è insegnante di yoga, particolarmente interessata ai possibili intrecci tra spiritualità indiana e tradizione cristiana. Insegna a Roma dove ha un centro, il Kurma dama - La casa della tartaruga, e in Umbria e tiene seminari di "yoga e preghiera cristiana" in tutta Italia e in particolare nei monasteri di Valledacqua, Montegiove, Fonte Avellana, Camaldoli, Ss. Felice e Mauro in Valnerina. Collabora con le comunità camaldolesi e con altre realtà fondate sul dialogo e sull'approfondimento dell'esperienza spirituale.

Formatasi alla scuola della Federazione Italiana Yoga quando era diretta da Antonio Nuzzo e diplomatasi all'ISFIY nel 1997, ha poi proseguito nella sperimentazione, nella ricerca e nell'insegnamento.

Determinante nel suo percorso è stato l'incontro con l'esperienza monastica camaldolese e con il Saccidananda Ashram di Shantivanam, in Tamil Nadu, con le figure dei suoi fondatori, Henri Le Saux (Swami Abhishiktananda), Jules Monchanin e Bede Griffiths e con John Martin Kuvarapu (Swami Sahajananda).

Ha pubblicato due libri:  E rimanendo lasciati trasformare e Impara da... Un itinerario tra yoga e preghiera cristiana.  Scrive e collabora con le riviste Appunti di Viaggio, Oreundici, Messaggero Cappuccino, Vita monastica. Un altro lavoro è il libro-DVD La danza della vita scritto con Filippo Carli e Mauro Bergonzi.    Vedi siti: 

  •  https://sites.google.com/view/kurmantonia/home-page?authuser=0 
  • https://www.scuolayoga.com/insegnante/antonia-tronti/

I benefici dello yoga

I benefici dello Yoga sono riconosciuti da tempo dalla comunità scientifica internazionale e trovano nuove conferme dalla ricerca: oggi si sa che questa disciplina, praticata in modo corretto e continuativo può alleviare lo stress mentale e fisico, migliorare l’umore, rallentare il processo d’invecchiamento e migliorare di conseguenza le difese immunitarie.   


Recentemente i ricercatori della Boston University School of Medicine hanno studiato gli effetti di questa disciplina. Lo Yoga porta a un benessere psicofisico e allevia e cura i disturbi legati all'ansia e alla depressione.  Grazie allo Yoga si impara infatti a gestire la sofferenza, la paura, si alleviano i sintomi dell'ansia, poiché si imparano a sentire le proprie sensazioni ed emozioni, anche negative, accettandole per poterle poi lasciare andare via.   Grazie allo Yoga, è possibile ridurre la produzione di cortisolo e adrenalina, andando a calmare il corpo, riducendo lo stress e dando inizio a un rilassamento profondo. Molte persone, dopo aver provato i benefici dello Yoga, cercano di accettare tutte le sensazioni che provano, sia negative che positive: sappiamo bene come l'ansia sia sempre causata dalla paura di provare emozioni spiacevoli e dal continuo cercare di evitare di andarci incontro, piuttosto che da emozioni effettive ed esistenti. Grazie allo Yoga, chi soffre d'ansia potrà sempre trovarsi pronto a fronteggiare situazioni nuove, paure ed emozioni di diversa intensità e natura, oltre a godere di un risanamento fisico che aiuterà a distendere i nervi e a scacciare lo stress.

La meditazione, parte importante della pratica yoga, è in grado di trasformare la nostra esperienza del mondo, diminuendo l’ansietà e la vulnerabilità al dolore, la tendenza alla depressione e alla collera e ha degli effetti benefici sulla salute rafforzando l’attenzione, il sistema immunitario e il benessere generale.

L’ipotesi da cui lo studio ha preso avvio è stata anzitutto confermare che lo stress causi uno squilibrio del sistema nervoso autonomo ed una ridotta attività di un particolare neurotrasmettitore inibitorio chiamato “GABA” (Il GABA - o acido gamma-amminobutirrico è considerato, a tutti gli effetti, uno dei più potenti e principali neurotrasmettitori ). Si è visto poi che questo tipo di squilibrio ha i suoi effetti sull’intero organismo: una bassa attività del GABA si è riscontrata nei disturbi d’ansia, nel disturbo da stress post-traumatico, nella depressione, nell’epilessia e anche nel dolore cronico. Ebbene, la pratica costante dello yoga è in grado di riportare a livelli  di normalità questo neurotrasmettitore!
Lo Yoga influisce innanzitutto sulla salute del sistema cardiovascolare, in quanto gli esercizi di respirazione permettono di aumentare il flusso di ossigeno nel corpo, incluso il cervello e il cuore, aumentandone le prestazioni.
Lo yoga incrementa la forza muscolare globale nella zona dell’addome, dei glutei, della regione lombare fino alla base del cranio ed è proprio qui che la stabilità e l’equilibrio hanno origine.
Le posizioni Yoga migliorano la flessibilità muscolare del corpo. Le posizioni aiutano a rendere elastici mente e corpo e questo permette di vivere in uno stato di maggiore benessere.  Secondo molti studi lo Yoga può essere molto utile per andare ad alleviare e curare i disturbi legati all'ansia e alla depressione senza far uso di medicinali.

Infine, non bisogna mai dimenticare che un corretto stile di vita, una corretta alimentazione ed un regolare riposo notturno sono indispensabile per acquisire dei benefici consistenti.

Oltre a esser ottima per la cura del corpo e la cura dell'anima, questa pratica non ha nessun effetto collaterale, se non quello di dare benefici evidenti e duraturi.

I tipi di meditazione

La meditazione è una tecnica antica, legata alla maggior parte dei percorsi spirituali. Ce ne sono di diversi tipi (statica, dinamica, con visualizzazione, ripetendo un mantra o un suono…). 


La meditazione cambia la visione del mondo, agisce su ormoni e neurotrasmettitori: il cervello si trasforma, gli studi hanno dimostrato la neuroplasticità del cervello, alcune parti del cervello si modificano, la corteccia prefrontale tende a ristringersi con l'età; con la meditazione, il processo viene invertito e i meditanti di lungo corso si ritrovano con una neocorteccia più ampia.       
Alcune strutture cerebrali come l’amigdala e le aree del lobo parietale che elaborano i dati sensoriali, si spengono e questo porta a una riduzione della produzione del cortisolo, altrimenti definito come l’ormone dello stress. Altre strutture, invece, come il lobo dell’insula (che è associato alla felicità, alla bontà, alla compassione), il corpo calloso (che connette fra loro gli emisferi destro e sinistro) e l’ippocampo (che gestisce l’autocontrollo emozionale) si accendono, rilasciando altre sostanze. Di fatto, le parti della corteccia prefrontale che mantengono l’attenzione e regolano le emozioni sono attive durante la meditazione, mentre le parti che riguardano la personalità – la paranoia dell’Io – piombano nell’oscurità».

Molti personaggi famosi si sono avvicinate alla meditazione: Madonna, Alanis Morrisette, i Beatles, De Chirico, Mick Jagger, Franco Battiato, Demi Moore e Cristiano Ronaldo.   «L’uomo dalla notte dei tempi è in cerca di risposte sulle ragioni per le quali siamo nati e sulla nostra origine. Entrare in contatto con il divino è un interesse dell’essere umano dai tempi antichi. Meditare di sicuro avvicina al proprio io interiore". 

Esistono diversi tipi di meditazione, vediamone alcuni.   

Meditazione zen.  Forse quella più conosciuta, nel senso che se pensiamo a qualcuno che medita, la maggior parte delle persone lo immaginerebbe così. «La meditazione zen è, tutto sommato, semplice e può essere praticata da tutti. È infatti sufficiente sedersi in una posizione comoda, con la schiena vigile ma non rigida e incrociare le gambe. Si focalizza la mente su questa attività. Quando la mente si distrae, la si riporta gentilmente al conteggio e alla respirazione. Deriva dall’anima più radicale del buddismo e venne presa a ispirazione e a modello dai Samurai e dalla casta dei guerrieri».

Meditazione trascendentale. Questa meditazione era quella praticata dai Beatles: «Consiste nella ripetizione di un mantra per circa 15-20 minuti per due volte al giorno, tenendo gli occhi chiusi. I mantra sono suoni che hanno presa sul nostro inconscio. L’obiettivo di questa meditazione è quello di contrastare i campi elettromagnetici creati dai pensieri al fine di raggiungere pace e armonia. Ha un effetto antistress e non richiede né rituali, né posizioni speciali».

Meditazione buddhista: Samatha e Vipassana. Gli insegnamenti buddhisti precisano che ci sono due vie: quella del rilassamento, samatha (calma mentale) che dovrebbe essere associata ad una visione profonda, vipassanā. Solo grazie alla calma, si può accedere ad uno stato di visione profonda, per entrare in contatto con la vera realtà, senza mediazioni, e dunque comprenderla e accettarla per quello che è. Entrambe  si basano sull’attenzione e sul controllo del respiro. All’inizio la mente osserva la respirazione o i movimenti del corpo, poi essa diviene un tutt’uno con questi. Detta all’occidentale, il punto centrale della meditazione è costituito da tre fasi: la concentrazione, ossia far convergere tutta l’attenzione su un oggetto che di solito è il respiro, poi fare in modo che la mente si calmi e poi  passare all’introspezione. La meditazione buddhista punta sulla contemplazione attraverso la postura e il respiro, ma soprattutto mira a svelare che la mente e la materia sono impermanenti, insoddisfacenti e impersonali».

Meditazione Mindfulness. Traducendo il termine letteralmente, significa “pienezza della mente”. Ma non di pensieri, bensì di consapevolezza del momento presente, del “qui e ora”. «Con questa tipologia di meditazione ci si concentra sul momento presente e si osservano i pensieri, senza giudicarli e piano piano si raggiunge la serenità». Se sopraggiunge un pensiero negativo si osserva senza giudicarlo. Poi si lascia andare.  La mindfulness ha come obiettivo l'ascolto della propria “voce interiore”, per ancorarsi nel qui e ora.

Meditazione Emptiness (o vuoto mentale).   Questa pratica meditativa, è molto semplice e consiste «Nel sedersi, stare tranquilli, svuotarsi da immagini mentali, pensieri ed emozioni, per dimenticare tutto e focalizzarsi sul vuoto e la quiete».

Meditare recitando mantra.  Alcune forme di meditazione prevedono la recitazione di un mantra che può essere un enunciato sacro, un suono primordiale, una sillaba, una parola, un fonema, una frase in sanscrito o in pali. Si ritiene che il mantra possa agire sul subconscio e lavorare sul piano sottile ed energetico. Uno dei mantra più conosciuti è l’Om o Aum, un suono sacro che rappresenta l’essenza della realtà ultima, il cui significato varia di tradizione in tradizione.
Nel buddhismo è molto comune l’uso di mantra come la ripetizione del nome del Buddha o frasi sulla gentilezza amorevole o sull’impermanenza di tutte le cose. Nel Tibet, “Om Mani Padme Hum”, il mantra della compassione (vedi appendice), è il mantra più recitato dai buddhisti, è inciso e dipinto nelle rocce e sulle ruote da preghiera, lo si vede ovunque. I buddhisti credono negli effetti benefici che si producono recitando questo mantra, per alleviare il karma negativo, per accrescere e accumulare meri- ti, per sfuggire alle sofferenze e per consentire il raggiungimento dello stato di illuminazione del Buddha.  

La meditazione hawaiana dell'Ho’oponopono è praticata in zone come Samoa, Tahiti e la Nuova Zelanda, è una pratica di riconciliazione e perdono interiore usata per cancellare le memorie inconsce dei pensieri negativi. «Per questo si pratica come un mantra, recitando velocemente e mentalmente, ma anche oralmente, Ho’oponopono. Se si vuole avere un’efficacia maggiore derivante dal senso e significato delle parole, si può anche sostituire con: mi dispiace, perdonami, ti amo, grazie».

Meditazione camminata. Una leggenda buddhista racconta che il risveglio del Buddha avvenne in una sola notte, ma che, prima di quella meditazione finale che condusse Siddhartha all’illuminazione, l’illuminato camminò per quaranta giorni e in quel cammino preparò corpo, mente e spirito al risultato finale. Camminare in meditazione significa camminare in modo da sapere che stiamo camminando. Diventiamo consapevoli ad ogni passo del contatto dei nostri piedi con il terreno e cominciamo a sincronizzare i nostri passi al ritmo del nostro respiro. Ci liberiamo dalle nostre paure e preoccupazioni e diventiamo presenti al 100% ad ogni passo, acquisiamo una consapevolezza aperta ai nostri cinque sensi, ci apriamo ai suoni che ci circondano, ci accorgiamo del paesaggio, sentiamo l'odore dei fiori, e avvertiamo il miracolo del "camminare sulla terra".
Questa particolare modalità meditativa proposta dal maestro zen Thich Nhat Hanh è nata dalla constatazione che, nella nostra vita quotidiana, siamo prevalentemente dominati dall’”abitudine di correre”: “Ricerchiamo la pace, il successo, l’amore – sempre di corsa – e i nostri passi sono uno dei mezzi con i quali scappiamo dal momento presente".   «Per praticare la meditazione camminata è utile ricordarsi che anche qui, le parole/azioni si trasformano in un mantra. Si parte da fermi con i piedi paralleli; si porta avanti il primo piede e si pensa alla parola “avanzare”, nel momento in cui il piede appoggia la pianta sul suolo si pensa alla parola “toccare”, nella fase di spinta del piede si pensa alla parola “spingere” e quando il piede ha raggiunto l’equilibrio e si sta per alzare l’altro, si pensa alla parola “stare”».  Si deve camminare con attenzione e ad ogni passo occorre concentrare tutta l'attenzione sul gesto ed associarci il respiro.

Meditazione yoga. Oggi la maggior parte delle persone pratica yoga: «tanti però praticano gli asana alla stregua di una semplice attività sportiva o da palestra; invece, in primis, quella dello yoga è una pratica spirituale». La pratica mira ad andare oltre il mentale, per raggiungere stati di coscienza e di contemplazione più elevati e straordinari ed entrare in contatto con la parte più spirituale del nostro essere, con il nostro vero Sé. Viviamo identificandoci con i contenuti della nostra mente, creati soprattutto dalle emozioni; è un'esperienza plasmata dal mentale; si producono immagini distorte che vengono scambiate per realtà, e così ci allontaniamo da una visione oggettiva. Nella meditazione il meditante è solo, i sensi sono totalmente annichiliti e si usa l'unico strumento adatto - la coscienza -, per arrivare (per cercare) di conoscere la realtà che è il nostro Sé. Il Sé è la parte di noi che abbiamo in comune con tutte le manifestazioni, è l'unica realtà; tutto il resto è permanente e non ci appartiene, nulla ci appartiene, ci lasciamo tutto alle spalle quando moriamo. Ce ne andiamo solo con la goccia chiamata Sé. E con questa goccia l'uomo va incontro alla sua parte divina, cerca di entrare in contatto e di conoscere questa parte divina, questo è l'obiettivo della meditazione.  Di meditazione yoga ne esiste più di una (Kundalini, Terzo Occhio, Visiva, Chakra) e tutte hanno come fulcro la respirazione.    Yoga è una meditazione che unisce la pratica fisica a quella spirituale.  

Dal sito   https://www.vanityfair.it/article/8-tipi-di-meditazione-trova-quella-adatta-a-te

Come Meditare: Le Diverse Tecniche di Meditazione

È un dato di fatto: comprovato da millenni di studi a favore e ricerche scientifiche, siamo ormai consapevoli che meditare faccia bene alla salute generale, sia fisica che psicologica.  Quando si parla di meditazione ci si riferisce ad un universo enorme, ricco di sfumature. Ci sono tante pratiche diverse…così diverse che alcuni tipi di meditazione dicono praticamente il contrario di altri. Ad esempio alcuni tipi di meditazione dicono che è importante scacciare i pensieri, altri dicono invece che è importante osservarli. Alcune dicono che è importante concentrarsi su un mantra, altre che bisogna creare il vuoto.


Non solo, anche gli studi scientifici sulla meditazione non si suddividono in egual modo per ogni pratica meditativa, ma la più studiata in assoluto, quella per cui i risultati scientifici sono maggiormente comprovati è la Meditazione mindfulness.   

Per iniziare è bene distinguere la meditazione in 2 filoni in principali: la focalizzazione e l'osservazione (o monitoraggio). Questa distinzione non è netta poiché, nella pratica meditativa, focalizzazione e monitoraggio si intrecciano tra loro. Tuttavia è fondamentale farla per iniziare a conoscere il mondo della meditazione, perché le varie pratiche meditative appartengono all’uno o all’altro filone in base a come viene utilizzata l’attenzione.

In una meditazione che appartiene al filone della focalizzazione la tua attenzione, il tuo focus viene indirizzato verso un “qualcosa” in particolare. Può essere qualsiasi cosa e non deve, per forza di cose, essere un oggetto reale. Ci sono infatti meditazioni che pongono l’attenzione sul respiro, su un mantra, su di una immagine, su una parte del corpo, ecc.     Può risultare complicato mantenere il focus su quello che è l’oggetto della tua attenzione. Non c’è da preoccuparsi, è normale. Raggiungere la capacità di mantenere alto il flusso di attenzione sull’oggetto scelto è complicato e diventa più forte con l’avanzare del praticantato. Con il passare del tempo ti distrarrai meno facilmente e svilupperai una profondità e una fermezza di attenzione tale da permetterti di assorbire e percepire tutte le proprietà benefiche della dolce arte della meditazione.

Le meditazioni che appartengono al filone del monitoraggio invece suggeriscono di focalizzare l’attenzione sull’osservazione dei propri pensieri, in modo non giudicante. Perdersi tra i pensieri è naturale, è una funzione formidabile della mente che ti consente di avere idee creative e anche di riposarti, ma nulla c’entra con una pratica meditativa, perché quando ti perdi tra i tuoi pensieri ti identifichi con essi, mentre quando mediti non c’è identificazione con i pensieri, adotti la tecnica del testimone e li guardi da lontano e non li giudichi.

I vari tipi id meditazione più conosciuti.

1) Meditazione Zen (Zazen)-buddhista.  Pone le sue radici nel Buddismo cinese e si associa al nome di  Bodhidharma, un monaco indiano vissuto nel sesto secolo dC. In genere, la meditazione Zen si pratica da seduti in una posizione a gambe incrociate su una stuoia o un cuscino. Con la colonna vertebrale completamente ritta dal bacino sino al collo, espressione concentrata e sguardo basso guardando di fronte a te.   Si può praticare in due differenti modi:  

  •  Concentrazione sul respiro. qui occorre focalizzare l’intera attenzione sul movimento provocato dalla respirazione attraverso il naso. Sarà possibile aiutarsi contando all’indietro nella mente nel momento in cui si inala. Se per un qualsiasi motivo capita di perdere l’attenzione e di distrarsi, basta portarsi di nuovo in attività e riprendere a contare dall’inizio mentre sei concentrato a respirare.  
  • Shikantaza (letteralmente “seduti”) in questa particolare forma non viene utilizzato alcun oggetto specifico nella meditazione. Piuttosto, in questo caso, si focalizza il tutto per rimanere nel momento presente, consapevolmente. Si osserva tutto ciò che passa attraverso la mente, ma senza soffermarti su niente in particolare.

2) Meditazione buddhista Samatha e Vipassana. Gli insegnamenti buddhisti precisano che ci sono due vie: quella del rilassamento, samatha (calma mentale) che dovrebbe essere associata ad una visione profonda, vipassanā. Solo grazie alla calma, si può accedere ad uno stato di visione profonda, per entrare in contatto con la vera realtà, senza mediazioni, e dunque comprenderla e accettarla per quello che è.   La prima serve a stabilizzare la mente e raggiungere quella che si chiama “concentrazione”.  Vuol dire essere in grado di focalizzare l’attenzione sulla meditazione stessa, sviluppare una visione chiara sulle sensazioni corporee e sui fenomeni che richiamano la mente, osservandoli momento per momento, istante per istante. Senza aggrapparsi a qualsiasi cosa per poi passare al secondo stadio. La pratica consiste nel sedersi su di un cuscino posato sul pavimento, con le gambe incrociate e la spina dorsale eretta. Il primo passaggio è quello di sviluppare la concentrazione attraverso il respiro consapevole. Dopo si  possono cominciare a sentire altre percezioni: suoni, sensazioni all’interno del nostro corpo, emozioni, ecc. basta notare come questi fenomeni emergono nel campo della consapevolezza e poi riprendere il controllo sulla respirazione.
L’oggetto al centro della pratica (il movimento dell’addome, per esempio) viene definito primario, mentre secondario è quello che si pone nel campo della percezione, sia attraverso i cinque sensi (udito, olfatto, tatto, vista, gusto) sia attraverso la mente (pensieri, ricordi, sentimenti, ecc.) per evitare di essere trascinati dai propri pensieri e non farsi sopraffare da essi. Piano, piano si sviluppa una chiara visione e il fenomeno è pervaso da tre segni di esistenza: l’impermanenza, l’insofferenza e il vuoto di sé. Di conseguenza, si sviluppano, in relazione a questi progressi, l’equanimità, la pace e la libertà interiore.

3) Meditazione Mindfulness. Mindfulness è la traduzione occidentale del termine buddista “sati”, che significa essenzialmente consapevolezza, attenzione sollecita. Una delle figure di riferimento per quanto riguarda questo tipo di meditazione è John Kabat-Zinn che ha creato nel 1979 un programma di meditazione per la riduzione dello stress presso il reparto medico dell’Università del Massachusetts.
La Mindfulness consiste nel concentrarsi sul momento presente, osservando i pensieri che emergono senza giudicarli. Occorre prestare attenzione alle sensazioni, ai pensieri e alle emozioni che si presentano attimo per attimo.
Per la “pratica formale” si comincia seduti su di un cuscino sul pavimento o su una sedia e si presta particolare attenzione al movimento del respiro. Si cerca di essere consapevoli del momento presente, del fatto che stiamo respirando e di come ci si sente in un determinato istante. Poi si comincia a percepire sensazioni, pensieri, sentimenti, emozioni.
È normale che la mente venga distratta mentre si percepiscono suoni, sensazioni e pensieri. Ma ogni qual volta che ciò accade, si riconosce di essersi distratti e  si  riporta l’attenzione sulla respirazione. Poi si osservano i pensieri e le sensazioni che emergono, sempre in modo oggettivo, senza giudicare.  È possibile praticare la meditazione mindfulness persino durante le attività quotidiane, attraverso le “pratiche informali”. Mentre mangiamo, mentre stiamo camminando, addirittura mentre stiamo parlando.

4) Meditazione Gentile (Metta).  Deriva dalla parola “metta” che significa bontà, benevolenza. È una pratica che proviene dalla tradizione buddhista tibetana.  Peremtte di incrementare la capacità di entrare in empatia con il prossimo, di sviluppare emozioni positive attraverso la compassione (compreso un atteggiamento più amorevole verso se stessi), di aumentare l’accettazione di se stessi. Si pratica seduti nella classica posizione di meditazione con le palpebre socchiuse. Si comincia sviluppando una sensazione di benevolenza verso se stessi, poi, come se fosse un passaggio progressivo, verso ogni essere senziente e non.
La sensazione che andremo a sviluppare è un desiderio di felicità e benessere per tutti, nessuno escluso. Ci si può aiutare con la recitazione di parole e/o frasi specifiche che evocano una sensazione di cordialità, visualizzando la sofferenza degli altri e inviandogli amore o immaginando uno stato di qualsiasi altro essere augurandogli felicità e pace. Ogni qualvolta si pratica questo tipo di meditazione, si potrà percepire più gioia. Ed è proprio questo il segreto della felicità di Mathieu Richard il monaco buddhista francese definito "L'uomo più felice del mondo".

5) Meditazioni con mantra. Il mantra è una semplice sillaba o di una parola, in genere senza alcun significato particolare, che viene ripetuta con lo scopo di focalizzare la nostra mente.  Alcuni maestri indicano che la scelta del mantra e la sua corretta pronuncia sono molto importanti a causa della vibrazione associata al suono. Il mantra è  uno strumento per mettere a fuoco la mente e sono usati nelle tradizioni induiste e buddhiste, nel giainismo, nel sikhismo e nel taoismo.
Come per la maggior parte delle pratiche meditative, si comincia seduti con la colonna vertebrale eretta e gli occhi chiusi. Si ripete poi il mantra mentalmente, in silenzio, più e più volte nell’arco dell’intera sessione. A volte il mantra viene sussurrato con leggerezza e con dolcezza per aiutarsi a trovare la concentrazione necessaria.
È possibile praticare per un certo periodo di tempo o per un determinato numero di ripetizioni, di solito si va dalle 108 alle 1008 aiutandoci con un rosario composto da perline chiamato mantra. Consigliato il libro "Mantras: Words of Power" che spiega la tecnica nel dettaglio con utili approfondimenti.

6) Meditazione Trascendentale. La meditazione trascendentale è una forma specifica che prende forma dal mantra. Introdotta da Maharishi Mahesh Yogi nel 1955 in India, si sporge per la prima volta in occidente verso la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70. Il fondatore è conosciuto per essere divenuto il punto di riferimento spirituale dei Beatles e di altri personaggi volti al mondo dello spettacolo. È una forma meditativa ampiamente conosciuta, con oltre 5 milioni di praticanti in tutto il globo. È così tanto nota che moltissimi ricercatori hanno condotto su questa disciplina parecchi studi ed esperimenti scientifici che ne accertano i benefici.  L’unico modo per imparare a praticarla è quello di seguire un corso e formarsi attraverso uno degli istruttori autorizzati a farlo. In generale, tuttavia, è noto che la pratica prevede l’utilizzo di un mantra e ogni sessioni dura circa 15-20 minuti per due volte al giorno. Si raccomanda di mantenere gli occhi chiusi per una maggiore sensazione di concentrazione.  Il mantra non è unico e uguale per tutti, ma viene fornito al praticante in base al suo genere di sesso e alla sua età. I suoni sono associati a nomi di divinità indù provenienti dal tantrismo.

7) Meditazione Yoga. Con questo termine si indicano i diversi tipi di meditazione insegnate nella tradizione yoga con l’obiettivo di raggiungere la più alta purificazione spirituale e conoscenza di sé. Per risalire ai suoi inizi bisogna tornare indietro fino al 1700 aC.
Nello yoga classico, le pratiche contemplative di meditazione  son chiamate pratyahara, dharana, samadhi.  Ci sono diversi tipi di meditazioni nello yoga:

  • Meditazione sul Terzo Occhio.  Con gli o cchi chiusi si focalizza l’attenzione sul posto che si trova “tra le sopracciglia” (chiamato, appunto, terzo occhio). La concentrazione deve essere costantemente indirizzata a questo punto come un mezzo per mettere a tacere la mente. Con il passare del tempo gli spazi tra i pensieri silenziosi diventano più ampi e profondi.Meditazione Chakra.  Qui ci concentriamo su uno dei sette chakra del corpo (centri di energia), in genere puntando sulla capacità di visualizzazione e cantando un mantra specifico per ogni singolo chakra.
  • Meditazione Visiva. Fissiamo lo sguardo su un oggetto esterno. In genere si utilizzano una candela, un’immagine o un simbolo. Viene praticata prima con gli occhi aperti e poi successivamente chiusi per allenare i poteri di concentrazione e di visualizzazione della mente. Dopo aver chiuso gli occhi si dovrebbe riuscire a mantenere viva l’immagine dell’oggetto all’interno del nostro “occhio della mente”.
  • Meditazione Kundalini. Si tratta di una pratica complessa che si pone l’obiettivo di risvegliare l’”energia kundalini” che si trova in sospeso sulla base della colonna vertebrale. Questa disciplina, se praticata da una persona inesperta, può diventare pericolosa.
  • Yoga Kriya. La meditazione consiste nel concentrarsi sull'energia, la respirazione. È una tecnica molto adatta per chi ha un temperamento devozionale e cerca gli aspetti più spirituali della meditazione.
  • Nada Yoga. E' detta anche “meditazione del suono”; il praticante focalizza tutta la sua attenzione solo sul senso dell’udito per rendere quieta e calma la mente. Con il tempo la pratica si evolve si impara ad ascoltare i suoni interni del corpo e della mente. L’obiettivo finale è quello di arrivare a percepire il suono ultimo, privo di vibrazioni, che si manifesta come “OM”.
  • Pranayama.  Non si tratta esattamente di meditazione, ma è una pratica eccellente per calmare la mente e prepararla alla meditazione. Consiste nel portare l'attenzione sul respiro, respirando in maniera ritmica e concentrarsi sulle pause tra inspiro ed espiro e tra espiro ed inspiro.  Si respira attraverso il naso e si lascia che sia l’addome (non il petto) a muoversi. Questo riequilibria le energie vitali e calma la mente e il corpo.

8) Meditazione sulla frase"Io sono". Si tratta della traduzione del termine sanscrito “Atma vichara”. Le due parole significano “indagare” e si riferiscono al concetto di andare alla ricerca della nostra vera natura per trovare la risposta della vita: io chi sono? Questa domanda ce la possiamo spesso durante la nostra vita: perché siamo qui? Chi siamo esattamente? Qual è lo scopo della nostra esistenza? A che cosa siamo destinati? Tali pensieri possono spingerci alla ricerca del nostro io interiore eprofondo. Praticare questa disciplina di meditazione permette di prendere una profonda conoscenza del nostro vero io, il nostro vero essere.
I riferimenti a tale pratica sono molto antichi. Dobbiamo camminare indietro nel tempo e visualizzare testi indiani piuttosto datati. Tuttavia, anche nel 20esimo secolo questo tipo di meditazione è piuttosto popolare ed estesa e viene proposta da un saggio indiano, Ramana Maharshi, vissuto tra la fine del 1800 e la metà de l 1900.Il movimento moderno che si fonda sulla “non-dualità” si è fortemente ispirato agli insegnamenti di questo grande saggio. In questa tecnica il senso di “Io sono” è il centro di tutto il nostro universo. È lì, proprio lì, in una forma o in un’altra. È nascosto nei nostri pensieri, all’interno delle emozioni che proviamo, nei nostri ricordi, in ciò che percepiamo. Eppure non riusciamo a percepirlo. Siamo abituati a confondere il chi siamo in realtà con il nostro corpo fisico, con la nostra mente, con i nostri ruoli e le nostre etichette.
Questa fondamentale domanda esistenziale proviene dall’interno di ognuno di noi. Cerchiamo di diventare un tutt’uno con questo "Sé", andiamo in profondità alla ricerca di noi stessi. Questo andrà quindi a rivelare il nostro vero io come pura coscienza al di là di qualsiasi limitazione.
Non si tratta neppure di assaporare nel profondo la nostra personalità, ma è una pura e soggettiva sensazione di esistenza, senza immagini e concetti a essa collegati.
Un secondo modo di spiegare questa particolare e forse non molto semplice tecnica è mettere a fuoco solo la mente sulla nostra sensazione e percezione di essere, l’”io sono” non verbale, quello che brilla all’interno di ognuno di noi. Tieniamolo dentro in modo che sia puro e non venga “sporcato” per mezzo di qualsiasi probabile associazione con l percezioni.
In ogni altro tipo di meditazione, l’io si concentra su un oggetto, interno o esterno, fisico o mentale. In questa, invece, si ci focalizza solo su se stessi, sul soggetto. L’attenzione viene rivolta verso la sua stessa fonte.    Un libro molto utile per capire questa meditazione è I Am That di Nisargadatta Maharaj, un classico della modernità spirituale che vi permetterà di avvicinarvi maggiormente e in maniera approfondita a questa meditazione.

9) Meditazione cinese (con riferimento al taoismo).  La caratteristica principale di questo tipo di meditazione è la generazione, la trasformazione e la circolazione dell’energia interiore. Si pone l’obiettivo di calmare il corpo e la mente, di rendere tutt’uno il fisico e lo spirito con lo scopo di trovare la pace interiore e l’armonia con il Tao. Alcuni stili di meditazione taoista sono in maniera specifica focalizzati sul miglioramento della salute generale spinta alla longevità.  Ci sono diversi tipi di meditazione taoista, ma le categorie principali si dividono in tre classi: interno, concentrazione e visualizzazione. Ecco qui di seguito una breve panoramica:

  • Meditazione Emptiness. Ci sediamo tranquilli e svuotiamo noi stessi di tutte le immagini mentali (pensieri, sentimenti, emozioni, ecc.) volte a dimenticare tutto, qualsiasi cosa, con il fine di sperimentare la quiete interiore e il vuoto. In questo stato si  alimenta lo spirito e la forza vitale e ciò consente ai pensieri e alle sensazioni di sorgere e tramontare autonomamente. 
  • Meditazione basata sul Respiro.  Il praticante si concentra sul soffio vitale fino a quando non diventa un’azione automatica. Si osserva il respiro  oppure si seguono alcuni schemi di espirazione e inspirazione in modo da diventare coscienti dei dinamismi del Cielo e della Terra, attraverso il respiro ascendente e discendente.
  • Meditazione Neiguan. Il suo nome significa “visione interiore” e si basa sulla visualizzazione dell’interno del proprio corpo e della mente, compresi gli organi, i movimenti e i processi derivati dal pensiero. È un processo laborioso atto alla conoscenza di se stessi con la saggezza della natura nel nostro corpo. 
In genere, questi tipo di meditazioni sono praticate seduti a gambe incrociate sul pavimento con la spina dorsale ritta. Gli occhi semichiusi e fissi sulla punta del naso. Uno dei maestri più famosi, Liu Sichuan, suggerisce che, anche se non è facile, si dovrebbe praticare “unendo il respiro e la mente insieme in un tutt’uno”. 

10) Meditazione cristiana. Nella tradizione cristiana, l’obiettivo di tali pratiche contemplative è la purificazione morale e una più profonda comprensione della Bibbia, oltre che a ricercare una intimità più stretta con Dio.  Le forme forme di pratiche contemplative cristiane più diffuse sono:

  • Preghiera Contemplativa. In genere comporta la ripetizione di parole o frasi sacri, dette in silenzio con particolare attenzione e devozione.
  • Lettura Contemplativa. O più comunemente detta “contemplazione”. Consiste nel pensare in maniera profonda agli insegnamenti e agli eventi situati all’interno della Bibbia.
  • Seduti con Dio. Si tratta di una pratica silenziosa, in genere preceduta dalle prime due forme di meditazione, nella quale dobbiamo concentrare tutta la nostra mente, il nostro cuore e la nostra anima nella presenza di Dio.

Dal  sito  https://meditazioneavanzata.com/come-meditare/

sabato 6 luglio 2024

La felicità

"Puoi avere difetti, essere ansioso e perfino essere arrabbiato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande impresa del mondo. Solo tu puoi impedirne il fallimento. Molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta, una strada senza incidenti, un lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni".

"Essere felici è smettere di sentirsi una vittima e diventare autore del proprio destino. È attraversare i deserti, ma essere in grado di trovare un'oasi nel profondo dell'anima. È ringraziare ogni mattina per il miracolo della vita. È baciare i tuoi figli, coccolare i tuoi genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche quando ci feriscono".

"Essere felici è lasciare vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice. È avere la maturità per poter dire: "Ho fatto degli errori". È avere il coraggio di dire "Mi dispiace". È avere la sensibilità di dire "Ho bisogno di te". È avere la capacità di dire "Ti amo". Possa la tua vita diventare un giardino di opportunità per la felicità ... che in primavera possa essere un amante della gioia ed in inverno un amante della saggezza.

"E quando commetti un errore, ricomincia da capo. Perché solo allora sarai innamorato della vita. Scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usa le lacrime per irrigare la tolleranza. Usa le tue sconfitte per addestrare la pazienza".

"Usa i tuoi errori con la serenità dello scultore. Usa il dolore per intonare il piacere. Usa gli ostacoli per aprire le finestre dell'intelligenza. Non mollare mai ... Soprattutto non mollare mai le persone che ti amano. Non rinunciare mai alla felicità, perché la vita è uno spettacolo incredibile.". 

domenica 30 giugno 2024

Rapporto Caritas sulla povertà: la povertà oggi è ai massimi storici

Rifacendosi ai dati Istat, il rapporto Caritas del 2024 ricorda come il 9,8% della popolazione italiana, un residente su dieci, viva oggi in uno stato di povertà assoluta. Complessivamente risultano in uno stato di povertà assoluta 5 milioni 752mila residenti, per un totale di oltre 2 milioni 234mila famiglie.  Circa il 12% delle famiglie in stato di povertà assoluta si rivolge alla Caritas.  Il dato relativo al quinquennio 2019-2023 è impietoso:+40,7%.

Le persone incontrate e supportate, con beni materiali e alloggi, dalla Caritas  sono state 269.689. In aumento del 5%, ma meno rispetto agli altri anni. Ed è uno dei pochi segnali positivi.  Un quarto è un lavoratore povero. Alla Caritas si rivolgono anche le mamme non italiane sole. Il 44% non è aiutata dai servizi sociali  Sono le famiglie con figli minori la maggioranza delle persone in fila ai servizi della Caritas. In particolare è allarme per le famiglie con figli nella fascia 0-3 anni dove più di un bambino su sette è povero in termini assoluti e i genitori non gli possono garantire cibo, vestiti, cure. Neppure i giocattoli.     https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2024/06/2024-Report-statistico.pdf


Il 35,4% delle mamme dichiara di dover rinunciare a prendersi cura della propria salute e quasi una famiglia su sette (15,2%) non accede al pediatra.  Circa i due terzi degli intervistati dichiarano di essere costretti a rinunciare a opportunità formative e di lavoro non potendo permettersi di lasciare i figli a nessuno, percentuale che sale al 69,5% per le donne.

Il rapporto segnala altre due priorità, i numeri in crescita di senza dimora e anziani fragili. Nel 2023 le persone senza dimora sostenute dalla rete delle Caritas diocesane e parrocchiali sono state 34.554, corrispondenti a un quinto dell’utenza complessiva (circa 170.000 senza dimora). Il valore risulta in crescita sia in termini assoluti che percentuali. Le persone in difficoltà abitano nelle regioni del Nord. sono in prevalenza uomini (71,6%) di cittadinanza straniera (69,9%), provenienti per lo più da Marocco, Tunisia, Romania, Pakistan e Perù con una età media di 44 anni. Quasi la metà si dichiara genitore e il 13% ha un lavoro. 

Nel 2023 le Caritas diocesane e parrocchiali hanno inoltre incontrato e supportato 35.875 anziani, pari al 13,4% dell’utenza complessiva.

I profili degli assistiti.  Complessivamente, spiega il Rapporto, cala l’incidenza delle persone straniere che si attesta al 57% . Per quanto riguarda il profilo di chi si rivolge all’associazione, “Chiedono aiuto donne (51,5%) e uomini (48,5%). L’età media si attesta a 47,2 anni. Le persone con domicilio rappresentano l’80,8%. Alta come di consueto l’incidenza delle persone con figli: due persone su tre (66,2%) dichiarano di essere genitori.  150.861 nuclei familiari con bambini e ragazzi sono in stato di grave e severa povertà.  Prevalgono le persone con licenza media inferiore che pesano per il 44,3%; se a loro si aggiungono i possessori della sola licenza elementare (16,1%) e la quota di chi risulta senza alcun titolo di studio o analfabeta (6,9%) si comprende come oltre i due terzi dell’utenza siano sbilanciati su livelli di istruzione bassi o molto bassi (67,3%)”.

“Un altro fattore che accomuna la gran parte degli assistiti è la fragilità occupazionale, che si esprime per lo più in condizioni di disoccupazione (48,1%) e di “lavoro povero” (23%). Non è solo dunque la mancanza di un lavoro che spinge a chiedere aiuto: di fatto quasi un beneficiario su quattro è un lavoratore povero“.   Il 78,8% delle persone manifesta uno stato di fragilità economica, legato a situazioni di “reddito insufficiente” o di ‘totale assenza di entrate. Tale condizione non stupisce se si guarda ai dati sugli Isee familiari degli assistiti: il valore medio si attesta pari a 4.315,80 euro“.

Oggi si è rotto l'ascensore sociale:  “Nascere e crescere in una famiglia povera – osserva Caritas – può essere infatti il preludio di un futuro e di una vita connotata nella sua interezza da stati di deprivazione e povertà, anche in virtù del nesso che esiste tra povertà economica e povertà educativa".

venerdì 28 giugno 2024

Bhoutan - Dans les pas de Matthieu Ricard

Il monaco buddista Matthieu Ricard torna alle sue radici in Bhutan, il paese dove è stato iniziato dai più grandi maestri. Una ricerca spirituale e una moltitudine di incontri sorprendenti in questo piccolo regno himalayano di sconcertante bellezza, non più completamente al sicuro dai pericoli della modernità.

https://www.arte.tv/fr/videos/111037-000-A/bhoutan-dans-les-pas-de-matthieu-ricard/

Non tornava in Bhutan da sette anni, un'eternità per lui. Questo piccolo regno segreto dell'Himalaya è stato una tappa fondamentale nella vita di Matthieu Ricard, monaco buddista dalla fine degli anni Sessanta e rinomato saggista, fotografo e pensatore. È in Bhutan che è stato iniziato per dieci anni, ricevendo gli insegnamenti più preziosi dal grande maestro Dilgo Khyentse Rinpoche. Dalla terra del Drago Tonante, incastonata tra i giganti della Cina e dell'India ma mai conquistata o annessa, impara a conoscere la cultura e la storia dei suoi abitanti, per non parlare dei suoi paesaggi mozzafiato. Un ritorno alle origini che non potrà che essere inesauribilmente ricco.

La grande festa annuale sugli altipiani, i monasteri fortificati nelle profondità delle montagne, le cerimonie delle monache dai capelli corti, gli stupa dalle cupole scintillanti... Seguire Matthieu Ricard significa avere accesso a eventi segreti nei luoghi più remoti: il suo status di monaco e il suo passato gli aprono le porte di luoghi e rituali normalmente inaccessibili ai turisti. Ma è anche la fiducia che ispira a tutti coloro che incontra che gli permette di portare avanti la sua instancabile attività di fotografo, le cui immagini luminose fanno conoscere al resto del mondo il popolo del Bhutan. Oltre alla sua ricerca spirituale sulle orme del suo grande maestro Rinpoche, il sempre attento viaggiatore settantasettenne è arrivato a dipingere il ritratto di un Paese in cui la modernità e la tecnologia cominciano a influenzare le tradizioni secolari. Viaggiando, Matthieu Ricard osserva i profondi cambiamenti in atto in questa terra, una delle poche al mondo con un'impronta di carbonio positiva, ma minacciata dal cambiamento climatico e dallo scioglimento dei ghiacciai. In Bhutan la natura e il buddismo sono stati finora preservati, ma il futuro appare incerto come altrove...

Molti luoghi descritti nel documentario li ho visitati durante il mio viaggio in Bhutan.   Vedi:            https://maramici.blogspot.com/2021/05/il-mio-viaggio-in-bhutan.html

La nonviolenza come scelta pratica e non solo etica

Intervista al prof di Filosofia Roberto Fantini sugli insegnamenti del monaco buddhista zen Thich Nhat Hanh -     di Giulia Bertotto.

“Thich Nhat Hahn. Un sentiero tra le stelle” (Edizioni Efesto 2024), questo il titolo del luminoso libro dedicato al monaco buddhista vietnamita, scritto da Roberto Fantini, insegnante di filosofia e attivista volontario di Amnesty International e Cesare Maramici, una lunga esperienza nello yoga e tanti anni di volontariato in Ostia per l’Africa e nella Croce Rossa.

Roberto Fantini:  Il lascito di questo maestro è prezioso, secondo gli autori, perché ha saputo divulgare senza banalizzare i principi dell’antica sapienza buddhista, sviluppando i suoi Cinque Addestramenti alla Consapevolezza derivati dai quattro insegnamenti del Buddha sulle Quattro Nobili verità e sul Nobile Ottuplice Sentiero. Al fulcro del suo insegnamento c’è l’arte di vivere consapevolmente. Non mangiare senza assaporare (per poi diventare ingordi), non consumare la sessualità senza creare un legame, camminare cercando di percepire il terreno e non solo calpestandolo, ascoltare disponendosi davvero a intendere la comunicazione dell’interlocutore, rispettare profondamente ogni forma di vita astenendosi da ogni tipo di violenza, sentire il più possibile ogni momento in uno stato di contemplazione dell’esistente. Solo questo modo di vivere può renderci attenti alle nostre emozioni, capaci di riconoscerle, e così di trasformarle; ma se non pratichiamo questo modo di essere presenti a noi stessi verremo inghiottiti dal rancore e gonfiati dalla presunzione, non potremo mai aspirare ad un’armonia in coppia, in famiglia e nel mondo.
Giulia Bertotto.:  Quindi, tutto bene così? Niente affatto, rivolgeremo ad uno dei due autori poche domande, ma dure e spinose.        

L’intervista a Roberto Fantini.

Giulia Bertotto: Sicuramente, il tema della “consapevolezza” occupa un posto di centrale rilievo all’interno del pensiero di Thich Nhat Hanh. Cosa si intende, esattamente, per “Addestramenti alla consapevolezza”?

Roberto Fantini: Secondo Thich Nhat Hanh, i Cinque Addestramenti alla Consapevolezza, da lui formulati sulla base degli insegnamenti fondamentali del Buddhismo, “possono aiutarci a praticare la consapevolezza in ogni momento della giornata: a proteggere la vita e a praticare la vera felicità, il vero amore, l’ascolto profondo, la parola amorosa e il consumo consapevole.”
Essi ci vengono proposti come punti di riferimento di quella che potremmo considerare una sorta di Etica universale, svincolata da credi confessionali e da ideologie dogmatiche, capace di rinnovare in maniera aperta e costruttiva l’esistenza di chiunque desideri una vita ricca di felicità ed armonia.   Eccoli, in estrema sintesi:

  •     Rispetto per la vita: rifiuto di tutto ciò che può produrre sofferenza; coltivare l’apertura, la non discriminazione, il non attaccamento; rifiuto coerente di violenza e fanatismo.
  •     Vera felicità: praticare la generosità nel pensare, nel parlare e nell’agire; impegno a cercare di ridurre la sofferenza di tutti gli esseri viventi.
  •     Vero amore: impegno a coltivare il senso di responsabilità nell’ambito dei rapporti sentimentali e della propria vita sessuale, praticando i quattro elementi del vero amore (gentilezza amorevole, compassione, gioia e inclusività).
  •     Parola amorevole e ascolto profondo: impegno a parlare in modo veritiero, utilizzando parole che ispirino fiducia, gioia e speranza e ad evitare parole che possano favorire discordia.
  •     Nutrimento e guarigione: coltivare la salute sia fisica che mentale, evitare un consumo disattento e orientando le proprie scelte di consumatore nell’ottica dell’“inter-essere”, cercando di favorire il benessere del corpo e della coscienza, sia a livello individuale che collettivo

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura etica.  A pag 28, citate palestinesi e israeliani a proposito dei luoghi di ritiro fondati dal nostro monaco: pochi giorni fa, nel mezzo di un genocidio in corso, dopo 75 anni di prigionia a cielo aperto, l’esercito israeliano ha massacrato civili palestinesi e bruciato donne e bambini in una tendopoli. Alcuni obiettano che la filosofia della non violenza è per privilegiati, adatta per coloro che non vivono in prima persona l’oppressione fisica e psicologica. Si può proporre la non violenza ma non si può biasimare la resistenza armata. Cosa ne pensi?

Roberto Fantini:  Un errore che spesso viene compiuto, anche in sincera buona fede, è quello di ritenere che la via della nonviolenza rappresenti qualcosa di poco efficace e di poco realistico, qualcosa di sicuramente molto nobile, ma scarsamente applicabile in un mondo dove dominano in maniera spietata la forza, e la più disumana “volontà di (pre-)potenza”. La scelta nonviolenta è senza alcun dubbio una scelta ardua, che implica un impegno serissimo quanto radicale mirante ad una vera e propria rivoluzione teoretica ed etica, prima ancora che strategica.  Thich Nhat Hanh è arrivato ad abbracciarla, come unica alternativa possibile alla perversa concatenazione (perennemente autoalimentantesi) della violenza, dopo aver sperimentato in prima persona, nel corso degli anni ’60, gli orrori della guerra nel suo Vietnam.  Alla base di ciò possiamo certamente intravedere il concetto filosofico del karma e il valore supremo dell’etica buddhista rappresentato dalla compassione, ma, soprattutto, la consapevolezza estremamente realistica della necessità di creare un argine efficace alla tirannia dilagante della politica delle bombe, dei massacri e dei fiumi di sangue.
Insomma, certamente una via lunga e difficile che richiede pazienza, perseveranza, autocontrollo ed un’enorme dose di coraggio.

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura esistenziale. Una delle grandi imprese teoriche e pratiche di Hanh è stata conciliare l’impegno sociale ed etico con la meditazione e l’ascesi. In un certo senso questo potrebbe risultare contraddittorio, poiché il buddhismo insegna a estinguere il desiderio, a non avere più alcuna volontà, educa alla necessità dell’annullamento dell’io e quindi del distacco da ogni causa terrena, anche la più giusta. Non si tratta di valutare il percorso del nostro monaco, ma di un dilemma esistenziale: si può conciliare azione nel mondo e tentativo di slegarsi da esso?

Roberto Fantini: Credo che il nostro maestro zen risponderebbe che il Sutra dei Quattro Fondamenti della Consapevolezza (Satipatthana Sutta), uno dei testi fondamentali della meditazione buddhista, ci esorta a praticare la consapevolezza in ogni momento e in ogni situazione e che, sulla base di questo insegnamento, il “buddhismo impegnato” nato nel corso degli anni Sessanta ha sospinto monaci e monache a soccorrere i rifugiati, i feriti e gli orfani. Questo nella convinzione che, di fronte alle tragedie della storia, un monaco non può certo starsene rinchiuso a meditare, preoccupandosi esclusivamente della propria liberazione dai legami terreni. Il cuore della meditazione buddhista è rappresentato dalla consapevolezza, ovvero dalla energia mentale che ci aiuta a comprendere cosa accade nell’attimo presente. E se, nell’attimo presente, è in atto un’opera di distruzione di vite umane, il compito del monaco è quello di stare dalla parte di chi soffre, accanto a chi soffre per portare aiuto, sollievo e conforto. Il vero messaggio buddhista, secondo TNH (e anche secondo il sottoscritto), non è certo quello della fuga solitaria dal mondo delle vuote apparenze, ma è, prima di ogni altra cosa, un messaggio di compassione, intesa non semplicemente come stato d’animo benevolente, ma come sorgente luminosa a cui attingere per contrastare tutto ciò che genera dolore, e per proteggere le persone, ma anche gli animali e le piante.

Giulia Bertotto:  Una domanda di natura metafisica.  L’odio è il motore della storia, scriveva il filosofo rumeno Cioran: “è l’odio a far andare le cose avanti quaggiù, a impedire che la storia resti a corto di fiato. Sopprimere l’odio significa privarsi di eventi. Odio ed evento sono sinonimi. Dove c’è l’odio succede qualcosa. La bontà, al contrario, è statica; conserva, arresta, frena ogni dinamismo. La bontà non è complice del tempo; mentre l’odio ne è l’essenza”, molti mistici e filosofi (Empedocle, san Paolo, Freud), che ci piaccia o meno, potrebbero mettere la loro firma su queste affermazioni, che sono di natura ontologica e non morale. Nell’ Eterno vi è infatti solo unità e non il principio della divisione, della dualità, della dialettica, il quale è ontologicamente necessario perché si manifesti l’esistenza. Il male dunque non può essere estinto senza nullificare il mondo e il tempo.

Roberto Fantini: Con tutto il rispetto per la sottile intelligenza di Cioran, non ho alcuna difficoltà ad auspicare un mondo liberato dall’odio, anche se questo dovesse veramente (cosa alquanto improbabile) implicare di dover rinunciare ai cosiddetti “eventi” e rendere “corto” il fiato della storia. Discorsi come il suo mi ricordano un certo nefasto giustificazionismo di matrice hegeliana e un certo interventismo bellicista di primo Novecento. Tesi che hanno partorito, direttamente o indirettamente, fanatismi deliranti dalle conseguenze immensamente dolorose.
Con Thich Nhat Hanh e con gli altri grandi maestri della nonviolenza, da Gandhi a Capitini, tenderei a mettere da parte discorsi di carattere metafisico e, in maniera estremamente pragmatica, mi limiterei a dire che, se è pur innegabile che in noi convivano forze di natura opposta, starà sempre e soltanto a noi decidere come schierarci, con chi allearci, cosa rafforzare, cosa alimentare e cosa no. Il nostro monaco buddhista ci dice che dentro di noi ci sono tanti semi di diversa natura e che è nostro irrinunciabile compito saper discernere quali meritino di essere innaffiati con cura, in modo da poter crescere, germogliare e fruttificare.
“Praticando uno stile di vita consapevole, – dice – sappiamo come innaffiare i semi della gioia e trasformare i semi della sofferenza: a quel punto la comprensione e la gentilezza amorevole possono fiorire in noi.”
Insomma, il male sarà forse impossibile da espellere dal nostro mondo, ma certamente possiamo fare molto per contenerlo ed impedirgli di continuare a seminare odio e conflitto nelle nostre esistenze.

mercoledì 26 giugno 2024

Julian Assange è libero, non è chiaro quanto lo sia il giornalismo

La liberazione del fondatore di WikiLeaks è una vittoria per la libertà di informazione, ormai quasi insperata. Il caso legale che lo ha visto protagonista, però, non sarebbe mai dovuto esistere.

Lunedì 24 giugno 2024,  Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks ha visto per la prima volta la libertà dopo oltre un decennio, trascorso prima in detenzione arbitraria – definizione delle Nazioni Unite – nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dal 2012 e, poi, da detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (vicino Londra) dal 2019. 

In tutto questo tempo, e a partire dal 2010, Assange è stato indagato e poi accusato di spionaggio dagli Stati Uniti (sotto le presidenze di Obama, Trump  e Biden) per le pubblicazioni di WikiLeaks avvenute nel medesimo anno, quelle relavite alle guerre in Afghanistan e in Iraq.  Sono stati rivelati crimini di guerra, come l’assassinio di giornalisti a Baghdad e di decine di persone in un bombardamento. In quel contesto, WikiLeaks pubblicò oltre 700mila documenti riservati provenienti dagli archivi dell’esercito e dell’intelligence Usa, forniti da Chelsea Manning. 

Julian Assange trova finalmente la libertà grazie a un patteggiamento che lo vedrà dichiararsi colpevole di un capo di accusa sui 18 che gli erano stati imputati ai sensi dell’Espionage Act. Assange non andrà in carcere per via dei cinque anni che ha trascorso in carcere nel Regno Unito che saranno considerati come periodo di pena.  Dall'isola di Saipan (territorio Usa nell’Oceano Pacifico) il 26 giugno si dichiarerà colpevole, e poi volerà poi nella sua nativa Australia, dove dovrebbe rimanere insieme alla famiglia. 

Chiunque abbia a cuore la libertà di stampa non può che festeggiare, soprattutto perché oggi viene sancita la fine di un’odissea legale e politica che ha visto un giornalista passare cinque anni in un carcere di una capitale europea per aver compiuto degli atti di giornalismo e pubblicato notizie. Mentre gli autori dei crimini narrati, sembrerebbe che non sono stati nemmeno messi sotto accusa. 

martedì 25 giugno 2024

Thomas Merton - Mistici e maestri zen

Thomas Merton (1915-1968)  è stato uno scrittore e monaco cristiano statunitense dell'ordine dei Trappisti, autore di oltre sessanta tra saggi e opere in poesia e in prosa dedicati soprattutto ai temi dell'ecumenismo, del dialogo interreligioso, della pace.  Vedi: https://www.thomasmerton.eu/thomas-merton/         

 In questo testo Mistici e maestri zen,  Thomas Merton presenta il buddhismo e in particolare si sofferma sullo zen.  Il concetto di Bhudda-natura è al centro di tutti gli esseri.

L'Occidente attribuisce al buddhismo l'etichetta di panteismo e nirvana,  e l'idea che la meditazione zen sia un riposo nell'assenza individuale che sopprime tutti i bisogni e interessi nella realtà esterna e storica.

La parola  zen deriva dal cinese ch'an che designa un certo tipo di meditazione, ma lo zen non è un metodo di meditazione, nè una pratica spirituale.  E' un'esperienza, e una vita,  non è una religione, non è una filosofia, non è un sistema di pensiero, né una dottrina, nè un'ascesi.   Daisetz Suzuki ha ripetuto più volte che lo zen non è un misticismo.  Lo Zen ha avversione per ogni forma di dualismo tra materia e spirito, lo zen è volto a un'illuminazione derivante dal superamento di tutte le relazioni e opposizioni soggetto-oggetto in un vuoto puro. Non è una visione di Buddha  o un'esperienza  di una relazione con un Essere supremo considerato oggetto della conoscenza e percezione.  Lo Zen non afferma, nè nega, semplicemente è. Si può dire che sia un'ontologica conoscenza dell'essere puro oltre il soggetto e l'oggetto, un'immediata intuizione dell'essere così com'è.  I maestri zen arrivano a dire "se incontri Buddha uccidilo" ,  e rifiutano di rispondere a domande speculative e metafisiche.  Lo Zen non è un sistema di monitoraggio panteistico, e rifiuta qualsiasi affermazione sulla struttura metafisica dell'essere e sull'esistenza, mirando direttamente all'essere.

Lo zen  è la lenta combinazione del buddhismo Mahayana e del taoismo, e poi portato in Giappone e perfezionato.  Sono le strofe attribuite al mitico Bodhidarma ( sesto secolo d.C.) a definire lo zen: "Una speciale tradizione fuori delle scritture (sutra) con nessuna dipendenza da parole e lettere, occorre mirare direttamente all'anima dell'uomo, vedere dentro la propria natura e così raggiungere la condizione di Buddha".  Lo Zen insiste sulla pratica concreta più che su studio e riflessione intellettuale.    Nello zen si giunge all'essere mente anziché avere la mente. L'insistenza zen è la consapevolezza di una piena realtà spirituale e la realizzazione della vacuità di tutte le realtà limitate o particolareggiate, la mia identità non deve essere ricercata dalla separazione, ma dall'unione con tutto ciò che è.  Non è una negazione ma la più alta affermazione dell'identità, nell'uno e con l'Uno.

Il momento più critico per la storia dello zen cinese è la rottura tra la scuola settentrionale e quella meridionale (settimo secolo), nella scelta del sesto patriarca Hui Neng.       

Shen Hsiu (scuola settentrionale - Soto), uno degli aspiranti al ruolo di patriarca scrisse: "il corpo è l'albero della bodhi, la mente è simile a un limpido specchio diritto, abbi cura di spolverarlo continuamente, fa che nessun grano di polvere vi si posi".

Hui Neng (scuola meridionale - Rinzai) scrisse: "il bodhi non è simile a un albero, il limpido specchio in nessun posto è dritto, fondamentalmente nessuna cosa esiste: dov'è dunque il grano di polvere che deve posarsi?"

Suzuki spiega che quando i sutra affermano che tutte le cose sono vuote, inesistenti e fuori dalla casualità, questa affermazione non è il risultato di un ragionamento metafisico, ma esprime l'esperienza buddhista più profonda. Lo Zen di Hui Neng non è una tecnica di ontroversione, con la quale si cerca di escludere il mondo esterno, eliminare i pensieri inquietanti, stare seduti in meditazione. Lo Zen non è misticismo composto da introversione e rinuncia. Per Hui Neng l'illuminazione sarebbe giunta all'improvviso da sé, tenendo in poco conto la pratica dello zazen (la pratica meditativa), in quanto tutta la vita era zen.  Non c'è nessun raggiungimento, e quindi affannarsi a cercare una "via" al raggiungimento è pura illusione. Non si raggiunge lo zen con la meditazione che spolvera lo specchio, ma con l'oblio di sé nel presente esistenziale della vita qui e ora.

Oggi noi ci tormentiamo con l'eredità di quella autoconsapevolezza cartesiana secondo la quale l'io empirico è il punto di partenza di un progresso intellettuale infallibile verso la verità e lo spirito, sempre più raffinato, astratto e immateriale.

Nello zen ci trasformiamo nella luce (prajna), "diventiamo" quella luce che di fatto "siamo". La relazione soggetto-oggetto che esiste nell'io empirico è soppressa nel vuoto, che però non è negazione. Nella realizzazione il vuoto non può essere opposto al pieno, ma vuoto e pieno sono Uno, Zero equivale all'infinito. Il vuoto di tutte le forme limitate è la pienezza dell'Uno. 

Quando non vi è un dimorare del pensiero in nessun luogo e su nessuna cosa, questo è essere liberi, il non dimorare in nessun luogo è la radice della vita. Un maestro zen ha detto:  " vedere dove non c'è qualcosa, questo è il vero vedere, questo è l'eterno vedere".  La contemplazione del vuoto ha delle affinità ben precise con note testimonianze di mistica cristiana.

Sempre secondo lo zen: "Dal principio nessuna cosa è. È nulla è questo nulla che c'è, è sunyata, vuoto, non-mente, la non oggettiva presenza del non-vedere".

Il vescovo cattolico e missionario francese Padre Domoulin (1808-1838) ci offre una bella immagine del maestro giapponese zen Dogen (tredicesimo secolo) la cui illuminazione avvenne in un austero monastero zen dove si praticava meditazione, dotato di alto spirito etico, praticava un ascetismo gioioso, e meditava sulla transitorie delle cose terrene. Tra i buddhisti la sua dottrina è chiamata la religione del solo zazen ed è considerata un ritorno alla pura tradizione di Buddha. 

Comunque Dogen si avvicina a Hui Neng quando insegna ai monaci zen di non desiderare nessuna speciale esperienza di illuminazione durante lo zazen, in quanto l'illuminazione è già presente nello stesso zazen; Lo zazen contiene in sè le sostanze e la realtà dell'illuminazione ( qui si discosta da Hui Neng). Dogen fa riferimento alla scuola Soto, segue le linee tracciate da Shen Hsiu: ponendo l'enfasi su meditazione, ascetismo e metodo. 

La scuola Rinzai segue le linee di Hui Neng che non esclude la meditazione ma la considera in modo diverso: invece di svuotare la mente dai concetti sedendo quietamente, cerca di immergere il discepolo zen nel satori, in una intuizione metafisica dell'essere col non-vedere e il vuoto, lottando col koan. Non-vedere e non-mente non sono rinunce ma realizzazioni. Il vedere senza soggetto e oggetto è un vedere puro, la mente che è vacuità, vuoto e sunyata è la mente prajna (conoscenza  e contemplazione), il fondo metafisico dell'essere. 

Padre Dumoulin vedeva un vero misticismo nei maestri zen come Dongen, mentre non era ispirato dalla tradizione Rinzai con i koan, con le loro risposte violente e irriverenti del maestro (come bruciare la statua di Buddha per scaldarsi in una notte d'inverno).

Hui Neng quando parla di non-vedere, e di non-mente, non definisce uno stato psicologico, ma un'intuizione metafisica del fondo dell'essere, una autoconsapevolezza dell'essere vuoto che è il prajna mente. Il vuoto è inteso come termine metafisico che designa il vuoto dell'essere puro. Questo vuoto è infinito. Suzuki dice che per lo zen zero, è uguale a infinito. Il vuoto infinito è dunque la totalità e la pienezza infinita. 

Per la scuola meridionale  non si può fare di una regola uno specchio, anche pulendo a fondo, così non si può diventare un Buddha stando seduti in meditazione.  Non esiste Essere che non sia Vedente che è a sua volta Agente, questi tre termini sono sinonimi e intercambiabili. Questa struttura trinitaria suggerisce  una esperienza del fondo dell'essere come vuoto puro (sunyata)  che è luce (prajna) che illumina ogni cosa e atto puro  perchè e pienezza e totalità ( di essere-vuoto senza limitazione di sorta). Il fondo-Essere non si distingue da sé stesso come Luce e come Atto.  Per Daisetz Suzuki che è il più importante interprete della tradizione Rinzai "la cosa più importante di tutte è l'amore", l'adempimento nell'amore che non ci si aspetterebbe di trovare in Hui Neng. 

Lo zen Rinzai e tutt'altro che una mistica di passività e di rinuncia. Non è un calarsi nella propria interiorità, e rinuncia, ma una completa liberazione dalla schiavitù di un interno limitato e soggettivo.  L'obiettivo di Hui Neng è la diretta consapevolezza nella quale si forma la verità che ci rende liberi, non la verità come oggetto di sola conoscenza, ma quella vissuta è sperimentata in consapevolezza concreta ed esistenziale. Per questa ragione le attività e gli interessi esteriori non devono essere considerati ostacoli, al contrario lo zen si manifesta in essi come in ogni altra cosa, compreso il mangiare, il dormire e le più umili funzioni materiali.

Forse Hui Neng non fu il vero autore del testo Scrittura programmata, il manifesto ufficiale della scuola meridionale. È l'unico testo buddhista cinese che si sia affermato come scrittura nel senso dei sutra. Ma non fu mai proposto dai maestri zen ai loro discepoli, in quanto lo zen è un'esperienza che deve essere trasmessa senza i sutra. Comunque nel testo è contenuta la definizione di illuminazione come la intendeva Hui Neng che veniva raggiunta all'improvviso quindi non per gradi e non come risultato di una meditazione o altra disciplina.

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