sabato 10 luglio 2021

Arthur Schopenhauer legge le Upanishad

 Per Nietzsche, un pensiero filosofico “è sempre la confessione autobiografica del pensatore che lo enuncia".  Per Schopenhauer, poi, “ogni biografia è una patografia!

Schopenhauer  nella sua filosofia richiama alcuni tratti della filosofia indiana, il mondo è una rappresentazione (per gli indiani maya) e non sussiste di per sè come oggetto. C'è sempre bisogno di un soggetto che lo rappresenti. Il mondo esiste quindi solo se percepito.

Articolo interessantisssimo sul rapporto tra Schopenhauer e l'Oriente preso dal sito Il Buddha delle ciminiere, appunti sul Dharma e dintorni     vedi:  http://zenvadoligure.blogspot.com/2016/12/arthur-schopenhauer-legge-le-upanishad.html

Arthur Schopenhauer (1788-1860) scrisse nel 1832: “A diciassette anni, digiuno di qualsiasi istruzione scolastica di alto livello, fui turbato dallo strazio della vita proprio come Buddha in gioventù, allorché prese coscienza della malattia, della vecchiaia, del dolore, della morte. La verità, che mi parlava in modo così chiaro e manifesto dal mondo, presto ebbe la meglio sui dogmi giudaici che erano stati inculcati anche in me, e ne conclusi che un mondo siffatto non poteva essere l’opera di un essere infinitamente buono, bensì di un demonio, che aveva dato vita alle creature per deliziarsi alla vista dei loro tormenti”.  Lo strazio di cui Schopenhauer parla è riferito alla morte del padre. Dopo la morte dell’amato padre il giovanissimo Arthur iniziò a dedicarsi agli studi classici, filosofia, in particolare Platone e Kant.  Alcuni temi stanno a fondamento della sua opera  la sofferenza della vita, che si impone come verità al di sopra della dogmatica giudaico-cristiana, ormai divenuta una inaccettabile mitologia; l’impotenza dell’uomo, e ancor più del filosofo, sul mondo; l’impossibilità della coesistenza della vita e della verità; e soprattutto, per quanto qui ci interessa, la costante presenza in Schopenhauer del pensiero orientale, in particolare gli insegnamenti delle Upanishad  e dei testi buddhisti.

Per Schopenhauer il mondo è quindi rappresentazione: il mondo è la mia rappresentazione, questa è l’affermazione perentoria con cui si apre la sua opera;  Schopenhauer è molto netto: “tutto ciò che esiste per la conoscenza, e cioè il mondo intero, non è altro che l’oggetto in rapporto al soggetto, la percezione per lo spirito percipiente; in una parola: rappresentazione”. Da un lato il soggetto, quindi, che non può essere oggetto di conoscenza, al di fuori dello spazio e del tempo, indiviso in ogni essere capace di avere rappresentazioni. Dall’altro l’oggetto, condizionato dalle forme del tempo e dello spazio che ne producono la molteplicità.

La rappresentazione è ordinata dalle connessioni instaurate dall’intelletto: il tempo, lo spazio, e la causalità, che costituisce la realtà della materia, realtà che è azione dell’oggetto sugli altri oggetti. La conoscenza è fondamentalmente intuizione dei rapporti causali tra gli oggetti, mentre la ragione è discorsiva ed ha a che fare con concetti astratti. 

La realtà non si riduce interamente alla rappresentazione, che è soltanto fenomeno. Il mondo ha un noumeno, un’essenza, una cosa in sé, costituito dalla volontà. Diviene pertanto chiaro il senso del titolo – e del contenuto – del capolavoro di Schopenhauer: “la rappresentazione è il mascheramento razionale della volontà”, ciò che appare come razionale è invece volontaristico, l’ordine che scorgiamo nel mondo è solo espressione della cieca volontà di vivere.  Ma se l’oggetto del desiderio è conseguito, allora subentra la noia, a causa dell’estinzione del desiderio. In ultima analisi, la vita è dolore, e la volontà di vivere costituisce la causa del dolore.

Una possibile via di liberazione dalla condizione di sofferenza è costituita dalla contemplazione estetica, che è disinteressata rispetto al possesso dell’oggetto, e non segue le regole della razionalità, è priva di scopo. In particolare, l’espressione più alta dell’arte è secondo Schopenhauer la tragedia, nella quale si rivelano al meglio “il dolore senza nome, l’affanno dell’umanità, il trionfo della perfidia, la schernevole signoria del caso e il fatale precipizio dei giusti e degli innocenti”. Ma la liberazione attraverso l’arte è momentanea e parziale, procura soltanto un temporaneo sollievo, una forma di conforto.

 Un altro rimedio consiste nel riconoscimento dell’unità della volontà in tutti gli esseri, ovvero il riconoscimento dell’altro come me stesso. È il tat tvam asi, “Questo sei tu”, dell’India vedica. Il pensiero di essere separati dagli altri, e dal dolore, è solo apparenza, inganno: è il velo di Maya,. L’unica via d’uscita è data dall’ascesi, della rinuncia alla vita. Ma nel senso di rinuncia ai bisogni e alle soddisfazioni che la ragione presenta ingannevolmente come motivazioni e finalità dell’agire.

La prima delle rinunce è la perfetta castità, in quanto rinuncia alla fondamentale manifestazione della volontà, l’impulso alla generazione. Per Schopenhauer l’amore è sempre sotto la spinta degli interessi alla riproduzione. La scelta sessuale non è mai individuale, ma sempre compiuta nell’interesse della specie. Allo stesso scopo, liberarsi dalla volontà di vita, tendono poi le altre forme della rinuncia: la povertà, il sacrificio, ecc.  Al termine del percorso l’uomo diviene libero. 

L’Oriente di Schopenhauer.  Un passo interessante de Il mondo è quello che esorta a non temere il nulla, senza fare però come gli Indiani, che lo ammantano “in miti e in parole prive di senso, come sarebbero l'assorbimento in Brahma o il Nirvana dei Buddhisti”. Queste parole costituiscono una ulteriore prova del fatto che Schopenhauer conosceva bene le tradizioni della spiritualità estremo orientale, soprattutto Induismo e Buddhismo, con l’ovvio limite della quantità di testi a quel tempo pervenuti in Europa e della qualità delle traduzioni. 

Schopenhauer li lesse, li studiò a fondo e ne fu profondamente influenzato, come dimostrato da molti aspetti specifici della sua filosofia e dal suo complesso, nonché dalla terminologia utilizzata. Benché ciò sia di immediata evidenza, molti testi di storia della filosofia vi accennano solo en passant, o non ne parlano affatto. Mentre molti intellettuali dell’epoca privilegiavano la cultura greco-romana e quella giudaico-cristiana ed erano al più semplicemente incuriositi da ciò che cominciava a sorgere ad Est, Schopenhauer ruppe decisamente con l’eurocentrismo dominante, criticando quello che chiamava il “pregiudizio classico” e studiò seriamente i testi della spiritualità dell’India che aveva a disposizione, fino ad identificare in essa “il bacino originario cui attinsero sia l’Egitto, Pitagora, Platone, il Neoplatonismo e tutta la mitologia greco-romana sia il vero Cristianesimo neotestamentario”, visto come un riflesso della luce dell’Asia caduto purtroppo sul suolo giudaico. Auspicò addirittura – ed in parte fu buon profeta – un benefico influsso delle culture indiane sull’Occidente, che avrebbe potuto produrre un rinascimento europeo dello spirito orientale. Le grandi tradizioni del Brahmanesimo e del Buddhismo avrebbero potuto consentire di “salvare quel che di eternamente valido v’è nel Cristianesimo, riuscire a separare di nuovo dal nucleo essenziale di verità che è in esso ciò che vi è stato congiunto dall’esterno”, cioè i dogmi e le mitologie ebraiche. Corretto appare quindi un giudizio espresso su Schopenhauer da uno studioso, che lo definì “l’ultimo eretico del cristianesimo e il patriarca del buddhismo occidentale”.

Il Buddha di Schopenhauer.  Anche dai dettagli della sua biografia si evidenziano l’interesse e l’intimità di Schopenhauer con la cultura indiana e cinese: la sua biblioteca orientale era ricchissima di testi, e già è stata citata la similitudine da lui stesso proposta tra la sua giovinezza e quella di Siddhartha Shakyamuni. Nel suo salotto faceva mostra di sé una statua di bronzo del Buddha di cui era orgoglioso, e negli anni della maturità si rivolgeva ai conoscenti dicendo “noi Buddhisti”. Inoltre, il suo cane barbone si chiamava Atman, in sanscrito essenza, spirito vitale, anima individuale…

Al di là degli aneddoti biografici, Schopenhauer non perdeva mai l’occasione “per tessere le lodi della filosofia e della religiosità indiane e per sottolinear[ne] l’intima conformità con il proprio pensiero”. Egli stesso definì prima “paradossale” e poi “prodigiosa” la corrispondenza tra la sua filosofia e il Buddhismo, non solo nell’etica o in altri aspetti specifici, ma nell’insieme delle loro dottrine. Poco prima della morte scrisse: “Buddha, Eckhart e io insegniamo nella sostanza la stessa cosa”.

Ed infatti le sue opere, a partire dal 1814, sono sempre più ricche di riferimenti ai testi orientali – dalle Upanishad al Tao Te Ching, dai Purana all’I Ching, dalla Bhagavadgita ai Sutra buddhisti – e soprattutto alla visione dell’uomo e del suo essere nel mondo che essi propongono e che Schopenhauer afferma sostanzialmente di accogliere e di fare sua.

 In sintesi, gli elementi-base della corrispondenza Schopenhauer/Oriente possono essere così riassunti:

  • - la rappresentazione (il mondo come illusione, sogno) e il velo di Maya;
  • - la volontà e il Brahman o il tian dei Cinesi (il principio di tutte le cose) – per cui la sua opera maggiore potrebbe intitolarsi Il mondo come Brahman e Maya;
  • - l’ateismo (il non-teismo) e il pessimismo del Brahmanesimo e del Buddhismo (definizioni peraltro molto discutibili);
  • - i miti della metempsicosi (reincarnazione) e della rinascita, collegati alla sussistenza metafisica della volontà;
  • - samsara (esistenza ciclica condizionata) e nirvana (estinzione della sofferenza) come affermazione e negazione della volontà;
  • - sul conseguente piano etico: il tat tvam asi, il non-io, e la compassione.

Per concludere, è però altrettanto doveroso individuare le rilevanti discordanze tra le due concezioni, e quindi i limiti oggettivi e soggettivi (dottrinali e personali) dell’orientalismo di Schopenhauer. 

Per citare solo un paio di pareri, secondo René Guénon Schopenhauer ha “ridicolamente distorto il Buddismo riducendolo a una specie di moralismo ‘pessimista’ e ha dato la giusta misura del suo livello intellettuale cercando ‘consolazioni’ nel Vedanta”. Per Von Glasenapp, poi, “si può dire che l’interpretazione schopenhaueriana della storia del pensiero metafisico indiano e le relative concezioni del Vedanta e del Buddhismo siano oggi per molti aspetti superate e forniscano un quadro dei fatti senza dubbio interessante ma tutt’altro che fedele”.   Tra le molte possibili, ecco alcune delle contestazioni:

  • - l’impossibilità di definire complessivamente ateistiche o anti-teistiche le scuole filosofiche indiane, in molte delle quali è presente la figura del dio personale (Ishvara, Krishna), Signore del cosmo;
  • - la mancata distinzione tra Brahmanesimo e Buddhismo, in generale e all’interno delle singole scuole (es. Buddhismo Hinayana e Mahayana), e, conseguentemente
  • - l’appiattimento delle filosofie indiane in una sorta di hegeliana notte in cui tutte le vacche sono nere; più nel dettaglio:
  • l’errore dell’identificazione del Brahman del Vedanta con la volontà, in quanto il Brahman non ha nulla a che vedere con la brama (nonostante l’intrigante assonanza dei termini), non è pulsione cieca, e quindi fondamento della sofferenza, bensì spirito puro, Sat-Cit-Ananda, Essere-Coscienza-Beatutidine Supreme;
  • la totale incompatibilità tra la dottrina brahmanica dell’atman quale substrato durevole dell’apparenza e gli insegnamenti buddhisti su anatman (non-sé), anitya (impermanenza), sunyata (vacuità), pratitya samutpada (co-produzione condizionata di tutti i fenomeni, compreso l’io).

Un altro punto fondamentale, l’accentuazione degli aspetti pessimistici delle concezioni indiane, soprattutto del Buddhismo, ci porta direttamente ad una considerazione finale, che riguarda complessivamente il pensiero e la biografia di Schopenhauer. L’insegnamento del Buddha sulle Quattro Nobili Verità inizia sì con le verità della sofferenza e della sua origine, ma prosegue con l’esposizione della cessazione della sofferenza stessa e della Via che porta alla cessazione, ovvero l’Ottuplice Sentiero. Non può pertanto essere definito come una concezione pessimista. Esso costituisce invece una visione del tutto realistica, non per un cieco atto di fede nelle parole del Buddha o di altri Maestri, ma per la verificabilità su se stessi della validità del Dharma.

Schopenhauer, come si è visto all’inizio, ha paragonato la sua sofferenza a quella del Buddha, ne ha studiato la vita e gli insegnamenti, ma si è come arrestato sulla soglia: ha riconosciuto il proprio dolore, ha compreso come il dolore permei di sé l’esistenza di tutti gli esseri e quali ne siano le cause. E infine ha intravisto nelle parole del Buddha o delle Upanishad la concreta possibilità di una via di liberazione, attraverso la messa in pratica di tali parole – in particolare attraverso la meditazione –, ma di questo passo decisivo, del passaggio dalla teoria alla prassi, non v’è traccia nelle sue opere, né soprattutto nella sua vita reale, trascorsa alla ricerca di gratificazioni accademiche, di successi editoriali, di denaro, di fama, di amori insoddisfacenti, pur continuando a definirsi “buddhista” con i conoscenti. E nel contempo crogiolandosi nel proprio dolore e creando così ulteriore sofferenza, per sé e per gli altri. Forse, rivolgendo di tanto in tanto uno sguardo afflitto alla sua amata statuina del Buddha, in un angolo del salotto. Del perché, non è dato sapere.

Magari, vedere il Sentiero e scegliere di non percorrerlo è stato un gesto coerente, la vittoria finale di una volontà cieca ed irrazionale votata al dolore…    D’altra parte, il tempo del fare filosofia, del vivere la filosofia come concreto esercizio spirituale che porta all’evoluzione di sé, all’autentica liberazione, era ormai troppo lontano.

Riferimenti:

  • M. Onfray, Buddha, il cane e il flauto, in: http://letterainternazionale.it/testi-di-archivio/buddha-il-cane-e-il-flauto/
  • [Per patografia si intende la “ricostruzione delle patologie psichiche di personaggi celebri fondate sulle informazioni biografiche e sull’esame delle loro opere”, 
  • A. Schopenhauer, Il mio Oriente,
  • U. Galimberti, SchopenhauerStoria del pensiero occidentale,
  • N. Abbagnano, Storia della filosofia,
  • A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione,
  •  P. Scroccaro, Schopenhauer e l’Oriente,
  • G. Gurisatti, Schopenhauer e l’India,
  • A. Lanza, Il pensiero di Schopenhauer su buddhismo e cristianesimo,
  • Meister Eckhart (Eckhart von Hochheim, 1260-1327) è stato uno dei più importanti teologi, filosofi e mistici renani del Medioevo cristiano, e ha segnato profondamente la storia del pensiero tedesco
  •  R. Guénon, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù.

Lo yoga e l’Occidente di Carl Gustav Jung

  Un testo da conoscere è senza alcun dubbio Lo yoga e l’Occidente di Carl Gustav Jung con cui l'autore è riuscito ad esprimere la complessa relazione tra noi (occidentali, moderni e postmoderni) e lo yoga.

Lo yoga e l’Occidente venne scritto e presentato nel 1936, dallo psicoanalista svizzero, ad un convegno dedicato al grande maestro indiano Ramakrishna. Un testo importante, il punto di partenza per un ‘rispettoso’ approccio allo yoga da parte di un ricercatore occidentale. 
Rispettoso perché spesso, noi occidentali, saltiamo da una proposta spirituale all'altra, senza preoccuparci di niente, prendiamo quello che possiamo prendere da quella proposta e passiamo ad altro, senza nessuna soluzione di continuità.

Nel suo saggio, composto da una quindicina di pagine Jung con  lucidità, profondità e chiarezza delimita il campo del suo intervento: "Tacerò sul significato che ha lo yoga in India, non presumendo di poter pronunciare un giudizio su ciò che non conosco per esperienza personale, ma posso dire qualcosa sul significato che ha lo yoga in Occidente". E prosegue mettendo in evidenza una delle fondamentali specificità dello yoga: "Da noi la mancanza di una regola (interiore) è tale da confinare con l’anarchia psichica; perciò ogni pratica religiosa o filosofica promette una disciplina psicologica, cioè un metodo d’igiene psichica".
I numerosi esercizi yoga esclusivamente fisici rappresentano un percorso superiore alla solita ginnastica e agli esercizi di respirazione, in quanto non è soltanto scientifico-meccanico, ma anche filosofico. Attraverso gli esercizi, lo yoga mette il corpo in contatto con l’interezza dello spirito. E sottolinea quindi, con forza, la pratica dello yoga è impensabile e sarebbe anche inefficace senza le idee dello yoga, e coinvolge a un punto raro ciò che è del corpo e ciò che è dello spirito.
 
Si può iniziare a fare yoga per una semplice curiosità, o per risolvere un fastidioso mal di schiena, dal desiderio di alleviare un senso di fatica o di stress, ma a un certo punto, con modalità diverse, emerge il desiderio dell’io di andare oltre se stesso, il desiderio di vivere l’esperienza dello yoga ossia la riunificazione dell’io con l’essere infinito. Nello yoga si dice che l’io sia il limite e contemporaneamente il mezzo.
Questo anelito verso l'infinito ha come limite la nostra stessa psiche: come può una mente limitata cogliere ed accogliere il contatto con l’infinito? 
Bisogna per questo, fare molta attenzione, perché una tecnica capace di trasformare la vita dell’uomo (e anche dell’uomo occidentale), non può NON richiedere delle precauzioni nel suo uso.

Prima di tutto Jung cerca di inquadrare la scoperta dello yoga in Occidente, in senso storico. Collega l’interesse dell’Europa per lo yoga alla grande crisi – in apparenza tutta religiosa, ma in realtà soprattutto culturale, politica ed economica – che conosciamo sotto il nome di Riforma protestante; da quel momento si andò affermando sempre più l’importanza di un pensiero razionalista, basato sulle scoperte scientifiche, un percorso culturale che di secolo in secolo cercò di affrancarsi sempre più dal pensiero metafisico/religioso e sfociò nella cultura pienamente laica dell’illuminismo e del positivismo. Quindi la prima conclusione, prettamente storica, a cui arriva Jung è la seguente: lo yoga in Occidente va interpretato come parte, sicuramente originale e ricca di anomalie, della grande corrente protestante.  Un tentativo di tenere uniti una mentalità moderna e scientifica.

Jung, da psicanalista vede in questo tentativo, un problema di scissione psichica tipico di tutto l’Occidente. Lo yoga in Occidente trova linfa dal desiderio di armonizzare la dimensione religiosa e scientifica. Continua Jung: Perciò se un metodo “religioso” si presenta anche come “scientifico”, può essere certo di trovare un pubblico in Occidente. Lo yoga colma quest’attesa. 
 Poi Jung si domanda: ma siamo veramente capaci – noi, con la nostra cattiva abitudine di volere credere e contemporaneamente esercitare uno spirito critico e filosofico – di tenere insieme corpo e spirito?  Così fin dal principio la scissione dello spirito occidentale rende impossibile un’adeguata realizzazione delle intenzioni dello yoga. O ne fa un fenomeno strettamente religioso o un training di ginnastica respiratoria,  nei quali non si trova traccia di quell’unità e interezza dell’essere, caratteristica dello yoga. L’occidentale è incapace di riconoscere coscientemente la propria inferiorità verso la natura che è in lui e intorno a lui.
Nel testo Jung si pone una serie di domande quali:  "Perché in Occidente cerchiamo lo yoga? Che bisogno ne abbiamo? Perché addentrarci in un territorio fisico-psichico-spirituale che la nostra mente nei millenni non ha sviluppato?".
Jung fa le seguenti considerazioni: "L’europeo,  farà immancabilmente un cattivo uso dello yoga, perché la sua disposizione psicologica è completamente diversa da quella dell’orientale. Dico a quanti più posso: “Studiate lo yoga; vi imparerete un’infinità di cose, ma non lo praticate, perché noi europei non siamo fatti in modo da poter usare senz’altro quei metodi come si conviene. Un guru indiano vi può spiegare tutto e voi potete imitare tutto. Ma sapete chi pratica lo yoga? In altre parole, sapete chi siete e come siete fatti?”.
Secondo Jung, il problema è dunque nel rapporto con l’inconscio: "la nostra non conoscenza, non comprensione, il nostro non-rapporto con l’inconscio. Che cosa succede a sollecitare un profondo lavorio della coscienza quando l’inconscio occupa ancora parti preponderanti della personalità? ".

Il metodo yoga si applica esclusivamente alla coscienza e alla volontà cosciente, in Occidente  coscienza e inconscio anziché incontrarsi tendono vieppiù a separarsi. In Oriente, si diminuisce il forte impatto dell'inconscio attraverso un ricco simbolismo. E ancora ammonisce, dicendo che l’inconscio va incoraggiato a emergere.  Jung conclude dicendo: "Il mio atteggiamento critico di rifiuto nei confronti dello yoga non significa affatto che io non consideri questa conquista spirituale dell’Oriente una delle cose più grandi mai create dallo spirito umano. Spero che dalla mia esposizione risulti con sufficiente chiarezza che la mia critica investe esclusivamente l’uso dello yoga da parte dell’Occidentale. L'Occidente, deve cercare di trovare una profonda comprensione della natura umana, che non si conquista opprimendo e dominando, e meno ancora imitando metodi sorti in condizioni psicologiche del tutto diverse. L’Occidente produrrà nel corso dei secoli il suo proprio yoga, e questo sulla base creata dal cristianesimo".
Questi sono solo alcuni spunti tratti dal testo di Jung, ma credo sufficienti per riflettere sulla pratica di yoga che ha conquistato milioni di occidentali.

Riferimenti
Carl Gustav Jung, Opere, vol. 11, Psicologia e religione,
Carl Gustav Jung, La saggezza orientale,
Shri Ramakrishna, Alla ricerca di Dio,
Shri Ramakrishna, Il Vangelo di Sri Ramakrishna,
Romain Rolland, La Vita di Ramakrishna.

Sagesses Bouddhistes

 In Francia il Buddhismo è molto diffuso, ci sono tantissimi monasteri, soprattutto nei dintorni di Parigi  e in Dordogna. Il buddhismo è entrato nella mappa religiosa francese ed è perfettamente integrato nel mosaico culturale francese. Oggi riguarda un numero molto grande di praticanti e simpatizzanti, ma al di là dei numeri, si concretizza in azioni diversificate, mosse da una ferma volontà spirituale e culturale, al servizio di tutti, e in armonia con le altre tradizioni religiose e scuole di pensiero.

I media francesi organizzano delle bellissime emissioni su questa filosofia. Una di queste emissioni, Sagesses Bouddhistes, https://www.france.tv/france-2/sagesses-bouddhistes  creata nel 1996 è diventata un luogo di riflessione sul buddhismo, che viene presentato nella diversità delle sue tradizioni.

Per fare questo, il programma riceve una vasta gamma di ospiti, francesi e stranieri, rappresentanti delle diverse tradizioni buddhiste, scrittori, filosofi, storici, medici e scienziati, grandi maestri che sviluppano gli scambi tra il pensiero buddhista e la modernità e trasmettono i valori fondamentali dei diritti e dei doveri umani. L'emissione è realizzata da Michel Baulez, e presentata da  Aurélie Godefroy.

Le emissioni sono in francese.  Di seguito sono riportate le emissioni del 2021.

  • Sagesses bouddhistes 20 06 2021. Qu’est-ce qu’un maître authentique?  Sagesses Bouddhistes propose aujourd’hui une rencontre avec Matthieu Ricard, en Dordogne, une belle région de France où, le long de la Vézère, plusieurs centres tibétains se sont implantés dès les années 70, fondés par de grands maîtres tibétains aux qualités spirituelles exceptionnelles.  link
  • Sagesses bouddhistes 13 06 2021.  link   Les trésors du Musée CERNUSCHI – 2e partie
  • Sagesses bouddhistes 06 06 2021.   link  Les trésors du musée CERNUSCHI – 1re partie
  • Sagesses bouddhistes 23 05 2021. link   A la fois philosophe, enseignant et yogi, Djé Tsongkhapa, éminent maître tibétain qui marqua profondément la pratique du bouddhisme au XIVe siècle, par la fondation de ses monastères, l’instauration de grandes célébrations mais aussi par ses enseignements, avait un lien particulier avec la Cité Interdite. Aussi pourquoi ce lieu est-il incontournable ? Quel rapport les empereurs chinois entretenaient-ils avec le bouddhisme, et plus particulièrement avec Djé Tsongkhapa ? C’est le thème de cette première émission consacrée à Djé Tsongkhapa.  Invitée : Françoise Wang-Toutain
  • Sagesses bouddhistes 09 05 2021. link  Sagesses Bouddhistes évoque le temps de deux émissions, le gréco-bouddhisme, syncrétisme culturel entre la culture héllénistique et le bouddhisme qui s’est développé à partir du IVe siècle avant notre ère et qui aurait conduit à la formation du mahayana, le bouddhisme du grand véhicule. Mais qu’entend-on plus exactement par « gréco-bouddhisme » ? Qu’en est-il de la chronologie et de sa dimension géographique ? Réponses avec Eric Vinson.
  • Sagesses bouddhistes 02 05 2021.  link    Discernement et esprit critique.   Il est difficile aujourd’hui de garder sa clairvoyance devant la profusion d’informations et d’avis qui nous parviennent de tous côtés. Avec l’essor des réseaux sociaux, nous avons plus que jamais besoin de savoir user de discernement et d’esprit critique. Pourquoi nous entrainer à notre propre liberté d’esprit et comment y parvenir ? L’enseignement bouddhiste peut nous y aider car loin d’imposer une vérité, le bouddhisme, au contraire, nous donne les moyens de distinguer ce qui nous semble être juste. Nous recevons Marie-Stella Boussemart pour en parler.
  • Sagesses bouddhistes 18 04 2021  link     Vivre la crise : développer nos ressources intérieures.  Dans ce second volet de l’émission consacrée à la crise sanitaire vécue à marche forcée mondialement, Sagesses Bouddhistes met aujourd’hui plus particulièrement l’accent sur les ressorts qui sont en nous et qui peuvent nous aider à atténuer le stress, l’anxiété ou encore le repli sur soi et la résignation. Le ralentissement général des activités, l’isolement ainsi que toutes les contraintes imposés par cette crise peuvent être mis à profit par chacun d’entre nous pour développer notre vie intérieure et revenir à l’essentiel. Nous en parlons avec Christophe André
  • Sagesses bouddhistes 11 04 2021. link   Vivre la crise, tous ensemble.  Depuis plusieurs mois, nous vivons une crise sanitaire mondiale qui bouleverse toutes nos habitudes de vies, qu’elles soient collectives et individuelles. Comment faire face à ces changements imposés, c’est ce que nous allons évoquer durant deux émissions. Dans cette première émission nous verrons comment la notion d’interdépendance explique et peut atténuer la crise, et aussi comment des valeurs telles que l’altruisme et la solidarité peuvent nous aider. Dimanche prochain, nous évoquerons le développement de la vie intérieure, formidable antidote à la crise. Invité : Dr Christophe André
  • Sagesses bouddhistes 04 04 2021.       link      La pratique de Metta : enseignements de Bhante Hénépola Gunaratana.  Bhante Hénépola Gunaratana, nonagénaire, enseigne toujours aux Etats-Unis dans le centre qu’il a fondé. Ses enseignements clairs et précis ont fait le tour du monde, dans cette seconde émission, nous proposons d’aborder avec Jeanne Schut, certains des thèmes qu’il aime particulièrement enseigner, notamment « metta » ou la pratique de la bienveillance, ainsi que la méditation.
  • Sagesses bouddhistes 28 03 2021.  link   Sagesses Bouddhistes évoque aujourd’hui et le 4 avril prochain, la vie, les parcours et les enseignements d’un très grand maître sri lankais, de la tradition theravada, Bhante Hénépola Gunaratana, bienveillant, généreux, au sourire illuminé de bonté. Sillonnant bien souvent la planète, il a consacré sa vie au Dharma et prodigué les enseignements du Bouddha qui lui tenaient particulièrement à cœur. Jeanne Schut l’a côtoyé de nombreuses années et a traduit la majorité de ses nombreux ouvrages, dont le dernier en date, rassemblant 50 années d’enseignements. Nous la recevons aujourd’hui pour en parler.
  • Sagesses bouddhistes 21 03 2021.  link   La vie de Maître Dôgen 2e partie : La transmission et l’enseignement.  Sagesses Bouddhistes retrouve Brigitte Seijo et Pierre Dokan Crépon, pour la suite de l’émission consacrée à Maître Dôgen. Si la semaine dernière, nous avons appris que maître Dôgen avait très tôt cherché la Voie et avait parcouru la Chine, pour finir par comprendre auprès des Moines rencontrés, que la « pratique était la Voie », aujourd’hui dans cette seconde partie, nous allons découvrir comment il est rentré au Japon avec la mission de transmettre ses enseignements, ce qu’il fera notamment à travers ses écrits d’une très grande importance et par la construction de très nombreux temples.
  • Sagesses bouddhistes 14 03 2021.  link  Sagesses Bouddhistes consacre aujourd’hui et dimanche 21 mars, deux émissions à Maître Dôgen, l’un des plus grands maîtres du bouddhisme japonais, fondateur de l’école Zen Sôtô. Nombreux sont ceux qui connaissent son nom et l’immense postérité de ses enseignements, mais pourtant, on ne sait presque rien de la vie de ce moine du 13e siècle. Grâce à la parution très récente d’une biographie inédite en langue française, sous la forme inédite d’un manga, nous allons découvrir qui fut le fondateur du Zen Sôtô : de quelle famille était-il, pourquoi et comment a-t-il cherché la Voie, puis de quelle façon l’a-t-il enseignée une fois revenu au japon ? Autant de questions que nous allons poser à nos invités, Brigitte Seijo et Pierre Dokan Crépon.
  • Sagesses bouddhistes 07 03 2021. link Marion Chaygneaud-Dupuy est une jeune femme remarquable. Alpiniste chevronnée, elle est la seule française à avoir accompli l’ascension de l’Everest par la face nord, ce à trois reprises. Son but, son défi également, avec l’aide de son ONG Clean Everest, est de nettoyer le « toit du monde » si célèbre, de tonnes de déchets et débris laissés ainsi sans vergogne par ceux qui le gravitent. Basée à Lhassa depuis 2002, cette bouddhiste au grand cœur et à la volonté infaillible œuvre également dans le domaine de la santé, de l’éducation et de l’environnement. Pendant cette semaine consacrée aux femmes, Sagesses Bouddhistes vous présente avec plaisir cette brillante et discrète personnalité.
  • Sagesses bouddhistes 31 01 2021.   link   Sagesses Bouddhistes aborde aujourd’hui avec Elisabeth Drukier – du Centre Kalachakra à Paris, le thème de « l’attachement », dont il est très souvent question dans les enseignements bouddhistes. Mais qu’entend-on plus précisément par attachement ? Quel en est le processus ? Quelle est la différence par rapport à l’amour ? Et quelles sont les conséquences de l’attachement.
  • Sagesses bouddhistes 17 01 2021.  link  "S'asseoir en méditation n'a pas pour objet de penser, réfléchir ou se perdre dans le domaine des concepts et des discriminations ; mais ce n'est pas non plus rester immobile comme une pierre ou un tronc d'arbre. Comment éviter également ces deux extrêmes que sont la conceptualisation et l'inertie?... La solution est de demeurer dans le sein de l'expérience de la réalité, sous la lumière de la Pleine Conscience." Thich Nhat Hanh. La pensée avant les pensées.    Si les dépressions et la perte du sens de la vie sont fréquentes dans notre monde contemporain, c’est peut-être parce qu’on ne sait pas (ou plus) développer en soi une autre dimension : la pensée non verbale. En effet, l’activité mentale a pris une telle importance dans le fonctionnement humain, qu’on a oublié qu’il existait d’autres formes de communication et d’autres façons de penser. C’est le thème de Sagesses Bouddhistes aujourd’hui qui reçoit Olivier Wang-Genh pour en parler.
  • Sagesses bouddhistes 24 05 2020.  link  Sagesses Bouddhistes consacre cette émission au maître de méditation vipassana Shri Satya Narayan GOENKA (1924 – 2013) et au centre de Bourgogne où est enseignée cette pratique de méditation dont le terme pali signifie « vision pénétrante » ou voir les choses telles qu’elles sont. Sagesses Bouddhistes reçoit Kim Vu Dinh pour en parler.   Tous renseignements : Centre Vipassana de Dhamma Mahi (Bourgogne) Le Bois Planté 89350 Louesme
  • Sagesses bouddhistes 13 05 2018. link   Sagesses Bouddhistes poursuit son entretien avec Sa Sainteté le XVIIème Karmapa Trinlé Thayé Dorjé qui eût lieu au mois d’août 2017 au Centre d’Etudes Tibétaines de Montchardon, à Izeron (Vercors). Cette émission portera plus précisément sur les thèmes essentiels du bouddhisme qui lui sont chers.

Yama e Niyama

Andrè Van Lysebeth asserisce  “Per praticare yama e niyama La cosa più semplice è seguire la propria morale, in funzione della filosofia e delle credenze che ci fanno da guida". La morale ordinaria è sufficiente per metterci in linea con yama e niyama. "È il grado minimo per poterci introdurre nello yoga e trarne buoni frutti: una moralità trascendente è però necessaria per raggiungere livelli superiori”.

Yama e niyama, ci danno consigli per lo stile di vita e per il comportamento: i cinque yama sono le cose da non fare; i cinque niyama sono le cose da fare. Gli yama rappresentano un po’ la qualità della relazione che intratteniamo con gli altri; i niyama la qualità della relazione che intratteniamo con noi stessi.
Gli yama sono cinque regole etiche e morali universali, cinque freni o “astinenze” che limitano i comportamenti dannosi e distruttivi per lo yogi e per le sue relazioni con gli altri:
  • Ahimsa (Nonviolenza),
  • Satya (Sincerità),
  • Asteya (Onestà),
  • Brahmacharya (Continenza sessuale),
  • Aparigraha (Non avidità nel possedere).
I cinque niyama sono virtù e comportamenti positivi legati allo stile di vita del singolo individuo, da coltivare per migliorare sé stessi:
  • Shaucha (purificazione). Le impurità presenti nel nostro corpo e nell’ambiente in cui viviamo condizionano la nostra capacità di pensiero e la possibilità di raggiungere la vera saggezza e la liberazione spirituale.
  • Samtosha (contentezza). La felicità reale si ottiene quando si smette di desiderare ciò che non si possiede.
  • Tapa (autodisciplina). Questo principio ha a che fare con il potenziamento della forza di volontà.
  • Svadhyaya (studio e conoscenza di sé). Analizzare sé stessi, la propria vita, i propri errori e le proprie debolezze. “Chi sono io?”
  • Ishvara Pranidhana (devozione). “Non devi credere in una rappresentazione antropomorfica di Dio per accettare che esiste un disegno divino, un’essenza benevola nell’universo”,
È proprio attraverso lo Yoga e la meditazione che si conosce e si addestra la mente. Grazie alla pratica costante si possono superare gli ostacoli che offuscano la calma interiore. I cinque ostacoli detti Klesha sono:
  •     Avidya: indica l’ignoranza o la falsa comprensione della vera natura delle cose.
  •     Asmita: si riferisce alla coscienza del proprio sé che provoca egoismo.
  •     Raga: è l’attaccamento nei confronti delle idee o degli oggetti.
  •     Dvesha: è l’avversione verso quei pensieri legati a esperienze dolorose vissute nel corso dell’esistenza.
  •     Abhinivesha: indica sia l’attaccamento istintivo alla vita, sia la paura della morte.

YAMA in dettaglio.

Ahimsâ - la non violenza, un atteggiamento globale, onnicomprensivo rispetto a ciò che può «ferire l'altro» - l'uomo, l'animale, l'ambiente, tutte le cose che possono perdere la loro identità e la loro funzione. Dunque ahimsâ va ben oltre il concetto di «non uccidere»; bisogna comprendere che la freddezza nella comunicazione uccide tanto quanto un pugnale, che la crudeltà mentale è una grandissima forma di violenza così come l'indifferenza, una certa forma infida di ironia, il non saper ascoltare, non voler vedere... Pertanto l'ahimsâ rappresenta il grado più alto di inoffensività. Difficile da mettere in pratica... ma vero!

Satya - la verità, sempre, in ogni momento. Lo stolto mente con facilità, esagera nei suoi racconti, lascia intendere cose diverse dalla realtà dei fatti e in definitiva mente a sé stesso perché si pone in una condizione diversa rispetto alle esigenze della sua stessa anima. Poi, secondo Taimni, la menzogna offusca la buddhi (la pura coscienza), ovvero ottenebra quella limpida intuizione necessaria all'evoluzione. E ancora: una menzogna tira l'altra e il fardello diventa pesante e ingestibile quando si vuol procedere spediti verso l'illuminazione.

Asteya - non solo non rubare! Ma nemmeno ricercare privilegi che non ci spettano, attenzioni particolari in virtù di una posizione sociale o economica che permetterebbe, in determinate situazioni, un salvacondotto, un lasciapassare, una bustarella. Niente di niente. Bastare a sé stessi e cercare di comprendere sempre di più e sempre meglio «il nostro ruolo in questa vita», con tutto quello che ne deriva.

Brahmacharya - la continenza. Una vita sessuale smodata che genera attaccamenti di ogni tipo è contro ogni forma di igiene mentale. Ma non l'astinenza assoluta, semplicemente, il giusto distacco e l'atteggiamento appropriato in un piacevole aspetto della vita.  E' evidente invece che ad un livello avanzato di ricerca personale, spontaneamente diminuiscano gli appetiti sessuali, tanto grande e desiderabile appare il contatto con l'Assoluto che via via si è rivelato e che sappiamo essere «l'Unica Mèta».

Aparigraha - il non possesso. Pensare di possedere qualcosa, o qualcuno, è pura illusione. 

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Mentre riferendoci a yama pensiamo a cinque precetti che vietano comportamenti dannosi per l'evoluzione personale e per l'armoniosa convivenza con il genere umano, se parliamo di niyama osserviamo che si tratta di indicazioni disciplinari, costruttive, in vista di una vera vita yogica: da una sana, parca dieta alla molteplicità dei neti, dei dhauti e dei prânâyâma purificanti e ossigenanti.  Contemporaneamente, depurati dalla spazzatura altamente inquinante dei pensieri abituali che affollano la mente e su cui di solito non si ha alcun potere di controllo, avvicinandoci alla meditazione osserviamo l'alba del nostro riscatto, la luce radiosa dell'Eterno che si fa strada. La meditazione dunque come panacea e come espressione di una Realtà vera, senza ambiguità.

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NIYAMA  in dettaglio

Sauca - la purezza, la pulizia del pensiero, delle intenzioni e anche dell'abito che si indossa, della nostra pelle e in generale del corpo, come si evince dalle scrupolose attenzioni che lo Yoga dedica all'organismo tutto.  

Samtosa - l'appagamento, proprio il contrario della frustrazione (sentimento assai diffuso che fa apparire l'erba del vicino sempre più verde). Samtosa rende assai bene l'idea di quiete, di pacificazione allorché si capisca che la fortuna e la sfortuna non esistono e tutto deriva da un Principio Originario sat-cit-ânanda. E noi siamo QUELLO.

Tapas - la fede, il fuoco ardente dell'Amore per il Divino che consuma e rigenera. Questa fiamma va mantenuta costantemente viva, a qualunque costo, ed è la base per una sana spiritualità fatta di gioiosa consapevolezza e di allegra condivisione.

Svâdhyâya - lo studio di sé e del Sé. Uno studio non in chiave psicologica ma logico e deduttivo. Qui possono essere di aiuto le biografie dei santi e degli illuminati, di coloro che hanno ottenuto la liberazione in vita! Hanno annientato il proprio ego, si sono purificati, hanno superato sé stessi e hanno ottenuto la libertà: il kaivalya.

Îsvara pranidhâna - la resa: l'abbandono a Dio quale Ente Supremo, solo conoscitore della «Legge di causa ed effetto» e dunque il reggitore stesso della vita nella molteplicità delle sue espressioni. L'abbandono alla volontà suprema è la più alta forma di ascesi ed è ciò che contraddistingue il vero illuminato. Affrontare il proprio percorso spirituale secondo questo principio garantisce, senza ombra di dubbio, la conoscenza e la liberazione in vita.

lunedì 5 luglio 2021

La vita di David Gale

The Life of David Gale è un bel film del 2003 diretto da Alan Parker, qui al suo ultimo lavoro come regista, e scritto da Charles Randolph. Il film è incentrato sulla pena capitale, soprattutto sulla sua applicazione negli Stati Uniti,  e sulla sua fallibilità.  ( Il film si può trovare su Netflix).

Il film, al di là di quello che potrebbe far pensare il titolo, non è una storia vera. Nella pellicola cinematografica, il regista invita a riflettere sulla pena di morte, che a volte può rivelarsi totalmente sbagliata e priva di ogni fondamenta, interrogando lo spettatore sul ruolo dell'attivismo e sul confine tra passione ideologica e fanatismo, servendo un paradigmatico finale.

La trama, abbastanza articolata e presentata sotto forma di flashback, gira intorno alla vita di un professore universitario, David Gale (Kevin Spacey) attivista contro la pena capitale, e condannato a morte per stupro e omicidio della sua collaboratrice Constance Harraway (Laura Linney)

Tre giorni prima della sua esecuzione, Gale decide di concedere un'intervista in esclusiva alla giornalista Elisabeth 'Bitsey' Bloom (Kate Winslet).  Bitsey si rende conto che questo incarico è molto più di quanto si aspettasse e che la vita di un uomo è nelle sue mani. Arrivando a mettere in pericolo la sua esistenza cercherà di ricostruire gli eventi riguardanti il delitto cercando di far luce sulla faccenda prima che sia troppo tardi e la pena venga eseguita.

sabato 3 luglio 2021

Per un'etica responsabile: la concezione teosofica del Karma

  Per un'etica responsabile: la concezione teosofica del Karma.     Articolo scritto dal mio amico Robero Fantini e pubblicato sul sito  Flipnews il 21/06/2021     Vedi articolo

Uno dei cardini teoretici e pratici del pensiero orientale (indiano in particolare) e di quella che è stata definita la Religione-Saggezza universale è indubbiamente rappresentato dalla concezione del Karma, inteso come una legge cosmica, anzi come la LEGGE fondamentale dell’intera realtà, ovvero la legge per eccellenza, la vera e propria pietra angolare su cui poggia l’intima architettura dell’universo.

Helena Petrovna Blavatsky, figura principale del moderno movimento teosofico (1) e personalità fra le più straordinarie ed affascinanti della seconda metà dell’Ottocento, nella Chiave della Teosofia la definisce la “Legge Ultima” della Vita universale, “la sorgente, l’origine e la fonte da cui derivano tutte le altre”, la legge infallibile “che adatta con sapienza, intelligenza ed equità ogni effetto della sua causa”. (2)
In sanscrito karman significa “azione”. Come spiega W. Q. Judge (uno dei principali collaboratori della  Blavatsky), karma andrebbe inteso come “l’effetto che sgorga fuori della sua causa, l’azione e la reazione, l’esatto risultato di ogni pensiero ed azione.” (3)  Considerando infatti l’Universo come una unità organica e intelligente, ogni movimento all’interno di esso risulta essere un’azione che conduce a risultati a loro volta causa di altri risultati.
Karma è una legge che, nella sua essenza noumenica, risulta oltrepassare le umane possibilità di comprensione, ma che è facilmente esperibile sul piano delle sue manifestazioni fenomeniche.
Karma – dice sempre la Blavatsky – è in se stesso inconoscibile, ma la sua azione è percettibile”.
E si tratta, ovviamente, di qualcosa di immensamente più complesso di quanto potrebbero indurci a  credere le banalizzazioni attualmente assai diffuse, tant’è che essa stessa arrivò a definirla “la più difficile” fra tutte le dottrine teosofiche.( 4)
Ma se inespugnabile ci appare la sua vera natura sotto il profilo strettamente ontologico (fisico e metafisico), la sua dignità concettuale risulta filosoficamente ben comprensibile, sia sul piano logico sia su quello etico.
Se si applica alla vita morale dell’uomo – scrive ancora Judge – Karma è la legge della causalità etica, della giustizia, della ricompensa e della punizione; la causa della nascita e della rinascita, ma allo stesso tempo il mezzo per cui si può sfuggire all’incarnazione.” (5)
E, come tale, può essere ritenuta la “dottrina gemella” di quella della Reincarnazione, tanto da non poter prendere in considerazione l’una senza contemplare anche l’altra.
La concezione di una Giustizia assoluta immanente all’ordine delle cose, inesorabile nel suo manifestarsi, è facilmente rintracciabile  (come le altre dottrine proposte dalla moderna letteratura teosofica) in tutti i grandi testi sapienziali del mondo antico.
Basti pensare, ad esempio, al Dhammapada buddhista e ai libri del Nuovo (o Secondo) Testamento.
Nel primo, già nei versetti iniziali, possiamo leggere:
“Gli elementi della realtà hanno la mente come principio, hanno la mente come elemento essenziale e sono costituiti di mente.
Chi parli oppure operi con mente corrotta,
lui segue la sventura come ruota segue il piede (dell’animale che traina il veicolo).
(…) Chi parli oppure operi con mente serena,
lui segue la felicità come l’ombra che non si diparte.” (6)
“Il peccatore in questo mondo si affligge, in entrambi i mondi si affligge (…).
Chi ha fatto il bene in questo mondo si rallegra, una volta
trapassato si rallegra, in entrambi i mondi si rallegra.” (7)
Nel secondo, spesso incontriamo affermazioni quali:
“non v’ingannate, Dio non si può beffare, perché ciò che l’uomo semina quello pure raccoglierà” (8);
“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (9);
“non giudicate, per non essere giudicati” (10);
“un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni
.” (11)

Nella coscienza di chi accetta di lasciarsi conquistare da questa rigorosamente logica visione del mondo può venirsi a produrre una rivoluzione mentale e morale sommamente benefica, capace di svolgere una funzione profondamente  rigeneratrice, liberandoci da una serie di opinioni di carattere materialistico e fideistico. 

Come il ritenere: che nel mondo regni suprema l’ingiustizia, che tutto sia privo di senso, che tutto sia dominato dall’ Assurdo;
che il mondo sia totalmente sottoposto al volere di una o più divinità, il cui operare sarebbe o del tutto inspiegabile e incontrollabile, oppure condizionabile e orientabile grazie a determinate strategie magico-cultuali.
Ovverosia: che non sussista alcuna possibilità di controllare e dirigere il proprio cammino nel mondo, oppure che il nostro vivere sia continuamente subordinato al potere di forze a noi superiori a cui dovremmo, di conseguenza, pienamente sottometterci e che dovremmo cercare, ricorrendo a modalità varie (preghiere, sacrifici, penitenze, ecc.), di ingraziarci.
Atteggiamenti mentali e morali entrambi destinati a favorire, sia a livello individuale che collettivo, un forte e deleterio effetto deresponsabilizzante.
Scrive H.P.B. che “non vi è che la preziosa conoscenza della legge del karma che c’impedisce di maledire la vita, gli uomini ed il loro supposto creatore.” (12)
Infatti, tale concezione, se correttamente intesa, ci mette al riparo sia da forme di grossolano nichilismo, sia da forme di fideismo cieco e fatalisticamente accecante, mettendoci in condizione di accettare
- che il nostro attuale cammino sia il frutto di nostri innumerevoli precedenti cammini;
- che il nostro pensare e il nostro agire siano sempre, in ogni istante, ricchi di valore;
- che tutto quello che facciamo, anche le cose apparentemente più piccole e irrilevanti, abbiano un immenso significato.
Secondo la visione karmica, infatti, tutto quello che produciamo, sia sul piano della res cogitans, sia su quello della res extensa, viaggerà in eterno con noi, dentro di noi e fuori di noi, producendo infiniti effetti tra loro ineluttabilmente correlati.
Continuamente costruiamo noi stessi. Continuamente contribuiamo nella costruzione delle vite di tutti gli infiniti esseri che ci vivono e che ci vivranno accanto, nell’infinito viaggio che conduciamo e condurremo nell’infinito spazio.
Perché potremo sentirci come lavoratori all’opera nella vigna immensa della Vita Universale, chiamati a scegliere, attimo per attimo, cosa, come, dove, quanto e quando seminare, chiamati a scegliere fra le varie metodologie di aratura, concimazione, potatura, ecc.
Lavoratori sempre in grado di migliorare i propri orti e i propri frutteti, sempre in grado di eliminare erbacce, di dare più acqua, di dare (soprattutto) più amore a tutto ciò che faremo germogliare, sbocciare, maturare …
Lavoratori saggiamente consapevoli che tutto quello che andremo a fare, e a non fare, lascerà un segno indelebile sul corso degli eventi, che nulla potrà essere mai cancellato, azzerato, riportato indietro nel tempo. Ma anche consapevoli che sempre i nostri (inevitabili) errori e mancanze potranno essere curati, corretti, sanati. Ogni giorno un poco. Grazie ai nostri sforzi, al nostro impegno, alla nostra volontà e alla nostra capacità di oltrepassare i propri limiti, di imparare di più e meglio.
Grazie, soprattutto, alla nostra convinzione di non essere mai sconfitti del tutto e definitivamente, mai condannati ad arrenderci e a firmare rassegnatamente una resa totale e senza condizioni.
Il concetto di karma ci libera dall’insignificanza, dallo svuotamento di senso, dalla logica  degradante del “do ut des”, dall’imbarbarimento morale di tutte le “vendite di indulgenze”, nonché dalla paura dell’ignoto, dalla tirannia del caso e dell’arbitrio divino.
Il concetto di karma ci rende padroni di noi stessi. Ci obbliga all’autocoscienza, all’autoesame severo, a lavorare responsabilmente su di noi per trovare sempre più e sempre meglio in noi stessi la luce necessaria per guidare i nostri passi verso una luce sempre più ampia e sempre più forte.
Il concetto di karma rende obsolete le tradizionali e riduttive categorie di “ottimismo” e  di “pessimismo”.

Il karma – scrive Madame Blavatsky nella Dottrina Segreta – non cerca mai di distruggere la libertà intellettuale e individuale, come il Dio inventato dai monoteisti. Non ha avvolto di proposito i suoi decreti nella tenebra per rendere perplesso l’uomo, né punisce colui che osa scrutare i suoi misteri. Al contrario, colui che per mezzo dello studio e della meditazione svela i suoi intricati sentieri e getta una luce su quelle vie oscure, nei meandri delle quali periscono tanti uomini a causa della loro ignoranza del labirinto della vita, opera per il bene dei suoi fratelli. Il karma è una legge assoluta ed eterna nel mondo della manifestazione e siccome vi può essere soltanto una Causa assoluta, eterna e onnipresente, i credenti nel karma non possono essere considerati atei o materialisti e meno ancora come fatalisti, perché il karma è uno con l’Inconoscibile ed il mondo fenomenico è uno dei suoi aspetti.” (13)

Una filosofia di vita fondata sul principio karmico costituisce una scuola di autoconsapevolezza e di autodisciplina, di libertà mentale e morale. Conferisce alla persona umana una centrale dignità, liberandoci da millenarie paure e umilianti sudditanze, ci rende protagonisti della storia, ci rende, come direbbe Giordano Bruno, cittadini dell’infinito e naviganti dell’eternità.
In Iside Svelata, H.P.B., riferendosi, in particolar modo, alla dottrina buddhista, scrive: “L’uomo il quale apprende che a meno che egli stesso non s’affatichi soffrirà la fame e si rende conto che non vi è alcuna scappatoia, alcun capro espiatorio che porti per lui il suo fardello di iniquità, diviene dieci volte migliore di colui al quale s’insegna che l’assassinio, il furto, la nequizia, possono venire perdonati in un istante purché si creda in un Dio che (per dirla con una frase del Volney) ‘nutritosi una volta sulla terra, diviene alimento del suo popolo.’” (14)
Il mondo – scriverà poi Annie Bésant, succeduta alla Blavatsky alla guida della Società Teosofica – dovrebbe conoscere e sentire quale forza deriva da quest’adesione alla Legge. (…) La forza di una credenza (…) si misura dall’influenza che questa ha sulla condotta e la credenza nel “karma” dovrebbe rendere la vita pura, forte, serena, lieta.
Soltanto le nostre azioni ci possono ostacolare e soltanto la nostra volontà ci incatena. Quando gli uomini riconosceranno questa Legge, suonerà l’ora della loro liberazione.
La natura non può rendere schiava l’anima che con la Saggezza ha raggiunto la Potenza e usa entrambe con Amore.
” (15)

NOTE

  1. Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891) nasce da una nobile famiglia russa. Appassionata studiosa di filosofia, religioni e scienze esoteriche, ha viaggiato in moltissimi paesi alla ricerca della conoscenza occulta, delle leggi inesplicate della Natura e dei poteri latenti dell'uomo. Nel 1875, fondò a New York, con il colonnello Henry S. Olcott e altri, la Società Teosofica, un movimento di ricerca spirituale ancora oggi diffuso in tutto il mondo, animato dai seguenti scopi:                                                                                                                                                    1. Formare un nucleo della Fratellanza Universale dell’umanità, senza distinzione di razza, di credo, di sesso, di casta o di colore.
     2. Incoraggiare lo studio comparato delle religioni, filosofie e delle scienze.
     3. Investigare le leggi inesplicate della natura, e le facoltà latenti nell’uomo.
  2. Helena Petrovna Blavatsky, La Chiave della Teosofia , Editrice Libraria “Sirio”, p. 178, Trieste 1966. La Chiave della Teosofia è senza dubbio una delle opere della letteratura teosofica, il cui scopo era sia quello di sintetizzare e chiarire una serie di concetti della chiave letteratura teosofica dell'epoca, sia quello di fornire una vera e propria "chiave" in grado di schiudere le porte di una più approfondita conoscenza della Teosofia. Il libro, strutturato in forma dialogica, risulta particolarmente adatto a coloro che, dopo una prima presa di visione sui temi teosofici e sull'attività della Società Teosofica, vogliano passare ad una fase di approfondimento e di miglior orientamento sui grandi temi dell'Unità della Vita e della Fratellanza Universale senza distinzioni. L'opera è oggi reperibile sia nell'edizione di Astrolabio-Ubaldini del 1982, sia nelle Edizioni Teosofiche Italiane (2009).
  3. William Q. Judge, L'Oceano della Teosofia , Editrice libraria “Sirio”, p. 125, Trieste 1964. Nelle prime righe della sua prefazione, l'Autore fissa con chiarezza l'obiettivo del suo sforzo: “ Nelle pagine di questo libro è stato compiuto un tentativo di scrivere sulla Teosofia in modo tale da rendere il soggetto comprensibile al lettore ordinario”. Opera quindi di carattere divulgativo, affronta in maniera lineare e organica temi che vanno prevalentemente dalla costituzione settenaria dell'uomo alla concezione ciclica dell'universo, dalla reincarnazione agli stati post-mortem, ecc. Reperibile nelle Edizioni Teosofiche Italiane (2008).
  4. HP Blavatsky, op. cit., p. 183.
  5. William Q. Giudice, ibidem.
  6. Dhammapada , I, 1-2, in Canone buddhista , Utet, Torino …
  7. Ivi, I, 15-16.
  8. Galati, 6, 7.
  9. Matteo, 5, 7.
  10. Ivi, 7, 1.
  11. Ivi, 7, 18.
  12. H.P. Blavatsky, op. cit., p. 187.
  13. H.P. Blavatsky, La Dottrina Segreta, vol. III, pag. 306, V ed. di Adyar. L'opera è, in primo luogo la trascrizione monumentale di insegnamenti, appresi da H.P. Blavatsky durante il suo soggiorno in Tibet. Si tratta di un Commentario alle Stanze di Dzyan , la versione tibetana di antichissime, arcaiche tradizioni esoteriche sulla nascita del mondo, sulla formazione e sullo sviluppo dell'umanità. Al suo primo apparire, La Dottrina  Segreta si esaurì in pochi giorni e suscitò polemiche, soprattutto tra gli scienziati positivisti. La terza edizione in otto volumi (2002) è attualmente reperibile nelle Edizioni Teosofiche Italiane.
  14. H.P. Blavatsky, Iside Svelata, La Teologia, Primo volume, p. 404, Edizioni Teosofiche Italiane, Vicenza 2019. L'opera, apparsa nel 1877 e sottotitolata “Chiave universale ai misteri della scienza e della teologia antiche e moderne”, rappresenta una delle pietre miliari della letteratura teosofica e venne dedicata dall'autrice proprio alla Società Teosofica. Si tratta di un lavoro monumentale di circa 2000 pagine, salutato fin dall'inizio da un grande successo, correlato all'ampiezza dei contenuti, in grado di attirare l'attenzione del mondo occidentale sugli insegnamenti delle tradizioni orientali, sull'autentica grandezza del pensiero “pagano”, sulle vere origini del cristianesimo, nonché sugli innumerevoli fenomeni misteriosi della Natura.
  15. Annie Besant, Il Karma o l'Enigma del Destino, Editrice Libraria “Sirio”, Trieste 1967, p. 90. La Besant, donna dotata di esuberante intelligenza e di straordinarie doti oratorie, è stata a lungo impegnata sul fronte del libertarismo, del laicismo e del femminismo. Dopo il suo incontro con Helena P. Blavatsky (1890), entrò a far parte della Società Teosofica, divenendone ben presto uno dei membri di maggiore importanza. Si dedicò, inoltre, attivamente a favore della causa dell'indipendenza dell'India.

giovedì 1 luglio 2021

Christophe André - Meditare, giorno dopo giorno

 

Christophe André (1956 - ), é medico psichiatra all'ospedale Sainte-Anne a Parigi ed è specializzato nella psicologia delle emozioni. È stato tra i primi medici ad offrire approcci di meditazione laica (la Mindfulness) ai suoi pazienti, a partire dal 2004. Nel 2016, ha ricevuto il premio Jean Bernard dalla Fondazione per la ricerca medica. I suoi libri per il grande pubblico hanno un enorme successo in Francia e all'estero.  Sito ufficiale https://www.christopheandre.com/

Méditer, jour après jour, è un testo di  Christophe Andrè del 2011 che è stato tradotto in moltissime lingue ed ha avuto un successo planetario.

Introduzione. Voi avete sicuramente delle cose più importanti che sedervi, chiudere gli occhi e meditare, non é mai urgente di meditare, importante è trovare il tempo per farlo regolarmente.    Meditare è come passeggiare nella natura, lasciare passare le nuvole, ascoltare il suono del vento, non è mai urgente, è solo importante e molto interessante.    Che cosa è la piena coscienza o Mindfulness? E’ una forma di meditazione, un modo di lenire i nostri dolori, una maniera di vivere, dare più senso alla nostra esistenza. Praticare la piena coscienza ci invita a fare una scelta: la scelta di arrestarci dall’agire e correre, semplicemente sentirci vivi qui ed adesso. Ci invita durante la giornata, regolarmente,  a prendere il tempo di sentire che esistiamo. Per questo la piena coscienza ci suggerisce di lasciare per un momento il futuro e il passato spesso sorgenti di tormento e di rivolgerci dolcemente verso l’istante presente.  Spesso soono i nostri automatismi  che imprigionano il nostro mentale.

Durante la meditazione, noi rinunceremo a giudicare, se quello che noi facciamo è bene o male,  semplicemente osserviamo, rinunceremo ad ottenere qualcosa di preciso, o piuttosto cercheremo di renderci presenti a quello che succede qui ed adesso. Rinunceremo a scegliere, ad accogliere il buono e il gradevole e rigettare lo sgradevole, o piuttosto cercheremo di forzarci a non scegliere. Di accogliere tutto in noi, la piena coscienza è benefica per noi, alla nostra salute, alla nostra mente, al nostro equilibrio emozionale. Oggi numerosi studi scientifici lo dimostrano, ma è la pratica della piena coscienza che ci fa del bene, e non solo la conoscenza o il concetto della piena coscienza.

Il concetto della bici è interessante ma è il pedalare che ci fa bene; il concetto del cibo è gradevole ma è l’atto stesso di mangiare che ci nutre, non il pensiero del cibo; ed è lo stesso per la piena coscienza.  Cerco di aiutarvi a praticare la piena coscienza, di aiutarvi a cominciare, di aiutarvi a continuare, di aiutarvi a ritornare. 

Tutti gli esercizi proposti devono essere praticati seduti, gli occhi chiusi, e anche possibile esercitarsi in piedi o distesi. Un ultimo punto: la piena coscienza non è un’attività in più da aggiungere a tutte le altre nostre attività, ma è uno stato mentale, un’attitudine dell’anima e del corpo di attraversare la vita, non un’attitudine permanente, certo, ma una base, un rifugio sempre disponibile dove noi potremo sempre ricaricarci, un’attitudine che consiste nell’essere coscienti e presenti il più spesso possibile, un’attitudine semplice, importante, facile, diciamo, tanto più facile se ci saremo preparati ed allenati praticando regolarmente tutti gli esercizi contenuti nel CD allegato al libro.

 Vi propongo degli esercizi di meditazione guidata basata sulla Mindfulness e contenuti nel CD.

Introduzione alla respirazione. Seguire la propria respirazione. Si pensa spesso che non abbiamo molto da guadagnare ed apprendere da un fenomeno cosi’ familiare, ordinario ed automatico come la respirazione. Che errore !!!! Ci sono dei grandi benefici a prendere coscienza della respirazione, conscienza della sua presenza, senza cercare di modificarla, ma sforzandosi giusto di prestargli attenzione quando siamo felici, quando siamo infelici, senza aspettarsi niente, senza domandare alla respirazione di risolvere i nostri problemi, ma comprendendo che se non arriviamo a risolverli è mille volte più salutare rivolgere la nostra attenzione al respiro che alla nostra ruminazione.

Seguire la propria respirazione.  Vedi link il suono della campanella - din, din , din.  Dolcemente, dopo aver adottato una posizione confortevole, e chiuso gli occhi, prendo coscienza del mio respiro, coscienza dei movimenti della mia respirazione, inspirazione, espirazione.     Lascio il mio respiro andare e venire, mi accontento di osservarlo e accompagnarlo, di lasciargli tutto il posto, tutto lo spazio, osservo come il torace e l’addome vanno e vengono sotto l’effetto della respirazione.        Osservo il movimento dell’aria che entra nel mio corpo e che poi esce dal mio corpo, percepisco il passaggio di quest’aria nel mio naso, la gola, e all’inizio dei miei bronchi, forse, osservo la differenza di temperatura tra l’aria che inspiro e quella che espiro, nel momento che inspiro posso immaginare che l’aria entra nel mio corpo tutto intero, percorre il mio busto, le mie gambe, le mie braccia, e al momento che espiro,  immagina che l’aria esce dal corpo, dalle gambe, dalle braccia, dal mio busto, osservo il movimento dell’aria nel mio corpo in misura dei movimenti del mio respiro, sento che tutto il mio corpo respira, non cerco di respirare in un certo modo e nell’altro, a volte è utile e necessario respirare più lentamente, per esempio, ma nella piena coscienza lascio giusto il mio respiro esistere come vuole, respirare come vuole, permetto al mio respiro di essere il mio respiro, come preferisce, lo lascio fare, evito di controllarlo.               Se i mie pensieri mi portono fuori dall’esercizio, se il mio mentale mi fa degli scherzi, non mi faccio problemi, non me lo rimprovero, è un fenomeno normale, benvenuto nel club, abbiamo tutti questa difficoltà, allora quando prendo consapevolezza che non sono più nel mio respiro, ma altrove, nei miei pensieri, quando me ne rendo conto, sorrido e ritorno al mio respiro, riparto nei miei pensieri e dolcemente ritorno alla respirazione, dieci volte, cento volte, mille volte, attraverso tutti questi andirivieni tra il mio respiro e i miei pensieri, sono esattamente nel cuore della pratica della piena coscienza.         Continuo a portare dolcemente la mia coscienza su ogni respiro, uno dopo l’altro, il più importante è quello attuale, lascio passare il passato, il respiro appena passato, lascio passare il futuro, e il respiro futuro, sono nel presente, qui, adesso, respirazione dopo respirazione. Fra poco quando sentiro’ il suono della campanella, lascero’ dolcemente l’esercizio, lasciando l’esercizio non lascero’ il mio respiro, ritornerò al respiro durante la giornata, per alcuni momenti, regolarmente, al centro di tutte le mie attività prenderò del tempo per sentire la mia respirazione, per sentire che esisto.                             
il suono della campanella - din, din , din.

Introduzione alla coscienza del corpo. Prendere coscienza del corpo. I non meditanti pensano spesso che la meditazione sia un’attività della mente, è invece in realtà un percorso soprattutto fisico, si tratta di collegarsi al proprio corpo e prestargli coscienza e attenzione, non si tratta di pensare al proprio corpo e giudicare cosa sta succedendo, non si tratta di provare a rilassarlo, ma semplicemente di entrare in contatto con lui, di esaminarlo tranquillamente, quando ci addormentiamo, quando ci risvegliamo, quando abbiamo un po’ di tempo libero, nei momenti in cui ci sentiamo perduti o alla deriva, la piena coscienza raccomanda allora di fare una deviazione nel nostro corpo, di prendere il tempo di sentire cosa sta succedendo, senza cercare niente di particolare.

Prendere coscienza del corpo. Vedi link  il suono della campanella - din, din , din.    Per cominciare, prendo del tempo per aprirmi al respiro, metterlo dolcemente al centro della mia esperienza e della mia coscienza, poi porto l’attenzione verso il corpo, meglio che posso, comincio ad allargare la coscienza al centro del mio corpo, prendo coscienza della mia posizione, permetto al mio busto di essere il più dritto possibile, sensa rigidità, lascio i miei reni incavarsi leggermente, le spalle aprirsi dolcemente, la mia nuca e la mia testa restano dritte e dignitose, come se un piccolo filo le tirava leggermente verso l’alto, come l’immagine di una marionetta dolcemente raddrizzata verso il cielo,                lascio le mie mani posarsi sulle coscie, nel modo più confortevole possibile, sento le dita, le mani, le braccia, prendo veramente il tempo di percepirle, non è la stessa cosa di dirsi : si, si, si le mie mani e le mie braccia sono là, evidentemente …                 nel modo migliore che posso, mi metto all’ascolto delle mie percezioni, sia se c’è poco o tanto a risentire, nello stesso modo prendo coscienza delle mie gambe, quello che sto percependo nelle mie caviglie, nei miei piedi, nei miei polpacci, nelle mie coscie,                    faccio attenzione a quello che sento nel basso ventre, nell’addome, nel torace, percepisco il mio cuore che è là, che batte,                                 prendo coscienza del mio dorso, di tutto il mio dorso, risalgo ai reni, fino alle spalle e alla nuca, poi porto l’attenzione al mio viso, prendo dolcemente coscienza dei muscoli delle mie mascelle, delle labbra, delle palpebre, della fronte, di tutta la testa, prendo coscienza di tutto il mio corpo,                      coscienza globale di tutto il mio corpo che è là, radicato nell’istante presente, che respira tranquillamente,                             se durante l’esercizio avverto un dolore, un disagio legato alla mia posizione cattura la mia attenzione, prendo il tempo di osservare e sentire cosa sta accadendo prima di reagire, il tempo di osservare il dolore o il disagio, in quale parte del mio corpo si manifesta, è fisso o mutevole ? che cosa succede se indirizzo la respirazione in quel punto, quali pensieri queste sensazioni sgradevoli fanno nascere nella mia mente, quali impulsi a muovermi, a cambiare posizione, a grattarmi, a interrompere l’esercizio,                              prendo coscienza di tutto questo, e decido, in piena coscienza che cosa voglio fare adesso: muovermi, grattarmi, interrompere l’esercizio oppure continuare l’esercizio tranquillamente, accettando che il disagio resti là, presente in un angolo della mia coscienza,                              lascio la mia attenzione percorrere tutto il corpo, prendendo coscienza dai piedi alla testa, al mio ritmo,                  certi giorni prendo il mio tempo, prendo piacere ad andare dolcemente, un altro giorno vado più veloce, è come una passeggiata in un posto che amo, foresta, campagna, al bordo del mare, di una riviera, di un lago,              percorro i sentieri del mio corpo come un posto che mi piace, e dove mi sento bene, fra poco, quando la campana suonerà, lascerò dolcemente l’esercizio, ma non lascero’ il mio corpo, ritornero’ regolarmente verso di lui durante la giornata, per alcuni istanti, anche durante le mie attività, per ascoltarlo e sentirlo, e prendermi cura di lui,                     il suono della campanella - din, din , din.

Introduzione ad accogliere i suoni. Accogliere i suoni. Fermatevi, chiudete gli occhi, ascoltate, accogliete tutti i suoni, quelli che arrivano dall’esterno, quelli piacevoli: un uccello che canta, o sgradevoli: un motore in funzione, e quelli che vengono da me, che mi soddisfano come la respirazione, o mi danno fastidio, come l’acufene, o i vari brontolii. Lo scopo di questi momenti di piena coscienza uditiva, non è di farmi del bene, non direttamente, ma aprire la mia coscienza all’esistenza di queste basi sonore, e alle emozioni, impulsioni, pensieri che scaturiscono in me, e poi, sicuramente, apprendere ad apprezzare i silenzi.

Accogliere i suoni. il suono della campanella - din, din , din.  Vedi link   Per cominciare prendo un momento per collegarmi al respiro, poi, meglio che posso prendo coscienza del mio corpo, cosi’ come è, qui e adesso, lascio il mio corpo respirare, mi metto all’ascolto di tutto quello che provo, e poi, dolcemente, vado ad accogliere alla coscienza i suoni, tutti i suoni che mi circondano,                       prendo coscienza del mio ambiente sonoro, di questo bagno costante di rumore, che arriva alle mie orecchie,                     certi suoni mi sembrano piacevoli: il canto degli uccelli, il vento, le onde, la musica, delle parole che vengono da lontano,        degli altri mi sembrano sgradevoli: il rumore di un motore, di martello, la suoneria telefonica, una voce troppo alta o forte, sia che li percepiscono come gradevoli o sgradevoli questi suoni, questi rumori sono là, arrivano alla mia coscienza, allora li accolgo senza dire niente, ne gioire,                li accolgo perchè sono già là, quale che sia il mio giudizio su di loro, i suoni che mi vengono in mente sono come l’immagine degli avvenimenti della mia vita, a volte gradevoli, a volte no, non posso impedire che qualche suono sgradevole sia là, come non posso impedire che certi avvenimenti sgradevoli arrivino, posso comunque rispondere, in un altro modo che quello dell’irritazione o della angoscia,                          allora li accolgo nella mia mente, tutti questi rumori, questi suoni, li accolgo,          perchè meditare non è isolarsi dal mondo ma di collegarmi al mondo, anche se è complicato o doloroso, la realtà è a volto complicata o dolorosa, e la piena coscienza puo’ aiutarmi a stabilire un rapporto pacifico e lucido con essa,                     l’accogliere i suoni mi apprende questo, posso osservare secondo l’esperienza in questo istante, ora, come è dififcile accogliere i suoni, senza pensare, senza giudicare, senza dar loro delle etichette, senza che richiamino delle immagini o dei pensieri,                     allora ogni volta che prendo coscienza che il mio mentale mi ha coinvolto, ritorno al suono stesso, giusto a quello che è, a questa caratteristica sia intensa, sia debole, continua o discontinua, si avvicina o si allontana,     e poi ci sono i silenzi tra i suoni, prendo coscienza della loro presenza, prendo i suoni giusto per quello che sono, lasciando l’esercizio non lascierò i suoni, ritornerò regolarmente ad essi durante la giornata, per momenti, in mezzo alle mie attività, cesserò di parlare, spegnerò la musica, ed ascolterò il mormorio dei luoghi, per prendere coscienza di questo fatto meraviglioso, io sto vivendo.   il suono della campanella - din, din , din.

Introduzione al distacco dai pensieri. Distaccarsi dai propri pensieri, quando chiudo gli occhi, e prendo coscienza del mio respiro, noto che rapidamente la mia mente se ne va, o piuttosto che i miei pensieri si riposizionano al centro della mia attenzione, come dei bambini capricciosi, pensare sulle cose da fare, pensare alla mia difficoltà di rimanere nell’esercizio. Ecco, il lavoro della piena coscienza sui pensieri consiste semplicemente a prendere coscienza del mormorio inarrestabile della mente e coscienza anche del suo potere di attrazione, per momenti, non osservero’ più i miei pensieri, ma saro’ dentro di essi, allenarmi incessantemente ad osservare come i miei pensieri possano prendersi gioco di me, e coinvolgermi, è quello che si chiama distacco e lucidità, cio’ necessita un lavoro regolare e continuo.

Distaccarsi dai pensieri. il suono della campanella - din, din , din. Vedi link Per lavorare sui pensieri, devo prima prestare attenzione a tutto il resto, ad esempio la respirazione, prendo un momento per collegarmi al mio respiro, poi, meglio che posso, prendo coscienza dell’insieme del mio corpo, come è, qui ed adesso, e poi dolcemente accolgo alla mia coscienza tutti i suoni che mi circondano, lascio il mio corpo respirare, risentire, ascoltare, ancora, ed ancora,             e ad un certo momento, ineluttabilmente, partirò nei miei pensieri, il vagabondaggio del pensiero è normale, non è un segno di sconfitta della mia meditazione, non è un avvenimento indesiderabile che poco a poco devo eliminare,                        NO, il vagabondaggio dei miei pensieri, il chiacchiericcio della mente, è un fenomeno normale, normale e abituale, talmente abituale che lo dimentico, e che improvvisamente mi fondo con i miei pensieri, li confondo con la realtà,                 la piena coscienza mi permette di osservare chiaramente questo fenomeno, e di allenarmi tranquillamente a prendere le distanze dal chiacchiericcio della mente, allora, appena realizzo che sono partito, e ripartito nel mentale, appena realizzo che non sono più centrato sull’istante presente, ma che sto per pianificare, prevedere, programmare, rimuginare, immaginare, giudicare,                              appena realizzo che sono uscito dalla piena coscienza dell’esercizio, appena prendo coscienza di tutto questo,                           allora, mi fermo, e ritorno a me, il vagabondaggio della mia mente non è un problema, è un’occasione di comprendere e di lavorare, quando vedo di essere uscito dall’esercizio per seguire un pensiero,         sono già ritornato nell’esercizio,                 questo movimento di distrazione e di ritorno nella pratica è il migliore degli allenamenti, è la base della piena coscienza,                    più medito, più ne sono a conoscenza, questa dispersione non è un ostacolo ma un regalo prezioso,                un monito,  un ricordo permanente della maniera in cui funziona la nostra mente,                 … certi pensieri e emozioni sono cosi’ convincenti e potenti che si presentano come la stessa realtà, se un pensiero mi dice « non ci riusciro’ » allora reagisco come se fosse vero e il mio corpo, il mio cuore reagisce come se fosse vero, se un’emozione di angoscia o di disperazione mi sommerge, se ho il sentimento che è la catastrofe, allora reagisco come se fosse vero, e il mio corpo, il mio cuore reagisce come se fosse vero, e questo mi fa soffrire, ….                               Ma spesso i miei pensieri e le mie emozioni sbagliano, e si prendono gioco di me, molto spesso, la pratica della piena coscienza mi aiuta a considerare i miei pensieri come ho considerato il mio respiro, le sensazioni del mio corpo, la mia reazione al suono,                  molti dei miei pensieri sono dei fenomeni che vanno e vengono, appaiono e spariscono, se mi accontento di osservarli, cosi’ come osservo le nuvole che passano nel cielo, le foglie al vento, posso osservare i miei pensieri.           Dopo l’esercizio conserverò in me questo rapporto amichevole, di curiosità e benevolenza, di prudenza e distanza con i miei pensieri,              gli automatismi della mente possono nello stesso tempo aiutarmi o prendermi in giro, devo solo sforzarmi di essere il più possibile cosciente di questo. il suono della campanella - din, din , din.

Riferimenti.

  •  Video su Youtube - I poteri insospettabili della meditazione - Vedi link
  • Tal Ben Shahar (1970 -), il professore del benessere, è un insegnante e scrittore americano-israeliano specializzato nel campo della psicologia positiva e della leadership, ed autore del libro: Choisir sa vie e L'apprentissage du bonheur.
  • Marie-Laurence Cattoire ha creato nel 2014 Meditation & Action è un blog sulla pratica meditativa che colora tutti gli aspetti della vita, al lavoro, in famiglia, nella società. Nel blog Marie-Laurence Cattoire racconta i suoi incontri con maestri, insegnanti e autori eccezionali e la sua esperienza di meditazione nella vita quotidiana.  Vedli link
  • Sharon Salzberg (1952-) è una scrittrice americana, autrice di best-seller e specialista in meditazione buddista. Autrice del libro L'amour qui guèrit, se non ci amiamo la nostra volontà di fare del bene si trasforma in sacrificio.
  • Evelyne Bissone Jeufroy, autrice del libro Quatre plaisirs par jour, au minimum! les bienfaits du plaisir sur le corps et l'esprit.  Il piacere ci ricarica in energia, è una via di accesso alla spiritualità, la visualizzazione di un progetto gradevole è suscettibile di accrescere le difese immunitarie. Fare una lista di 25 piaceri personali. Spesso si instaura una resistenza al piacere, dando troppa importanza all’intelletto, bisogna cessare di essere saggi ed essere entusiasti. Le ricerche di Carl Simonton sul tumore hanno messo in evidenza che i malati di tumore hanno spesso un eccessivo senso del dovere, senso di colpabilità, sono alla ricerca della perfezione.
  • Chade-Meng Tan (1971-) è un ex ingegnere informatico e motivatore di Google noto soprattutto per salutare le celebrità che visitano il campus di Google. Meng è leader di pensiero e filantropo, ed anche  autore di bestseller internazionali come Search Inside Yourself: The Secret to Unbreakable Concentration, Complete Relaxation and Effortless Self-Control.
  • Fabrice Midal (1967 - ) è un filosofo francese, fondatore della Scuola occidentale di meditazione. Rivendica la pratica di un buddhismo laico ed è l'autore del libro Frappe le ciel, écoute le bruit: ce que vingt-cinq ans de méditation m'ont appris.

La storia zen del contadino saggio.

Questa è una tra le storie zen che mi hanno colpito maggiormente. E’ un racconto che ci mostra come le apparenze possono ingannare e di come il bene e il male possono essere solo una temporanea apparenza.  Ecco la storia del contadino saggio.

C’era una volta, in un villaggio cinese, un vecchio contadino che viveva con suo figlio e un cavallo, che era la loro unica fonte di sostentamento. Un giorno, il cavallo scappò lasciando l’uomo senza possibilità di lavorare la terra.
I suoi vicini accorsero da lui per mostrargli la loro solidarietà dicendosi dispiaciuti per l’accaduto.
Lui li ringraziò per la visita, ma domandò loro: “Come fate a sapere se ciò che mi è successo è un bene o un male per me? Chi lo sa!
I vicini, perplessi dall’atteggiamento del vecchio contadino, andarono via.

Una settimana dopo, il cavallo ritornò alla stalla, accompagnato da una grande mandria di cavalli. Giunta la notizia agli abitanti del villaggio, questi tornarono a casa del contadino, congratulandosi con lui per la buona sorte.
Prima avevi solo un cavallo ed ora ne hai molti, è una grande ricchezza. Che fortuna!”, dissero.
Grazie per la visita e per la vostra solidarietà”, rispose lui, ma come fate a sapere che questo è un bene o un male per me?
I vicini, ancora una volta rimasero sconcertati dalla risposta del vecchio contadino e se ne andarono via.

Qualche tempo dopo, il figlio del contadino, nel tentativo di addomesticare uno dei nuovi cavalli arrivati, cadde da cavallo rompendosi una gamba.
I vicini premurosi tornarono a far visita al contadino dimostrandosi molto dispiaciuti per la disgrazia.
L’uomo ringraziò per la visita e l’affetto di tutti e nuovamente domandò: “Come potete sapere se l’accaduto è una disgrazia per me? Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo.
Ancora una volta la frase del vecchio contadino lasciò tutti stupefatti e senza parole se ne andarono increduli.

Trascorsero alcuni mesi ed il Giappone dichiarò guerra alla Cina. Il governo inviò i propri emissari in tutto il paese alla ricerca di giovani in buona salute da inviare al fronte in battaglia. Arrivarono al villaggio e reclutarono tutti i giovani, eccetto il figlio del contadino che aveva la gamba rotta.
Nessuno dei ragazzi ritornò vivo. Il figlio del contadino invece guarì e i cavalli furono venduti procurando una buona rendita.

Il saggio contadino passò a visitare i suoi vicini per consolarli ed aiutarli, come loro si erano mostrati solidali con lui in ogni situazione.
Ogni volta che qualcuno di loro si lamentava, il saggio contadino diceva: “Come sai se questo è un male?”. Se qualcuno si rallegrava troppo, gli domandava: “Come sai se questo è un bene?

Gli uomini di quel villaggio capirono allora l’insegnamento del saggio contadino che li esortava a non esaltarsi e a non lasciarsi abbattere dagli eventi, accogliendo sempre ciò che è, consapevoli del fatto che – al di là del bene e del male – tutto potrebbe rivelarsi diverso da come appare.

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Il Blog è nato nel marzo 2021, in tempo di pandemia, per comunicare e condividere le mie letture e i miei interessi personali.  Nel blog c...